VILLADICANI, Francesco di Paola

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VILLADICANI, Francesco di Paola

Giovan Giuseppe Mellusi

– Nacque a Messina il 22 febbraio 1780, da Mariano Ferdinando, principe di Mola, marchese di Condagusta, barone di Lando, Pirago e Cartolano, e da donna Lucrezia Porco, terzultimo di dieci figli.

Tanto la famiglia paterna quanto la materna, da secoli risultavano ascritte nei ranghi della nobiltà locale, con membri che, periodicamente, occupavano stalli nel Senato cittadino. Nel primo ventennio dell’Ottocento, infatti, Mariano Ferdinando Villadicani e i figli Alvaro e Antonio, a più riprese, ricoprirono il prestigioso ufficio.

All’età di nove anni Villadicani cominciò a frequentare il collegio Calasanzio per i figli della nobiltà e, verso i diciotto – non si sa se per libera decisione personale – intraprese la carriera ecclesiastica, venendo avviato allo studio delle scienze sacre presso il convento dei domenicani ove ebbe come precettore padre Vincenzo Villari.

Pienamente libera, invece, fu la scelta del nipote Mariano, primogenito del fratello Alvaro, che il 1° novembre 1817, dopo aver rinunciato ai titoli e alle ricchezze avite, emise la professione religiosa nello stesso convento, morendovi prematuramente quattro anni più tardi.

La formazione di Villadicani, dunque, non si realizzò nel locale seminario – a quell’epoca in fase di ricostituzione dopo i danni materiali provocati dal violento sisma del 1783 e il ritorno al governo del clero diocesano dopo un secolo e mezzo – bensì esternamente, abitudine questa che, nella diocesi di Messina, continuò per tutto il corso dell’Ottocento.

Ordinato sacerdote il 18 settembre 1802, poco più di due anni più tardi fu nominato cappellano dell’Arciconfraternita di S. Basilio degli Azzurri, antico e prestigioso sodalizio che contava solo membri appartenenti al ceto nobile, e ottenne un canonicato nella cattedrale di Messina. In seguito, l’arcivescovo Gaetano Garrasi gli rilasciò la patente di confessore per ambedue i sessi nell’intero territorio della diocesi, con la facoltà di assolvere i casi riservati, mentre il successore Antonio Trigona lo volle suo vicario generale in visita ed esaminatore prosinodale.

La rinuncia di Trigona alla sede arcivescovile (1819), per assumere il ben più importante ufficio di giudice del tribunale di Regia Monarchia, aprì un non breve periodo di sede vacante per la diocesi peloritana, da qualche anno oggetto di ridimensionamento nella sua estensione territoriale. In questa fase Villadicani divenne, forse inconsapevolmente, strumento delle mire delle autorità politiche locali che male avevano digerito la sottrazione di una importante fetta del territorio diocesano per la creazione del vescovato di Nicosia nel 1817. Il 2 ottobre 1820, infatti, Villadicani venne eletto vescovo di Ortosia in partibus, senza un particolare ufficio, essendo vicario capitolare della diocesi Matteo de Salvo, anch’egli canonico della metropolitana ma con alle spalle una lunga carriera al servizio dei due precedenti arcivescovi messinesi, come anche nella limitrofa quasi diocesi dell’archimandritato del SS. Salvatore.

Non sono chiari i motivi della nomina di un vescovo in partibus in una diocesi priva di pastore; è plausibile che in tutta questa faccenda abbia avuto un ruolo determinante il potente cardinale Emanuele De Gregorio, oriundo messinese e cugino dei Villadicani, a quel tempo prefetto della sacra congregazione del Concilio e archimandrita, personaggio di spicco della Curia pontificia.

Nel 1822, perciò, a seguito della rinuncia dello scolopio Carlo Lenzi, vescovo di Lipari, ad assumere la carica di metropolita messinese, il nominativo del vescovo di Ortosia risultò primo tra quelli selezionati dalla nunziatura di Napoli per ricoprire una delle quattro diocesi siciliane in quel momento vacanti. In tal modo Villadicani, grazie anche alle suppliche giunte dalla ‘città del Faro’ di avere nuovamente un concittadino come arcivescovo, tenuto anche conto della nuova sottrazione di territorio intervenuta a danno della diocesi di Messina, stavolta a favore dell’esiguo vescovato di Patti, nel maggio del 1823 fu indicato dal sovrano come nuovo arcivescovo.

