FRANCESCO di Vannozzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FRANCESCO di Vannozzo (Vannozii, Vannocci, de Vanotio, de Vannocchio)

Gabriella Milan

Figlio di Vannozzo di Bencivenne, appartenente a una famiglia di mercanti tessili; sarebbe nato, secondo le testimonianze di alcuni atti notarili, a Padova. La data di nascita non è nota, ma sembra da porre non molto prima del 1340 perché in una sua canzone, scritta non più tardi del 1363, F. dichiara di essere "giovancello ed inesperto".

Si ignora con esattezza quando la famiglia, di origine aretina, si sia trasferita a Padova, ma è probabile che ciò sia avvenuto al tempo della signoria di Ubertino da Carrara (1338-1345) che diede impulso alla vita cittadina, favorendo le imprese manufatturiere, in particolare quelle della carta e della lana. Probabilmente proprio in questo contesto giunse a Padova Bencivenne, nonno di F.: per la fedeltà dimostrata al Carrarese, il figlio di Bencivenne, Vannozzo, che morì poco prima del 1374, ricevette da Francesco da Carrara una grande casa vicina al duomo che rimarrà sempre come dimora della famiglia di Francesco.

Le notizie che possiamo ricavare dai versi stessi di F. testimoniano, in modo spesso contraddittorio, quale sia stato il suo ruolo di poeta e rimatore nelle diverse corti in cui visse: ora egli narra di se stesso come di un giullare e cantastorie, spesso sodale di personaggi ai margini della società, ora come di un cortigiano che manifesta nei confronti della vita di corte un atteggiamento ambivalente di attrazione e repulsione (cfr. i sonetti 29 e 145). In un altro suo sonetto (105) e in uno del veronese Pier della Rocca si accenna all'incarico di araldo spesso affidatogli. I rapporti con gli altri cortigiani non furono sempre tranquilli, come dimostrano numerose rime dedicate ai contrasti con i "famigli" che F. accusava di invidie e diffamazione; d'altra parte spesso egli lamenta i disagi di una vita di stenti e di miserie (cfr. i sonetti 51 e 77). Un'altra caratteristica di questa vita inquieta, sempre secondo le testimonianze autobiografiche che è possibile ricavare dai suoi versi, è la passione per il gioco, alla quale accenna in un sonetto (170) rivolto al dotto e autorevole rimatore Gidino da Sommacampagna. Altri indizi ricavabili dalle sue poesie sembrano riferirsi all'attività di soldato: ancora in due sonetti rivolti a Gidino (136, 170) F. riferisce di sé come "vero uom d'arme", in altri racconta delle proprie esperienze di guerra sotto le insegne di Paolo da Bologna, uno dei più potenti generali delle truppe dei Carraresi.

Fino al 1363 F. visse a Padova, legandosi sempre più alle famiglie notabili della città; in quell'anno si recò a Verona per le nozze di Cansignorio Della Scala con Agnese di Durazzo. Iniziò a questo punto per F. un periodo di vagabondaggi per le corti dell'Italia settentrionale: nel 1371 F. era di nuovo a Padova come testimonia l'amicizia stretta con Marsilio da Carrara, che era fratellastro di Francesco il Vecchio e che aspirava a sostituirlo al vertice della Signoria, con il quale F. ebbe un vivace scambio di sonetti. Nel 1373, dopo la scoperta del patto segreto stretto da Marsilio con i Veneziani per rovesciare Francesco e la conseguente fuga dei congiurati a Venezia, F. preferì raggiungere l'amico in questa città.

F. era di nuovo a Verona nel 1375 secondo quanto testimoniato dai sonetti dedicati a Bartolomeo e Antonio Della Scala, i due figli naturali di Cansignorio succeduti al padre defunto nella signoria dando inizio a un periodo di sfarzi e di splendori per la città scaligera; a loro F. rivolse una serie di componimenti apologetici (43, 91 e 120). Sempre al 1375 è datato lo scambio di rime con Pietro della Rocca, rimatore e cavaliere, con il quale F. strinse una durevole amicizia.

Presso la corte scaligera F. dovette ribattere anche alle insidie tesegli da quattro letterati, cancellieri ("aseni cancellieri" scrive F.) di Antonio Della Scala: Antonio Garzetta, Fino degli Isolani, Alberico da Marcellese e Marzagaia, quest'ultimo precettore di latino del Della Scala. In vari luoghi del canzoniere sono del resto presenti accuse contro l'avidità di questi tristi burocrati: nel sonetto 26 mette a confronto la lucrosa carriera dei funzionari di palazzo con la squallida condizione dei letterati di corte; mentre nel sonetto 154 dichiara il proprio sdegno contro "putti da fasse" che hanno "ardir de rompermi la vita"

Nel 1376 accompagnò a Ferrara Francesco Novello che prendeva in sposa la marchesa Taddea; qui strinse amicizia con il poeta Pietro Montanaro. È probabile che nel biennio 1377-78 F. si sia recato a Bologna per frequentarvi l'università, anche se non si conoscono maggiori dettagli sugli studi compiuti. Tale notizia è ricavata da alcuni documenti patavini, gli unici ad accennare a questo soggiorno presso lo Studium felsineo, nei quali Francesco da Carrara si congratula con il poeta per la decisione di completare la sua formazione culturale a Bologna e chiede di esserne informato.

