FUOCO, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FUOCO, Francesco

Francesco Di Battista

Nacque il 12 genn. 1774 a Mignano, in Terra di Lavoro, da Giovanni "proprietario" probabilmente non agiato. Le origini della famiglia e il periodo giovanile continuano a rimanere piuttosto oscuri. Sappiamo che compì la prima formazione nel seminario della vicina Teano, dove fu ordinato sacerdote; poi - trasferito a Napoli negli anni Novanta - vi approfondì gli studi secondo il tipico percorso enciclopedico settecentesco spaziando dalla letteratura alla filosofia e alle scienze fisiche e matematiche (ma il suo diploma di laurea in queste ultime è solo del 1815). Sentì subito la vocazione all'insegnamento, che praticò privatamente nella capitale sin dall'ultimo scorcio del Settecento.

Compromesso nella rivoluzione giacobina del 1799, la successiva reazione borbonica fu particolarmente dura con lui in quanto educatore e per di più prete. Venne incarcerato nell'isola di Pantelleria, con una condanna - pare addirittura - all'ergastolo, ma parzialmente graziato dopo la pace di Firenze (1801); non confermato dalle fonti è un suo rientro a Napoli nel 1802, affermato invece da qualche biografo: più plausibile appare una sua ulteriore, forzata e sofferta, permanenza in Sicilia, ove - secondo la sua stessa testimonianza, contenuta nella successiva lettera-memoria allo Zurlo -, pur tra mille difficoltà "la taccia di reo di Stato non gli tolse il concorso di numerosi discepoli, ed ove allentò il rigore delle catene, e della miseria con questo esercizio d'istruzione".

Il non breve soggiorno isolano era destinato a lasciare il segno sul fisico e sul morale dell'uomo. Fu quell'esperienza di vita a iniettargli il germe di una deformazione comportamentale, psicologica, di cui non riuscirà più a liberarsi: un timore ossessivo dei potenti, del potere politico ma anche di quello economico-finanziario e accademico. Per converso, altra faccia di questo comportamento sarà la ricorrente ricerca da parte sua di protettori-mecenati, uomini influenti capaci di garantirgli uno spazio per il proprio lavoro intellettuale, sia in termini di possibilità concrete di svolgerlo, sia di gratificazione personale. Le figure migliori di questo tipo, sempre presenti nell'universo del F., furono proprio quelle degli amici di lunga data, con i quali aveva condiviso tutte le sofferenze della persecuzione politica e delle carceri siciliane, come il colonnello F. Visconti, rinchiuso insieme con lui a Pantelleria, e G. Poerio, al cui appoggio influente presso il re Gioacchino Murat egli dovette un certo reinserimento sociale al suo rientro a Napoli. Tuttavia, di là dalla cerchia degli amici, a diversi livelli, si manifesterà la tendenza a porsi all'ombra di effettivi o solo potenziali protettori, ricercarne il patrocinio per la propria attività, compreso un aiuto per la pubblicazione delle proprie opere, le cui dedicatorie sono in genere significative. Si va dai sovrani Francesco I - già da quand'era solo principe ereditario - e Ferdinando II, alla regina madre (cfr. pure il Discorso necrologico scritto a richiesta di un illustre prelato dall'ab. F. F. e dal medesimo letto ad una scelta brigata di persone divote alla veneranda memoria di M. Cristina di Savoja, Napoli 1836); dai ministri dell'Interno G. Zurlo e N. Santangelo al presidente del Consiglio dei ministri duca di Gualtieri e al ministro delle Finanze degli anni Trenta Giovanni d'Andrea (F. Fuoco, Nuovo corso di filologia latina elementare. Vol. I che comprende l'arte d'intendere i classici latini, 2ª ed., ibid. 1834, I, p. 1); fino al principe di Cardito V. Loffredo, presidente della commissione della Pubblica Istruzione, il marchese di Montrone G. de' Bianchi Dottula, l'arcivescovo di Taranto G. Capecelatro. In fondo, nelle aspettative e in parte nella realtà degli anni Venti una coppia di formidabili protettori fu rappresentata da Luigi de' Medici e, in particolare, da G. de Welz che tanto influì nella svolta del F. da filologo a economista.

Nel 1814 è documentata la presenza del F. a Napoli alla disperata ricerca di un inserimento nell'amministrazione, in particolare nell'insegnamento, che gli consentisse la sopravvivenza. Vacata in giugno la cattedra di filosofia e matematiche elementari presso il r. liceo del Salvatore, il F. si candidò una prima volta senza successo, presentato al ministro Zurlo dal direttore generale dell'Interno M. Galdi. Per le preoccupazioni di sopperire rapidamente alla didattica, espresse dal rettore del liceo, in luglio fu nominato il sacerdote A. Ciampi, filosofo; ma, poiché questi aveva difficoltà di "conciliare le due lezioni di Filosofia, e di Matematica elementare", il Galdi si rivolse di nuovo al F. che possedeva "una morale illibata, e una bontà di carattere che lo rendono proprio alla carriera che ha intrapresa". Con la ministeriale del 17 agosto, si approvò che il F. insegnasse "provvisoriamente le Matematiche elementari nel Liceo del Salvatore" in qualità di "ajutante del Sig.r A. Ciampi proprietario della Cattedra di Filosofia".

Era chiaro al F. che l'impiego ottenuto, con "il miserabile onorario di ducati nove e carlini sei al mese", non sarebbe servito a risollevare le condizioni materiali della sua grama esistenza. Esso gli consentiva però, in quanto pubblico riconoscimento, di rilanciare organicamente una feconda attività pedagogica dispiegata soprattutto nella sua scuola privata, della quale gli si accordò licenza con decr. 4 giugno 1818.

La commissione della Pubblica Istruzione aveva espresso parere favorevole alla sua domanda di aprire un pensionato per giovanetti, dove insegnare le matematiche. In realtà l'istituto Fuoco, che arriverà a contare circa 300 allievi, ambiva a garantire un'istruzione di base completa, con un ventaglio di materie e con regole pedagogiche all'altezza dei tempi (cfr. Regolamento per un istituto di nobili giovanetti, Napoli 1817).

