ESTE, Francesco d'

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

ESTE, Francesco d'

Gianluca Battioni

Appartenente alla antica e cospicua famiglia feudale, nacque, ignoriamo esattamente quando, dal marchese Obizzo (II), signore di Ferrara e di Modena, e dalla prima moglie di questo, Giacomina Fieschi (sposata nel 1263). Nel 1282 il padre gli fece donazione delle terre che possedeva nei territori di Padova e di Vicenza: l'atto, compiuto per sopire alcune contese con i Padovani, non ebbe peraltro adempimento.

Nel 1293, alla morte del padre (21 febbraio), che nel testamento del 28 giugno 1282 gli aveva legato 50.000lire di veneziani piccoli ipotecando Rovigo e il suo contado, l'E. appoggiò nella successione il fratello Azzo (VIII), contro le pretese dell'altro fratello Aldobrandino (II), il quale aspirava alla signoria su Modena e poteva contare sul sostegno dei Padovani e degli Scaligeri, cui aveva - contravvenendo ad una precisa convenzione stipulata con l'E. e con Azzo (VIII) il 4 apr. 1293 - promesso la cessione dei suoi diritti su Lendinara e su altre terre. Tuttavia l'atteggiamento dell'E. nei confronti di Azzo (VIII) mutò radicalmente nel 1305, quando il signore di Ferrara, di Modena e di Reggio sposò in seconde nozze Beatrice d'Angiò, figlia del re di Napoli Carlo II, e stabilì che suoi eredi nel governo dell'intero complesso dei domini estensi sarebbero dovuti essere i figli natigli da quell'unione. L'E., che aveva nutrito e nutriva aspirazioni alla successione, si ribellò al fratello e, spalleggiato da Padova, si rinchiuse in Lendinara, dove resistette per un anno agli attacchi delle truppe lealiste.

Costretto ad abbandonare Lendinara per il tradimento di Albertuccio Zacco, continuò la sua lotta contro Azzo (VIII) non solo compiendo pericolose incursioni nel territorio di Ferrara, ma dirigendo e coordinando le trame e le attività eversive degli esuli e degli sbanditi ferraresi e modenesi, dei Rangoni, dei Boschetti, dei Savignano, e d'intesa con i Comuni di Parma, di Bologna, di Brescia, e con i signori di Mantova e di Verona. Infatti quando queste potenze, preoccupate r;er l'aumento della forza di Azzo (VIII) costituirono all'inizio del 1306 una grande coalizione contro di lui, anche l'E. vi aderì insieme con i fuorusciti di Reggio e quelli di Modena. Anch'egli ebbe parte nel "parlamento" convocato da Guido Bonacolsi a Modena e negli accordi stipulati l'11 e il 15 di gennaio. La lega, che si definì "Societas filiorum sacrosantae Romanae Ecclesiae", venne confermata a Bologna l'11 febbraio.

La rivolta di Modena, nel corso della quale venne fatto prigioniero Fresco d'Este, il figlio illegittimo di Azzo (VIII) che era accorso in difesa della Città (26 gennaio), l'insurrezione di Reggio (27 gennaio) e l'occupazione di Reggiolo (Reggio Emilia) da parte di Guido Bonacolsi rappresentarono i primi successi della lega. Nel luglio gli eserciti alleati, sotto il comando del Bonacolsi e di Alboino Della Scala, invasero i domini estensi, conquistando un certo numero di fortezze, tra cui Ficarolo (Rovigo). La campagna si concluse nell'ottobre, con la presa di Bergantino.

La lega fu rinnovata il 16 marzo 1307, nel castello di Suzzara; ad essa accedettero, il 10 aprile, anche i signori di Ravenna. La seconda fase della guerra, che vide nell'agosto i contingenti parmensi e quelli mantovani porre al sacco il territorio di Cremona, alleata ad Azzo (VIII) e nel settembre la conquista di Ostiglia da parte del signore di Ferrara e la distruzione della flotta fluviale mantovana a Serravalle, fu interrotta dalla morte di Azzo (VIII), agli inizi del nuovo anno. Fresco d'Este, che ne raccolse l'eredità politica, si affrettò, infatti, a concludere una pace con Guido Bonacolsi e con Alboino Della Scala, alla quale finirono con l'accedere anche le altre potenze della lega.

