DE MARCHI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DE MARCHI, Francesco

Daniela Lamberini

Figlio di Marco, nacque a Bologna all'inizio del 1504; discendeva dalla nota famiglia cremasca di intarsiatori del legno, venuta a stabilirsi a Bologna col bisnonno Domenico, intorno alla metà del sec.XV (Fantuzzi, 1786, pp. 218 s.; Venturi, 1816, pp. 3 s.; Ronchini, 1864, p. XXX nn. 5-6; Bandirali Verga, 1965). Degli anni giovanili passati a Bologna nulla trapela dagli scritti del D. che pure sono ricchi di riferimenti autobiografici, né si conoscono le ragioni che lo spinsero giovanissimo, presumibilmente intorno al 1520, a partire dalla sua città.

Sebbene ne restasse lontano tutta la vita, mantenne stretti legami con la sua patria. Sappiamo infatti che, insieme con suo fratello Alberto, possedeva in città una modesta casetta, male amministrata in sua assenza (Ronchini, 1864, pp. 106s.). Bolognese era anche la madre dei suoi due figli, Maddalena di Friano Neroni, che il D. rifiutò di sposare. Il primogenito Marc'Antonio, nato a Parma nel 1555, studiò e siaddottorò a Bologna dove, legittimato dal padre, visse parte della sua vita. Così l'amatissima figlia Cleopatra, che, dopo aver trascorso vari anni dell'adolescenza in Fiandra insieme al padre, ritornò ancor giovane in patria per finire i suoi giorni in un convento bolognese. Significativo, infine, è il fatto che nel 1558, quando con il grado di "capitano di guerra" il D. aveva raggiunto una certa fama, venne ascritto in patria al ruolo dei cittadini bolognesi, mentre in precedenza era stato un "semplice abitatore nativo della città" (Venturi, 1816, pp. 10 s.).

A parte sporadici accenni nei suoi scritti che testimoniano la giovanile partecipazione a grandi avvenimenti della storia contemporanea, senza però precisare in quale veste, come nel 1526 la caduta del castello di Milano, o, nel 1530, l'ingresso trionfale dell'imperatore Carlo V a Bologna (Venturi, 1816, pp.3 s.), i primi dati certi della lunga e movimentata biografia del D. si hanno solo proprio a partire dal 1530. Dopo essere stato presente all'assedio degli Imperiali a Firenze, già nel 1531 lo troviamo al servizio del duca di Firenze, Alessandro de' Medici. Non sappiamo in quale veste servisse il duca. L però da escludere sia che fosse addetto alle poste, come suggerisce il Rocchi (1901, pp. 609 ss.) interpretando un passo autobiografico del D. troppo alla lettera (cfr. anche Ronchini, 1864, p., XXX, n. 6); sia che fosse assunto in qualità di esperto militare, in quanto tali competenze furono acquisite solo in seguito. Gli anni trascorsi al servizio dei Medici furono per lui particolarmente formativi.

Come familiare di Alessandro, infatti, ebbe modo di viaggiare e seguire da vicino gli avvenimenti dei suo tempo con l'occhio attento del cronista. Fra gli avvenimenti più importanti da luiregistrati e a cui gli fu dato di partecipare fu il matrimonio del duca Alessandro con la figlia dell'imperatore Carlo V, Margherita d'Austria (29 febbr. 1536).

Nel 1535 il D. (Venturi, 1816, p. 5), alle dipendenze del duca Alessandro e della moglie-bambina, era a Roma dove rimase sedici anni.

Sempre nel 1535 iniziò lo studio dell'architettura civile e militare, conoscenza obbligatoria ai suoi tempi per intraprendere la scalata al successo. L anche del 1535, il 15 luglio, la coraggiosa immersione nel lago di Nemi, insieme con L. Bufalini; questa impresa, che per prima dette notorietà storica al D., fu compiuta con un rudimentale scafandro per studiare, misurare e prelevare pezzi della nave romana che giaceva nel fondo (l'episodio è dettagliatamente descritto dal D. stesso nel suo trattato a stampa del 1599, libro II, cc. 41v-43v; cfr. anche alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze una copia ms., sec. XVIII, Ashb. 620: Marchi, La barca di Trajano;cfr. inoltre Fea, 1790).