Dopo due anni era di nuovo a Padova dove, nel 1379, scrisse una furibonda frottola contro i Veneziani impegnati nella tormentata guerra di Chioggia (1378-1381) contro la Repubblica di Genova per il controllo delle coste adriatiche. Nel breve componimento poetico (102) F. contrapponeva, con vivi accenni moralistici, allo squallore delle città devastate dalle armate l'ozio dell'aristocrazia veneziana alla quale veniva addebitata la responsabilità del conflitto. L'anno seguente celebrò invece la vittoria della Serenissima sulla città di Padova con la frottola "Se Dio m'aide, a la vangniele compar" (78) che fu certamente scritta a Venezia.

Dal 1381, dopo l'assassinio di Bartolomeo Della Scala, fino al 1387, anno della caduta degli Scaligeri, F. visse presso la corte veronese, accompagnando con le proprie rime le vicende di quella signoria. Quando nel 1383 la moglie di Antonio Della Scala, Samaritana, partorì due gemelle, Gidino da Sommacampagna, all'epoca alto funzionario presso la corte scaligera, inviò a F. alcuni acrostici in omaggio dei genitori - rime poi raccolte nel suo Tractato et arte de li rithmi volgari - ai quali F. rispose con un altro acrostico contenente il nome delle due neonate (98). Lo scambio tra i due poeti cortigiani continuò successivamente come attestano alcuni sonetti che compongono la tenzone dedicata alla creazione del mondo.

Quando, nella primavera del 1385, le truppe scaligere entrarono nel territorio padovano, iniziando una guerra che si sarebbe protratta alcuni anni, F. salutò con soddisfazione questa impresa militare che avrebbe potuto ricondurlo in patria. A questa campagna egli dedicò una canzone allegorica in cui sono rappresentati i contrasti tra le due alleanze, quella stretta da Verona con Udine e Venezia, e quella che, accanto a Padova, raccoglieva Pavia viscontea, Mantova, Ferrara e Bologna. Le truppe scaligere furono però sconfitte nel maggio del 1386 e successivamente, nell'ottobre dell'anno seguente, i Viscontei entrarono nella stessa Verona. Travolti i Della Scala dalle armi di Giangaleazzo Visconti, oramai arbitro dell'Italia settentrionale, F. si apprestò a celebrare il nuovo signore, il "conte di Virtù", in una corona di otto sonetti che illustrano gli omaggi e le invocazioni delle città italiane al condottiero; questi componimenti, che chiudono il canzoniere, testimoniano che F. era a Padova, forse per l'ultima volta, nel 1388, mentre la canzone "Per la divisa del conte di Virtù", attesta che l'anno successivo (1389) F. si doveva trovare a Milano presso la corte viscontea.

Dopo questa data non abbiamo più notizie di F., del quale si ignorano luogo e data di morte.

F. aveva sposato una certa Orsolina, della quale non si hanno ulteriori notizie, ricordata solo nel sonetto 169 dove il poeta maledice la morte per avergliela strappata. Con una certa cautela devono essere accolte le fonti riportate dal Levi che individuerebbero la moglie di F. in una certa Orsolina figlia di Giovanni da Parma, condannata a Bologna nel 1377 per aver tentato di accoltellare una vicina di casa.

Autore di un canzoniere, tramandato da un unico manoscritto conservato presso la Biblioteca del Seminario di Padova (ms. LIX), F. è rimasto a lungo sconosciuto agli studiosi finché la curiosità critica del Tommaseo e quindi il lavoro dei filologi della cosiddetta "scuola storica", in particolare quello di A. Medin, richiamarono l'attenzione sulla ricchezza tematica e formale della sua opera (che comprende 5 canzoni, 4 frottole, 4 ballate, 2 madrigali e 153 sonetti, alcuni di incerta attribuzione).