Il giorno stesso della morte di Azzo (VIII), avvenuta in Este il 31 genn. 1308, l'E., che si era riconciliato con lui ed era stato presente ai suoi ultimi momenti, si accordò con il fratello Aldobrandino (II) sulla divisione di tutti i beni mobili ed immobili già appartenuti al loro padre. Poiché Azzo (VIII) non aveva lasciato discendenti legittimi, l'E. ebbe buon gioco nel contestare, insieme con Aldobrandino (II) il testamento del defunto, che istituiva come erede universale l'ancora minorenne Folco (II) d'Este, figlio di Fresco e della moglie di quest'ultimo, Pellegrina Caccianemici. Contro di lui inoltre, sempre d'accordo con Aldobrandino, interpose appello ad Avignone, presso il papa Clemente V, per reclamare i propri diritti su Ferrara; e quando Fresco, grazie all'aiuto dei Bolognesi, entrò in Ferrara ed assunse il potere come padre e reggente del nuovo signore, l'E. si ribellò al fatto compiuto, attaccando con successo alla Fratta le truppe di Fresco, occupando Rovigo e il suo Polesine, e alleandosi, per continuare la lotta, con Bernardino e con Lamberto da Polenta, signori di Ravenna. Per parte sua Fresco d'Este chiese aiuto alla Repubblica di S. Marco, con la quale fu largo di concessioni (10 agosto), tanto da provocare la rivolta della stessa Ferrara, capeggiata da Giacomo Bocchimpani e che venne duramente repressa.

Deciso a ristabilire l'ordine e a riaffermare la sua autorità su Ferrara, era nel frattempo intervenuto nella contesa papa Clemente V, che aveva inviato in Italia due suoi legati con alcune truppe. Ad essi si affiancarono, con i propri armati, sia l'E. sia Lamberto da Polenta. Le forze congiunte posero quindi l'assedio a Ferrara, che resistette sino alla notte del 5 di agosto, quando la popolazione, esausta, aprì loro le porte. Entrando, i legati pontifici proclamarono di prendere possesso della città e del suo distretto in nome di Clemente V e della Chiesa. Fu un successo effimero, per l'E. e per i suoi alleati. Ben presto infatti essi si trovarono a dover fronteggiare le manovre eversive e, sul piano militare, gli attacchi diretti promossi dai Veneziani, attestatisi nella fortezza di Castel Tedaldo, nel settore meridionale delle mura, e padroni del Borgo Superiore, del ponte sul Po e della torre posta al di là del fiume, da quando Fresco d'Este, vistosi alle strette, aveva rinunziato, in cambio di un cospicuo vitalizio, al castello e alle sue stesse ragioni su Ferrara in favore della Repubblica di S. Marco e si era trasferito nella città lagunare (10 ottobre).

Il 27 novembre Ferrara si accordò col governo della Serenissima accettando - in cambio del riconoscimento dell'indipendenza - di ricevere dalla Dominante il podestà e di riammettere quanti erano fuorusciti o erano stati sbanditi perché ghibellini o perché avversi agli Estensi. Anche i nunzi pontifici si videro costretti a scendere a patti, e stipularono con Venezia un trattato di Pace, che venne firmato il 10 dicembre e che riconosceva alla Serenissima il possesso dei Castel Tedaldo e del borgo di S. Marco, la facoltà di erigere forti e il diritto di imporre il podestà. Erano le premesse per una totale e definitiva conquista. Clemente V sconfessò l'operato dei due legati, affermando che essi avevano oltrepassato i limiti dei loro mandato. Minacciò inoltre di colpire la Repubblica di S. Marco con le più gravi censure religiose, se non avesse rinunziato ai suoi progetti su Ferrara. Poiché Venezia non si curò di rispondere, il papa emise il 27 marzo 1309 una bolla in cui lanciava l'interdetto sulla città lagunare e la scomunica sui suoi abitanti. Ai Veneziani sarebbe stata negata ogni dignità ecclesiastica o secolare fino alla quarta generazione; a chiunque era dato il potere di renderli schiavi e di confiscare i loro beni. Clemente V inviò quindi contro Venezia, Come cardinale legato, un suo parente, Ainaud Pelagrue, con un corpo d'esercito. Le ostilità riarsero.