Con l'assassinio di Alessandro e il matrimonio nel novembre del 1538 della sua giovanissima vedova con Ottavio Farnese, nipote del papa, il D. passò dal servizio di casa Medici a quello dell'ancor più potente casata papale. Sotto i Farnese, o meglio, alle dirette dipendenze di Margherita, gli anni romani risultarono i più fruttuosi.

Viaggiò molto, in missione o al seguito dei Farnese, osservando ovunque con acutezza e passione tipica dell'autodidatta ogni fatto, edificio antico o moderno e ogni fenomeno naturale degno di attenzione, annotando ogni cosa per trasferire in seguito tali esperienze e osservazioni personali nel suo enciclopedico trattato. Il suo pensiero riguardo all'architettura civile e militare è chiaramente espresso in alcuni capitoli inediti del manoscritto II. I. 277-280, nella Biblioteca nazionale di Firenze (De Marchi, Trattato di architettura militare, cc. 3-35,56). Roma fu per lui la più perfetta palestra di allenamento: "sempre cercai di vedere anticaglie - scrive - ogni giorno e ogni ora mi era mostrato cose nuove" (cfr. Venturi, 1816, p. 5).

A Roma il D. conobbe e frequentò gli illustri esponenti di quella straordinaria folla di artisti, intellettuali, scienziati di ogni paese, lì richiamati dai grandi cantieri edilizi e urbanistici aperti da papa Paolo III. Nella doppia veste di familiare di casa Farnese, cronista curioso delle mode dei suoi tempi, e di dilettante d'architettura e scienza militare, riuscì a partecipare, tra il '42 e il '48, alle diete dei militari e architetti riuniti dal papa per decidere la forma più efficace da dare al fronte bastionato che doveva cingere il Borgo di Roma. Frequentando il cantiere delle fortificazioni, poté partecipare ai lavori, misurando il bastione sangallesco, fondato fuori porta S. Sebastiano ed eseguendo una cortina e un baluardo fuori della porta di S. Pietro (cfr. la testimonianza dello stesso D. in Della architettura militare..., Brescia 1599, pp. 11v s.; cfr. anche Promis, 1863, pp. 61 s.). Sempre allo scopo di affiancare ai suoi studi architettonici ed ingegneristici la pratica, nello stesso periodo aiutò Leonardo Bufalini a misurare "tutta Roma dentro e fuori", per disegnare la pianta, poi incisa e pubblicata la prima volta a Roma nel 1551. Il D. lavorò col Bufalini "forse sei mesi, per mio piacere più che per imparare" (De Marchi, 1599, p. 42v). Inoltre, intorno al 1543 e dunque al tempo della fondazione, divenne membro dell'Accademia dei Virtuosi al Pantheon (vari riferimenti all'Accademia si trovano nel ms. della Bibl. nazion. di Firenze, II. I.277, c.35, cfr. Venturi, 1816, p. 7 e Lefèvre, 1969, p. 41e n. 10; Parigi, Bibl. nationale, Mss. It. 465, c. 27). Il D. fu impegnato dal 1542, per tutta la vita, nella stesura di un trattato di architettura civile e militare che, pure seguendo il modello classico, da Vitruvio all'Alberti (cfr. Tognetti, 1819, p. 19), doveva essere aggiornato alle esperienze e tecniche costruttive più moderne e, nel campo dell'architettura militare, offrirsi come una sorta di raccolta didattica di diverse piante e modi di fortificare alla luce delle più recenti invenzioni, ma che rimase inedito.

Spronato quindi dalla "Congregazione d'uomini che si dilettavano di fortificare" (Venturi, 1816, p.15), il D. cominciò a disegnare, rozzamente, nuove piante di fortificazioni, a costruirne i modellini, a incidere lui stesso (Ronchini, 1864, p. XXXI) e far incidere quelle proposte che, con ostinata fermezza, definì sempre "le mie invenzioni", difendendole gelosamente contro i veri o presunti plagi perpetrati a suo danno (fra le varie denunce di furto, cfr. in part. De Marchi, 1599, libro III, p. 44 e Ronchini, 1864, p. XXXVII, n. 32), o, più verosimilmente, compiuti da lui stesso a danno degli altri (cfr. a tale proposito le larvate e retoriche autodifese disseminate dal D. nei suoi scritti, Venturi, 1816, p. 26. Sul problema del plagio cfr. le note conclusive di D. Lamberini [1984], 1988 e Promis, 1863, pp. 68, 91 s.). "L'anno 1545", scrive ancora il D. (1599, p. 44v), "io havevo la maggior parte dell'opera mia in ordine". Nell'agosto 1546 aveva cominciato a incidere e diffondere sistematicamente le prime tavole (didascalia alla prima tavola dell'ed. 1597 del trattato, p. 78), individuabili fra le rozze incisioni in folio piccolo che costituiscono il primo nucleo del trattato, dato alle stampe postumo nel 1577 (cfr. Architettura militare di Francesco Marchi, capitano, [in Venezia, per Francesco Franceschi, 1577]; cfr. Fontanini, 1804, p. 436 e Pistolesi, 1816, che la definisce "edizione nata da furti").

