JERACE, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

JERACE, Francesco

Carolina Brook

Figlio di Fortunato e Mariarosa Morani, lo J. nacque a Polistena (presso Reggio Calabria) il 26 luglio 1853. Acquisì i rudimenti artistici nello studio del nonno materno Francesco, noto decoratore. Nel 1869, poco più che adolescente, lo J. si trasferì a Napoli, dove seguì i corsi di T. Angelini e T. Solari all'Accademia di belle arti ed entrò in contatto con E. Alvino, G. Smargiassi, F. Palizzi e D. Morelli. Amico di F.S. Altamura, lo J. entrò nel cenacolo di E. Dalbono a Mergellina e frequentò il conterraneo A. Cefaly.

Alla formazione partenopea lo J. fece seguire il perfezionamento a Roma, vincendo nel 1872 il concorso L. Stanzani dei Virtuosi del Pantheon.

Intanto, nel 1871, si era presentato per la prima volta alla Promotrice napoletana con il Ritratto delpadre Girolamo Marafioti (Napoli, palazzo della Provincia) e con il rilievo in gesso Nidia cieca (ubicazione ignota), soggetto quest'ultimo tratto dal romanzo di E.G. Bulwer-Litton, The last days of Pompei (1834), opera che secondo Valente (1996, p. 83) rivela la raggiunta autonomia dell'artista dagli insegnamenti di Angelini. Allo stesso periodo appartiene la prima versione in gesso del Guappetiello, fanciullo del popolo, affine agli "scugnizzi" di V. Gemito, che segna l'attenzione alle poetiche del realismo.

Il soggetto ebbe fortuna e fu riprodotto in diverse repliche, fra cui quella in gesso del 1875 per la Promotrice di quell'anno e quella più nota del 1877 (Napoli, Museo civico in Castel Nuovo), per l'Esposizione nazionale di Napoli, in gesso e a grandezza naturale. Di questa lo J. presentò una versione in bronzo all'Esposizione universale di Parigi del 1878 (Valente, in Corace, p. 19).

Verso il 1873 lo J. strinse rapporti con la duchessa Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri, che lo introdusse negli ambienti del collezionismo napoletano, offrendogli di eseguire per l'ospedale ortopedico da lei fondato un fregio ad altorilievo e presentandogli la figlia dell'astronoma Mary Sommerville, che nello stesso 1873 gli commissionò il monumento funebre della madre (Napoli, cimitero degli Inglesi).

Fra il 1874 e il 1875 lo scultore entrò in contatto con la famiglia del banchiere svizzero-napoletano Oscar Meuricoffre, per il quale decorò la villa La Fiorita a Capodimonte, con altorilievi in gesso sul tema delle Quattro stagioni, con un camino monumentale in marmo in stile neorinascimentale e con un sovrapporta sul portale esterno, Amore e Psiche, dal modellato vibrante e frastagliato. Per i Meuricoffre, lo J. eseguì anche un busto in marmo del console e di suo fratello Tell (Capodimonte, villa La Fiorita), cui seguirono i rilievi della tomba di famiglia (1885) nel cimitero degli Inglesi.

L'Esposizione nazionale di Napoli del 1877 segnò per lo J. l'occasione per mostrare il suo linguaggio in cui appariva evidente la ricerca di equilibrio fra le istanze del bello e le esigenze del vero. In questa fase (Valente, in Corace, p. 19) si rivelava l'interesse dello J. per l'opera di Michelangelo e la tensione verso una forma di tipo monumentale.

All'Esposizione universale di Parigi del 1878 lo J. inviò il gruppo Eva e Lucifero, ispirato al Caino di G. Byron, tema che all'epoca godeva di una grande fortuna. Dell'opera - giunta a Parigi deteriorata e restaurata da Gemito - fu notato il "vigore non comune di forma" (L'Illustrazione italiana, 9 giugno 1878, p. 369).

Nel 1880 lo J. partecipò all'Esposizione nazionale di Torino con ben sette opere, fra cui la famosa Victa (Napoli, Museo civico in Castel Nuovo) e il gesso Soggetto romano o Trionfo di Germanico (Catanzaro, gipsoteca Jerace), che ricevettero commenti entusiastici. La Victa inaugurò una nuova tipologia di bellezza femminile, idealizzata e sensuale a un tempo, che verrà reiterata dallo J. in numerosi altri busti (De Micheli, 1991, p. 39).