Giunto in Italia, Ainaud Pelagrue pubblicò la scomunica e bandì la crociata contro Venezia. Accorsero al suo richiamo armati dall'Emilia, dalla Lombardia, dalla Toscana. Si allearono a lui Bologna, Firenze ed alcuni Comuni lombardi. Anche l'E. gli dette tutto il suo appoggio i partecipando con i suoi alla spedizione. Il Comune stesso di Ferrara, di fronte a tali preparativi, dichiarò di dissociarsi dalla Serenissima. Venezia rimase sola, e contro di essa, isolata, Ainaud Pelagrue entrò decisamente in campagna. Le operazioni militari si conclusero rapidamente con una sanguinosa disfatta della flotta veneziana sul Po, disfatta dovuta in buona parte al valore e all'abilità dell'E. (28 ag. 1309). Vittorioso, l'Estense poteva rientrare nella sua città, dove venne ristabilito il dominio della Sede apostolica.

Il ritorno di Ferrara sotto la sovranità del pontefice, decretato dal Consiglio maggiore, venne sanzionato dal giuramento di fedeltà prestato, contrada per contrada, tra il 5 e il 28 marzo 1310, da 3.500 tra cittadini forestieri, ed ebrei - con ogni probabilità i capi famiglia e gli aventi tutela di donne o di minori. Giurarono anche alcuni membri della famiglia degli Este. Ad onta di questo apparente consenso generale, tuttavia, il nuovo regime non riuscì a pacificare la città. Non fu, infatti, in grado di comporre i contrasti tra le fazioni interne, di reprimere le opposìzioni, di ristabilire l'ordine pubblico, che continuò ad essere turbato da sommosse e tumulti, provocati ora anche dai soprusi e dalle ingiustizie compiute dai nuovi padroni. D'altro canto, la presenza e l'attività in Ferrara dell'E. e di altri esponenti della sua famiglia destavano nelle autorità inquietudini e sospetti. Infatti, poiché Clemente V aveva preferito assumere direttamente, attraverso suoi rappresentanti e milizie al suo servizio, il governo e la difesa della città anziché restituirli agli Este, sì temeva che questi ultimi, e in particolare l'E., in quel momento il membro più serio ed attivo della casata, potessero manovrare in modo da restaurare - magari con un atto di forza appoggiato dall'esterno - la loro signoria.

In realtà l'E., per quanto ci è dato sapere, non si spostò dalla linea di lealismo nei confronti del pontefice e della Sede apostolica da lui assunta dopo la morte di Azzo. Seppure aspirò a raccogliere l'eredità politica di suo padre e, con essa, la signoria su Ferrara, nulla fece per ottenerla contro la volontà del papa o in contrapposizione con gli indirizzi della sua amministrazione. In quest'ottica, pertanto, vanno visti e valutati il suo comportamento ed i suoi interventi nella vita ferrarese successivi al ritorno alla sovranità della Chiesa, a cominciare dall'assenso da lui dato all'esecuzione dei suoi concittadini compromessisi con i Veneziani. Nel luglio del 1310, insieme con i nipoti Rinaldo ed Obizzo (III) d'Este, venne in soccorso dei pontifici, sopraffatti e costretti a rinchiudersi nel Castel Tedaldo da una insurrezione popolare. Represse il moto, senza trarne occasione per sostituirsi alle legittime autorità. Allo stesso modo si contenne pochi mesi dopo, quando nel novembre respinse un colpo di mano tentato da una coalizione di fuorusciti. Nel 1312 militò nelle file dei guelfi contro l'imperatore Enrico VII.