Risulta difficile ricostruire l’azione svolta da Villadicani nei lunghi anni di governo della diocesi, tanto per la quasi totale mancanza di suoi scritti pastorali, quanto per la penuria di documenti consultabili negli archivi locali. Difatti, dei primi due decenni di governo della chiesa messinese poco è noto, a parte l’impegno da egli profuso per la riapertura del seminario. Ciò nonostante, il presule, nel gennaio del 1843, a distanza di vent’anni dalla sua promozione all’arcivescovato, veniva premiato con la concessione della porpora cardinalizia – succedendo proprio a De Gregorio, nello stesso titolo di S. Alessio – ottenuta da Gregorio XVI non senza le raccomandazioni della corte napoletana.

La chiave di lettura per una così prestigiosa promozione potrebbe essere, oltre la visita a Messina del sovrano nell’estate precedente in occasione dei secolari festeggiamenti in onore della Madonna della Lettera, protettrice della città e diocesi, anche un risarcimento per l’ulteriore decurtazione di territorio diocesano – la terza in meno di trent’anni – a favore dell’istituendo vescovato di Acireale.

La creazione cardinalizia, peraltro, rafforzò la posizione di Villadicani, tanto nei confronti della Curia romana, quanto verso il Borbone. Egli, infatti, mai si portò a Roma per la periodica visita ad limina e neppure per il conclave del 1846; non fece mai mistero delle sue simpatie verso la Costituzione siciliana del 1812, rifiutandosi di censire i beni della mensa arcivescovile così come richiestogli dal governo di Napoli e appoggiando il moto separatista del 1847-48. In tale occasione, arrivò a fulminare di scomunica le truppe borboniche dopo il loro sbarco a Messina, che misero a ferro e fuoco; e quando poi, nel giugno del 1850, su sollecitazione di Pio IX si tenne a Palermo la sacra congregazione dei vescovi siciliani per «rinvigorire la comunione dei fedeli con la Santa Sede su questioni di dogma e di morale, sui mezzi per garantire l’autonomia istituzionale della Chiesa, per risolvere la questione dei rapporti della religione con le moderne filosofie e con le libertà liberali, per aggiornare i metodi della cura pastorale» (Gambasin, 1979, p. 2), Villadicani si guardò bene, anche per questioni di prestigio personale, dal parteciparvi. Nel gennaio swl 1847, intanto, con una notificazione rivolta al clero e al popolo, egli aveva raccomandato l’utilizzo della traduzione in lingua italiana del Compendio della Dottrina cristiana esposta in lingua siciliana – un catechismo vecchio di quasi un secolo adottato ai tempi del predecessore Gabriele Maria di Blasi (1764) – curata dal sacerdote Mariano Di Bella, rettore di Gesù e Maria delle Trombe di Messina, e dai beneficiali della stessa chiesa affinché «nella nostra Diocesi s’insegni collo stesso metodo in tutt’i luoghi a’ fanciulli e fanciulle la Dottrina Cristiana» (Di Bella, 1847, pp. n.n.).

Tale iniziativa, peraltro, non sembra aver sortito successo, perché, a distanza di cinque anni veniva nuovamente data alle stampe l’edizione in lingua siciliana del Compendio.

A partire dagli anni Cinquanta, a Roma quanto a Napoli la fortuna del porporato declinò rapidamente, tanto da indurre le rispettive autorità ad adottare misure idonee per risollevare la diocesi dal degrado morale e materiale in cui si trovava. L’occasione fu data da una lettera del 1856 di un anziano parroco di Messina diretta alla nunziatura di Napoli; in essa si denunciavano i gravi abusi che si verificavano nella diocesi a motivo della «bonomia e grave età» di Villadicani che consentiva a un laico di regolare «a suo capriccio la Segreteria e la Curia Arcivescovile» (Mellusi, 2014, p. 502).

Colpito, frattanto, l’arcivescovo da apoplessia, anche il capitolo metropolitano inviò una supplica al papa affinché nominasse «un Coadiuvante allo infiacchito ed impotente nostro Pastore» (ibid.). La questione fu, quindi, affrontata personalmente da Pio IX e Ferdinando II e, grazie anche all’intervento del milazzese Giovanni Cassisi, ministro per gli Affari di Sicilia in Napoli, nel dicembre del 1857 si giunse alla nomina di un vescovo amministratore sede plena, nella persona del generale dei teatini Giuseppe Maria Papardo, anche lui messinese. Si trattava del primo caso di nomina, in regime di legazia apostolica, di un amministratore in una diocesi siciliana governata per di più da un cardinale.

