IMPERATORE, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

IMPERATORE, Francesco

Salvatore Fodale

Nacque probabilmente a Palermo, città da cui proveniva la sua famiglia. La più antica notizia che lo riguarda risale al 7 maggio 1517, quando la Municipalità di Palermo emanò contro di lui un editto per le ferite inferte a un concittadino, Girolamo Cangialosi.

In quell'anno l'I. era esule a Roma con due suoi fratelli: Federico - che era stato giudice della Magna Curia e tornava dalla corte di Fiandra - e Giovanni Vincenzo, i quali avevano partecipato alla rivolta contro il viceré Ugo Moncada, scoppiata nel marzo 1516 dopo la notizia della morte del re Ferdinando il Cattolico. Il fratello maggiore, Cesare, entrato nella vita ecclesiastica, era a Roma come segretario del cardinale Pompeo Colonna.

Le notizie sul periodo successivo sono tutte legate alla congiura antispagnola. Le fonti sono manifestatamente condizionate dal processo seguito all'arresto e dalle confessioni rese sotto tortura. Ne risultò una ricostruzione che metteva in secondo piano il ruolo del re di Francia Francesco I e, sul versante romano, coinvolgeva direttamente e pesantemente il cardinale Francesco Soderini, e indirettamente un altro esponente di punta del S. Collegio, il cardinale Pompeo Colonna, a causa del ruolo giocato nella rivolta dal suo defunto nipote Marcantonio. La scoperta della congiura, che si sarebbe trascinata per alcuni anni coinvolgendo nuovi personaggi, fu dovuta del resto al cardinale Giulio de' Medici che con la sua rivelazione aveva rotto l'isolamento in Curia e pochi mesi dopo fu eletto papa con il nome di Clemente VII. Sul versante siciliano, il processo coinvolgeva ed eliminava alcuni antichi avversari, già perdonati, del governo asburgico e difensori dell'autonomia parlamentare.

Mentre a Palermo avvenivano i nuovi moti, iniziati nel luglio 1517 e diretti da Giovan Luca Squarcialupo, l'I., insieme con i suoi fratelli, avrebbe progettato di rivolgersi a Francesco I, presso il quale in un primo tempo avrebbe dovuto recarsi il fratello Federico. Intanto un seguace dello Squarcialupo, Baldassarre Settimo, a Lentini diffondeva la voce di una raccolta di denaro fatta per ottenere l'intervento del re di Francia. Da Bruxelles giungeva inoltre a Roma Giovanni Sanfilippo, inviato nell'agosto 1517 dai Palermitani alla corte di Carlo d'Asburgo. Cesare Imperatore lo introdusse presso Marcantonio Colonna, nipote del cardinale Pompeo e ambasciatore di Francesco I a Roma, dove giunse ai primi di agosto. Per seguire e dirigere lo sviluppo degli avvenimenti e procurarsi i 100.000 ducati ritenuti necessari all'armamento, Giovanni Vincenzo Imperatore tornò a Palermo. Lo accompagnava Nicola Vincenzo Leofanti, tesoriere del Regno siciliano di ritorno da Bruxelles, il quale prima di fermarsi a Roma passò anch'egli da Parigi. Dovettero però giungere nella città siciliana dopo la morte dello Squarcialupo - avvenuta l'8 settembre per mano di Pompilio Imperatore (non sono noti i rapporti di parentela di costui con l'I.) -, e la conseguente fine della sommossa. Rimasto a Roma con il fratello Cesare, l'I. avrebbe continuato a tramare, attirando nella congiura il nobile messinese Iacopello Spatafora, mentre i fratelli Giovanni Vincenzo e Federico erano a Palermo in grazia del perdono richiesto dal Parlamento siciliano fin dal novembre 1518 e concesso dal sovrano solo il 22 marzo 1520. Ripresi i contatti con Marcantonio Colonna, l'I. e il fratello Cesare progettarono la sollevazione di Palermo e di Messina, che sarebbe avvenuta al momento dello sbarco in Sicilia delle truppe francesi. Francesco I ne fu informato dal Colonna, il quale nel settembre del 1519 andò in Francia per incontrare il re e per suo ordine in dicembre ricevette a Milano alcuni armamenti, poi trasportati a Genova. Il re francese condizionò però ogni possibilità di intervento armato in Sicilia alla preventiva conclusione della controversia per il Ducato milanese. Nell'agosto 1521 Cesare Imperatore, che si trovava a Palermo in casa del fratello Federico, riferì a quest'ultimo, al tesoriere Leofanti e al fratello di questi, Girolamo, che una volta terminata la guerra per il possesso di Milano, Marcantonio Colonna avrebbe trasmesso alla flotta allestita a Genova gli ordini di Francesco I per lo sbarco a Messina, città che si sarebbe dovuta ribellare agli ordini di Iacopello Spatafora. A sua volta l'I., secondo i piani di quella trama, si sarebbe dovuto recare da Messina a Palermo, per portare alla ribellione anche questa città.

