COSSIGA, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani (2014)

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COSSIGA, Francesco

Umberto Gentiloni Silveri

Nacque a Sassari il 26 luglio 1928, secondogenito di Giuseppe e di Mariuccia Zanfarino. Venne battezzato con il nome del nonno paterno. Ebbe una sorella, Maria Antonietta, morta nel 2004.

Dalla nativa Sardegna sviluppò attenzioni e interessi verso l’impegno politico: un coinvolgimento crescente che lo condusse fino al vertice più alto delle istituzioni. Una parabola complessa che ha attraversato, con brevi interruzioni, diverse stagioni del lungo dopoguerra. Protagonista influente di oltre mezzo secolo di storia dell’Italia repubblicana, fedele alla convinzione del primato della politica come «categoria principale del mio essere e del mio pensare» (Cossiga, 2000, p. 2) in una sorta di missione totalizzante dalla quale non si discostò neppure dopo cocenti battute d’arresto e aspre critiche al suo operato: «Ancora oggi, nel segno di san Tommaso, ritengo la politica la più alta delle attività umane, perché ha come oggetto il bene della comunità e naturalmente, come tutte le cose più alte, è quella che si può più grandemente corrompere. Infatti la corruzione della politica è una delle più alte forme di corruzione» (p. 5).

Nel 1960 sposò Giuseppina Sigurani (nata a Sassari nel 1937) dalla quale ebbe due figli: Anna Maria (Sassari, 1961), docente di antropologia culturale presso le università Link Campus e Guglielmo Marconi di Roma, e Giuseppe (Sassari, 1963) ingegnere aeronautico, eletto alla Camera dei deputati nelle liste di Forza Italia (XIV e XV Legislatura) e in quelle del Popolo della Libertà (XVI Legislatura), sottosegretario di Stato alla Difesa (8 maggio 2008 - 16 novembre 2011) nel IV governo Berlusconi.

Il matrimonio con Giuseppina Sigurani si concluse nel 1993 con la separazione, seguita dal divorzio (1998) e dall’annullamento da parte del Tribunale della Rota romana (2007).

Le origini

Francesco Cossiga crebbe in un ambiente colto e benestante. Il padre discendeva da una famiglia di modesti proprietari terrieri di lontane origini corse, ma profondamente radicati nel tessuto sociale, culturale ed economico sardo. Il bisnonno paterno, Gavino, raggiunse una certa notorietà pubblicando diversi sonetti e un catechismo in lingua sarda. Giuseppe Cossiga si laureò in legge e divenne direttore generale dell’Istituto di credito agrario per la Sardegna (Icas); antifascista e anticlericale, figlio di un medico condotto, che era stato maestro elementare e segretario comunale, fu un militante di punta del Partito sardo d’azione, consigliere comunale e assessore ai lavori pubblici. Nel 1921 sposò Mariuccia Zanfarino, fervente cattolica, benché proveniente da una famiglia di tradizioni radicali e massoniche. Suo padre, Antonio, era anch’egli medico, noto oculista e ricco possidente. Fu esponente del Partito radicale prima di confluire nella maggioranza giolittiana, presidente del Consiglio provinciale fino all’avvento del fascismo, nonché fratellastro di Giovanni Loriga, nonno materno del futuro segretario del Partito Comunista Italiano (Pci), Enrico Berlinguer.

Cossiga frequentò le elementari in una scuola privata. A dieci anni si iscrisse al ginnasio inferiore (l’attuale prima media) presso il liceo classico Azuni dove studiarono Palmiro Togliatti, Antonio Segni ed Enrico Berlinguer. Conseguì la maturità a sedici anni da privatista. Carattere inquieto, alternò fasi di entusiasmo per lo studio a momenti di crisi e solitudine; si ritirava spesso in corso d’anno, annoiato dalla routine scolastica per dedicarsi alla lettura e a una sala giochi nella sua abitazione, fornita di raffinate macchine senza fili e radiotrasmittenti di fabbricazione tedesca. Il passaggio all’università risultò complesso e accidentato: prima l’Università di Sassari, poi la Cattolica di Milano (sostenne il solo esame di diritto economico), una parentesi a Pisa, infine il ritorno alla facoltà di giurisprudenza dell’Ateneo sassarese, dove si laureò a venti anni con il massimo dei voti e la dignità di stampa discutendo la tesi dal titolo Le immunità nel diritto penale.

Divenne quindi avvocato patrocinante in Cassazione e si dedicò allo studio del diritto costituzionale. Grazie a borse di studio e di perfezionamento riuscì a frequentare l’Istituto di diritto costituzionale italiano e comparato di Roma, sotto la guida di Carlo Esposito e Giuseppe Capograssi, suo maestro, con il quale costruì un rapporto di assidua frequentazione culturale e spirituale.

Il 31 gennaio 1951 fu nominato assistente volontario alla cattedra di diritto costituzionale della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Sassari, ricoperta dal professor Giuseppe Guarino, cui rimase legato. A questo periodo appartengono i primi contributi di una modesta produzione scientifica, tra gli altri uno scritto pubblicato nel 1950 sulla rivista Rassegna di diritto pubblicoI membri dei Consigli regionali godono della inviolabilità parlamentare; l’articolo Diritto di petizione e diritti di libertà, apparso nel 1951 su Il Foro padano; il volumetto Osservazioni sulla competenza della Regione Sarda in materia di credito (1952) concepito negli anni in cui Cossiga era consigliere di amministrazione dell’Icas, e il saggio Note sulla libertà di espatrio e di emigrazione (1953). Insegnò diritto costituzionale dal 1954 al 1969, acquisendo la libera docenza nel 1959. Dal 1969 al 1970 tenne il corso di storia delle istituzioni giuridiche ed economiche della Sardegna e, successivamente, quello di diritto costituzionale regionale. Nel 1974, dopo la prima nomina a ministro si mise in aspettativa dal mondo accademico.

