FRANCESCO di Benedetto Cereo da Borgo San Sepolcro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)

FRANCESCO di Benedetto Cereo da Borgo San Sepolcro (Francesco del, di Borgo; Franciscus Burgensis)

Pier Nicola Pagliara

Figlio di Benedetto di Antonio di Matteo del Cera, nacque a Borgo San Sepolcro entro il secondo decennio del sec. XV.

Il padre, Benedetto, che in diversi documenti è indicato come pittore, risulta attivo a Borgo San Sepolcro dal 1413 fin quando morì, il 1° giugno 1455 (Banker, 1992, pp. 54, 56). Di Benedetto sono attestati soprattutto lavori (di legno quando se ne precisa la natura) per la Confraternita di S. Antonio, di cui era socio. Tra le sue opere note, eseguite per altri committenti, la più importante è la costruzione, nel 1431, di una pala d'altare su disegno di Antonio di Giovanni d'Anghiari. Benedetto ebbe almeno un altro figlio, Pellegrino, mercante, e una figlia morta nel febbraio 1424.

Una prima notizia su F. risale all'aprile 1441, quando, verosimilmente già adulto e su proposta del padre, fu ammesso con 7 voti contrari nella Confraternita di S. Antonio.

Non si sa se allora abitasse ancora a Borgo, e si può solo immaginare che li avesse ricevuto una prima istruzione in una scuola d'abaco. Considerando la fiorente attività commerciale della cittadina all'inizio del Quattrocento è naturale infatti supporre l'esistenza di una buona scuola di contabilità per mercanti e a Borgo negli anni Venti erano attivi diversi maestri d'abaco. F. dovette apprendervi le prime nozioni di matematica, che più tardi a Roma approfondì risalendo alle fonti greche antiche ed arabe di questa scienza, mentre la frequentazione della bottega paterna gli fornì, oltre a un'esperienza del disegno, necessaria per praticare l'architettura, la conoscenza di diverse tecniche artistiche e artigianali e, soprattutto, una notevole attitudine organizzativa, accresciuta anche dalle esperienze mercantili del fratello, del quale nel 1458 fu socio d'affari (Banker, 1992). In questo ambiente di artigiani e mercanti intraprendenti dovettero aver origine le sue capacità di misuratore, contabile, amministratore e organizzatore efficiente e fidato che gli procurarono la stima di quattro papi. Non sappiamo invece dove F. acquisì la conoscenza del latino, inusuale per la sua estrazione sociale e tale da consentirgli di diventare scrittore delle lettere apostoliche.

La familiarità con architetture del primo Rinascimento toscano che traspare nelle costruzioni attribuite a F. fa pensare a un suo soggiorno a Firenze, forse prima della permanenza a Roma, documentata dal 1450, anno in cui risulta attivo nella Camera apostolica (Frommel, 1984, pp. 131 s.).

In qualità di contabile della Camera tenne i conti delle costruzioni papali; nel 1451 lavorò nella dogana di Ripa e fu membro della Tesoreria segreta di Niccolò V, alimentata dalle entrate della stessa dogana; successivamente fu misuratore delle costruzioni a S. Maria Maggiore e si occupò di lavori al Campidoglio e in Vaticano. Nel 1454-55 fu responsabile dei pagamenti per la tribuna di S. Pietro e per il palazzo vaticano e in questa veste può aver conosciuto Bernardo Rossellino e i suoi progetti per S. Pietro (Frommel, 1984, p. 132). Divenuto "familiare" di Niccolò V, alla sua morte fu imprigionato perché accusato di abusi compiuti nell'amministrare il guardaroba papale; in suo favore si mosse la Signoria di Firenze (Zippel, in Canensi, p. 149 nota). Liberato presto dai sospetti, fin dall'inizio del papato di Callisto III effettuò pagamenti per lavori eseguiti a S. Maria Maggiore.

