FRANCESCO I d'Austria

Enciclopedia Italiana (1932)

FRANCESCO I d'Austria (II come imperatore del Sacro Impero)

Carlo Capasso

Nacque a Firenze nel 1768 da Leopoldo di Asburgo-Lorena, granduca di Toscana e più tardi imperatore (1790-92). Trascorse i primi anni nel sereno soggiorno paterno e da esso trasse, o forse meglio rafforzò la sua naturale inclinazione a quei concetti di vita quieta e patriarcale che furono, non mai smentiti, i tratti caratteristici della sua indole. Fu inviato alla corte di Vienna nel 1784 a completare la sua cultura e la sua educazione, ma ciò non valse ad attrarlo nel mondo e negl'ideali riformistici dello zio. La reazione irresistibile del sentimento nazionale e del buon senso contro gli eccessi del giuseppinismo, sotto il breve regno del padre; e poi, più tardi, le fortunose vicende dell'Austria e dell'Europa di contro alla Rivoluzione francese radicarono in lui la ripugnanza e la reazione contro ogni spirito d' innovazione e lo avvinsero maggiormente al suo ideale di vita e di governo paterno.

Successe al padre nel 1792, ventiquattrenne; mosse i primi passi avendo per ministro il vecchio principe di Kaunitz. La monarchia degli Asburgo nel 1792 si presentava come terza tra le grandi potenze venendo subito dopo per efficienza alla Russia e alla Francia. Ma nelle guerre contro la rivoluzione e contro Napoleone fu mutilata e precipitata quasi nell'estrema rovina politica, economica e finanziaria. Ridotta a un certo punto a un povero troncone, avvilita e calpestata, essa tuttavia poté all'ultimo rifarsi e rimettersi saldamente in piedi, sino a collocarsi addirittura al primo posto fra le potenze continentali dopo il Congresso di Vienna. Tuttavia non si può attribuire ai meriti e al valore personale di questo sovrano tale e tanto felice capovolgimento nella situazione e nell'efficienza della monarchia. A lui si debbono la costanza, l'ostinata resistenza contro le avversità, una fermezza non comune in alcuni pochi concetti direttivi fondamentali e una forte fede nella bontà e nella necessità della sua causa. Seppe poi anche circondarsi di uomini specialmente adatti, che poterono conoscerne il carattere, apprezzarne la bontà e agire con saviezza, con abilità e con accortezza. Pochi sovrani ebbero infatti ministri eminenti, come furono successivamente il principe W. A. di Kaunitz (sino al 1796), F. M. von Thugut (fino al 1800), J. L. J. Cobenzl (sino al 1805), Stadion e dal 1809 ministro degli Esteri e poi cancelliere il conte (e più tardi principe) Clemente di Metternich.

Nelle guerre di coalizione l'Austria rappresentò non solo il principio tradizionale conservatore monarchico, tanto più forte in quanto vi diede risalto la volontà e la personalità del suo monarca, ma si trovò in prima linea anche per il suo carattere di potenza militare preminente, quale l'avevano foggiata Maria Teresa e i suoi successori. Per questo essa sostenne il peso maggiore e anche gli urti più formidabili dei Francesi; anzi la lotta, a mano a mano che i disastri e le disgrazie si abbatterono sulla monarchia, compì quell'opera di avvicinamento tra le varie parti e le popolazioni già avviata, da Maria Teresa in poi, specialmente con le grandi formazioni militari e burocratico-civili; avvicinamento che si tradusse in un più profondo senso dell'unità monarchica e d'una patria comune (Gesammtvaterland). Al quale diede essenzialmente il suo suggello la fraternità d'armi stabilitasi suì campi di battaglia.