Dall’associazionismo alla politica, dal partito al governo

Impegnato sin dall’adolescenza nell’associazionismo cattolico, diede vita a un circolo giovanile di preghiera e meditazione ribattezzato Il Cenacolo. Militò nell’Azione cattolica, di cui fu dirigente diocesano e regionale, e nella Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci), in qualità di rappresentante nel circolo di Sassari prima, e poi nel Consiglio nazionale.

La scelta più importante avvenne nel 1945, quando decise di iscriversi alla Democrazia Cristiana (Dc). Due anni dopo partecipò a un nucleo sassarese di sostenitori della rivista dossettiana Cronache sociali. Nel marzo 1956 fu protagonista della rivolta dei ‘Giovani turchi’, culminata nella vittoria al congresso provinciale della Dc a scapito dei notabili del partito. Divenne segretario provinciale del partito, entrando nel Consiglio nazionale in una lista collegata ad Amintore Fanfani in occasione del VI congresso (ottobre 1956). Fu eletto consigliere e capogruppo in Comune, dove rimase fino al 1966.

La prima elezione alla Camera dei deputati nelle liste della Dc risale al 25 maggio 1958 nella circoscrizione Cagliari, Sassari e Nuoro. Partecipò ai lavori della VI Commissione (Finanze e tesoro); fu membro della VII Commissione (Difesa) e della Giunta del regolamento. Alla crisi del gruppo fanfaniano seguì una nuova articolazione interna alla Dc: Cossiga partecipò alla fondazione della corrente dorotea (marzo 1959).

Confermato nella legislatura successiva, entrò a far parte del comitato direttivo del gruppo parlamentare della Dc (luglio 1963 - dicembre 1966). Rimase distante da incarichi propriamente di partito, senza un riferimento a correnti interne o gruppi a lui affini mostrandosi pronto a modificare interlocutori e referenti a seconda del contesto e delle convenienze del momento.

Nello scorcio finale della legislatura iniziò la sua attività di uomo di governo. Divenne sottosegretario alla Difesa, nominato nel III governo Moro (23 febbraio 1966 - 24 giugno 1968), ministero guidato da Roberto Tremelloni. Giurò in pochi mesi per tre esecutivi: il secondo governo Leone (24 giugno - 12 dicembre 1968), il primo e il secondo governo Rumor (12 dicembre 1968 - 8 agosto 1969; 5 agosto 1969 - 27 marzo 1970). Durante il primo governo Rumor, a seguito di delega dei ministri competenti, fu incaricato di dirigere un gruppo di collegamento tra il governo e la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi dell’estate del 1964 e di avviare contestualmente un processo per la riforma della disciplina del segreto di Stato e dell’ordinamento del servizio d’informazione e sicurezza. Temi, questi ultimi, legati alla difesa dello Stato e all’organizzazione dei servizi che rimasero costantemente tra le priorità di azione e di intervento nella sua parabola di uomo di governo e rappresentante delle istituzioni.

Gli eventi del 1964 furono resi noti tre anni dopo, nel 1967, dai settimanali L’Europeo e, soprattutto, L’Espresso, con gli articoli sulle schedature e su un progettato intervento militare dei carabinieri nell’ambito del cosiddetto Piano Solo, che avrebbe coinvolto il generale dei carabinieri Giovanni de Lorenzo, fino al 1962 capo del Servizio informazioni forze armate (Sifar), e Antonio Segni, presidente della Repubblica dal 1962 al 1964.

Il 7-8 maggio 1972 Cossiga fu eletto deputato per la quarta volta, capolista nella circoscrizione Cagliari, Sassari e Nuoro; ottenne quasi 95.000 voti. Per l’intera legislatura partecipò ai lavori della I Commissione (Affari costituzionali, organizzazione dello Stato, regioni, disciplina generale del rapporto di pubblico impiego). Divenne il terminale di un’operazione politico-diplomatica volta a scongiurare rischi e ripercussioni della legge sul divorzio, approvata nel dicembre del 1970. Cossiga fu incaricato di incontrare una delegazione del Pci ai massimi livelli, riconoscimento che non passò inosservato. Nel gennaio 1974 scrisse un appunto per il presidente Fanfani: «Spero, al momento in cui il mio mandato sta per esaurirsi, di poter pensare di aver agito con la necessaria prudenza e discrezione. Non mi è stato facile molte volte – accolga questa mia confessione – assumere la veste e lo spirito di un diplomatico in materia che, come politico, sentivo e sento fortemente, con convincimenti ben fermi, che spero però non abbiano influenzato oltre il naturale e il lecito il mio operare per mandato di tutti». E in conclusione la sua malcelata soddisfazione per essere entrato per la prima volta nel gruppo dirigente del partito: «La ringrazio e con lei ringrazio gli amici Rumor, Moro, Piccoli e Bartolomei, per la fiducia in me riposta, per la confidenza accordatami, per la presenza dimostratami, per l’opportunità offertami di essere almeno spettatore di una vicenda importante della vita del movimento cattolico democratico» (Archivio storico del Senato, Amintore Fanfani, Sezione I, Serie 2, Sottoserie 2, b. 109, f. 9, 1° gennaio 1974).