Per tali tavole, nella cui rozzezza risulta chiaramente il livello dilettantesco dell'autodidatta, ma le cui soluzioni già indicano una buona assimilazione delle conoscenze teoriche, il D. compose in seguito, ma sempre negli anni romani, i commenti. Questi costituiscono la base del trattato vero e proprio: testi pesantemente condizionati da schemi mentali e citazioni tratte dai classici volgarizzati che giravano a quel tempo, ma ricchi di digressioni di cronaca e preziosi riferimenti ad esperienze moderne e contemporanee nel campo dell'architettura sia militare sia civile. Anche il suo italiano era faticoso e infarcito di termini dialettali; dalla sua prosa emergono - però - lucide le idee, non tanto originali quanto magistralmente filtrate dal contesto culturale nel quale il D. viveva (emblematico a tale proposito il cap.XXXVIII del libro II del trattato a stampa, intitolato Come gli uomini senza essere letterati possano scrivere dell'architettura, ed. 1599, p. 29, Guidoni Marino, 1983, pp. 74 s.).

Verso la fine del soggiorno romano (ma non si sa la data esatta) per prerogativa papale fu concesso al D. il titolo di "cittadino romano" con tutti i privilegi che esso comportava, fra i quali la possibilità, in seguito largamente usata, di fregiarsi dell'appellativo di "gentiluomo romano" (cfr. Tognetti, 1819, p. 13; Lefèvre, 1969, p. 141 e n. 13).

Nel 1550 la corte di Margherita lasciò Roma, per seguire Ottavio Farnese, che andava a prendere possesso del Ducato di Parma. Il D. seguì la sua padrona, gratificato di lì a poco dal conferimento del titolo di capitano (cfr. l'atto ducale del 16 giugno 1551 in Venturi, 1816, p. XXXII, n. 13), primo riconoscimento ufficiale delle conoscenze acquisite nel campo delle fortificazioni. Come "commissario sopra l'artiglieria" (Ronchini, 1864, p. 171; Venturi, 1816, p. 9; Rocchi, 1901 p. 618), rilevò il perimetro di Parma, cinta d'assedio, e fornì consigli per le opere difensive.

Il disegno, del 1552 (Parigi, Bibl. nat., Mss. It. 465, cc. 58-60v), è pubblicato fra le tavole edite nel 1577 (cfr. tav. XXIX, c. 30) e, in una versione molto più elegante, nel trattato del 1597 (libro III, cap. XXIX). Oltre a ciò, la mansione principale del D. fu quella di prendersi "carico sopra la fonderia" dei cannoni ducali (Venturi, 1816, p. 9). Sulla base dell'esperienza acquisita, egli poté scrivere in quegli anni "uno libro che tratta di arteleria" (Ronchini, 1864, p.XXXII n. 16), corrispondente al "breve et utile trattato, nel quale si mostrano li modi di fabricar l'Artigliaria et la pratica di adoperarla, da quelli che hanno carico di essa" (inserito come libro IV nella edizione postuma del suo trattato pubblicato a Brescia nel 1599, dopo la p. 279, c. 22rv). Una versione quasi identica è quella del ms. Magliabechiano (Firenze, Bibl. naz., II.I.277, cc.184-210). Una differente stesura manoscritta e autografa, completa dei disegni che mancano alla edizione a stampa è a Parigi (Bibl. nat., Mss. It. 465, cc. 65-72v); l'originalità del trattato fu riconosciuta solo dal Borgatti (in Enc. Ital., XII, p. 576; cfr. anche Venturi, 1816, p. 22, e Rocchi, 1901, p. 617).