L'impegno pedagogico, legato alla sua prima formazione settecentesca, genovesiana e filosofica francese, non lo costrinse però a rimanere all'interno di un enciclopedismo più o meno di derivazione o di maniera. Il F. privilegiò i campi della filologia, della matematica, della geografia: Saggiodigeografiaedi astronomia, Napoli 1816; Traduzioni di F. Fuoco professore di matematica nel r. liceo del Salvatore, ibid. 1818, promosse dal mecenate di turno, il marchese di Salsa F.M. Berio; Sistema di filologia elementare applicato alla lingua latina. Arte di tradurre, o d'intendere i classici latini senza conoscerele regole della composizione, parte prima, I, ibid. 1820. Ma soprattutto mostrò sin da questi anni una grande apertura metodologica, nel senso di porre l'esigenza del metodo scientifico, inteso baconianamente come esigenza comune a tutte le discipline. A guardar bene, questa generale disposizione, se fu alla base della sua critica al pedantismo dei passatisti e a ogni malinteso spirito di sistema, divenne anche il viatico migliore per il suo incontro con la nuova scienza economica. Non fu dunque a caso - solo in virtù, cioè, di fortuite circostanze - che questo ebbe luogo: suo tramite scientifico decisivo fu l'economista J.B. Say, particolarmente sensibile appunto al tema del metodo scientifico-sperimentale in economia.

Il Discorso accademico sul vero metodo d'instruzione del F. (ibid. 1816; cfr. anche il Prospetto del vero metodo d'istruzione applicato alle lingue ed alle scienze secondo lo spirito dell'insegnamento mutuo, ibid. 1819; Metodo graduale per pronunciare e comprendere la lingua italiana, ibid. 1820; Esposizione ragionata di un nuovo metodo di latinità, ibid. 1820) non era dunque soltanto una bella difesa della "professione" di pedagogo, da lui intesa come servizio pubblico, che lo pone cioè necessariamente in rapporto con lo Stato. L'enfasi metodologica lo condusse già in quegli anni oltre il razionalismo settecentesco e il sensismo alla Condillac, da cui trasse originariamente alimento, su di un percorso lungo il quale stavano gli idéologues francesi, filosofi ma anche economisti come A. Destutt de Tracy e, appunto, J.B. Say. Il metodo filologico fuochiano, sia per la lingua italiana sia per la latina, avrà suo postulato centrale "che l'ordine delle parole sia regolato dall'ordine de' pensieri, o che l'Ideologia si abbia come guida, e compagna della Grammatica" (Saggio sopra un nuovo metodo di latinità, in Nuovo Giornale de' letterati, parte letteraria, t. XI [1825], p. 168). Per questa ragione fu anche molto legato al filosofo napoletano P. Borrelli. L'elaborazione dell'idea di "forza" da parte di questo destò l'interesse del F., per il quale, più in generale, grazie alla sua opera "l'Ideologia ha cessato di essere un romanzo più o meno ingegnoso, ed ha preso il carattere di vera scienza" (Lallebasque. Principjdella genealogia del pensiero. Sunto del sig. F. Fuoco, ibid., t. XIV [1826], p. 203; ma già prima, sempre del F., Opere del signor Lallebasque, ibid., t. X [1825], pp. 15-34). Alla luce di tali influenze, va probabilmente rivista la pur lusinghiera valutazione in genere data dagli storici della letteratura di un F. precorritore del purismo puotiano, cioè di una tendenza a orientare gli studi letterari in senso filologico che specie nella situazione napoletana era innovatrice.

Nel febbraio 1819 il F. rassegnò le dimissioni dall'impiego precario presso il liceo del Salvatore: più che nelle motivazioni logistiche e di salute addotte, la vera ragione era da ricercarsi proprio nel successo ottenuto con l'insegnamento privato. Accogliendole la commissione della Pubblica Istruzione sottolineò il merito da lui acquisito con la "istituzione stabilita nel suo Pensionato dove i buoni studj sono coltivati e i costumi sono diretti con sagge regole di disciplina formate da lui medesimo e pubblicate con la stampa".

Nel concorso alla cattedra universitaria di lingua e letteratura italiana, svoltosi nel 1818, era riuscito terzo in graduatoria dopo il vincitore M. Bianchi e dopo M. Gatti, ma precedendo candidati come G. Rossetti e B. Puoti. Questo risultato non gli schiuse né allora né in seguito, come era nelle sue aspirazioni, l'accesso all'insegnamento accademico, ma aumentò il suo prestigio.

La rivoluzione del 1820-21 trovò quindi nel F. un intellettuale in ascesa, che sembrava stesse finalmente per cogliere una sua affermazione sociale. Il coinvolgimento politico era inevitabile, visti i trascorsi, le idee, le aspirazioni del F., che partecipò con entusiasmo alla prima fase delle elezioni al Parlamento - quella dei congressi elettorali di parrocchia - superando la ritrosia dettatagli dal carattere schivo: "ho sempre preferito la mia oscurità", dichiarava; ma ora si trattava di assicurare alla patria "l'ordine costituzionale" contro i "raggiri della mostruosa aristocrazia", sotto l'egida di una sovranità giusta verso un popolo forgiato da una "educazione regolata dalla ragion pubblica" (Discorso sull'importanza d'una saggia elezione, del cittadino F. Fuoco. Al congresso elettorale della parrocchia di S. Maria d'Ognibene, s.n.t. [ma Napoli 1821]). Risultato eletto ([A. Nobile], Elenco dei nomi e cognomi degli elettori parrocchiali del distretto di Napoli, ibid. 1820, p. 23) in quella ch'era la stessa parrocchia di M. Galdi, F. Avellino, A. Cestari, F. De Luca, il F. non andò oltre. Ma al Parlamento egli rivolse il suo Discorso sul metodo d'istruzione e sul metodo d'insegnamento (ibid. 1820) e offrì "alcune sue opere elementari per lo studio delle due lingue, latina ed italiana" (Atti del ParlamentodelleDue Sicilie 1820-1821, a cura di E. Gentile, II, Bologna 1928, p. 60); chiese che gli fosse confermata, garantita per tutto il Regno, la privativa già concessagli coi decreti 29 marzo e 7 aprile 1820, relativa a ben sedici sue opere concernenti grammatica italiana, latina, greca, francese, inglese, geografia e matematica.