Continuò a raccogliere apprezzamenti e incoraggiamenti da diversi esponenti di punta della Dc. Nel IV governo Moro (23 novembre 1974 - 12 febbraio 1976) fu nominato ministro senza portafoglio con delega per l’organizzazione della Pubblica amministrazione, ministro per l’organizzazione amministrativa e, in seguito, segretario del Comitato interministeriale di coordinamento per l’ordine pubblico. In questa veste fu incaricato dal presidente del Consiglio di avviare gli studi per la riforma della polizia. Con la formazione del quinto governo Moro, nello scorcio conclusivo della legislatura (12 febbraio 1976), fu nominato ministro dell’Interno.

L’ombra di Moro

Fu confermato deputato per la quinta volta nella VII Legislatura (5 luglio 1976 - 2 aprile 1979), la più tormentata e difficile della sua vita. Il suo impegno politico si concentrò sull’attività di governo nel ruolo chiave di ministro dell’Interno nell’arco di un biennio scarso (dal luglio 1976 al maggio 1978) in due esecutivi guidati da Giulio Andreotti. Cossiga diede avvio al riassetto della Pubblica sicurezza, alla riorganizzazione dei primi reparti di antiterrorismo e alla costruzione di una struttura con lo scopo di prevenire e reprimere i reati di terrorismo contro l’ordine democratico e la sicurezza dello Stato. Cercò di misurarsi sulla possibilità di introdurre modifiche sostanziali in campi e competenze che lo avevano impegnato e interessato durante le legislature precedenti. Rispose con particolare fermezza alle sollecitazioni del movimento studentesco del 1977; in occasione della cacciata del segretario generale della Cgil Luciano Lama dall’Università di Roma (17 febbraio), si espresse dicendo che non avrebbe permesso 'il Far West' (De Rosa, 1999, p. 152) e intervenne con la forza per porre fine all’occupazione dell’Università da parte degli studenti. A Bologna fece presidiare dai blindati della polizia la zona universitaria dopo gli scontri che portarono all’uccisione di Pier Francesco Lorusso (11 marzo 1977), studente di Lotta continua; emanò disposizioni che vietarono manifestazioni e assembramenti per alcuni mesi. Non mancarono reazioni di piazza e critiche all’atteggiamento delle forze dell’ordine, che raggiunsero il culmine con la morte per colpi di arma da fuoco della militante radicale Giorgiana Masi, avvenuta a Roma il 12 maggio 1977 nei pressi di ponte Garibaldi a margine di un corteo non autorizzato. Cossiga contribuì in maniera decisiva alla riforma dei servizi segreti dando loro la configurazione che avrebbero mantenuto fino alla legge del 2007; riorganizzò il Nucleo operativo centrale di sicurezza della polizia (Nocs) con la creazione di reparti speciali antiterrorismo della polizia e del Gruppo intervento speciale (Gis) dell’Arma dei carabinieri.

Il caso Moro sembrò travolgere la parabola politica di Cossiga e con essa il suo significato. Il rapimento del presidente della Dc, sequestrato dalle Brigate rosse (Br) il 16 marzo 1978 a Roma in via Fani in un agguato in cui furono uccisi i cinque uomini della sua scorta, mise alle strette il ministro dell’Interno, riferimento essenziale di ogni strategia di possibile reazione da parte dello Stato, nonché terminale per verificare opportunità e risvolti di una possibile trattativa finalizzata al rilascio dell’ostaggio. I comitati di crisi da lui promossi per la gestione del rapimento rimasero con le ombre di vari componenti che in seguito risultarono iscritti alla loggia P2 di Licio Gelli. Dalla prigionia Moro scelse di scrivere a Cossiga due volte, tra il 29 marzo e il 5 aprile 1978: la prima lettera fu recapitata e la seconda non lo fu (Moro, 2008, pp. 7-9, 28-30; Siate indipendenti…, 2013, lettera n. 1). Nella prima lettera si rivolse al ministro dell’Interno con parole chiare: «Caro Francesco […] ti scrivo in modo riservato, perché tu e gli amici con alla testa il Presidente del consiglio (informato ovviamente il Presidente della Repubblica) possiate riflettere opportunamente sul da farsi, per evitare guai peggiori. Pensare dunque sino in fondo, prima che si crei una situazione emotiva e irrazionale». Nella seconda missiva Moro, inconsapevole che la precedente lettera era stata resa nota non da Cossiga ma dai suoi carcerieri, sceglieva un esordio più distaccato e preoccupato: «Caro Cossiga, torno su un argomento già noto e che voi mi avete implicitamente ed esplicitamente respinto. Eppure esso politicamente esiste e sarebbe grave errore ritenere che, essendo esso pesante e difficile, si possa fare come se non esistesse…Vorrei pregarti che, almeno su quel che ti ho scritto, vi fosse, a differenza delle altre volte, riservatezza. Perché fare pubblicità su tutto?».

Nei 55 giorni della prigionia di Aldo Moro, Cossiga mise in discussione l’autenticità delle comunicazioni del prigioniero fino all’uso dell’espressione «lettere non moralmente autentiche»: si trattava della strategia di ‘svalutazione’ dell’ostaggio tesa a indebolire i carcerieri. Cossiga si mostrò tra i più convinti sostenitori della linea della fermezza contro ogni ipotesi di trattativa o confronto con le Br, e divenne in quei giorni punto di riferimento di un fronte ampio che sostenne le ragioni dello Stato fino alle estreme conseguenze. Un conflitto lacerante che si concluse con l’omicidio di Moro e le dimissioni presentate da Cossiga in seguito al ritrovamento del cadavere in via Caetani il 9 maggio 1978. Fu un groviglio di misteri che pesa come un macigno sulla storia della Repubblica e che sembrò allontanare Cossiga dalla vita pubblica. La legislatura si chiuse con il suo distacco frettolosamente salutato come definitiva separazione dall’agone politico. In occasione delle dimissioni da ministro dell’Interno con una lettera al presidente del Consiglio Giulio Andreotti difese il suo operato con piglio e determinazione: «Le istituzioni democratiche hanno retto e la comunità nazionale ha esemplarmente reagito nella ricchezza delle sue espressioni istituzionali civili e sociali, in modo composto e insieme appassionato. […] Per contribuire ad assicurare a questo sindacato la necessaria serenità, al di fuori di ogni possibile influenza, ritengo mio dovere rassegnare le dimissioni da Ministro dell’interno intendendo con questo atto assumere la piena responsabilità politica dell’operato del dicastero cui sono preposto […]. Questa è stata ed è la mia convinzione: del frutto delle mie intenzioni e delle mie convinzioni non spetta a me giudicare» (Archivio storico del Senato, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi , X-XIII legislatura, Caso Moro, Uffici Giudiziari, b. 12, f. 8/2, 10 maggio 1978).