Nel 1457 e 1458 F. fece copiare codici riccamente miniati di traduzioni latine della Geometria (Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 2224) e dell'Optica di Euclide, quest'ultima unita a uno scritto di astronomia attribuito a Tolomeo e a un trattato arabo di algebra (Ibid., Urb. lat. 1329). Dallo stesso copista, Michele Foresi, fece poi scrivere un terzo codice (Urb. lat. 261) con una raccolta di opere di Archimede, tradotte in latino a Roma su richiesta di Niccolò V (Ruysschaert, 1968, pp. 259, 262 s.; Frommel, 1984, pp. 85, 104).

Quando commissionò i tre codici F. doveva aver già raggiunto una certa agiatezza, forse grazie agli affari realizzati con il fratello più che alle sue entrate di curiale. Dai modi in cui collaborò alla preparazione dei manoscritti traspaiono aspetti importanti della sua cultura e dei suoi interessi. Non solo sono di sua mano, infatti, le figure geometriche nel Vat. lat. 2224 e nell'Urb. lat. 1329 (Frommel, 1984, pp. 132, 134); ma anche la scelta dei soggetti raffigurati nei capilettera dell'Urb. lat. 261 (Bartòla - Stabile, 1996, pp. 240 s.), sempre pertinenti all'argomento scientifico che segue, deve dipendere da F. più che dal miniaturista. Per un'insolita veduta di Roma dal colle vaticano, particolarmente innovativa e precisa, raffigurata al f. 98r del Vat. lat. 2224, F. doveva aver preparato almeno un disegno, usato come modello dal miniaturista. La posizione leggermente imprecisa di due edifici che ricorre nella Descriptio Urbis di L.B. Alberti e in questa miniatura (Maddalo, 1990, p. 195) suggerisce l'ipotesi che F. abbia usato l'opera topografica albertiana per impostare la costruzione della veduta, precisando poi dal vero le immagini delle singole architetture. Anche la raffigurazione accurata delle mura leonine e dei palazzi vaticani (Voci - Roth, 1994) denota l'attenzione del disegnatore per l'architettura. Nello stesso codice il frontespizio del libro XI (Bartòla - Stabile, 1996, pp. 396 s.) rivela un singolare interesse per costruzioni antiche e contemporanee negli archi di bipedali, nei due ordini di logge con trabeazione su colonne e volta a botte (a sinistra), in un edificio tutto laterizio con cornici formate da mattoni ordinari posti di coltello e da mattoni profilati (in alto a destra) e soprattutto nei beccatelli, dove il profilo a gola in basso prelude alle mensole formate da un insieme di modani classicheggianti realizzate più tardi nel coronamento di palazzo Venezia (in alto a sinistra).

F. doveva dedicare pari attenzione alla preparazione dei testi dei suoi codici. Nel 1457, quando fece copiare la Geometria di Euclide, prese in prestito un manoscritto trecentesco di quest'opera dalla biblioteca appartenuta a Giordano Orsini (Maddalo, 1990, p. 192); inoltre in una copia del corpus delle opere di Archimede tradotte da Iacopo Cassiano, il cui nome non compare mai nei codici (Parigi, Bibl. nationale, Nouv. Acq. Lat. 1538, f. 1r), si attribuisce addirittura a F. la versione (Clagett, 1978, pp. 321-323). Dovrebbe trattarsi di un fraintendimento originato dal colophon dell'Urb. lat. 261, che termina con: "quod transcribi iussit dominus Franciscus Burgensis". La copia di F. si distingue comunque dalle altre per i numeri d'ordine assegnati ad alcune proposizioni di Archimede e ciò ha permesso di riconoscervi il manoscritto citato più volte da Piero della Francesca nel De quinque corporibus regularibus (ibid., pp. 392-394). Piero potrebbe aver consultato nella biblioteca del suo concittadino l'Urb. lat. 261, insieme all'Urb. lat. 1329 che gli interessava per la prospettiva, quando, nel 1459, venne a Roma a dipingere nei palazzi vaticani, sempre che il testo di quel codice fosse già stato copiato; di certo lo studiò più tardi a Urbino, nella biblioteca di Federico da Montefeltro.