Nel 1821, costretto nell'estate a lasciare il Regno meridionale, prese la via di Trieste con un gruppo di amici, proscritti come lui. E mentre il Poerio si recò poi a Firenze, il F. scelse Parigi, dove maturò la più importante svolta della sua vita. Furono gli anni del suo primo impatto con la teoria economica. Egli ebbe la fortuna di seguire le lezioni di "économie industrielle" al Conservatoire nell'inverno 1821 - primavera 1822, proprio nell'anno in cui, cioè, J.B. Say le tenne col massimo impegno, prima che il suo stato di salute cominciasse a minarne la continuità. La iniziale, entusiasta adesione del F. al sayanesimo, fatta anche di conoscenza personale di quell'"economista insigne", lo accomuna a molti economisti italiani. Oltre al Say, conobbe Ch. Dupin e le sue forces productives, J.-A. Chaptal, un certo industrialismo parigino anche a tinte sansimoniane: tutto questo faceva parte del quadro. Di più duratura influenza fu però l'incontro del F. con il Cours d'économie politique (nella versione del Say, Paris 1823-24) di H.F. von Storch (che conoscerà personalmente in seguito a Napoli, dove l'economista russo farà tappa nel corso di un suo viaggio; cfr. del F. Intorno al consigliere di Stato cav. Errico Storch, in Il Topo letterato, 10 apr. 1834, 10, p. 76).

Ciò che gli si dispiegava dinanzi in quegli anni turbinosi era una civiltà urbana nuova, la Parigi del capitale mobiliare rispetto alla Napoli della rendita parassitaria ("corpo mostruoso di consumatori improduttivi"). Era questa visione, in realtà, a star dietro l'entusiasmo senza mediazioni né distinguo per la nuova scienza economica da parte di un uomo già maturo come il F.: "aumento sorprendente di popolazione; ricchezze immense attratte da ogni parte; edifici, stabilimenti di ogni specie; agiatezza generale…: effetti maravigliosi prodotti dalla sola industria" ([F. Fuoco], Comento di comento, ossia Lettere critiche del Sig.r F. N. sul Saggiodel Sig.r G. de Welz, riprodotto dal signor dottore in medicina Giuseppe Indelicato, Napoli 1823, p. 87). Questa modalità particolare, dirompente, della sua acquisizione della nuova scienza ne segnerà in fondo l'intera vicenda di economista. Nel fuoruscito politico che si dà ingenuamente anima e corpo con l'entusiasmo del neofita ai dommi dell'economia liberale apparentemente padroni incontrastati nell'ambiente che lo ha accolto, non c'è ancora molto spazio per un confronto reale con la tradizione. L'opera Comento di comento è di grande interesse in quanto rispecchia questa prima fase del F. economista. Scritta in uno stile pregevole, dalla classica struttura epistolare, talora venata di fine ironia, fonde pregio letterario e buon livello di logica economica. Dichiara esplicitamente di aver scelto il Traité del Say "codice alla mano" e lo segue puntualmente sul ruolo onnipossente del mercato, sul valore, sulla distribuzione in termini di "servigi produttivi", sul liberismo concorrenziale. Il buon livello teorico dello scritto e la presenza anche nelle note di riferimenti lessicali e culturali classici, impensabili in un de Welz, escludono la presenza di altre mani nella stesura dell'opera.

È appunto partendo da Comento di comento, chiara espressione di un economista in formazione, che si delinea tutto sommato come marginale il ruolo svolto dall'uomo d'affari comasco Giuseppe Velzi (alias de Welz: costui s'era ribattezzato nel cognome "per motivi di esotico richiamo commerciale", ha appurato D. Severin, Figure e momenti di storia comasca, Como 1965, p. 18) nella stesura delle opere "dewelziane".

Il F. conobbe costui - già operante tra Palermo e Napoli dal 1810 - probabilmente non prima dell'esilio parigino, nelle dure circostanze materiali in cui si dibatteva. Legato come finanziere al ministro L. de' Medici e al luogotenente di Sicilia, principe di Campofranco, il de Welz era a Parigi (forse al seguito dello stesso Medici) per la contrattazione di un prestito di un milione di once al governo napoletano. Egli aveva bisogno di scritti che potessero servirgli da supporto per i suoi vasti e vanagloriosi progetti economico-finanziari, da ulteriore titolo da presentare al governo borbonico perché facesse propri i suoi progetti. E trovò nel F. -economista neofita, nonché timoroso di apparire al cospetto del potere - lo scrittore colto e versatile adatto alla bisogna. Il rapporto di collaborazione del F. con il de Welz nacque nel 1822 e si manterrà sempre, sino al 1828 - che segnò il rientro fallimentare dell'uomo d'affari a Milano - "in pursuance of a curious business transaction", secondo l'espressione assai rispondente coniata dallo Schumpeter.

È questa la genesi delle opere del F. cosiddette "dewelziane". La sequenza dell'intero rapporto venne poi così ricostruita dallo stesso F. nella lettera del 5 nov. 1831 ad A. Lombardi: "Veniamo all'opere, che corrono sotto il nome di De Welz. Il Saggio fu scritto da me a Parigi. De Welz, che io ancora non ben conosceva, m'ingannò con vane promesse. Pubblicato il Saggio, in Palermo venne riprodotto dal dottor Indelicato con note critiche. Ecco De Welz nella necessità di rispondere, e di ricorrere di nuovo a me. Io risposi col Comento di comento ma gli imposi la legge di apporre sul bottello le lettere F. N. In questa occasione si rannodò la corrispondenza. Io era partito di Parigi per cagione di malattia, e mi trovava in Marsiglia. Qui scrissi la Magiadelcredito, tradussi il MacAdam dall'inglese, e vi aggiunsi l'introduzione, le appendici etc. Di nuovo venne meno a tutte le promesse, e di nuovo si ruppe tra noi ogni corrispondenza. Infine io tornai in Napoli alla sua impensata. Egli venne adpedes. Le circostanze mi consigliavano a dissimulare. Anzi feci qualche altro lavoro, come vedrete dall'indice".