Non si trattò di un addio. Dopo un breve periodo di silenzio ottenne la sua ultima elezione alla Camera dei deputati nella VIII Legislatura (20 giugno 1979 - 4 maggio 1983). Il trauma dell'omicidio Moro sembrò una breve parentesi e la sua vita politica riprese con vigore e rinnovata responsabilità. Rimase in sella pronto ad assumere nuovi incarichi, con un sorprendente sostegno da anime e settori diversi della Dc che lo indicarono come potenziale protagonista di stagioni future. Nella crisi che seguì le elezioni del 1979 fu incaricato dal presidente della Repubblica, Sandro Pertini, di formare il governo: guidò due ministeri di coalizione. Dal 4 agosto 1979 al 4 aprile 1980 un governo formato da Dc, Partito Socialista Democratico Italiano (Psdi) e Partito Liberale Italiano (Pli); successivamente, fino al 18 ottobre 1980, una compagine formata da Dc, Partito Socialista Italiano (Psi) e Partito Repubblicano Italiano (Pri). Poco più di un anno, due governi segnati da un’intensa attività internazionale (presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, presidenza del vertice del G7, legislazione che aprì la strada alla presenza degli euromissili sul suolo italiano) e da tragici episodi come l’abbattimento dell’aereo Itavia sui cieli di Ustica, il 27 giugno 1980, e la strage di Bologna del successivo 2 agosto. Nel 1980 fu archiviata la richiesta di messa in stato d’accusa del presidente del Consiglio da parte dell’opposizione comunista a causa di rivelazioni del segreto d’ufficio riguardanti la situazione di Marco Donat-Cattin, figlio del ministro Carlo Donat-Cattin, coinvolto in vicende di terrorismo. Cossiga rassegnò le dimissioni il 27 settembre dello stesso anno dopo che era stata negata la fiducia all’esecutivo su provvedimenti di politica economica.

Il vertice delle istituzioni

Si ritirò dalla vita pubblica e dall’impegno politico per un breve periodo, fino alle elezioni del 1983, quando venne eletto al Senato nelle liste della Dc, collegio Tempio-Ozieri. Non rimase fuori, né alla finestra e fu rilanciato dalle scelte della segreteria di Ciriaco De Mita. In apertura della IX Legislatura (12 luglio 1983 - 28 aprile 1987), fu chiamato a presiedere l’assemblea di palazzo Madama, eletto al primo scrutinio con 280 voti. Fu quindi eletto ottavo presidente della Repubblica al primo scrutinio con 752 voti su 977: era la prima volta che avveniva.

Quando Sandro Pertini presentò le dimissioni da presidente della Repubblica, Cossiga svolse le funzioni di supplente per pochi giorni, in attesa di assumere l'incarico con il giuramento, come previsto dall'articolo 91 della Costituzione.  Prestò giuramento, dunque, di fronte al Parlamento in seduta comune, il 3 luglio 1985. Ebbe un consenso ampio e trasversale: Dc, Psi, Pci, Pri, Pli, Psdi, gruppo della Sinistra indipendente.

Nella storia della Repubblica fu il più giovane capo dello Stato, non aveva ancora compiuto 57 anni; era stato il più giovane sottosegretario alla difesa, ministro dell’Interno, presidente del Consiglio (fino a quando lo stesso Cossiga non incaricò Giovanni Goria di formare un esecutivo nel 1987) e presidente del Senato.

La presidenza Cossiga è divisibile in due fasi. Nei primi cinque anni di mandato prestò un’attenzione rigorosa alle norme costituzionali e alla prassi di garante e arbitro della contesa tra le parti. Mostrò particolare riguardo al ruolo del capo dello Stato nel caso di conferimento dei poteri di guerra al Governo; indicò sommariamente alcune priorità di intervento riformatore: rinnovamento dei codici, riforma della magistratura, indirizzo della vita interna dei partiti. Sin dai primi mesi della sua presidenza si scontrò con il Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) che presiedeva in quanto presidente della Repubblica; accentuò i tratti della dialettica tra poteri dello Stato dichiarando di voler chiarire i limiti e le compatibilità dell’esercizio del ruolo del presidente in particolare nei confronti della magistratura. Vigile sulla necessità di garantire copertura finanziaria ai provvedimenti dell’esecutivo respinse decreti chiedendo modifiche e correttivi: una legge di finanziamento straordinario per il Mezzogiorno, la fiscalizzazione degli oneri sociali, l’approvazione dei contratti degli autoferrotranvieri, per citare i casi più significativi.