La figura del sovrano, personalmente mite ed affabile, accessibile a tutti i sudditi, spesso più che agli stessi suoi ministri, universalmente noto e stimato per il senso di giustizia che egli volle imprimere nella vita civile (donde il motto celebre Justitia regnorum fundamentum) e anche benvoluto dalle classi popolari per la vita modesta e in certo senso borghese da lui imposta alla corte, ha molto giovato a rafforzare e a definire quell'attaccamento popolare alla dinastia diffuso giù giù dall'esercito e dalla burocrazia anche in tutte le classi della popolazione; il quale è stato caratteristico per la monarchia, in quanto espressione del Gesammtvaterland, prima che il fenomeno delle nazionalid e le lotte che ne derivarono iniziassero il movimento di disgregazione e di disfacimento. Per mantenere un tale senso non è concepibile effettivamente altra figura di sovrano che un conservatore ad oltranza come fu Francesco. Il quale, certo, fu spinto anche da questo bisogno, oltre che dalle ragioni generali emergenti dalla situazione e dagli avvenimenti, ad assumere nel 1804 il titolo d'imperatore d'Austria. Egli dice, è vero, nella patente emanata l'11 agosto, d'essere stato indotto a tal passo dall'esempio dato dal nuovo sovrano di Francia, cioè da Napoleone, che s'era fatto eleggere imperatore dei Francesi pochi mesi avanti: sennonché non appare meno vero che F. I è stato spinto a quest'atto, che fu il più importante tra quelli costituzionali di tutto il suo regno, dalla necessità di mettere nel giusto rilievo il fattore austriaco (nel quale s' inserisce quello dinastico), come quello nel quale si assomma tutto il processo unificatore e concentratore dei varî elementi della monarchia. La creazione dell'impero ereditario non modificò infatti per nulla i rapporti particolari diretti delle singole parti o nazioni verso la monarchia, ma diede appunto risalto a questa come all'elemento di coesione tra le diverse nazionalità.

Perduti i Paesi Bassi nella guerra della prima coalizione, ma guadagnata la Venezia con Campoformio (in quell'occasione fu dovuto sacrificare Thugut, nemico accanito della Repubblica francese), battuto per altro nuovamente nella seconda coalizione, F. d'Austria con la pace di Lunéville (1801), dovette rassegnarsi a molte amputazioni in Germania e alla perdita della Toscana, comodo e magnifico asilo della secondogenitura asburgica. Di qui un senso più acuto d'odio e di risentimento contro gli uomini di Francia e le loro imposizioni, che lo trasse a quella terza coalizione che fu l'inizio delle strepitose campagne napoleoniche in Europa. Nessuno fra gli avversarî di Napoleone più di F. I si vide ridotto sull'orlo dell'abisso. Cacciato ripetutamente dalla sua capitale, costretto a rinunziare al titolo imperiale del Sacro Impero, perché questo fu definitivamente soppresso nel 1806; ma più ancora perduta ogni ingerenza e ogni autorità fattiva in Germania, perduti i possessi italiani, perduto ogni accesso al mare, perduti anche molti dei territorî ereditarî tedeschi e non tedeschi a favore degli stati germanici consolidati con la protezione francese e per l'interesse della Francia (Baviera, Württemberg, Sassonia, ecc.) F. I. avrebbe forse visto l'estrema catastrofe, se Napoleone non avesse volto l'occhio su Maria Luisa, la figlia dell'imperatore d'Austria.

Metternich si è poi largamente vantato di aver lui immaginato e condotto a termine un atto che veramente ha salvato l'Austria e la dinastia. In realtà se si deve giudicare dalla politica che Metternich e F., d'ora innanzi uniti strettamente di spirito e di pensiero, seppero svolgere dall'unione con Napoleone e con la Francia, non si può far torto a quel vanto; poiché effettivamente il loro abile e saggio destreggiarsi poté in breve far risorgere dalla rovina la potenza austriaca e riacquistare alla monarchia l'antico prestigio e il vecchio rango. Il che appunto si compì quando, avvenuto il disastro napoleonico in Russia e, insorte una dopo l'altra e concordate in varie alleanze Russia, Austria e Inghilterra (1813), F. I si decise il 10 agosto di quell'anno a intervenire contro Napoleone, conchiudendo così definitivamente il fronte unico antinapoleonico. Da quel momento l'imperatore d'Austria fu veramente capo dell'Europa monarchica e conservatrice contro Napoleone. Modesto e appartato, non sempre presente al gran quartiere generale, col quale si muovevano insieme i ministri, gli ambasciatori, le cancellerie e anche i sovrani alleati, poté in apparenza prevalere su di lui davanti agli occhi dei più la personalità più spiccata e rumorosa dello zar Alessandro I, ma in realtà mercé il validissimo sostegno di Metternich l'imperatore F. poté esercitare un'influenza decisiva.

