FRANCESCO d'Accorso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)

FRANCESCO d'Accorso (Franciscus Accursii, Franciscus Accurtii)

Daniela Novarese

Figlio primogenito del celebre giurista e della sua prima moglie, della quale non è noto il nome, nacque a Bologna nel 1225. Emancipato dal padre "congrua aetate" secondo la testimonianza che ne dà Bartolo da Sassoferrato (In secundam Infortiati partem Commentaria, Venetiis 1615, c. 122v), sappiamo per sua stessa dichiarazione che fu, al pari dei fratelli Guglielmo e Cervotto, studente di diritto presso la schola paterna. Sotto la guida del padre compì un eccezionale percorso culturale e formativo, quasi naturalmente culminante con l'ingresso nelle scuole bolognesi. Non ci è nota la data del suo dottorato, da fissarsi con buon margine di approssimazione intorno agli anni Cinquanta del sec. XIII, tuttavia è certo che egli risulta attivo presso lo Studium bolognese, in qualità di lettore di ius civile nel 1256 e, secondo un'attendibile tradizione, forse ancor prima di quella data. Nel 1259 il nome di F. compare, insieme con quello del padre e del giovane fratello Cervotto, nella matricola della società dei Toschi. Dopo la morte del padre (1260) e la scomparsa della seconda moglie di questo, Aichina (1265), F. accolse in casa il fratello minore Corsino impegnandosi a provvedere alla sua educazione.

Nel 1273 si apriva una lunga pausa nella sua attività didattica. In quell'anno, infatti, avvenne, per circostanze legate alla presenza del sovrano inglese in Romagna, l'incontro fra F. ed Edoardo I d'Inghilterra, che doveva tenerlo lontano dalla sua città natale per circa otto anni. Infatti, dopo aver provveduto a sistemare i suoi affari personali e patrimoniali (come testimoniano il testamento redatto alla fine del luglio 1273 e la vendita di alcuni beni), egli appare, fra il 1274 e fino al 1281, in qualità di consigliere e di segretario di Edoardo, impegnato in delicate missioni presso la corte francese e presso il papa Niccolò III (1278), mentre non abbiamo notizie certe relative a una sua attività di insegnamento in Inghilterra.

La partenza al seguito di Edoardo sottraeva F. al riacutizzarsi delle tensioni politiche che si andavano agitando all'interno della città. Nel 1274, infatti, i suoi fratelli erano costretti ad abbandonare Bologna a causa delle lotte fra le avverse fazioni dei Geremei e dei Lambertazzi, che avevano visto la famiglia di F. parteggiare per questi ultimi, ed egli stesso, benché assente, veniva condannato all'esilio. Pare che in quel delicato frangente F. chiamasse in Inghilterra la moglie Aichina di Nevi Raniero e i figli, probabilmente col proposito di sottrarli a minacciati pericoli (Fantuzzi, p. 43 n. 8).

F. rientrò definitivamente a Bologna, dopo la lunga parentesi inglese, nel 1282, come dimostra la sua presenza, in quell'anno, fra i dottori iscritti al Consiglio cittadino, avendo però giurato "partem Ecclesiae homagium et fidelitatem in Romana Curia" nelle mani del papa Martino IV e ribadito la sua fedeltà alla Chiesa nel 1286. Probabilmente agli anni immediatamente successivi al suo rientro in patria è da ascriversi la morte della moglie Aichina e le seconde nozze con Arengarda de Aldigheriis, che appare sua sposa in un documento del 1288. Il ritorno a Bologna coincideva, inoltre, con la ripresa dell'insegnamento presso lo Studium, attività che lo occuperà fino alla morte, avvenuta nella città natale nel 1293 (il 31 maggio di quell'anno aveva dettato il suo testamento). F. venne sepolto nella chiesa di S. Francesco, nello stesso sarcofago che conteneva le spoglie mortali del celebre padre.

Dal testamento innanzi ricordato sappiamo che gli sopravvisse, unica fra i figli, Dota, sposa di Diotalevo da Loiano e madre di Francesco, al quale egli lasciava in legato alcuni libri.

La figura e l'opera di F. appaiono, inevitabilmente, legate a quelle del padre e, in parte, condizionate da esse. È certo che non dovette godere di grandi simpatie fra i suoi contemporanei, né fra i suoi studenti. Se è infatti nota la terzina con la quale Dante lo ricorda nell'Inferno fra i sodomiti ("Priscian sen va con quella turba grama e Francesco d'Accorso anche", XV, 109 s.), altrettanto note sono le invettive che gli venivano rivolte dal mondo studentesco che accusava F., al pari del genitore, di prestare denaro a usura agli allievi. Un reato gravissimo, seppure assai diffuso fra i doctores legentes, del quale F. chiedeva ed otteneva (a nome suo e del padre) indulgenza al pontefice Niccolò IV nel 1291. Che l'accusa avesse un fondamento è testimoniato dalla documentazione pervenutaci che ci porta a conoscenza di un gran numero di mutui contratti da studenti, soprattutto stranieri, nei confronti di Francesco.