La permanenza di Papardo a Messina fu però breve. A distanza di due anni dal suo arrivo in diocesi, nel luglio del 1860 egli fu costretto a tornare a Roma perché non gradito ai nuovi governanti, insediatisi in Sicilia dopo la conquista dell’isola da parte di Giuseppe Garibaldi. Per tale ragione, la diocesi tornò a essere governata dal vecchio e malato Villadicani, che chiuse la sua esistenza il 13 giugno 1861 venendo sepolto nella sua cattedrale, in un monumento commissionato dal nipote Giovanni Battista, erede del casato, allo scultore Giuseppe Prinzi.

I giudizi sulla sua persona e il suo agire furono contrastanti. Egli, però, fu unanimemente riconosciuto come persona bonaria e modesta, tollerante, amante della sua città, benemerito patriota.

Fonti e Bibl.: Elogio al merito, ed alla virtù di Fr. Mariano Villadicani de’ principi della Mola [...] recitato il terzo giorno del suo felice passaggio a miglior vita segnato del 18 dicembre dell’anno 1818. Nella venerabile chiesa di S. Domenico dal P. ex-reggente Fr. Tommaso Aglioti dell’istesso ordine, Messina 1819; D. Francisci de Paula Villadicani ex Molae Principibus Dei, et Apostolicae Sedis Gratia Archiepiscopi Messanensis ad Clerum, et Populum suum Epistola Pastoralis, Messanae 1823; Lettera pastorale di monsignor D. F. di P.V. Arcivescovo di Messina al suo diletto gregge. In occasione dell’istallazione della Pia Opera della Propagazione della Fede in questa città, e diocesi, Messina 1840; A. Belli, Principi eminentissimo Francisco de Paula Villadicani in sacro purpuratorum collegio cooptato..., s.l. 1843; C. La Farina, Pell’assunzione alla sacra porpora di d. F. di P. V. cardinale del titolo di s. Alessio, arcivescovo di Messina..., Messina 1843; S. La Farina, Inno da cantarsi nella generale straordinaria tornata della R. Accademia Peloritana del di 12 ottobre 1843, festeggiandosi l’assunzione alla Sacra Porpora del suo presidente perpetuo Don F. di P. Villadicani..., Messina 1843; G. Noto, Eminentissimo et reverendissimo domino Francisco de Paula Villadicani ex principibus Molae archiepiscopo Messanensium S. R. E. cardinali presbytero nuper renunciato..., s.l. s.d. [1843]; Cerimoniale da osservarsi in occasione che da S. M. il re N. S. si darà per delegazione di Sua Santità la berretta cardinalizia a sua eminenza il cardinale F. di P. V. arcivescovo di Messina, Napoli 1843; In morte della marchesa Caterina di Francia nata Villadicani, Messina 1844; C. La Farina, Cenni biografici dell’eminentissimo principe D. F. di P. Villadicani..., Messina 1846; M. Di Bella, Compendio della Dottrina cristiana ricavato dal catechismo romano, Messina 1847; Regolamenti ordinati da Sua Eminenza il Cardinal Villadicani arcivescovo di Messina, pel Seminario Arcivescovile, Messina 1848; G. Prestogiovanni, Un fiore alla tomba di Emmanuela Villadicani..., Messina 1851; Compendio della Dottrina cristiana esposta in lingua siciliana per uso della città di Messina e sua Diocesi, stampata su l’edizione fatta in Messina nel 1764, Messina 1852; S.M. Cavallari, Elogio funebre di F. di P. V. cardinal presbitero della Santa Romana Chiesa..., Messina 1861; G. Galluppi, Nobiliario della Città di Messina, Napoli 1877, pp. 186-188; P. Preitano, Biografie cittadine, Messina 1881, pp. 334-338; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, I-X, Palermo 1924-1941, III, pp. 79-85, IV, pp. 276-278, V, pp. 114-118, IX, pp. 157-159, 174-180; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, VII, Patavii 1968, pp. 124, 241, 262, 293; A. Gambasin, Religiosa magnificenza e plebi in Sicilia nel XIX secolo, Roma 1979, pp. 1 s., 4, 15, 21, 90 s., 95-98; G.G. Mellusi, La Chiesa di Messina dalla ristrutturazione territoriale agli anni della crisi (1817-1867), in Rivista di storia della Chiesa in Italia, LXVIII (2014), 2, pp. 483-537 (con bibliografia aggiornata).

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