Nel 1554, al seguito dei Farnese nella missione diretta in Inghilterra per le nozze del fratellastro di Margherita, Filippo, con Maria Tudor, aveva offerto al re la prima stesura del suo trattato, "un piccolo libro" com'egli stesso lo definisce (Promis, 1863, pp. 68 ss.).

Filippo II, tenendo l'opera in mano, lo aveva pregato di recitarglielo a memoria, il che il D. fece disinvoltamente, meritandosi la ricompensa reale (Venturi, 1816, pp. 10-17). Tale inusitata procedura fu forse adottata per fugare malevoli sospetti circa l'autentica paternità del trattato; del resto, anche i versi scritti subito per lui, a lode di un "si sublime e peregrino ingegno", e dedicatigli dal poeta di corte parmense Giulio, detto Ariosto, tradiscono un sapore ironico, forse involontario (cfr. Fantuzzi, 1786, p. 225, e Tiraboschi, 1791, p. 552, che riportano la quartina e Ronchini, 1864, p. XXXIII).

Nel 1558 il D. a Piacenza veniva nominato da Madama "commissario maggiore" del gran palazzo ducale che i Farnese facevano costruire come loro residenza nella città appena acquistata (Ronchini, 1864, p. XXXIV, n. 22; Rocchi, 1901 p. 618; Adorni, 1982, pp. 179 e ss.) e partecipò autorevolmente alla scelta del progetto (cfr. Della architettura militare..., 1599, p. 29); l'Adorni (1982, fig. a p. 178) gli attribuisce anche due disegni della cittadella di Piacenza, conservati nell'Archivio di Stato di Parma (Fabbriche ducali e fortificazioni, busta 4, fasc. 1, n. 1). Il D. ebbe modo di servirsi nel suo cantiere delle conoscenze acquisite nel campo dell'architettura civile, per trasferire poi l'esperienza nel suo trattato (vari riferimenti nell'edizione a stampa, nel ms. della Bibl. naz. di Firenze, in part. II.I.277, c. 51; e soprattutto nel perduto ms. piacentino, per il quale cfr. Perreau, 1863, e Adorni, 1982, pp. 231 ss.).

Nel 1559 partì per Bruxelles, al seguito di Margherita, nominata dal fratello Filippo II, ora re di Spagna, reggente dei Paesi Bassi. Nel corso del viaggio di andata tenne un diario, ove annotava usi, costumi e curiosità architettoniche dei paesi attraversati (cfr. Ronchini, 1864, p. 2). Il diario è perduto ma molte annotazioni interessanti sono confluite nell'enciclopedico trattato (in particolare nel ms. della Bibl. naz. di Firenze, II.I.277, le osservazioni sulla Germania, libro II, cc. 115-129 e passim, unite a quelle sull'Inghilterra del precedente viaggio, c. 54 e passim; cfr. Venturi, 1816, pp. 10-12).

Nelle Fiandre, sconvolte dalle guerre di religione, il D. trascorse otto anni, ben documentati dal regolare carteggio con la corte di Parma, in particolare nella persona del segretario del duca Ottavio, Giovanni Battista Pico.

Tali lunghe missive, per lo più autografe, ricche di informazioni personali e di notizie sulla vita e la politica di corte, le rivolte dei protestanti e i relativi tentativi governativi di repressione, conservate all'Archivio di Stato di Parma (cfr. Ronchini, 1864, che però ingentilì e "tradusse" in buon italiano la rozza prosa dialettale del D.), hanno dato un contributo fondamentale alla conoscenza del personaggio (altre sono state pubblicate da Fantuzzi, 1786, Marini, 1810, I, e Venturi, 1817. Cfr. inoltre Cauchie, 1892 per il contributo fornito dal D. alla conoscenza delle lotte di religione nei Paesi Bassi).

Sebbene molta letteratura, anche recente, abbia insistito con poche eccezioni (Rocchi, 1901; Lefèvre, 1969) a presentare il D. esclusivamente come architetto militare, i documenti degli anni fiamminghi e i successivi fino alla morte, dimostrano senza ombra di dubbio che questo cavallerizzo, "maestro di equitazione del giovane Ranuccio Farnese" (Rocchi, 1901 p. 615), fantasioso organizzatore di feste e giochi, prestante ballerino fino alla più tarda età e fedele cronista dei maggiori avvenimenti mondani della corte, fu innanzitutto un cortigiano, un familiare di Margherita, con uno stipendio tanto misero da permettergli raramente l'acquisto della carta per scrivere e disegnare (Ronchini, 1864, pp.5, 16).