Il nome di F. rimase legato alla traduzione di Archimede ancora all'inizio del secolo seguente, quando invece di una sua possibile attività di architetto si era già persa memoria. Dopo il 1502, infatti, Leonardo cercò un codice di Archimede appartenuto alla biblioteca di Urbino, mentre in un altro appunto, riferendosi forse allo stesso codice, ricorda: "quello da il Borgo a san Sepolcro", identificato, seppure con qualche dubbio, nell'Urb. lat. 261 (Clagett, 1969, p. 102).

Alla fine del sesto decennio F. era padrone di varie scienze: di calcolo e geometria, basilari per le sue attività di misuratore prima, di organizzatore e verificatore di conti e misure di fabbriche poi, di prospettiva, nonché di concetti di meccanica archimedei, preziosi per chi dovesse organizzare trasporti e sollevamenti di grandi pesi e progettare macchine da cantiere. Gli interessi scientifici e antiquari lo avvicinarono a Piero della Francesca, a Biondo Flavio e a Leon Battista Alberti. Col primo la bottega del padre di F. (Banker, 1992, pp. 54, 56) ebbe qualche rapporto mediato, e F. può aver incontrato il pittore a Roma nel 1459; il secondo nel 1461, durante i lavori per rinnovare la scala davanti alla basilica vaticana, si fermò a interrogarlo sulla disposizione delle statue di S. Pietro e S. Paolo (Biondo Flavio, p. 202). Mancano, invece, prove di rapporti con l'Alberti, che però F. doveva conoscere bene grazie alla comune appartenenza alla Curia. Mentre infatti l'Alberti faceva parte del collegio degli scrittori dei brevi, finché Paolo II nel 1464 non lo soppresse, F. era scrittore apostolico e "familiare" di Callisto III e poi di Pio II, come fece annotare nei colophon di due dei suoi codici (Bartòla - Stabile, 1996, pp. 381 e 394). Appartenne quindi al Collegio dei "litterarum apostolicarum scriptores" (Müntz, 1879, p. 24; Frommel, 1984, p. 133), rimanendo anche con Paolo II "scriptor apostolicus et famulus Sanctissimi domini nostri pape" (Zippel, 1910-11).

Incarichi amministrativi di fiducia gli furono rinnovati anche da Pio II: nel 1459, durante il soggiorno mantovano del papa, F., rimasto a Roma, fu luogotenente del tesoriere papale (Frommel, 1984, p. 134); dopo il ritorno del papa a Roma, nell'ottobre 1460, registrò di propria mano i pagamenti dei cantieri pontifici, firmò le relative cedole (Id., 1983, pp. 114, 119), stimò i lavori e ne assunse la direzione, a cominciare dalla sistemazione della scalinata di S. Pietro nel 1461-62; continuò tuttavia a occuparsi di tasse e di monopolio del sale, senza trascurare qualche affare privato. Anche la scelta delle selve di Borgo San Sepolcro per fornire legnami destinati ai tetti della basilica di S. Pietro, di S. Marco e del palazzo apostolico (Zippel, 1910-11) è forse legata alla provenienza del principale responsabile amministrativo di quei lavori. Le sue attività mercantili non gli impedirono nel 1463 di dichiararsi disposto a partire per la crociata contro i Turchi promossa dal papa.

Sotto Pio II F. potrebbe aver aggiunto alla funzione di gestore finanziario delle fabbriche pontificie quella nuova di architetto. L'Alberti, la cui formazione è per alcuni aspetti simile alla sua, potrebbe aver suggerito a Pio II di affidargli la più importante architettura romana del suo pontificato, la loggia delle Benedizioni, in Vaticano (Frommel, 1983). La mancanza per questo monumento di attribuzioni basate su argomenti solidi e il fatto che F., al vertice dell'organizzazione di cantiere come principale responsabile amministrativo (Zippel, 1910-11, p. 447), fiduciario del papa e unico intermediario tra questo e sovrastanti ed esecutori, coprisse già il ruolo che ebbe poi con Paolo II, quando le cronache lo citano come architetto, hanno indotto a proporlo come autore di questa opera, oltre che della rocca di Tivoli nel 1461-62, dell'edicola di S. Andrea a ponte Milvio nel 1462 (ricostruita nell'800) e di un tabernacolo di S. Andrea, scomparso con la demolizione del vecchio S. Pietro (Frommel, 1983).