Le opere dewelziane, sulla cui genesi è difficile nutrire dubbi, specie dopo il ritrovamento di una copia della Magia corretta di suo pugno dal F. (cfr. F. Di Battista, Unasingolareterzaedizione…, 1980) - oltre al citato Comento di comento - sono le seguenti: Saggio su i mezzi da moltiplicare prontamente le ricchezze della Sicilia, Parigi 1822 (primo abbozzo del progetto di sviluppo economico dell'isola attraverso il finanziamento della costruzione di strade); La magiadelcredito svelata. Istituzione fondamentale di pubblica utilità da G. de Welz offertaalla Sicilia ed agli altri Stati d'Italia, 2 voll., Napoli 1824 (allargata versione del progetto, fondato su una più generale teoria del ruolo propulsivo del credito ai fini della crescita di un sistema economico arretrato); Primoelemento della forza commerciale ossia Nuovo metodo di costruire le strade. Traduzione dall'originale inglese di G. de Welz offerta alla Sicilia ed agli altri Stati d'Italia. Con note, tre appendici, ed un riassunto dello stesso traduttore, ibid. 1826 (molto più di una mera traduzione dei Remarks on the present system of road making di J.L. MacAdam); Memoria perlesagremanidi Sua Maestà, ibid. 1824 (progetto di un'industria tessile da impiantarsi a Sarno sotto l'egida del de' Medici); Per le sagre mani di Sua Maestà, ibid. 1824 (replica della precedente, precisando però i "privilegj che la compagnia denominata Manifattura de' Medici implora da Sua Maestà"); Prospetto per la formazionediuna compagnia industriale per San Leucio, ibid. 1827 (funzionale alla concessione al de Welz e a G. Baracco del noto setificio; l'esito fallimentare di questa impresa costringerà il de Welz al ritorno in Lombardia).

Sfortunatamente il rapporto F. - de Welz venne man mano squilibrandosi. Il letterato conosciuto dal de Welz divenne economista, ed economista di vaglia. Si apriva quindi uno scarto destinato ad aumentare tra le esigenze dell'uomo d'affari e il programma di ricerca dello studioso.

Se già la contraddizione è evidente passando dal Saggio sulla Sicilia, risalente all'inizio del 1822, al ben più riuscito Comentodi comento, che è già del febbraio-marzo 1823 (come risulta dal permesso di stampa), l'acme si raggiunse con Lamagia del credito che uscì, dopo lunga gestazione, in una veste tipografica adeguata alla bisogna strumentale cui era stata dall'inizio destinata, solo nell'aprile 1824. Confluirono in quest'opera elementi disparati, compresi innegabili inserimenti aggiunti o fatti aggiungere dallo stesso de Welz. Lo sforzo del F. per padroneggiarli è notevole, ma non si sfugge all'impressione che esso non sia perfettamente riuscito. Nata come opera di circostanza, Magia cresce di ambizione parallelamente alla crescita stessa del F. economista, ma alla fine i connotati che ne risultano avranno un che di indefínito, se non proprio di sfigurato. La stessa vastità dell'appoggio ricercato nei materiali storici, finanziari, bancari, nella letteratura economica d'ogni tipo avidamente letta ma qui affastellata alquanto; tutto ciò finisce per rivelarsi sproporzionato, sfiancando la genialità dell'intuizione affascinante ma anche discretamente utopica sul ruolo propulsivo del credito per lo sviluppo. In realtà, lo scopo di Magia era eminentemente pratico: sostenere un progetto che avrebbe voluto realizzare il de Welz, dimostrandolo "fondato sopra le teorie economiche più generalmente professate" (La magia delcredito, II, p. 318). Si trattava di lanciare, sotto l'egida del governo borbonico, una banca per uso della Sicilia finalizzata all'apertura di strade nell'isola, senza le quali "la sua industria dovrà sempreppiù illanguidirsi, e circoscriversi". Al credito occorreva dunque guardare come a un potente fattore di mobilitazione delle risorse non solo, ma produttivo di "valore", cioè di aumento di ricchezza: una concezione del credito in via di superamento nella maturazione in atto nel Fuoco.

Tra l'intuizione e la stesura di Magia stava consumandosi il facile entusiasmo sayano-industrialista del primo F. e si andava aprendo in lui una seconda fase che lo avrebbe condotto alla maturità del pensiero esposto nel primo volume della sua opera principale, i Saggi economici.

Ancora nell'ambito della fumosa progettualità dewelziana si situava Primo elemento. Quest'ultima opera, annunziata già all'inizio del 1824, prima del trasferimento del F. a Marsiglia, uscirà solo due anni dopo, quando egli stava ormai lasciando anche Pisa, dov'era approdato verso la fine del 1824. Come Magia, anch'essa uscì quindi con grande ritardo rispetto ai tempi richiesti dal committente.

Il soggiorno pisano, a parte l'ultimazione di Primoelemento, fu il più produttivo, ma per un economista che si muoveva ormai in un'orbita ricardiana. È significativa, anche se poi mai realizzata, l'intenzione allora maturata dal F. di voler difendere l'economista inglese dagli attacchi del Say con un suo Ricardo rivendicato. A Pisa si legò di buona amicizia con personalità locali come G. Carmignani e A. Vaccà Berlinghieri (cfr. il necrologio che ne stese in Ape Sebezia, 20 luglio 1827, n. 17). Soprattutto, fu amico degli intellettuali di vaglia che pubblicavano il Nuovo Giornale de' letterati: G. Rosini e P. Studiati (che sulla stessa rivista gli recensì i Saggi: t. XII [1826], parte letter., pp. 209-225). Il F. ne divenne collaboratore apprezzato, pubblicandovi fra l'altro due scritti notevoli, destinati a rimanere tra le sue cose migliori: la classica Esposizionediunanuovateoria su la rendita delle terre (t. X [1825], parte letter., pp. 233-258) e Della libertà e de' vincoli del commercio (t. XIV [1827], parte letter., pp. 25-60). Il primo scritto, che avrà anche una seconda versione in estratto (Pisa 1825), segna l'avvenuta maturazione del F. economista; in una terza versione, ampliata e migliorata, verrà a costituire il saggio di apertura di quella "prima serie", rimasta unica, dei suoi scintillanti Saggi economici, che videro la luce in due volumi (Pisa 1825-27). Il secondo scritto era notevole anch'esso, sia per rigore di logica economica, sia perché contenente un liberismo economico diverso rispetto a quello che sarà in seguito vincente tra gli economisti italiani. Nel Nuovo Giornale de' letterati avviò pure una sottile polemica personale con M. Gioia, il cui senso andrebbe ancor meglio chiarito (Sopra i titoli bizzarri, sulle opere inintelligibili, e sul plagio, t. XVI [1828], parte letter., pp. 214-227: cfr. poi Giudizio di un giornalista, in Il Pontano, I [1828], pp. 368-372; nonché l'opera solo annunziata La logica dei Quodlibet, "o esame critico di alcune dottrine economiche da M. Gioia professate nel suo voluminosissimo Prospetto").