I venti anni che corrono dal 1815 al 1835 furono insieme la più esplicita affermazione, tanto del primato conseguito in Europa come risultante dei lunghi e tenaci sforzi contro la Francia per il ristabilimento del vecchio ordine di cose, quanto delle tendenze e delle idee nutrite sin da giovinetto e da principe e non mai abbandonate. Francesco cercò di attuare metodicamente e con continuità quello che la bufera europea non gli aveva permesso durante le varie guerre.

Sennonché se la pace e la tranquillità poterono rappresentare un ideale lodevole, l'uomo, le idee e i mezzi non corrisposero allo scopo. Anzitutto il concetto stesso del governo paterno era già di per sé stesso un anacronismo. Anche se i tempi non vi fossero stati ormai contrarî, perché in genere quel concetto si può ritenere sorpassato già allora, difficile era di applicarlo in una grande e complicata organizzazione statale. F. I ebbe forse troppo dinnanzi agli occhi il ricordo del lontano tempo della sua vita granducale: ma egli non ha badato che, a parte il contrasto fra le due età, si è trattato d'un piccolo stato che era più facile a governarsi con quel sistema. Peggio fu che la pedanteria e l'eccesso delle pratiche burocratiche, conseguenza fatale d'una meticolosità piccina, non furono corrette da larghezza d'ingegno e di vedute. Spesso la fermezza si è tramutata in ostinazione e il senso di giustizia, innegabile nelle piccole cose, si è alterato pericolosamente in durezza spietata, quando sono stati in giuoco principî d'autorità, di dignità e di dovere. La sua fobia contro ogni anche minimo bisogno di novità o di giusta riforma, se trovò la sua scusante nella diffidenza da lui sempre sentita contro ciò che insidiava a priori la pace e la tranquillità, divenne spesso una vera cecità di fronte anche alle più modeste esigenze, che perfino Metternich riconobbe spesso necessario di soddisfare. Ma divenne logicamente, per paura, una vera e propria tirannia spesso quasi crudele, quando parve a lui di dover difendere incondizionatamente il principio d'autorità e la disciplina. Di qui l'onnipotenza della polizia, della censura e un vero stato d'oppressione spirituale, cui fa riscontro nell'ordinaria amministrazione la cura sincera del bene e degl'interessi materiali della popolazione. Questo tragico contrasto tra metodi di durezza e d'oppressione e un desiderio certamente malinteso ma tuttavia innegabile e sincero del bene dei suoi popoli raggiunse la più dolorosa espressione nei varî tentativi di assoggettare nazionalità diverse ai doveri e alle necessità degli organi centrali, ossia di Vienna. Di qui il carattere speciale delle relazioni, ad es., degli organi di governo centrali e locali in Italia e del dissidio che ivi scoppiò subito con la conseguente formazione del sentimento antiaustriaco da un lato e dell'aggressività assunta dagli elementi austriaci nella penisola. F. ebbe quattro mogli di cui due italiane (da una di esse, Maria Teresa di Napoli sua seconda moglie, ebbe ben tredici figli), ma esse non rappresentarono alcuna parte notevole nella sua vita. Invecchiato moralmente e spiritualmente anzi tempo non ebbe preferenza per alcuno dei suoi popoli: anzi si industriò spesso di opporli gli uni agli altri. Nato in Italia non ebbe in fondo nessun attaccamento al suo paese di nascita e della sua prima fanciullezza. Non vi ritornò se non più di trent'anni dopo, la prima volta, nel 1819, ma fu un viaggio di pura affermazione politica. Morì il 2 marzo 1835.

Bibl.: Hormayr, Kaiser Franz I. und Metternich, Lipsia 1848; Gross-Hoffinger, Leben, Wirken und Tod des Kaisers Franz I.; Meynert, Kaiser Franz, zur Geschichte seiner Regierung und seiner Zeit, Vienna 1872; C. Wolfsgruber, Franz I. Kaiser von Österreich, 2 voll., Vienna 1899; A. Springer, Gesch. Österreichs seit dem Wiener Frieden, Lipsia 1863-1865, 2 voll.; L. Léger, Histoire de l'Autriche-Hongrie, Parigi 1879; H. Srbik, Metternich der Staatsmann, und der Mensch, Vienna 1925, voll. 2.

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