L'idea di fondere nella loggia delle Benedizioni il motivo del Colosseo, di ordini sovrapposti addossati ad arcate su pilastri, con il motivo, tratto dagli archi trionfali, di una trabeazione risaltante sopra colonne di recupero ammorsate solo per un terzo ai pilastri, non ha precedenti nell'imitazione così stretta dell'architettura imperiale. Si traduce qui efficacemente, in un'architettura all'antica che esprima la magnificenza della Chiesa di Roma, l'esortazione rivolta da Biondo Flavio a Pio II nel De Roma triumphante a far rinascere nel Papato la grandezza di Roma imperiale. La loggia delle Benedizioni, che al tempo di Alessandro VI era arrivata al terzo ordine di arcate, fu demolita nel 1600.

Dopo la morte di Pio II, F. è indicato come "operum et fabricarum executor" del papa (Frommel, 1984, p. 135). Nel 1465 fu nominato da Paolo II commissario per impedire frodi e simonie da parte di impiegati della Camera papale, soprintendere ai doganieri di Ripa e Ripetta, ai ministri del Sale, alle entrate e alle uscite della Camera di Roma e ad altri uffici (Zippel, in Veronese, p. 48 n.). Fino alla primavera di quell'anno non fu tuttavia confermato né come commissario delle costruzioni papali né come familiare del papa. Nel settembre 1465 fu commissario ad hoc per il rinnovamento di Borgo Vecchio e nel novembre dello stesso anno rappresentò il papa nella stipula di un contratto per una cappella del coro presso il Ss. Salvatore ad Sancta Sanctorum. Da quella data si occupò soprattutto di architettura, in particolare del complesso di S. Marco: chiesa, palazzo e palazzetto. Come rappresentante del papa firmò diversi contratti: nel novembre 1465 uno per il tetto della chiesa, il 25 marzo 1466 uno per le volte laterali della stessa chiesa e per opere murarie sia nella chiesa, sia nel palazzo e nel palazzetto, nel giugno seguente, con altri maestri, uno per le stesse opere (Frommel, 1984, pp. 79, 80, 85). Nei documenti compare a capo della fabbrica fino alla morte. Negli stessi anni Gaspare Veronese nel celebrare la costruzione del palazzo di S. Marco, attesta che a quest'opera F. "architectus ingeniosissimus praefectus est". Lo menziona ancora come "architectus ingeniosissimus", in cui Paolo II aveva piena fiducia, poco dopo la morte, che addolorò il papa perché non era facile sostituirlo; in un altro passo di nuovo indica distintamente le due funzioni: "Magnis aedificiis Santi Marci praefectus atque architectus" (anche Andrews, 1970). Michele Canensi ricorda invece F. preposto a un'opera pubblica minore (p. 147).

La qualifica di "architectus", distinta da quella di "praefectus", fa pensare che F. avesse aggiunto (con ogni probabilità da alcuni anni) un ruolo nuovo rispetto a quello che svolgeva in modo ben documentato da un quindicennio, ma da sola non chiarirebbe del tutto in cosa consista questa funzione. Considerate le conoscenze di meccanica di F., "architectus ingeniosissimus", potrebbe anche alludere a una fama acquisita negli anni immediatamente precedenti come progettista di ingenia, macchine per rimuovere le pesanti colonne del portico d'Ottavia e innalzarle nella loggia delle Benedizioni di Pio II, nella quale dovevano essere reimpiegate. È vero che i documenti citano F. per aver fatto costruire un carro per trainare le colonne (Frommel, 1984, p. 84), mentre per "spese di certe corde et traglie per lo disegno dello edifitio per tirar colonne" al portico d'Ottavia, nonché per il costo del legname, nel 1461 è pagato Iacobo da Gaeta (Id., 1983, p. 119), ma ciò non esclude che, come supervisore dei lavori, egli abbia ideato le modalità dell'operazione e le macchine necessarie. La sua parte, però, deve essere stata più ampia. Le architetture del complesso di S. Marco, per le quali mancava un'attribuzione convincente, formano un corpus abbastanza omogeneo con quelle di Pio II assegnate a F., poiché a una evidente ispirazione albertiana si mescolano elementi tardo medievali (i pilastri ottagoni nel palazzetto, i pilastrini nelle bifore della chiesa) che escluderebbero una responsabilità diretta dell'Alberti (a cui palazzo Venezia è stato più volte attribuito). Questi argomenti, uniti a quelli considerati per le architetture romane di Pio II, hanno portato Frommel ad attribuire a F. quanto è stato progettato per il complesso di S. Marco tra il 1465 e la sua morte nel 1468, vale a dire la trasformazione della chiesa con la loggia delle benedizioni (il cui ordine superiore è stato eseguito più tardi con modifiche), il palazzetto, l'impianto del palazzo e il disegno in alzato del portico nel cortile, anch'esso costruito più tardi.