Ad onta di ciò, i sospetti delle autorità nei suoi confronti non vennero meno, anzi aumentarono, forse a causa della sua sempre crescente popolarità. Traendo motivo da una voce, secondo la quale l'E. stava organizzando una congiura per impadronirsi della città, il rettore di Ferrara e capitano generale della Chiesa Dalmau de Bonyuls decise di liberarsi per sempre dell'ingombrante personaggio. Perciò, approfittando del fatto che l'E. era uscito dalla città per partecipare ad una partita di caccia, il 23 ag. 1312 dette l'ordine di chiudere le porte della cinta muraria e di arrestarlo, al suo ritorno, sotto l'accusa di alto tradimento. Quando si presentò sotto le mura di Ferrara per rientrare e si sentì riferire dalle forze dell'ordine le disposizioni prese nei suoi confronti dal rettore, l'E. si rifiutò di obbedire: ne nacque una violenta zuffa, nel corso della quale egli venne sopraffatto e ucciso, nonostante si fosse battuto con strenuo vigore. Il suo corpo inanimato venne abbandonato sulla strada.

Dall'accusa di alto tradimento l'E. venne successivamente scagionato, con sentenza del 18 nov. 1313, dalla commissione d'inchiesta nominata dal nuovo vicario pontificio in Ferrara, il re di Napoli Roberto d'Angiò, per far luce sulla tragica vicenda. Riconosciutolo innocente, la commissione provvide anche a far restituire ai figli dell'E. i beni della famiglia, che erano stati confiscati.

L'E. aveva sposato, ignoriamo quando, Orsina di Bertoldo Orsini, sorella della prima moglie di Azzo (VIII) d'Este, Giovanna. Da Orsina aveva avuto quattro figli: Azzo, che sposò Rizzarda da Camino e morì nel 1317; Bertoldo, poi signore di Ferrara dal 1317 al 1343; Iacopina, in seguito andata sposa ad Enrico Scrovegni; Giovanna, che sarebbe divenuta la consorte di Simone Guidi, conte di Battifolle.

Fonti e Bibl.: Chronicon Estense cum additamentis usque ad annum 1478, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XV, 3, a cura di G. Bertoni - E. P. Vicini, pp. 56, 63 s., 68 s., 74, 78, 81; Fratris Iohannis Ferrariensis Ex annalium libris illustris familiae marchionum Estensium excerpta, ibid., XX, 2, a cura di L. Sìmeoni, pp. 12 s., 15; Th. E. Mommsen, Italienische Analekten zur Reichsgeschichte des 14. Jahrhunderts (1310-1378), Stuttgart 1953, pp. 28, 40; L.A. Muratori, Antichità estensi, II, Modena 1740, pp. 35 ss., 39, 48 ss., 67-71; G. Tiraboschi, Memorie storiche modenesi..., II, Modena 1793, pp. 150 ss.; A. Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, III, Ferrara 1850, pp. 240-244, 248, 250-259, 262 s.; G. Soranzo, La guerra fra Venezia e la S. Sede per il dominio di Ferrara (1309-1313), Città di Castello 1905, pp. 59, 64-72, 82, 87-90, 170-175; E. P. Vicini, Notizie sul primo castello degli Estensi in Modena, in Studi e documenti della R. Deput. di storia patria per l'Emilia e la Romagna, sezione di Modena, I (1937), pp. 82 s.; L. Chiappini, GliEstensi s.n.t. [ma Milano 1967], pp. 58-62; Storia di Ferrara, a cura di A. Vasina, V, s.n.t. [ma Padova 1987], pp. 178-181, 200-205; W. L. Gundersheimer, Ferrara estense. Lo stile del potere, Ferrara-Modena s.d. [ma 1988], pp. 24 s., 34; T. Dean, Land and power in late medieval Ferrara. The rule of the Este, 1350-1450, Cambridge 1988, pp. 18, 51; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, Milano 1819, sub voce Este, tav. IX.

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