Sul soggetto rappresentato la critica non è stata concorde. Un'interpretazione, forse data dopo dallo stesso J., fu quella della Victa come allegoria della Polonia invasa e divisa fra Russia, Prussia e Austria (Greco - Picone Petrusa - Valente, 1993, pp. 58, 71 n. 115); per Lamberti (p. 53 n. 53), che non trovava questa lettura nelle fonti dell'epoca, si sarebbe trattato di una regina persiana costretta a subire gli abusi dei vincitori. Il carattere indomito e fiero dell'espressione colpì i commentatori del tempo che considerarono la Victa l'opera "più perfetta" (Filippi, p. 201) della mostra. Il busto ricevette un premio di 3000 lire e l'immediata prenotazione di cinque repliche che negli anni giunsero a circa venti, mentre all'Esposizione di Melbourne del 1880 lo J. fu insignito con medaglia d'oro (Giannelli, p. 615).

A Torino il gruppo Trionfo di Germanico condivise i due premi di 10.000 lire ciascuno, destinati ai gruppi in gesso, con le opere di E. Maccagnani, E. Ferrari e E. Ximenes (il marmo è a Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). Si trattava della risposta italiana al Monumento ad Arminio (eretto nel 1875 a Grötenburg da J.E. Bandel in ricordo della vittoria germanica sulle legioni di Varo nel 9 d.C.), in cui si narrava l'epilogo della vicenda, riportato da Tacito negli Annales, quando Germanico sconfisse a sua volta i Germani di Arminio. A Torino lo J. espose anche il bronzo Mariella, i marmi Ines e Marion, il gesso Sasà mio e il ritratto del pittore spagnolo Ramón Tusquets Maignon (Napoli, Museo civico in Castel Nuovo).

L'intensa attività espositiva si intersecò con l'esecuzione di numerose commissioni: nel 1885 lo J. modellò il bellissimo angelo reggicortina della tomba di Luigi Compagna nel santuario della Madonna della Schiavonea a Corigliano Calabro che, nelle forme morbide e plastiche, segna il precedente dell'angelo della Tomba Greco di Cosenza (1900); nel 1888 eseguì la statua di Vittorio Emanuele II per la facciata di palazzo reale a Napoli.

Nel contempo lo J. concepì diversi busti femminili idealizzati: Issionne (1882), Era di maggio (1886: una versione è nel municipio di Reggio Calabria) e Arianna (1886), opere in cui la struttura del frammento classico si fonde con un'inedita espressione del sentimento (Valente, 1996, p. 99). Il prestigio dell'artista venne riconosciuto nel 1891 con l'invito a far parte della commissione permanente di Belle Arti del ministero della Pubblica Istruzione.

L'Esposizione nazionale di Palermo del 1891-92 segnò un altro grande successo per lo Jerace.

Fra le sette opere presentate si ricordano, oltre all'Arianna, premiata con la medaglia d'oro, le opere del 1891 conservate a Napoli: i marmi Carmosina (Museo nazionale di Capodimonte) e Fiorita (Museo civico G. Filangieri) e il gesso Antonio Toscano a Vigliena (Castel Sant'Elmo). Nella Carmosina - tratta dall'omonima commedia di A. de Musset del 1850, a sua volta ispirata a una novella del Decamerone di G. Boccaccio - e nell'Arianna, lo J. dimostrò una grande abilità nel restituire il flusso delle passioni impresse sui volti. Lo J. partecipò alle rassegne internazionali più importanti: alle Esposizioni universali di Anversa nel 1894, di Barcellona nel 1896, di Monaco nel 1900; all'Esposizione italiana di San Pietroburgo del 1902; fu, inoltre, a Saint Louis nel 1904; a Bruxelles, Buenos Aires, Santiago del Cile nel 1910; e a Barcellona nel 1911.

Nel 1895 lo J. partecipò alla I Biennale di Venezia con il Beethoven (Napoli, Conservatorio di S. Pietro a Majella), un'opera che ha rinnovato la tipologia del monumento, privilegiando gli aspetti del carattere del personaggio su quelli della rappresentatività. Nel 1897 lo J. vinse il concorso indetto dalla città di Bergamo per un Monumento a Gaetano Donizetti, occasione che gli permise di sperimentare una diversa concezione architettonica nell'apertura a esedra dello spazio monumentale, nel quale il compositore sulla sinistra, ispirato dalla musa Melopea, appare decentrato. Nel 1898 lo J. si dedicò a un tema religioso con il gruppo della Conversione di s. Agostino per la chiesa di S. Maria a Varsavia, opera considerata da Vigezzi (1932, p. 127) "piena di misticismo sereno e d'umana poesia", cui si aggiunse in seguito la scultura, L'educazione della Vergine (1904). Nel 1902, per il duomo di Reggio Calabria, lo J. scolpì il pergamo con rilievi di tipo neogotico, trasferito dopo il terremoto del 1908 nella nuova cattedrale.