Se appare sempre più solida l'ipotesi che F. fosse architetto in senso pieno, rimane invece aperta e difficile da risolvere la questione della parte che l'Alberti può aver avuto in alcune sue scelte progettuali. Nel corpus delle architetture attribuitegli, infatti, gli aspetti innovativi più importanti sono di ispirazione albertiana. Se è possibile, visti i suoi rapporti con Pio II, che l'Alberti abbia suggerito al papa il nome di F. per la loggia delle Benedizioni in Vaticano e ne abbia ispirato direttamente le scelte fondamentali, rimane meno chiaro se dopo questa prima esperienza F. abbia proseguito autonomamente o abbia continuato come minimo a consultare, come era d'uso, l'Alberti. L'intervento diretto dell'Alberti è comunque più che probabile almeno in una parte del palazzo di S. Marco, la botte cassettonata di conglomerato del vestibolo, realizzata intorno al 1467, pienamente rispondente al tipo di opera albertiana che, in un brano del De re aedificatoria verosimilmente inserito dopo il 1452, Leon Battista dichiara di aver realizzato. Non è rimasta, infatti, memoria di nessuna altra volta del genere realizzata durante la vita del trattatista.

Verso la fine della sua vita, nel luglio 1467, F. fu di nuovo arrestato, con l'accusa di aver ritardato i pagamenti dovuti a maestranze e impiegati papali, ma dopo alcuni mesi fu rilasciato. Dovette essere riconosciuto innocente, poiché conservò fino alla morte il suo stipendio di "provisionato" del papa (Zippel, in Canensi, p. 149 n.) e il 10 maggio 1468 era ancora depositario della Camera capitolina. Morì nel giugno 1468, lasciando all'ospedale del Ss. Salvatore ad Sancta Sanctorum 100 fiorini per la celebrazione di messe e indicando il medico papale Jacopo Gottifredi come esecutore testamentario fu sepolto in S. Pietro.

L'inventario dei beni redatto subito dopo la morte mostra la posizione che F. aveva raggiunto: possedeva una casa a due piani, con una saletta e uno studio, una stalla con due cavalcature, gioielli e un ricco vestiario. Vi si rispecchiano la sua attività di contabile, con la presenza di registri e cedole, i suoi interessi e i suoi studi. Sono elencati, infatti, un astrolabio, un paio di "bipassi" (per disegnare o prendere misure) e 17 codici di cui non si precisano i titoli (Spotti Tantillo, 1975, pp. 79, 80, 86; Frommel 1984, pp. 137 s.).