Con la caduta del muro di Berlino, nel novembre 1989, prese slancio la seconda fase della sua presidenza, segnata dalla fine della guerra fredda e dalla convinzione che un profondo mutamento del sistema politico italiano era imminente e necessario. Da tale assunto Cossiga si mosse, convinto che i partiti e le stesse istituzioni non fossero pronte alla sfida del nuovo mondo; il suo attivismo andò ben oltre le funzioni della Presidenza della Repubblica contribuendo a modificare la percezione e l’esercizio dei poteri presidenziali.

Fu una stagione di polemiche e dissidi che ebbe nell’inquilino del Quirinale un protagonista di primo piano: toni al limite della provocazione con una forte esposizione mediatica del grande esternatore che gli valsero, per gli ultimi due anni di mandato, l’appellativo di ‘picconatore’. Con la fine della contrapposizione bipolare erano venute meno, dal suo punto di vista, le ragioni che avevano condizionato e plasmato le relazioni tra l’Italia e il principale alleato, gli Stati Uniti: cominciò una sistematica messa in discussione di pilastri e consuetudini alla base delle relazioni tra quadro interno e contesto internazionale. Cossiga volle mostrare a una grande platea i costi del mantenimento della pace e della legalità in chiave anti comunista. Quando, nell’ottobre 1990, dopo il ritrovamento delle copie del memoriale autografo di Aldo Moro a Milano, Giulio Andreotti rivelò l’esistenza di una rete militare segreta denominata Gladio legata ad ambienti Nato, Cossiga valorizzò il suo passato di attento osservatore e custode delle strategie di lotta alla minaccia comunista, nonché il suo diretto interessamento alla definizione di compiti, indirizzi e struttura dell’organizzazione semi clandestina durante gli anni Sessanta. Al tempo del primo incarico da sottosegretario, a Cossiga era stato chiesto di sovrintendere a Gladio, sezione italiana della rete Stay Behind, struttura segreta dell’Alleanza atlantica; con fierezza, durante un’esternazione a Edimburgo (1990), rivendicò il suo ruolo e la funzione dell’organizzazione di riferimento. Da protagonista della guerra fredda volle quindi tracciare un percorso inedito di fuoriuscita dal conflitto; il riferimento a Gladio seguiva una duplice finalità: rispondere alle sollecitazioni e agli attacchi del fuoco amico (la polemica venne innescata dalle prese di posizione di Giulio Andreotti) e rilanciare una lettura della storia d’Italia dove anche quelle pagine potessero trovare legittimità e consenso.

La svolta della riunificazione tedesca – fu l’unico politico italiano a presenziare alla prima seduta del Bundestag nel 1990 – divenne un motore di azione nella politica italiana. Richiamò con insistenza le responsabilità del Parlamento e la sua centralità nelle sfide per le riforme non rinviabili (emblematico in tal senso il messaggio alle Camere del 26 giugno 1991). Denunciò, nel suo ultimo biennio da presidente, la politicizzazione della magistratura, bersaglio di molte sue esternazioni; si acuì il suo contrasto con il Csm. Il suo protagonismo produsse una marcata accentuazione del peso politico e istituzionale della figura del presidente; una discontinuità profonda con le dinamiche dei suoi predecessori. Presenziò ai funerali delle vittime del terrorismo (il prof. Roberto Ruffilli, ucciso dalle Br a Forlì nel 1988) e degli attacchi mafiosi contro uomini delle forze dell’ordine, imprenditori e magistrati (Antonino Cassarà, Giuliano Guazzelli, Libero Grassi, Antonino Saetta, Antonino Scopelliti). In occasione della strage di Capaci (23 maggio 1992) fu il presidente del Senato Giovanni Spadolini nell’esercizio delle funzioni di presidente della Repubblica a rendere omaggio ai funerali di Giovanni Falcone, Francesca Morvilllo e degli uomini della scorta perché Cossiga si era dimesso da poco meno di un mese: tragedie che oltre a lasciare una scia di sangue minarono la stabilità dello Stato e l’equilibrio istituzionale.

Cossiga fu criticato e osteggiato dalle forze politiche in ragione di un attivismo sfrenato che modificò gli ambiti di intervento e le dinamiche di confronto tra i poteri dello Stato; solo il Movimento sociale italiano (Msi) prestò attenzione e simpatia alle‘picconate’ del presidente. Il suo disegno di uscita dalla guerra fredda avrebbe favorito l’inserimento del Msi nella dialettica politica, superando le contrapposizioni del passato.

Alla fine del 1991 il Partito Democratico della Sinistra (Pds) chiese al Parlamento la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica. Cossiga si autodenunciò alla magistratura ordinaria e venne prosciolto nel 1994, a seguito dell’istruttoria e della conforme proposta del Tribunale dei ministri. Il 28 aprile 1992 decise di accelerare di circa due mesi i tempi di conclusione del mandato convinto che un nuovo presidente, nel pieno dei poteri, potesse meglio gestire l’irrompere della crisi politica e finanziaria. Dopo lo scioglimento delle Camere e le successive consultazioni politiche del 5-6 aprile 1992, maturò la convinzione che l’imminente scadenza dei sette anni non avrebbe agevolato il sollecito avvio della legislatura e la rapida formazione del nuovo governo. Di conseguenza, il 25 aprile 1992, annunciò in televisione a reti unificate le dimissioni congedandosi con un lungo e irrituale commiato, denso di riferimenti alla parabola da presidente e di richiami alle urgenze della fase politica: «Per promuovere la formazione di un Governo nuovo e forte occorre un presidente forte! Occorre un presidente forte, forte politicamente e forte istituzionalmente. […] Quindi la mia scelta dovrebbe essere quella delle mie dimissioni anticipate, per permettere al nuovo Parlamento di dare al Paese un presidente che, forte della sua elezione e per l’ampiezza temporale e di contenuti del suo mandato, possa affrontare questa grave crisi politico-istituzionale e promuovere la formazione di quel Governo che voi, con il vostro voto, avete voluto». Una discontinuità marcata di regole, consuetudini, persino di linguaggi, anche nell’ultimo atto: «Per questa volta però mi chiedo se questo Paese non abbia bisogno, dopo il primo shock delle elezioni, anche dello shock delle elezioni anticipate del presidente della Repubblica e se questa classe politica non debba essere inchiodata alle sue responsabilità di fronte al Paese, chiamandola subito a dare prova di responsabilità eleggendo presto e bene un presidente della Repubblica e ponendo quindi le basi per affrontare e gestire bene la crisi politica del nostro Paese, dando a voi quello che voi chiedete: riforme, cambiamento e Governo» (Archivio storico della Presidenza della Repubblica, Ufficio per la stampa e la comunicazione, fasc. 35). Il confine del ruolo e della funzione del presidente venne definitivamente varcato, gli ambiti della carta costituzionale e la prassi consolidata dei rapporti con il vertice delle istituzioni si trasformarono in funzione della ricerca di una legittimazione diretta, di un canale di comunicazione con l’insieme della società italiana. Rassegnò le dimissioni il 28 aprile 1992.