Nell'edizione del canzoniere curata dal Medin (Le rime di Francesco da Vannozzo, Bologna 1928) - l'unica esistente a tutt'oggi, ma ne è annunciata una nuova a cura di R. Manetti - sono messi in rilievo tutti quei tratti espressivi che caratterizzano l'opera di F. e dai quali traspaiono due evidenti modelli stilistici: Dante e Boccaccio. Nella grande varietà dei soggetti - amorosi, storici, satirici, morali - si esercitano le tecniche poetiche più diverse, dalle "tenzoni" tra personificazioni di sentimenti, città, arti e professioni, alle diverse forme di poesia "per gioco", con una costante ricerca degli effetti comici e dei motti arguti: tutto ciò sostenuto da un lessico vistosamente composito che non solo presenta, alternati, i tratti caratteristici della sua lingua d'origine, il toscano, e di quella d'adozione, il padovano, ma anche numerosi elementi del veneziano, del lombardo, del provenzale, del francese. A questa va aggiunta una vena creativa che porta F. ad alterazioni morfologiche e semantiche, alla creazione di nuovi vocaboli, per rendere più complessa quell'artificiosità, ad esempio l'uso di rime composte o di acrostici, che colloca F. nel pieno di una tradizione poetica molta diffusa in area veneta, caratterizzata dallo sperimentalismo e concretizzata dall'eclettismo e dall'ibridismo formale.

Ma è senz'altro la ripresa di tratti di Dante e Petrarca ciò che caratterizza l'opera di F.: se del secondo c'è una riproposta di stilemi al limite del calco lessicale e sintattico unita al gusto per il gioco delle variazioni, per il primo il processo è più complesso e va collocato all'interno della fortuna del poeta toscano nella cultura veneta del secondo Trecento. Il pluristilismo ben presente nell'opera dell'Alighieri diventa infatti nel canzoniere di F. una pratica spregiudicata di idiomi e di stili molto diversi tra di loro, con la commistione di differenti generi poetici che finiscono per convivere all'interno dello stesso componimento. Questa ricerca formale assume insistentemente i toni di un'autobiografia popolaresca con la rivendicazione, ad esempio, accanto a un filosofeggiare in chiave "alta" e intellettualistica, di una quotidianità precaria e "bassa" - il gioco e la taverna - che relega il poeta ai margini della società: modi e temi derivati da una tradizione giullaresca che riguarda il ruolo stesso di F. nelle corti in cui soggiornò, dove alternò le esperienze poetiche a quelle di cantore, autore di musiche, suonatore di arpa e liuto, e che legittima il pluristilismo di cui si è detto.

Fonti e Bibl.: Rime di F. di V. tratte da un codice inedito del secolo XIV, a cura di N. Tommaseo, Padova 1825; N. Tommaseo, Dizionario estetico, Milano 1852, pp. 372-378; P. Raina, Una canzone dimaestro Antonio da Ferrara e l'ibridismo del linguaggio della nostra antica letteratura, in Giorn. stor. della letteratura ital., XIII (1889), pp. 1-39; A. Serena, Le rime a stampa di F. di V. da Volpago, Treviso 1898; E. Levi, F. di V. e la lirica nelle corti lombarde durante la seconda metà del secolo XIV, Firenze 1908; Id., Una frottola veneziana per la guerra di Chioggia, in Archivum Romanicum, I (1917), pp. 481-493; A. Medin, Ritornando alle rime di F. di V., in Studi medievali, n.s., II (1929), pp. 152-162; E. Levi, Elementi della vita del Petrarca nel canzoniere di F. di V., ibid., pp. 217-222; I. Vergani, Osservazioni sulla lingua di F. di V., in Rendiconti dell'Ist. lombardo di scienze e lettere, classe di lettere e scienze morali e storiche, LXXXII (1949), pp. 247-252; G. Folena, La presenza di Dante nel Veneto, in Atti emem. dell'Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, LXXVIII (1965-1966), pp. 483-509; Id., Il primo imitatore veneto di Dante, in Dante e la cultura veneta.Atti del convegno, Firenze 1966, pp. 395-421; F. Riva, Il Trecento volgare, in Verona e il suo territorio, III, 2, Verona 1969, pp. 108-116 (F. di V. e la fine della Signoria), 120-126 (Il codice LIX di Padova); G. Contini, La poesia delle origini, Firenze 1970, pp. 507 s.; A. Balduino, Premesse ad una storia della poesia trecentesca, in Lettere italiane, XXV (1973), pp. 3-36; P. Cudini, Appunti su un "Petrarchismo ante litteram": Petrarca e la lirica settentrionale tardo-trecentesca, in Giornale storico della letteratura italiana, CLII (1975), pp. 362-386; L. Lazzzarini, La cultura delle signorie venete nel Trecento e i poeti di corte, in Storia della cultura veneta, 2, Il Trecento, Vicenza 1976, ad Ind. (s.v. Vannozzo, Francesco di); F. Brambilla Ageno, Per un sonettodi F. di V., in Studi e problemi di critica testuale, XII (1976), pp. 46-49; Id., Osservazioni sul testo di poeti minori del Trecento, in Romance Philology, XXXI (1977), pp. 91-111; E. Pasquini, Antonio da Ferrara e la poesia cortigiana nel Trecento, in Diz. stor. della letter. ital., a cura di V. Branca, I, Torino 1986, pp. 86-93; S. Verhulst, La frottola (XIV-XV s.): aspetti della codificazione e proposte esegetiche, Gent 1990, pp. 137-151; Enc. Dantesca, s.v.

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