Fonti e Bibl.: Biondo Flavio, Scritti inediti e rari, a cura di B. Nogara, Roma 1927, pp. CLXV e 202; G. Veronese, De gestis Pauli secundi, a cura di G. Zippel, in Rerum Ital. Scriptores, III, 16, pp. 48, 58; M. Canensi, De vita et pontificatu Pauli secundi, ibid., pp. 147, 149; G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1848, p. 9; E. Müntz, Les Arts à la cour des papes pendant le XVe et le XVIe siècle, I, Paris 1878, pp. 130, 200, 279, 284, 288, 291, 294; II, ibid. 1879, pp. 23 s., 52; V. Federici, I frammenti notarili dell'Archivio di Sutri, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XXX (1907), p. 489;P. Egidi, Necrologi e libri affini della provincia romana, I, Roma 1908, p. 449;G. Zippel, Paolo II e l'arte (1910-11), in Storia e cultura del Rinascimento italiano, Padova 1979, pp. 426, 447;J.L. Heiberg, inArchimedis opera omnia, III, Lipsiae 1915, pp. LXXIII-LXXIV; G. Mancini, L'opera De corporibus regularibus di Pietro Franceschi detto della Francesca, in Mem. della R. Accademia dei Lincei, classe di scienze morali, s. 5, XIV (1915), pp. 486 s.;G. Zippel, Piero della Francesca a Roma, in Rassegna d'arte, XIX (1919), pp. 82 s., 86, 88; P. Tomei, L'architettura a Roma nel Quattrocento, Roma 1942, pp. 72 s.;M. Clagett, Archimedes in the Middle Ages…, I, Madison 1964, p. 12; T. Magnuson, Studies in Roman Quattrocento architecture, Stockholm 1958, pp. 261, 289, 295; R. Olitsky Rubinstein, Pius II's piazza S. Pietro and St. Andrew's head, in Enea Silvio Piccolomini. Papa Pio II, Siena 1968, pp. 228, 231;J. Ruysschaert, Miniaturistes romains sous Pie II, ibid., pp. 263, 266; V. Golzio - G. Zander,L'arte in Roma nel sec. XV, Bologna 1968, p. 520; M. Clagett, Leonardo da Vinci and the Medieval Archimedes, in Physis, XI (1969), p. 102; A. Andrews, The "lost" fifth book of the life of pope Paul II by Gaspar of Verona, in Studies in the Renaissance, XVII (1970), p. 38; E. Battisti, Piero della Francesca, Milano 1971, p. 107; A. Spotti Tantillo, Inventari inediti di interesse libario, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XCVIII (1975), pp. 77-94;M. Clagett, Archimedes in the Middle Ages…, III, Philadelphia 1978, pp. 321-323, 392-394; C.L. Frommel, Der Palazzo Venezia in Rom, Opladen 1982, pp. 26-29; Id., F. del Borgo: Architekt Pius II und Pauls II, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XX (1983), pp. 107-154; XXI (1984), pp. 71-164; Id., Chi era l'architetto di palazzo Venezia?, in Studi in onore di G.C. Argan, Roma 1984, II, pp. 39-60; C. Vasić Vatovec, Pagno d'Antonio Berti "marmoraro" e architetto a Roma e a Firenze, in Roma, centro ideale della cultura dell'antico nei secoli XV e XVI (Convegno internazionale, Roma 1985), a cura di S. Danesi Squarzina, Milano 1989, pp. 281-283; Id., in S. Borsi - F. Quinterio - C. Vasić Vatovec, Maestri fiorentini nei cantieri romani del Quattrocento, Roma 1989, pp. 143-145, 229 s.; F. Benzi, Sisto IV renovator Urbis. Architettura a Roma 1471-1484, Roma 1990, p. 12;S. Maddalo, Figura Romae. Immagini di Roma nel libro medievale, Roma 1990, pp. 183 s., 192-199; M.L. Casanova, Palazzo Venezia, Roma 1992, pp. 210 s.;J.R. Banker, Piero della Francesca, il fratello don Francesco di Benedetto e Francesco del Borgo, in Prospettiva, XVIII (1992), 68, pp. 54-56;A.M. Voci - A. Roth,Anmerkungen zur Baugeschichte der "capella magna", in Collectanea II. Studien zur Geschichte der Papstlichen Kapelle, a cura di B. Janz, Città del Vaticano 1994, pp. 58-60; A. Uguccioni, Ritratti e autoritratti: alla ricerca del vero volto di Piero della Francesca, in Incontri del Dizionario biografico degli Italiani, Piero della Francesca, in Cultura e scuola, XXXIV (1995), 134, p. 159;C.L. Frommel, in The Dict. of art, XI, London 1996, pp. 684 s.;A. Bartòla - G. Stabile, in Vedere i classici. L'illustrazione libraria dei testi antichi dall'età romana al tardo Medioevo, Roma 1996, pp. 240 s., 380-382, 394-398, 408-413 (con bibliografia).

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