Nelle Fiandre, dove non mancavano le occasioni pey mettere in pratica le sue competenze in campo militare, il capitano D. ebbe il pacifico titolo di "mareschal de logis dell'Altezza di Madama", assumendo di volta in volta incarichi di "coppiere" o "governatore di tavola e compagnia" (Ronchini, 1864, pp. XXXV n. 24, 30, 37). "Invano supplicò la Duchessa di essere destinato all'artiglieria, anche come semplice cannoniere o alle fortificazioni" (ibid., n. 24); il suo ruolo rimase relegato a corte e, a parte episodi marginali, come alcuni consigli forniti per varie fortificazioni e "la commissione amplissima" (Venturi, 1817, p. 12, Ronchini, 1864, p. 141 e passim; Lefèvre, 1969, pp. 144 s.) per il castello di Tournai (Doormijk), anche l'unica grande occasione che gli si presentò si risolse in un fiasco. Nel 1567 infatti, per la costruzione della fortezza di Anversa, il D., appoggiato dalla reggente, aveva apprestato un progetto che era stato spedito in Spagna per essere approvato da Filippo II, ma benché tutto volgesse a suo favore, l'incarico fu affidato all'architetto di fiducia del duca d'Alba, Francesco Paciotti, "quella bestia viziosa del Pacchiotto" (Ronchini, 1864, pp. XI. n . 48, 144 s .; Van den Huevel [1984-85], 1989, pp. 168 ss.).

Quasi tutti sulla carta o a livello di esercitazioni teoriche rimasero i piccoli progetti ingegneristici, come mulini e cartiere (Ronchini, pp. 161 s., 165 s.) e ingegnose invenzioni da tavolino, come i labirinti che disegnò nel 1565 per il duca di Parma e che troviamo pubblicati nel trattato di sole tavole del 1577 (rispettivamente cc. 31 e 32 e Ronchini, 1864, pp. 42, 54). Grande successo aveva ottenuto invece un cocchio da lui inventato e costruito in occasione delle sontuose feste allestite a Bruxelles nel 1565-66 per il matrimonio del figlio di Margherita, Alessandro Farnese, con Maria del Portogallo. Il "Carro dei Sole", tutto dorato e arricchito di statue e ornati, contribuì a introdurre nel Belgio la moda dei carri all'italiana (Fantuzzi, 1786, p. 222, riporta l'epitalamio latino di Pietro Mamerano con le lodi al cocchio del D.; Ronchini, 1864, pp. XXXV n. 26, 19 s., 45).

Tipico prodotto della sua attività di cortigiano sono tutti gli scritti del D. pubblicati coevi. In occasione dei festeggiamenti delle nozze di Alessandro Farnese compose anche una cronaca particolareggiata di tutti gli avvenimenti, Narratione particolare ... delle gran feste e trionfifatti in Portogallo e Fiandra nello sposalitio dell'illustrissimo ... sig. Alessandro Farnese ... e ... donna Maria del Portogallo, opuscolo stampato a Bologna "appresso Alessandro Benacci" nel 1566, che risultò, a detta dell'autore, tanto emendato e pieno di lacune da provocargli non poche noie a corte (Ronchini, 1864, pp. 64 s.).

Va inoltre ricordata la lettera stampata nel 1559, e oggi introvabile, che descrive la fastosa cerimonia dell'assegnazione ad Ottavio Farnese dell'Ordine del Toson d'oro (Ronchini, 1864, p. XXXV n. 25). Segue l'Aviso mandato dal magn. capitan Francesco de Marchi, ... dove narra ... le pompose livree et scaramuzze di cavalli et fanti, archi trionfali et superbi apparati et feste fatte nelle nozze del... Re ... di Spagna et de la ser. Regina ... nelle nobili città di Guadalagia et di Madrid dell'anno presente, con li nomi di tutti l'illustri principi et signori et madame intervenuti... in Bologna, per Pellegrino Bonardo, 1560 (in quarto). Infine, nell'ultima operetta che fa la cronaca della visita ufficiale a Margherita del giovane fratello, don Giovanni (Breve trattato del capitan Francesco De Marchi gentilhuomo dell'Altezza di Madama nella venuta che fece la prima volta all'Aquila il serenissimo Don Giovanni d'Austria..., stampata a L'Aquila, "appresso Gioseffo Cecchio", nel 1576 in quarto) troviamo questo significativo accenno autobiografico: "mentre si ballava ... Madama fece chiamare il capitano Francesco Marchi, suo antiquo servitore e gli comandò che dovesse ballare e guidare alcune sorte di balli, il quale in atto riverente ubedì ... et misse in campo altri balli et giuochi mantenendo sempre in festa a tutta quella brigata".