Anche la sua attività accademica e la sua produzione scientifica dovevano, inevitabilmente, dar adito a critiche o, comunque, suscitare osservazioni. La tradizione vuole che, fermatosi a Tolosa (o a Orléans secondo altri) durante il lungo viaggio che doveva condurlo in Inghilterra, alcuni scolari gli chiedessero di trattenersi presso di loro per ascoltarlo. Fra questi, sotto mentite spoglie, il celebre giurista Jacques de Révigny, che non perdeva occasione di metterlo in difficoltà con imbarazzanti questioni. L'episodio, ricordato da Cino da Pistoia (Cyni Pistoriensis in Codicem Commentaria, II, Francofurti ad Moenum 1578, c. 460rb) appare estremamente significativo, soprattutto se confrontato con l'altrettanto celebre pubblica rixa, che avrebbe visto coinvolti F. e Dino del Mugello, lettore e suo collega, nella quale l'uno sosteneva la validità di una glossa del padre, l'altro, insofferente all'autorità di Accorso, una posizione contraria. In ambedue i casi, infatti, F. non sembra essere attaccato per posizioni personali ma in quanto difensore, oltre ogni limite, dell'opera paterna. Non diversamente il Diplovataccio scrive che F., per sua stessa ammissione, "fuit contra jurisconsultos bononienses" (p. 159).

Del suo lungo magistero rimangono poche tracce. Alcune quaestiones, che probabilmente F. disputò pubblicamente, com'era uso negli Studia medievali, legate a temi di vita quotidiana (come quella che si legge nel ms. 109, c. 233rb, del Collegio di Spagna di Bologna, in tema di eredità) o, anche al mondo universitario, come la quaestio documentata dal ms. della Bibl. apost. Vaticana, Arch. S. Pietro, A. 29, n. LXVIII ("Quidam scolaris in civitate Bononie commisit adulterium…"). Il Savigny (p. 321) ricorda, inoltre, due quaestiones conservate manoscritte (Parigi, Bibl. nat., Fonds Lat. 4489).

Il ms. della Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 2411, alla c. 112rab, conserva un "Conscilium [sic] d. Francischi legum doctoris", apposto a chiarimento del tit. "de exercitoria accione" (D.14.1) e riprodotto con poche varianti nel ms. Vat. lat. 8069, c. 220rv.

Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca del Collegio di Spagna, ms. 83, c. 226v; ms. 109, c. 233rb; ms. 285; Arch. segr. Vaticano, Reg. Vat. 46, ep. CCCCLIV; Bibl. apost. Vaticana, ms. Vat. lat. 1428; Vat. lat. 1429, cc. 39vab, 204va; Vat. lat. 1430, c. 181vb; Vat. lat. 1598; Borgh. 374 (i mss. qui segnalati contengono alcune brevi glosse opera di F.); Chartularium Studii Bononiensis, V, Bologna 1921; VII, ibid. 1923; VIII, ibid. 1927; X, ibid. 1931; XI, ibid. 1937; XIV, ibid. 1981; XV, ibid. 1988, ad Indices; Th. Diplovatatii Liber de claris iuris consultis, pars posterior, a cura di F. Schulz - H. Kantorowicz - G. Rabotti, Bononiae 1968, pp. 158-161; A catalogue of canon and Roman law manuscripts in the Vatican Library, a cura di S. Kuttner - R. Elze, II, Città del Vaticano 1987, p. 85; I codici del Collegio di Spagna di Bologna, a cura di D. Maffei, Milano 1992, pp. 248, 285, 343; M. Poccianti, Catalogus scriptorum Florentinorum omnis generis, Florentiae 1589, pp. 56 s.; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, I, Bologna 1781, pp. 41-46; G. Mazzuchelli, Le vite d'uomini illustri fiorentini scritte da F. Villani…, Firenze 1826, p. 108; C.F. von Savigny, Die Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, V, Stuttgart 1850, pp. 306-322; E. Orioli, Libri lasciati in eredità da F., in Il Bibliofilo, XI (1890), pp. 55 ss.; M. Sarti - N. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus a saec. XI usque ad saec. XIV, I, Bononiae 1888, pp. 193-203; II, ibid. 1896, p. 70; H. Kantorowicz, Accursio e la sua biblioteca, in Riv. di storia del dir. ital., II (1929), pp. 40, 54, 58 s.; A. Era, Un trattato disperso di F., in Studi e mem. per la storia dell'Università di Bologna, XI (1933), pp. 1-24; W. Senior, Accursius and his son Franciscus, in Law quartely Review, LI (1935), pp. 513-516; G.L. Haskins, Three English documents relating to Francis Accursius, ibid., LIV (1938), pp. 87-94; Francis Accursius. A new document, in Speculum, XIII (1938), pp. 76 s.; G.K. Haskins - H. Kantorowicz, A diplomatic mission of Francis Accursius and his oration before pope Nicholas III, in English historical Review, LVIII (1943), pp. 424-447; P. Fiorelli, Accorso, in Diz. biogr. degli Italiani, I, Roma 1960, p. 117; U. Gualandi, Un gustoso episodio della vita di Accursio, in Atti del Convegno internaz. di studi accursiani, II, Milano 1968, p. 471; P. Colliva, Documenti per la biografia di Accursio, ibid., pp. 395, 397, 399 s., 452 s.; F. Sinatti D'Amico, Strumenti di lavoro vecchi e nuovi, ibid., pp. 536 s.; U. Nicolini, I giuristi postaccursiani, ibid., p. 876; A. Romano, Aspetti dell'insegnamento giuridico nelle università medievali. Le "quaestiones disputatae", Reggio Calabria 1975, pp. 8, 53, 66, 100, 104, 106 s., 143, 195, 220; O. Ruffino, Cervotto d'Accorso, in Diz. biogr. degli Italiani, XXIV, Roma 1980, p. 115; P.L. Falaschi, Corsino d'Accorso, ibid., XXIX, ibid. 1983, pp. 685 s.; M. Bellomo, Società e istituzioni in Italia dal Medioevo agli inizi dell'età moderna, Catania 1982, p. 442; F. d'Accursio, in Novissimo Digesto ital., VII, p. 623.

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