Nella congiura entrò anche Gaspare Pipi, un popolano di Agrigento, ma soprattutto, avvicinato dai fratelli Cola Vincenzo e Girolamo Leofanti, il conte di Cammarata e maestro portulano del Regno siciliano Federico Abbatelli Cardona che, dopo avere partecipato alla rivolta contro Ugo Moncada ed essere stato trasferito alla corte di Bruxelles, era tornato in Sicilia, dove aveva usufruito del perdono accordato ai ribelli. La morte del Colonna, avvenuta il 9 marzo 1522, privò i congiurati siciliani di un candidato al trono, ma soprattutto venne meno un importante e autorevole tramite segreto nei rapporti con la corte francese.

Dopo essersi ritirato nei suoi castelli nella Campagna romana, Marcantonio Colonna era di nuovo tornato brevemente in Francia. L'attuazione della congiura avrebbe richiesto allora una rinnovata trama. Cesare Imperatore lasciò Palermo e tornò a Roma, dove si incontrò nuovamente con l'I. e con Iacopello Spatafora. Insieme decisero di proporre il cardinale Francesco Soderini, incline alla Francia, come nuovo intermediario e interlocutore. Frattanto sarebbe stato coinvolto anche un nobile catanese che era a Roma, Perruccio Gioeni. Fu deciso che l'I. - con lettere del Soderini e del segretario del re, che era presso la Curia pontificia, e accompagnato da un familiare del cardinale -, si recasse a Parigi per incontrare Francesco I. Partito il 10 maggio 1522, a Parigi ebbe due colloqui con il sovrano, al quale chiese 3000 scudi per arruolare degli uomini d'arme e un condottiero italiano. Il re di Francia gli diede solo 200 scudi per il viaggio di ritorno con una vaga promessa per il futuro, condizionata alla soluzione della guerra in Lombardia.

In Sicilia il viceré Ettore Pignatelli riunì, nel giugno 1522, un Parlamento nel corso del quale il conte di Cammarata Federico Abbatelli Cardona, che aveva ripreso le funzioni di maestro portulano, si oppose al donativo di 300.000 fiorini chiesto dalla Corona per le spese di guerra. Ebbe il sostegno del tesoriere Nicola Vincenzo di Leofanti e del barone di Cefalà, il cugino Federico Abbatelli, che entrò a far parte della congiura filofrancese; a essi si associò anche Blasco Lanza, barone di Trabia, uno dei sostenitori di Moncada. Con una mossa politica che tendeva a blandire la popolazione cittadina, ma si inimicava la maggioranza del baronaggio, proposero in alternativa che il donativo richiesto fosse pagato dai baroni. Dopo avere trasferito il Parlamento a Messina, il viceré fece arrestare tesoriere e maestro portulano, poi trasferiti a Napoli in Castelnuovo, e lo stesso barone di Trabia, poi confinato a Tripoli.