Il D. rientrò in Italia nel 1568, seguendo Madama che, lasciato il pesante governo dei Paesi Bassi, dopo una breve sosta a Piacenza, era andata ad isolarsi nei suoi feudi abruzzesi. Le ultime lettere spedite da Leonessa, Cittaducale e L'Aquila ci mostrano l'anziano cortigiano insofferente di tale "esilio". "lo vorria - scrive - stampare l'opera mia [il trattato] e stare in loco che vedessi mia figliola e amici" (Ronchini, 1864, pp. 165 s.).

Il suo cruccio maggiore era quello di non poter ritornare a Roma, "solamente a godere la bella vista di quelle anticaglie" (Venturi, 1816, p. 12; Ronchini, 1864, p. 68). Ma in Abruzzo non rimase inattivo. E del 1573, per es., la scalata al monte Corno, sul Gran Sasso d'Italia, della quale lasciò una dettagliata relazione (riportata dal Venturi, 1816, pp. 38-40).

Tutte le sue esperienze personali, le osservazioni dirette confluirono nell'enciclopedico trattato a cui il D. lavorò per ventiquattro anni, senza poterlo vedere stampato. Morì a L'Aquila il 15 febbr. 1576, avendo servito fedelmente Margherita "42 anni, 6 mesi e 16 giorni" ed essendo divenuto "in Arte fortificationum excellens et perspicuus", secondo la lapide, fatta incidere dal figlio Marc'Antonio sulla tomba nella chiesa aquilana di S. Francesco, oggi demolita (la lapide, perduta, fu riscoperta e pubblicata dal Leosini, 1848, pp. 110 s.).

Ad un anno dalla morte del D. uscì a Venezia dalla tipografia di Francesco Franceschi l'Architettura militare di Francesco Marchi capitano (tutti i commentatori concordano nel definirla senza data né luogo, ad eccezione di Orlandi, 1714, e Fontanini, 1804, p. 436; cfr. anche Fantuzzi, 1876, p.226). Si tratta, come s'è detto, delle "ventinove figure di fortificazione in ventotto tavole" (Bianconi, 1824, p. 4), le prime fatte intagliare dal D., a cui furono unite le incisioni dei due labirinti e il ritratto dell'autore, attribuito a G. Bonasoni (Pistolesi, 1816, p. 4). Quest'opera, senza testi scritti, è definita dal Venturi "le XXX piccole tavole" (Venturi, 1816, p. 18): è infatti un album in folio piccolo per un totale di 32 pagine e costituisce il nucleo primitivo del trattato, quello che, secondo il Venturi, fu recitato davanti al futuro Filippo II (Venturi, 1816, riporta in frontespizio il ritratto del D. inciso).