Da presidente si spostò molto: oltre 60 viaggi, di cui 16 visite di Stato, fuori dai confini nazionali e oltre 200 in località italiane; sia gli uni che gli altri aumentarono con il trascorrere del tempo concentrandosi in misura maggiore durante la seconda fase del suo mandato (solo nel 1991 furono 44 le visite dedicate a province italiane). Oltre 130, di cui 18 per visite di Stato, furono gli incontri con personalità straniere in Italia. Un numero che aumentò progressivamente tanto da motivare l’emanazione di una nuova normativa che specificava in dettaglio i criteri di accoglienza di ospiti stranieri al palazzo del Quirinale. Cossiga fu il primo capo di Stato italiano a recarsi in Israele (dicembre 1987) e il primo capo di Stato europeo a recarsi a Zagabria e Lubiana dopo il riconoscimento dell’indipendenza della Croazia e della Slovenia. Coltivò un legame particolare con la Germania e le sue trasformazioni geopolitiche. Scelse di toccare in una lunga visita di Stato diverse aree del continente africano (1989), andò in Australia e Nuova Zelanda (1988) e in molti dei paesi nati dal crollo del mondo comunista. Effettuò nella primavera del 1992 una serie di visite di commiato nelle principali capitali europee, negli Stati uniti e in Vaticano. Cossiga iniziò e concluse (25 giugno 1985 e 27 aprile 1992) la permanenza al Quirinale rendendo omaggio alla tomba di Aldo Moro a Torrita Tiberina (Roma). Celebrò a Vittorio Veneto il settantesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale; assistette a Milano ad alcune partite dei mondiali di calcio  organizzati in Italia nel 1990; al Quirinale risiedette da solo.

Nel suo controverso settennato si avvicendarono sei esecutivi: nella IX Legislatura il governo Craxi II (1° agosto 1986) e il VI governo Fanfani (17 aprile 1987); nella X Legislatura (2 luglio 1987 - 2 febbraio 1992) i governi Goria (28 luglio 1987), De Mita (13 aprile 1988), il VI (22 luglio 1989) e il VII (12 aprile 1991) governo Andreotti. Il presidente Cossiga nominò cinque giudici della Corte costituzionale: Antonio Baldassarre, 8 agosto 1986; Enzo Cheli, Mauro Ferri, Luigi Mengoni, 27 ottobre 1987; Giuliano Vassalli, 4 febbraio 1991; e cinque senatori a vita: Giovanni Spadolini, 2 maggio 1991; Giovanni Agnelli, Giulio Andreotti, Francesco De Martino, Paolo Emilio Taviani, il 1° giugno 1991.

Una nuova Repubblica?

Il 28 aprile 1992 entrò a far parte del Parlamento, in quanto ex presidente della Repubblica, come senatore a vita; scelse di aderire al gruppo misto e non riprese la tessera della Dc. Con l’autonomia offertagli dal ruolo, convinto che fosse necessario garantire la governabilità, sostenne nel voto di fiducia maggioranze di segno politico opposto. Spregiudicato assertore della necessità di aprire una pagina nuova nella storia della Repubblica segnata da un confronto dialettico in grado di superare soggetti e culture del Novecento, continuò a seguire le dinamiche politico parlamentari non disdegnando il ricorso a interviste e prese di posizione pubbliche.

Nella XIII Legislatura rilanciò la propria iniziativa politica dando vita (1998) all’Unione democratica per la Repubblica (UdR), una formazione autonoma di centro con l’obiettivo di aggregare un’area moderata alternativa alla sinistra e alle stesse forme che il bipolarismo italiano aveva assunto. Presidente onorario e leader riconosciuto del nuovo partito, Cossiga promosse un’alleanza con lo schieramento di centro sinistra sostenendo il varo del governo D’Alema nell’ottobre 1998. Nel febbraio dell’anno successivo Cossiga uscì dal partito che nel frattempo aveva mutato denominazione in Udeur (Unione democratica per l’Europa). Tra le carte del fondo De Martino una lettera di Cossiga al presidente del Consiglio Massimo D’Alema esplicita le ragioni di un sostegno condizionato all’esecutivo e il tratto di un percorso biografico-esistenziale: «Tu sei, diciamo anche per opera mia, il Presidente del consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana ed hai il dovere di difendere la dignità nazionale. Ma, da comunista nazionale quale Tu eri (e io spero tu sia rimasto tale), e quindi per l’Italia socialista europeo, hai il dovere, certo, di difendere la storia politica del Tuo ex partito, che è anche parte della mia Storia come italiano e come democratico, ma hai soprattutto il dovere di difendere e tutelare la storia pulita d’Italia. […] Sono convinto che solo l’alleanza tra una sinistra democratica (e io riconosco che il partito post comunista è oggi una sinistra democratica) e un centro riformatore, può promuovere il progresso del Paese anche in termini di etica civile. Per questo io, pur se rappresento solo me stesso, faccio parte della Tua maggioranza e ti ho finora sostenuto. Ma se Tu sceglierai per un passato oscuro e inquietante, io sceglierò – e inviterò i miei amici a scegliere – per la dignità e l’orgoglio della Nazione» (Archivio storico del Senato della Repubblica, Francesco De Martino, Sezione 1, Serie 1, Sottoserie 6, 13 ottobre 1999).