La teoria della rendita ricardiana è acquisita dal F. come primo discriminante dell'economia politica classica rispetto al Say, che confonde rendita e profitto. Seconda confusione a esser denunciata, anch'essa fondamentale, è quella tra prezzo "contingente" e prezzo "necessario". Acquisiti dal F. risultano anche: il concetto di saggio di profitto; la dipendenza dei profitti dell'intero sistema economico da quelli realizzati in agricoltura; l'importanza della distribuzione del reddito prodotto nel sistema. Egli manifesta invece oscillazioni, o anche evidente debolezza, su altri punti cardine dell'impostazione classica: la relazione tra rendita e saggio di profitto; l'andamento, per lo più smithiano, dei profitti; la proporzionalità inversa profitti-salari; il ruolo assegnato alla domanda. La reazione classica, lo strappo rispetto alla tradizione, ebbero certamente luogo, ma entro una certa cornice e modalità. La stessa particolare centralità della teoria della rendita, che però il F. sposta in ambito più ampio che non il solo settore agricolo, aprendosi alla teoria della quasi-rendita, è indicativa del condizionamento esercitato non solo sulla politica economica ma anche sull'alta teoria dal contesto italiano, e meridionale in particolare, sia agrario sia urbano. Per quanto riguarda infine i contributi del F. all'analisi economica che possono rivestire in qualche misura il carattere di originalità, appunto rinvenibili soprattutto nei due volumi di Saggi economici, paiono consistere nei seguenti punti: la quasi-rendita; la teoria dell'equilibrio, i cui meccanismi, in parte di eredità settecentesca, vengono fatti funzionare sulla base delle nuove categorie economiche, sia sayane sia più propriamente classiche; la Teoriade'limiti applicata all'Economia politica (è il terzo dei Saggi, che apre il tomo II); i contributi di economia matematica.

Dal punto di vista della teoria economica, possiamo affermare che il F. abbia attraversato in rapida successione dal 1821 al 1829 tre fasi di pensiero: la prima a Parigi sotto l'egemonia del Say con influssi sansimoniani; la seconda, soprattutto a Pisa, lato sensu ricardiana; la terza di riflusso del suo classicismo economico, sempre più diluito (in parte, ma non solo) con la stessa tradizione napoletana. Quest'ultima fase, che si trascinerà praticamente fino alla morte, venne imboccata con il suo rientro a Napoli nell'estate del 1826, consentito a lui come a diversi altri esuli dopo l'avvento al trono di Francesco I.

A Napoli il F. svolse un'intensa attività pubblicistica, prima con l'Ape Sebezia ("giornale scientifico-letterario", poi "giornale di scienze, lettere ed arti" uscito dal 15 dic. 1826 al 30 nov. 1827), poi col Pontano, che fino al giugno 1829 ne assunse l'eredità come "giornale scientifico, letterario, tecnologico", peraltro acquisendo un taglio meno divulgativo del primo. Il F., al di là dagli articoli firmati, vi profuse un intenso impegno anche redazionale (cfr. il suo Preliminare, in Il Pontano, II [1829], pp. 3-18).

La derivazione industrialista, a partire dalla stessa intitolazione dell'Ape industriosa, era chiara. Come chiaro era l'avvio di quella revisione del ruolo del credito (Sul potere del tempo, in Ape Sebezia, 30 maggio 1827, n. 12; Cassa de' risparmii, ibid., 30 sett. 1827, n. 24; 20 nov. 1827, n. 29), in senso disincantato e più realistico, che porterà all'opera "di economia applicata" Le banche e l'industria (Napoli 1834; cfr. pure Il bene e il male di una banca, in Il Topo letterato, I [1833], n. 9). La "magia del credito" era ormai alle spalle del F., non tanto per la fine del rapporto con il de Welz, quanto piuttosto per la sua maturazione di economista classico. È probabile che il F. non fosse estraneo alla prima traduzione italiana dell'opera di James Mill che proprio allora vedeva la luce a Napoli (Elementi di economia politica, 1826); e suo era l'articolo Sistema su la ricchezza (in Ape Sebezia, 19 ag. 1827, n. 19), in effetti tributario di C. Ganilh (Des systèmes d'economie politique). Riprendeva frattanto nelle stesse riviste anche la produzione e polemica filologico-letteraria (Nuovo sistema di eloquenza italiana, in Il Pontano, I [1828], pp. 1-18, 65-81; Il talento inventivo del secolo decimonono, ibid., pp. 410-414; Osservazioni critico-filologiche, ibid., pp. 454-468; Diceria sul conte G. Perticari, in Ape Sebezia, 10 ottobre 1827, n. 25).