Vent'anni dopo, il bolognese Gaspare Dall'Oglio dava alle stampe una ricchissima opera intitolata Novam hanc sexaginta et ultra diversarum arcium, urbium, oppidorum ... delineationem ... quam olim militum dux Franciscus de Marchis typis aereis incisam reliquit..., Brixiae, Gaspar Lolius formis, MDIIIC. In folio reale, è composta da 166 tavole di fortificazioni, finemente incise e un frontespizio, disegnato da Leon Palavicino, recante la dedica in latino dell'editore a Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, per un totale di 139 pagine. Queste "Tavole di architettura militare" (M. d'Ayala, Bibliografia militare antica e moderna, Torino 1854, pp. 106 s. e passim), prive dei commenti e messe alla rinfusa con i primitivi numeri dei capitoli abrasi, sono "di prima freschezza" (Pistolesi, 1816, p. 4). Il Dall'Oglio infatti era riuscito a trovare i rami originali che, incisi ad Anversa, il D. aveva riportato con sé in Italia nella speranza di stampare infine la sua opera, ma non il testo. Un paio di anni più tardi, venuto in possesso di uno dei manoscritti, il Dall'Oglio lo unì alla meglio alle tavole e pubblicò l'intero trattato malamente ricucito coi titolo: Della architettura militare del capitano Francesco De' Marchi bolognese gentil'huomo romano, libri tre. Nelli quali si descrivono li vari modi del fortificare che si usa alli tempi moderni, con un breve et utile trattato nel quale si dimostrano li modi del fabricar l'artiglieria et la prattica di adoperarla, opera nuovamente data in luce, in Brescia 1599, appresso Comino Presegni. Il trattato in folio reale, per un totale di 302 pagine, è composto per due terzi dalle 161 tavole con i loro commenti (libro III), mentre nella prima parte si trovano anche i capitoli attinenti all'architettura civile (libro II). In alcuni esemplari vi è la lettera dedicatoria alla Signoria di Venezia nella quale l'editore spiega che la nuova pubblicazione è dovuta al ritrovamento dei testi. Successivamente il Dall'Oglio finse altre edizioni, ma, com'era uso in quei tempi, in realtà cambiò soltanto il frontespizio e la dedica. Abbiamo cosi, con lastre sempre più stanche, una Della architettura militare ... libri quattro, in Brescia 1600, dedicata al duca di Mantova e sempre a Brescia altre due Della architettura militare ... libri tre, rispettivamente del 1603, "appresso Gio Battista e Antonio Bozzoli fratelli", e 1609, "presso Pietro Maria Marchetti".

Il manoscritto usato per l'edizione postuma non era né l'unico né l'ultimo. Nei decenni successivi alla presentazione del suo "piccolo libro" a Filippo Il infatti il D. aveva continuato ad accrescere l'opera, lavorando sia all'architettura civile sia a quella militare. Alla corte di Bruxelles, a fronte del tiepido interesse mostrato da Madama per l'appassionato impegno del suo dilettante, trovò il sostegno aperto e l'incoraggiamento concreto a finire e stampare il trattato da parte di alcuni fra i principali membri del Consiglio di Stato, rivelatisi tutti (e non è casuale) fautori più o meno scoperti della riforma protestante e come tali finiti in galera o eliminati (Ronchini, 1864, pp. 142 s. e passim).

Dopo falliti tentativi per stamparlo ad Anversa e a Piacenza (Ronchini, 1864, passim) ilD., negli anni abruzzesi, continuò a lavorarci, aggiornando il testo e facendolo copiare e volgere in buon italiano da vari copisti che, come negli anni fiamminghi, si avvicendarono sui suoi manoscritti (cfr. Promis, 1863; per primo lo individuò e ne trascrisse alcune parti). Una copia del XIX secolo si trova alla Bibl. reale di Torino, segnata ms. Saluzzo 275.

Un trattato di sola architettura civile, composto in 10 libri per complessive 534 carte, databile al 1560 (Ronchini, 1864, P.XXXVII n.32), il cosiddetto "codice Perreau", risulta oggi disperso (cfr. Perreau, 1863, che ne pubblica uno stralcio, e Adorni, 1982, pp. 258 ss.). Molti capitoli sull'architettura civile, uniti al trattato di architettura militare vero e proprio, si trovano nell'ultimo dei manoscritti conosciuti (Biblioteca nazionale di Firenze), compiuto dal D. intorno al 1571 (Promis, 1841, p. 117). t un codice cartaceo rilegato in vacchetta, recentemente restaurato, intitolato Trattato di architettura militare e segnato Fondo Nazionale II.I.277-280 (ex Magl., cl. XVII, cod. 3), composto di tre tomi di testo, in folio reale (v. Venturi, 1816, pp. 30 ss. per i confronti con l'edizione a stampa) e di un quarto pure in folio (280), un atlante che raccoglie le piante acquarellate di varie città italiane e straniere. Studi recenti hanno dimostrato che l'attribuzione dei disegni al D. va esclusa (Lamberini, 1980; [1984], 1988), anche se su di essi si era basata, sostanzialmente, la fama dei De Marchi. L'atlante viene registrato nella Guardaroba Medicea come Libro di fortificazioni del capitano Francesco Marchi... ma ciò indica che era di proprietà e non disegnato dal D. (Archivio di Stato di Firenze, Guardaroba Medicea, f.79, c. 201; f. 97, c. 262). In realtà le tavole sono di mano di G. B. Belluzzi (cfr. Diz. biogr. d. Italiani, ad vocem, e Lamberini, 1980, p. 388) mentre quelle dell'altro codice II. I. 281, attualmente attribuito al D., Piante di fortezze italiane e straniere, sono invece attribuibili al pisano Matteo Neroni che compì il lavoro nel 1602 a Roma (cfr. Vari den Huevel [1984-85], 1989; Lamberini [1984], 1988; Collezionismo e patronato..., 1989).