Nella XIV Legislatura passò dal gruppo misto a quello per le autonomie; il 1° giugno 2002 rassegnò le dimissioni, che furono tuttavia respinte dal Senato il 19 giugno successivo con 165 voti contrari e 57 favorevoli .

Nel corso della XV Legislatura fece parte del gruppo parlamentare misto e seguì i lavori delle commissioni Affari costituzionali e Lavori pubblici e comunicazioni. Le dimissioni presentate nuovamente al presidente del Senato, Franco Marini, il 27 novembre 2006 furono respinte con 178 voti contrari, 100 favorevoli e con 12 astenuti. Non riuscì a completare la sua ultima legislatura pur raggiungendo nel 2008 il mezzo secolo di attività parlamentare.

Morì a Roma il 17 agosto 2010.

Opere

I membri dei Consigli regionali godono della inviolabilità parlamentare, Napoli [1950], in Rassegna di diritto pubblico, 1950, n. 3-4, pp. 635-71; Diritto di petizione e diritti di libertà, in Il Foro padano, 1951, n. 12, pp. 289-310; Osservazioni sulla competenza della Regione Sarda in materia di credito, 1952, in Banca e credito agrario, II, (1952), n. 1, pp. 35-82; Regioni autonome e credito agrario, n. 2-3; Note sulla libertà d’espatrio e di emigrazione, in Rassegna di diritto pubblico, 1953, n. 1, pp. 43-88; Annotazioni in margine alla recente controversia sulla legittimità delle leggi delegate e dei decreti legislativi in materia di riforma agraria, in Giurisprudenza della Corte suprema di Cassazione, Sezione civile, XXXII, Roma 1953, pp. 461-71; Primo corso di legislazione economica della Regione sarda: lezione inaugurale dell’on. Prof. F. C. sul tema: Autonomia regionale e statuto speciale per la Sardegna, in Bollettino degli interessi sardi, 1963, n. 3, pp. 113-20; Osservazioni sui procedimenti e giudizi d’accusa, Sassari 1963; Le ragioni del mio sì: contributo al dibattito sulla legge divorzista, in L’unione sarda 7 maggio 1974; [Francesco Cossiga et al.], Quale meridionalismo?, in Itinerari, 1974, n. 204-206 (fascicolo speciale), pp. 359-413; [Francesco Cossiga et al.], I diritti umani e la loro protezione: la convenzione europea, Roma 1986; Note sulla libertà di espatrio e di emigrazione: Sassari, 1953, Napoli 1990; Messaggio alle Camere del presidente della Repubblica …, 26 giugno 1991, Roma 1991;Parole inutili (forse), Roma 1992; Parola di C.: così il presidente ha parlato, Milano 1992; Il torto e il diritto: quasi un’autobiografia personale, a cura di P. Chessa, Milano 1993; La passione e la politica, con P. Testoni, Milano 2000;Sir Thomas More, santo e martire: patrono dei governanti e dei politici: raccolta documentale, Roma 2001; I servizi e le attività di informazione e di controinformazione. Abecedario per principianti, politici e militari, civili e gente comune, compilato da F. C. dilettante, Soveria Mannelli 2002; Discorso sulla giustizia, Macerata 2003; La guerra versus l’Irak: luci e ombre per un cattolico liberale: lettera ad un giovane amico cattolico, Roma 2003; Pensieri di un cristiano democratico per gli amici de Il circolo, ovvero Il discorso che non ho potuto pronunziare, Roma 2003; Per carità di patria. Dodici anni di storia e politica italiana 1992-2003, a cura di P. Chessa, Milano 2003; Tre lettere senza risposta: a proposito di matrimonio ed adozione, s.l. 2004; Italiani sono sempre gli altri: controstoria d’Italia da Cavour a Berlusconi, con P. Chessa, Milano 2007; Mi chiamo Cassandra: arguzie, giudizi e vaticini di un profeta incompreso, a cura di A.M. Cossiga, Soveria Mannelli 2008; La versione di K: sessant’anni di controstoria, con M. Demarco, Milano 2009; Fotti il potere: gli arcana della politica e dell’umana natura, con A. Cangini, Roma 2010.