Ma l'ultima fase del F. economista non fu solo filoclassica. Egli tentò, rientrato nell'ambiente economico-sociale napoletano, un difficile riaggancio con la tradizione economica e filosofica genovesiana. Il passaggio da filologo a economista era stato propiziato da un'ottica "filosofica" e scientista che, prendendo le mosse da Bacone e passando per il sensismo settecentesco, approdava alla mediazione idéologue. Ora affiorava in lui però sempre più di frequente, accanto all'influenza, anche l'insoddisfazione verso l'operazione di A. Destutt de Tracy, il quale "considerando l'Economia come parte della teoria della volontà, ne ha fatto uno de' principali subietti del suo sistema ideologico". Ora egli era portato a chiedersi "se il sistema dell'ideologo francese possa reggere, o un altro abbiasene a cercare, dotato della virtù di associare in un sol tutto l'invenzione de' metodi, e la loro applicazione" (Introduzione allostudio della economia industriale o principj di economia civile applicati all'uso delle forze, Napoli 1829, p. 151). Il contributo originale del F. economista dell'ultima fase, contenuto appunto nell'Introduzione (riedita in Rassegna monetaria, XXXIV [1937], pp. 771-864), sarà l'elaborazione di un'idea di "forza industriale" capace di mostrare "quale uso abbiasi a fare delle forze per rendere feconda ed utile l'industria: è un trattato di Economia industriale" quello a cui mirava, annunziandolo quale opera in corso (in Il Pontano, I [1828], p. 108; ma il progetto era già in Ape Sebezia, 10 giugno 1827, n. 13, dove cominciava pure a darne un saggio: 30 giugno 1827, n. 15) e poi di nuovo anticipandola (Forza industriale e sue leggi, in Il Pontano, I [1828], pp. 129-144, 290-321, 385-405; Economia industriale, ibid., II [1829], pp. 65-93, 129-140, 193-206); cfr. pure Metrografia, ibid., I [1828], pp. 321-368).

L'opera era in fondo il coronamento di un lungo percorso, che aveva le radici addirittura nel primo scritto del F., quel Discorso accademico sul vero metodo d'instruzione del 1816 in cui, anche se puramente sul piano del metodo pedagogico, già operavano idee come quella di "facoltà" e soprattutto di "forza d'ingegno" (p. 22). Ad alcune pagine di questa Introduzione del 1829 del F. attingeranno certe Massime di economia industriale pubblicate dal de Welz nella sua rivista L'Ape delle cognizioni utili, IV (1836), pp. 72-75.

Il F. riprese in forze anche l'insegnamento nella sua scuola privata, di cui venne approvata l'elevazione a "istituto letterario" il 28 genn. 1832 (cfr. Programma di una istituzione elementare completa adottata nell'Istituto dell'ab. F. Fuoco aperto a dì 2 del corrente gennaio, s.n.t. [Napoli 1832?] e Prospetto pedagogico per una casa di educazione di nobili fanciulle, Napoli 1830; Pubblici esperimenti che gli alunni dell'Istituto Fuoco daranno alla fine del corrente anno scolastico 1834, s.n.t.).

Naturalmente fu questo il momento di una vera fioritura di suoi manuali didattici, in genere anche molto migliorati rispetto a precedenti edizioni: Corso elementare di geografia, Napoli 1834; Nuovo corso di geografia…, ibid. 1840; Grammatica francese, ibid. 1835; L'arte di pronunciare la lingua francese, ibid. 1835; Manuale o guida per insegnare e apprendere facilmente e speditamente l'arte di tradurre i classici latini, ibid. 1831; i volumi II e III, che venivano a completare il primo, uscito nel 1820, del Sistema di filologia elementare applicata alla lingua latina, ibid. 1831; Sistema di filologia elementare applicato alla lingua italiana e latina, di cui era uscito l'anno prima un Manifesto per associazione (ibid. 1830), in cui veniva a chiarirsi il nesso posto dal F. fra tecnica linguistica e "sistema" intellettuale "ideologico"; Nuovo corso di filologia latina elementare, 2 voll., ibid. 1834-35; Saggio di eloquenza latina, ibid. 1833; Tesoretto di latinità, ibid. 1836; Nuovo corso di filologia italiana elementare, 2 voll., ibid. 1834-36 (il secondo volume contiene una lettera dedicatoria del F. Al chiarissimo signor conte G. Leopardi, pp. III-XIII, in cui il F. si esprime criticamente nei confronti dei "furori del purismo moderno" in nome del primato delle "Scienze, e soprattutto delle scienze di applicazione"; la risposta del poeta, piuttosto di circostanza, è ora contenuta in G. Leopardi, Epistolario, VI, Firenze 1940, pp. 327 s.). Ma ciò che va notato è il non venir meno nel F. dell'istanza metodologico-filosofica, la cui centralità gli era sanzionata sia dall'esperienza pedagogica di decenni sia dalla fecondità del passaggio da filologo ad economista che egli aveva consentito: Introduzione allo studio grammaticale, e filologico, Napoli 1835; Esame critico de' metodi gramaticali di Portoreale, Porretti, Lemare, e Lefranc, ibid. 1833.

Mercé l'impegno pedagogico, il F. vantava a metà degli anni Trenta buona notorietà e stima in Napoli e fuori. Oltre ai rapporti già citati, vanno ricordati quelli con M. Delfico, V. Capialbi, A. Gervasio, N. Nicolini. Numerosi erano i seminari, convitti, scuole, "fondate col vostro metodo in tutte le parti del Regno", gli testimoniava da Lanciano D. Zappi (Dell'eccellenza e difficoltà della poesia, Napoli 1838, p. 4). Era socio corrispondente, fra le altre, delle Accademie delle scienze di Napoli, di scienze e lettere di Palermo, delle scienze di Torino, di diverse società economiche del Regno. Ma la sua propensione all'insegnamento nell'università e forse ancor più in scuole che, emule della parigina École polytechnique, rappresentassero il suo ideale pedagogico fu sempre frustrata. Esse avrebbero potuto costituire il luogo ideale in cui gli intellettuali eminenti della nazione, liberi da condizionamenti del potere, "chi nell'una chi nell'altra facoltà si associassero in corpo, per iscrivere, e poi discutere, e sanzionare i diversi Trattati elementari" finalizzati a un'educazione moderna della gioventù (F. Fuoco, Progetto pedagogico o schizzo d'istituzione elementare ad uso del prodigioso fanciullo V. Zuccaro, Napoli 1829, p. 129).