Tra il 1788 e il '93 l'intera opera conosciuta del D. fu fatta copiare "a spese del sacerdote Francesco Calzoni", bolognese, ultimo discendente per linea femminile della famiglia De Marchi. Il lavoro di eccellente fattura, composto di quattro volumi di testo e un atlante, è conservato presso la Biblioteca comunale dell'Archiginnasio a Bologna. I primi tre tomi di testo, in folio reale, segnati B 1563-1565 (ex 17.0.I.2-4), sono copia fedele dell'edizione a stampa del 1599. Il quarto tomo, in folio segnato B 1566 (ex 17.0.I.5), di complessive 215 cc., è la copia del codice della Magliabechiana fiorentina che, per un lapsus calami, e detta Laurenziana, a esclusione delle parti stampate; inoltre dalla c. 68 alla fine è riportato un Trattato di architettura militare attribuito al D., ma che risulta invece essere il Trattato delle fortificazioni di terra di Giovanni Battista Belluzzi, semplicemente posseduto dal D. e quindi recante la sua firma (Lamberini, 1980, pp. 487 s. e passim). Infine, l'atlante, segnato B 4363 (ex B 1566 II, ex 17. QF . I.7), disegnato a penna con rara maestria "dall'egregio giovine Giuseppe Maria Stanzani, muto", cartaceo in folio oblungo di 205 cc., riporta, oltre alle 161 tavole del trattato a stampa nell'edizione del 1599, le 28 tavole del piccolo trattato del 1577 con i due labirinti e il ritratto del De Marchi. La copia ordinata dal Calzoni risulta particolarmente preziosa in quanto, essendo andati perduti in una rilegatura della fine del Settecento gli ultimi 31 capitoli del libro II e i primi 63 del libro III del codice Magliabechiano, troviamo ricopiate queste parti nel ms. B 1566, cc. 160v e ss.

Infine, a testimonianza di una crescente fortuna e per porre rimedio a una presunta carenza di copie (la rarità era stata, secondo i sostenitori sette-ottocenteschi del D., prodotta ad arte dagli oltramontani che, per nascondere i loro plagi, avevano cercato di far sparire dal mercato quante più copie potevano dell'opera), nel 1810 l'architetto L. Marini aveva curato una ristampa del trattato, edita a Roma presso Mariano De Romanis e figli, in cinque volumi in folio reale dal formato gigante, che furono naturalmente dedicati "alla Maestà di Napoleone I". L'opera risultò degna di tale personaggio, soprattutto le tavole, magnificamente incise alla moderna da G. B. Cipriani e P. Ruga fra il 1805 e il 1808; ma, non avendo voluto tener conto il Marini del manoscritto appena ricopiato, offertogli dall'abate Calzoni, risulta meno completa di quanto avrebbe potuto essere.

La pubblicazione del trattato dei D. a oltre un ventennio dalla morte, quando erano ormai ovvie o superate le più moderne "invenzioni" lì raccolte, passò sotto silenzio anche per il suo contenuto essenzialmente teorico, e la scarsa possibilità di rendere esecutivi i disegni, bellissimi, ma tutti a grande scala e sprovvisti di particolari costruttivi. Manoscritto e disegni, sfuggiti al loro autore, avevano influenzato più o meno pesantemente vari ingegneri militari, soprattutto nordeuropei. Per il trattato di Giovanni van Schille, per es., pubblicato ad Anversa nel 1580, si può parlare di scoperto plagio (Marini, 1810, I, p. 31). Più interessante ancora è il caso di Daniel Specklin (1536-1589), il fondatore della fortificazione alla moderna nei paesi di lingua tedesca. Lo sta a dimostrare un gruppo di 39 disegni, conservati alla Wúrttembergische Landesbibliothek di Stoccarda, recanti l'iscrizione "Franciscus de Marchis Bononiensis Author Danieli Specklini Arg [entiniensis] Faciebat" (Neumann, 1984-85, p. 65): l'ambiguità della dedica latina può far supporre che si tratti di copie di disegni del D. eseguite dallo Specklin.

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