Fonti e bibliografia

La documentazione relativa a Cossiga è diffusa nei seguenti fondi:

Archivio storico della Presidenza della Repubblica, Ufficio per gli Affari giuridici e le relazioni costituzionali, Ufficio per gli affari dell’amministrazione della giustizia, Ufficio per la stampa e la comunicazione; Archivio storico del Senato della Repubblica, Amintore Fanfani, Francesco De Martino, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi (X-XIII legislatura), Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia (VIII legislatura); Roma, Fondazione Bettino Craxi, Bettino Craxi (1959-2000). Per un puntuale resoconto dell’attività parlamentare di Francesco Cossiga e sul settennato al Quirinale è possibile consultare i portali istituzionali della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in http://storia.camera.it/deputato/francesco-cossiga-19280726;http://legxiv.camera.it/_presidenti/schede/cossiga.asp;

P. Pombeni, Le «Cronache sociali» di Dossetti.1947-1951, Firenze 1976; L. Gurrado, C. e l’ordine pubblico, Milano 1977; M. Brigaglia, La classe dirigente a Sassari da Giolitti a Mussolini, Cagliari 1979; G. Cossiga, Su poeta christianu, Sassari 1984; F. C., Presidente della Repubblica, Roma 1985; C.: la vita, il mondo, i segreti dell’ottavo presidente, a cura di P. Chessa - A. Statera, supplemento de l’Europeo, Milano 1985; V. Vicenzi, Il presidente e le autonomie, Roma 1987; M. Brigaglia, Profilo storico della città di Sassari, Sassari 1988; E. Pittalis - A. Sensini, F. C.: il gusto della discrezione, Trento 1988; M. Gambino, Carriera di un presidente. Biografia non autorizzata di F. C., Roma 1991; P. Guzzanti, C. uomo solo, Milano 1991; La Costituzione e le riforme istituzionali: il dibattito alle Camere sul messaggio del presidente della Repubblica (23-25 luglio 1991), Roma 1991; V. Cattani, Vero, verissimo, quasi possibile, Roma 1992; G. Cerutti, F. C.: presidente, Novara 1992; G. Galli, Psicanalisi e politica. F. C.: dalle esternazioni all’esito del voto, Milano 1992; A. Padellaro, Chi minaccia il presidente, Milano 1991; M.L. Perri, La Repubblica del presidente. Saggio intervista sull’Italia dei misteri, Soveria Mannelli 1992; L. Violante, Il piccone e la quercia, Roma 1992; Signori del Parlamento! Le riforme istituzionali nel messaggio alle Camere del capo dello Stato, C., e nel dibattito in Parlamento, a cura di G. Mazzà - A. Mazzà, Roma 1992; A. Giovagnoli, Il partito italiano. La Democrazia cristiana dal 1942 al 1994, Roma-Bari 1996; F. Obinu, Li chiamavano i Giovani turchi: la rivoluzione bianca nella Dc di Sassari, Villanova Monteleone 1996; G. De Rosa, La storia che non passa. Diario politico (1968-1989), Soveria Mannelli 1999; 55 giorni di piombo: le lettere dal carcere di Aldo Moro. I ricordi di F. C., Claudio Martelli, Agnese Moro, Eugenio Scalfari, a cura di A. Spiezie, Roma 2000; G. Fasanella - C. Sestieri - G. Pellegrino, Segreti di Stato. La verità da Gladio al caso Moro, Torino 2000; S. Flamigni, I fantasmi del passato, Milano 2001; “Il caso Cossiga”. Capo dello Stato che esterna o privato cittadino che offende? Atti del seminario, Ferrara, 14 febbraio 2003, a cura di R. Bin [et al.], Torino 2003; A. Girelli, Democristiani. Storia di una classe politica dagli anni Trenta alla Seconda Repubblica, Milano 2004; M. Breda, La guerra del Quirinale: la difesa della democrazia ai tempi di C., Scalfaro e Ciampi, Milano 2006; I presidenti: da Enrico De Nicola a Carlo Azeglio Ciampi, a cura di S. Colarizi - G. Sabbatucci, Novara 2006; A. Moro, Lettere dalla prigionia, a cura di M. Gotor, Torino 2008, ad ind.; A. Beccarla, Piccone di Stato: F. C. e i segreti della Repubblica, Roma 2010; F. C.: commemorazione solenne alla presenza del Presidente della Repubblica: 12 ottobre 2010, Aula, Palazzo Madama, Roma 2010; A. Mattone, F. C. e l’Università di Sassari, in Storia dell’Università di Sassari, a cura di A. Mattone, I, Nuoro 2010, p. 155; M. Benedetto, F. C.: l’Italia di K, Reggio Emilia 2011; A. Casu, Il potere e la coscienza: Thomas More nel pensiero di F. C., Soveria Mannelli 2011; C. e l’intelligence, a cura di M. Caligiuri, Soveria Mannelli 2011; N. Dalla Chiesa, Lo statista F. C.: promemoria su un presidente eversivo, Milano 2011; R. Farina, C. mi ha detto: il testamento politico di un protagonista della storia italiana del Novecento, Venezia 2011; G. Galloni, Da C. a Scalfaro: la vicepresidenza del Consiglio superiore della magistratura nel quadriennio 1990-1994, Roma 2011; M. Gotor, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Torino 2011, ad ind.; A. Muroni, F. C. dalla A alla Z. Il vocabolario del sardo che viveva per la politica, Oliena 2012; C. Pedone, L’uomo che guardò oltre il muro: la politica estera italiana dagli euromissili alla riunificazione tedesca svelata da F. C., Soveria Mannelli 2012; Visite dei presidenti della Repubblica in Italia (1948-2006), a cura di M. Cacioli, Roma 2012, pp. 15-29, 86-100; Guida ai fondi dell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica, a cura di P. Carucci - M. Cacioli - L. Curti, Roma 2013; Viaggi all’estero dei presidenti della Repubblica italiana e visite in Italia di capi di Stato esteri (1948-2006), a cura di M. Cacioli - L. Curti, Roma 2013;«Siate indipendenti. Non guardate al domani ma al dopo domani». Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia alla storia, a cura di M. Di Sivo, Roma 2013, ad indicem.

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