Sperò invano di entrare a far parte del consiglio di perfezionamento dell'abolita Scuola politecnica ricostituito nel 1832. Non riuscì mai a ottenere l'insegnamento nel Collegio militare della Nunziatella, nonostante la sua antica amicizia con il fondatore di esso, il generale G. Parisi (in morte del quale compose un commosso Epicedio, Napoli [1831]: era stato l'ennesimo protettore-mecenate cui il F. anelava). Neppure quando, posti gli istituti di educazione militare alle dipendenze di un'unica direzione generale dei "corpi facoltativi" - come l'Officio topografico diretto dall'altro suo grande amico e protettore F. Visconti -, il F. fu di casa negli ambienti del Collegio, che aveva sede come il Topografíco a Pizzofalcone. Lavorò in quelle due biblioteche attigue, ma venne anche a scontrarsi con più di un docente del Collegio (l'episodio della "ciancia" ricordato dal Martorana, e la polemica coll'insegnante di latino N. Tonti. Per altra polemica cui forse anche il carattere non facile predisponeva il F., cfr. la Corrispondenza letteraria tra il padre Andrea da Sandonato (O.F.M) e l'abbate d. F. Fuoco sul di costui Corso di filologia italiana e metodo d'insegnamento, Roma 1838. Altri scritti di circostanza del F.: Discorso sul Giulio Sabino, magnifico dipinto per lo giovane artista C. Guerra, Napoli 1830; Al rev.mo p. lettore A.M. Scalabrino da Trapani, s.n.t. [ma Napoli 1830]).

Ancora frustrante fu l'esclusione subita dal F. dal concorso alla cattedra di eloquenza, poesia e archeologia latina vacata nel 1832 per la morte del titolare N. Ciampitti. Essa finirà attribuita dal potere politico-accademico a N. Lucignani, ma darà la stura, con la perorazione del 5 dicembre al sovrano, a una forte, schietta rivendicazione da parte del F. del proprio merito scientifico e dell'intera sua opera, compresi gli scritti "dewelziani".

Negli ultimi anni il F. lavorò alla riedizione, cui aveva sempre pensato, delle opere che a suo tempo non aveva potuto pubblicare sotto il suo nome. Non riuscì che a realizzarne dei paradossali simulacri. Nello stesso anno 1840, infatti, si dovette limitare a rimettere in circolazione copie residue del Comento di comento e di La magia del credito svelata: il primo, con la mera sostituzione del frontespizio che ora recitava: Lettere sulla Sicilia, ossia osservazioni del sig. F. Fuoco sul "Saggio" del sig. G. de Welz riprodotto dal sig. G. Indelicato (ibid. 1840); la seconda, con la sostituzione di poche pagine di dedica e indice oltre il frontespizio, con il titolo Principii fondamentali di Economia pubblica e di finanze tratti dalle opere de' più rinomati economisti de' nostri giorni. Applicati all'Italia e particolarmente al Regno di Napoli da F. F. e G.O. P. Terza edizione (Milano 1840). Entrambe le tipografie indicate (Stamperia filologica e Tipografia del commercio) e il secondo luogo di stampa sembrano essere falsi.

Il F. morì a Napoli il 2 apr. 1841.

Fonti e Bibl.: Per la non disponibilità delle fonti locali (a Mignano e Teano), andate distrutte a causa degli eventi bellici del 1943, è risultata difficile la ricostruzione delle vicende biografiche del F. dalla nascita a tutto il periodo della formazione; l'utilizzo delle seguenti fonti ha consentito, comunque, di risolvere in buona parte i problemi rimasti aperti: Archivio di Stato di Napoli, Stato civile, Napoli. Sez. di S. Giuseppe, reg. 2219, f. 63; Ibid., Consiglio di Pubblica Istruzione, bb. 2, 2 bis, 4; Ibid., Ministero dell'Interno. I Inv., fasci 733, 788, 796. Le poche lettere del F., sino a oggi reperite, sono state pubblicate, a eccezione di due lettere-memorie dirette a G. Zurlo, in Archivio di Stato di Napoli, Consiglio di Pubblica Istruzione, b. 2, fascc. 61, 83. Una lettera a M. Delfico, conservata a Teramo, si legge in M. Delfico, Opere complete, Teramo 1904, IV, pp. 287 s.

Per la bibliografia delle opere del F., essendo imprecisa la pur utile doppia lista elaborata da F. Renda, Introduzione a G. de Welz, La magia del credito svelata 1824, Caltanissetta 1969, pp. XXXV-LV, è meglio riandare ai tre cataloghi forniti dallo stesso F.: Catalogo ragionato delle opere edite, ed inedite del sig. F. Fuoco, nostro collaboratore, in Il Pontano, I (1828), pp. 103-109; Catalogo delle opere del sig. F. Fuoco, in Sistema di filologia, cit., 1831, pp. 1-15; Cataloghetto delle opere dell'ab. F. Fuoco, in Nuovo corso di geografia, cit., 1840, pp. III-XIV. Una copia de La magia del credito corretta di pugno del F. (conservata nella Biblioteca nazionale di Napoli, Bibl. prov. V. 225 s.) è stata ritrovata da F. Di Battista, Una singolare terza edizione di "Magia del credito" di F. F., in Storia del pensiero economico, Bollettino di informazione, n.s., VII (1980), pp. 3-14.

Delle notizie biografiche coeve la principale è quella di R. L.[iberatore], unico ad aver potuto consultare la corrispondenza del F. presso i familiari, in Annali civili del Regno delle Due Sicilie, n. 60, novembre-dicembre 1842, pp. 135-139; si vedano inoltre i necrologi apparsi in Bibliografia italiana, V (1839), foglietto 12; in L'Omnibus, 27 maggio 1841, p. 13 (dell'allievo del F., G. Pasqualoni); in Poliorama pittoresco, 5 giugno 1841, pp. 342-344 (di F. Palermo, con un bel ritratto del F.); I. Tranchini, in Dizionario biografico universale, Firenze 1842, II, p. 908; F. Cassitto, in Giornale economico del Principato ulteriore, XXVII-XXVIII (1842), pp. 78 s. Sull'ambiente del F. specie quello tardo delle scuole militari, che lo vide anche poeta dialettale: P. Martorana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napolitano, Napoli 1874, pp. 202-204; F. De Luca, Biografia del generale del genio Ferdinando Visconti, s.n.t. [Napoli 1865?]; E. Cione, Napoli romantica 1830-1848, Milano 1842, ad Indicem. Sull'insegnamento privato e sul F. letterato: G.M. Monti - A. Zazo, Da Roffredo di Benevento a F. De Sanctis, Napoli 1926, pp. 161-163; A. Zazo, L'istruzione pubblica e privata nel Napoletano(1767-1860), Città di Castello 1927, ad Indicem; M. Sansone, La letteratura a Napoli dal 1800 al 1860, in Storia di Napoli, IX, Napoli 1972, ad Indicem; G. Esposito Vulgo Gigante, F. F., in La cultura classica a Napoli nell'Ottocento, a cura di M. Gigante, Napoli 1987, I, pp. 277-286; F.P. Botti, L'ultimo Leopardi e la cultura letteraria napoletana degli anni Trenta, in Giacomo Leopardi, Napoli 1987, pp. 14-17. Sul soggiorno pisano F. Nicolini, N. Nicolini e gli studi giuridicinella prima metà del secolo XIX, Napoli 1907, pp. 99 s., 102, 112, 114, 127, 136 s., 271, 444 (pubblica anche una lettera del F. a G. Carmignani). Ancora qualche cenno in D. Salvatore, Notizie storiche sulla terra di Mignano, Cassino 1939, pp. 247-249; e in E. Michel, in Diz. del Risorgimento nazionale, III, Milano 1933, s.v.