Nel 1904 per la facciata del duomo napoletano, risistemato da E. Alvino, lo J. eseguì due grandi rilievi con la Decollazione e il Miracolo delle reliquie di s. Gennaro, nei quali i gesti amplificati e vistosi dei personaggi sono resi con uno stile vigoroso. Intanto la vocazione ritrattistica dello J. risultava sempre più concentrata nel restituire il valore morale e intellettuale degli effigiati; ne sono testimonianza il monumento al giurista napoletano Nicola Amore e i tre intensi busti di Francesco Crispi (1907: Roma, palazzo Madama; palazzo di Montecitorio; Banca d'Italia). Un esemplare di questi venne inviato nello stesso anno alla Biennale veneziana, che nel 1909 dedicò allo J. una sala personale, nella quale l'artista espose quindici sculture e sei fra dipinti e disegni. Tra le sculture vi era il modello in gesso della statua di Federico II, figura centrale del frontone realizzato per la nuova facciata dell'Università di Napoli (1910) composto da diciotto figure a tutto tondo in bronzo. Nel frattempo lo J. aveva iniziato a lavorare al gruppo bronzeo L'Azione, da porre alla base dello scalone del Vittoriano di Roma (1911), come pendant del Pensiero di G. Monteverde. Rispettando la scenografia classicheggiante del monumento, lo J. concepì un insieme di figure allegoriche e di presenze storiche. Nei primi due decenni del Novecento gli incarichi pubblici dello J. si intensificarono: nel 1913 realizzò il monumento in bronzo al patriota e scrittore Gabriele Pepe (Campobasso); nel 1915 fu la volta del monumento a Giuseppe Martucci a Capua; inoltre, eternò numerosi uomini illustri nei giardini della villa Trieste a Catanzaro, fra cui F. Fiorentino (1889), in collaborazione con il fratello Vincenzo, A. Cefaly (1920), E. Seta (1920), B. Grimaldi (1920). Al 1914 appartengono due busti di grande valore espressivo, il marmo Carlotta d'Asburgo a Miramare - ricordata da G. Carducci nell'ode Miramar - e la terracotta dedicata a Giambattista Vico (entrambi a Napoli, Museo civico in Castel Nuovo). Numerosi busti sono stati eseguiti dallo J. anche per il parco della villa comunale di Napoli, tra cui G. Arcoleo (1918) e G. Toma (1922). Dal 1920 lo J. partecipò alle Biennali di Reggio Calabria, organizzate dall'amico A. Frangipane, dove presentò nel 1920 il busto della poetessa Nosside di Locri e, nel 1924, il marmo Eroica (entrambi conservati a Reggio Calabria, rispettivamente, in municipio e nel palazzo della Provincia) e il busto del conterraneo G. De Nava, al quale dedicherà anche un monumento a Reggio Calabria nel 1936. Nel febbrile clima di edificazione di monumenti in ricordo della vittoria della Grande Guerra, incrementato dal fascismo, lo J. realizzò il Monumento ai caduti di Sorrento (1926), in cui la Vittoria alata brandisce la spada, il Monumento ai caduti di Reggio Calabria (1930) e il Monumento ai caduti di Polistena (1935), dall'impianto compositivo simile. Nell'ambito dell'arte sacra si ricordano opere come Mater dolorosa (1920) per la Tomba Cocchia (Napoli, cimitero di Poggioreale), citazione della Pietà michelangiolesca; gli Angeli in adorazione e Santi (1924) per la basilica di S. Maria dell'Olmo a Cava de' Tirreni; le statue di S. Paolo e S. Stefano di Nicea (1929) per la facciata del duomo di Reggio Calabria; la Madonna del Rosario (1930) per la chiesa di Cittanova; il gruppo del S. Francesco di Geronimo, nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli; e infine il dipinto con L'Ultima Cena per la chiesa matrice di Polistena.

Lo J. morì a Napoli il 18 genn. 1937.

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