Nel 1523 l'I. partì di nuovo per la Francia, dopo avere reso partecipi della congiura altri due siciliani che si trovavano a Roma: Pietro Augello, con il quale ebbe un diverbio, e Cesare Graffeo. I due informarono della congiura il duca di Sessa, ambasciatore di Carlo V presso la Curia pontificia, che insieme con il cardinale Giulio de' Medici, nemico del Soderini, riuscì ai primi di aprile a ottenere l'arresto dell'I., mentre stava per passare l'Arno. Fu trovato in possesso di lettere cifrate del cardinale Soderini, dirette ai suoi nipoti in Francia e a Venezia, dove forse l'I. era anche diretto, che lo raccomandavano e che avrebbero sollecitato l'immediato intervento francese in Sicilia. L'I. fu subito ricondotto a Roma, dove fu interrogato e confessò sotto tortura. Tramite il nipote Claudio, figlio naturale di Giovanni Vincenzo, travestito da contadino, Cesare Imperatore riuscì a fare pervenire ai fratelli la notizia dell'arresto dell'I. e la sua esortazione alla sollevazione cittadina cinque giorni prima che quell'informazione arrivasse da Roma, il 23 aprile, al viceré Pignatelli. Il 27 aprile, dopo un drammatico confronto con il cardinale de' Medici che lo accusava, Adriano VI fece arrestare il Soderini, che fu rinchiuso in Castel Sant'Angelo.

Dei fratelli dell'I. solo Cesare riuscì a salvarsi, fuggendo da Roma. Federico, per il tradimento di un suo schiavo moro, fu arrestato a Caronia, dove era fuggito. Furono catturati anche Vincenzo Di Benedetto, che aveva favorito la sua fuga, e Giovanni Vincenzo, con il figlio Claudio. Da Napoli, dove già era prigioniero, Nicola Vincenzo Leofanti fu trasferito a Messina. Furono inoltre arrestati Iacopello Spatafora, Giovanni Sanfilippo e Federico Abbatelli Cardona, barone di Cefalà. Processati a Messina dalla Magna Curia e torturati, confessarono tutti. Restarono latitanti Perruccio Gioeni, Girolamo Leofanti, Gaspare Pipi e Federico Abbatelli, conte di Cammarata, denunciato dal tesoriere Leofanti e dal barone di Cefalà. Il 18 giugno 1523 l'I. e gli altri prigionieri furono condannati a morte, con l'eccezione del Di Benedetto e di Claudio Imperatore, per la sua giovane età. L'esecuzione della sentenza fu rinviata solo per l'I., per il tesoriere e per il barone di Cefalà, in ragione del nuovo processo contro il conte di Cammarata, chiamato come correo, in attesa del suo trasferimento in Sicilia da Napoli.

A causa di un'epidemia di peste, la Magna Curia si trasferì con i prigionieri da Messina a Milazzo dove, dopo l'arrivo del conte di Cammarata, che confessò anche l'omicidio del conservatore del Regno, l'11 luglio 1523 fu eseguita la sentenza contro l'I., il Leofanti e il barone di Cefalà. Qualche giorno più tardi, a Patti, anche il conte di Cammarata fu giustiziato. I cadaveri dell'I., che era stato soffocato, e degli altri giustiziati furono squartati e i loro teschi a lungo esposti a Palermo sulle mura dello Steri.

Fonti e Bibl.: T. Fazello, De rebus Siculis, III, a cura di V.M. Amico, Catanae 1753, pp. 209-213; G. Salvo-Cozzo, Transunto del processo contro i fratelli Imperatore, in Arch. stor. siciliano, n.s., VII (1883), pp. 342-353; V. Epifanio, Il cardinale Soderini e la congiura dei fratelli Imperato, in Atti del Congresso internazionale di scienze storiche… 1903, III, Roma 1906, pp. 386-391, 393 s.; I. La Lumia, La Sicilia sotto Carlo V imperatore (1516-1535), in Id., Storie siciliane, III, Palermo 1969, pp. 137-139, 141, 147 s., 153 s., 156, 159-161, 255; G.E. Di Blasi, Storia cronologica de' viceré, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia, II, Palermo 1974, pp. 44, 46-48.

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