La bibliografia sul F. economista è: R. von Mohl, Aperçu sur les productions les plus recentes des économistes du Royaume de Naples, in Journal des Économistes, IV (1845), t. 10, pp. 179 s.; L. Bianchini, Della scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica e degli stati…, 2ª ed., Napoli 1857, pp. 411 s., 426; A. Loria, in R.H.I. Palgrave, Dictionary of political economy, London 1896, I, p. 426; A. Mancarella, Le dottrine di Ricardo e gli economisti italiani della prima metà del secolo XIX, Napoli 1906, ad Indicem; A. Bertolino, in Enc. Italiana, XVI, p. 203; G. Del Vecchio, F. F., opponent of J.B. Say on the use of algebra in political economy, in Econometrica, I (1933), p. 220; R. Michels, Note sull'influenza dell'economia classica inglese sull'economia italiana del tempo (1775-1848), in Giornale degli economisti e rivista di statistica, L (1935), pp. 21-37; M. Fasiani, Note sui "Saggi economici" di F. F., in Annali di statistica e di economia della facoltà di economia e commercio di Genova, IV (1937), pp. 1-131; F. Chessa, La ricchezza e le forze economiche secondo la concezione di F. F., ibid., VI (1939), pp. 93-155; J.A. Schumpeter, Storia dell'analisi economica, II, Torino 1959, p. 619; R.D. Teocharis, Early developments in mathematical Economics, London 1961, ad Indicem; P. Barucci, Un manoscritto inedito di M. Gioia sul primo volume dei "Saggi economici" di F. F., in Economia e storia, IX (1962), pp. 463-489; A. Gambino, Economia creditizia, Torino 1962, ad Indicem; P. Barucci, In vista di una conclusione, in Sul classicismo economico…, cit., pp. 161-166 (pubblica cinque lettere a P. Studiati, conservate a Pisa); F. Di Battista, L'emergenza ottocentesca dell'economia politica a Napoli, Bari 1983, ad Indicem; A. Quadrio Curzio, in The New Palgrave: A Dictionary of economics, London 1987, s.v.

Sulla paternità delle opere dewelziane per lungo tempo non vi è stato alcun dubbio che il de Welz le "fece scrivere da F. Fuoco economista" (F.P. Ruggiero, Catalogo di una scelta biblioteca da vendere, Napoli 1893, II, p. 338): T. Fornari, Delle teorie economiche nelle provincie napoletane dal 1735 al 1830, Milano 1888, ad Indicem; L. Cossa, Introduzione allo studio dell'economia politica, 3ª ed., Milano 1892, ad Indicem; G. Ricca Salerno, Storia delle dottrine finanziarie in Italia (1896), Padova 1960, ad Indicem; L. Einaudi, F. F. rivendicato (1938), poi in Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma 1953, pp. 175-200; F. Nicolini, Su F. Galiani e F. F., in Boll. dell'Arch. stor. del Banco di Napoli, n. 8, 1954, pp. 255-273; P. Barucci, Sui rapporti tra Gioia e F., in Economia e storia, IX (1962), pp. 287-330. Un ribaltamento della tesi tradizionale, con l'attribuzione di tali scritti al de Welz sia pure con la collaborazione del F., fu compiuto da A. Macchioro, F. F. o G. De Welz?, in Giornale degli economisti, 1964, pp. 90-120, poi in Studi di storia del pensiero economico, Milano 1970, pp. 276-315; e soprattutto da F. Renda, Introduzione cit. (il quale ha più di recente ribadito la sua tesi, ignorando però i risultati storiografici successivi: Ancora sulla controversia F. F. - De Welz, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, LXXVI [1980], pp. 365-378, poi in Studi dedicati a C. Trasselli, Messina 1983, pp. 539-549). Pur favorevole al de Welz assunse posizione più equilibrata B. Salvemini, La diffusione dell'economia politica nel Mezzogiorno d'Italia e le opere "dewelziane", in Il classicismo economico in Italia. Il "caso" F. Fuoco, a cura di P. Barucci, Firenze 1979, pp. 7-87 (pubblica anche cinque lettere del F. ad A. Lombardi dell'Archivio-Biblioteca-Museo civico di Altamura e una lettera a G. Poerio, in Archivio di Stato di Napoli). La tesi tradizionale è stata riconfermata da F. Di Battista, Il caso di F. economista, ibid., pp. 125-156 (pubblica anche una lettera-memoria del F. a N. Santangelo e una supplica al re); Id., Una singolare terza edizione, cit. Ancora sulla questione: D. Farina, L'economista napoletano F. F. e la sua teoria sulla magia del credito, in Nuovi Quad. del Meridione, IX (1971), pp. 335-338; D. Ivone, Ancora sul caso F., in Economia e storia, s. 2, I (1980), pp. 385-390; G. Rugarli, Un romanzo giallo prerisorgimentale: il caso di F. F. e di G. de Welz, in Congiuntura economica lombarda, XVI (1981), pp. 569-584.

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