CONTINI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONTINI, Francesco

Hellmut Hager

Figlio del pittore e indoratore Pietro e di Felicia Sebastiani, nacque a Roma il 27 luglio 1599 (nella parrocchia di S. Maria in Vallicella). Architetto, fra i primi lavori che conosciamo di lui sono disegni e ricostruzioni di zone antiche con i relativi monumenti. Il primo di questi disegni, riguardante la zona di S. Giovanni in Laterano, fu pubblicato a Roma nel 1630 da Giovanni Severani come illustrazione delle Mem. sacre delle sette chiese di Roma (p. 534; riprodotto in C. D'Onoffio, Scalinate..., Roma 1974, p. 81). Nel 1631 e nel 1633 il C. fu pagato per piante topografiche di Rocca Priora e delle valli di Comacchio (Pollak, 1928, p. 346, nn. 1023-1025). Nel 1634 si dedicò alla sua ben nota edizione della pianta di Pirro Ligorio della villa Adriana a Tivoli (Pianta della Villa Tiburtina di Adriano Cesare gia da Pirro Ligorio... disegnata e descritta dapoi da F. Contini... riveduta... Ora nuovamente incisa in Rame..., Roma 1751: H. Kähler, Hadrian und seine Villa..., Berlin 1950, p. 161 n. 19; Salza Prina Ricotti, 1973).

Quasi fin dall'inizio della sua carriera, la sua attività edilizia si svolse per i Barberini, associato ad una serie di altri architetti che dominavano il campo dopo la morte del Maderno e prima della comparsa delle grandi figure dell'alto barocco romano. Al C. furono assegnati compiti assai ragguardevoli come, nel 1638, parte dei nuovo monastero di S. Susanna ("un capacissimo refettorio", suddivisione di stanze nella parte superiore e una loggia per il cardinale Francesco Barberini), secondo quanto è testimoniato dal Baglione (1642), che riporta anche la notizia della costruzione e decorazione della facciata laterale della "casa grande" dei Barberini in via dei Giubbonari, che guarda su piazza del Monte di Pietà, su ordine dei principe Taddeo (1640-1642). Divenuta questa la facciata principale dell'intero complesso (V. Golzio, I palazzi romani, Roma 1971, pp. 34 s.), fu distinta da un portone contenuto fra colonne che reggevano un frontespizio triangolare; da un vestibolo, articolato lungo le pareti da colonne a tutto tondo, si accedeva al cortile (i progetti per questo vestibolo sono conservati nella Bibl. Apost. Vaticana e citati da Apollonj, 1932, p. 462; Hibbard, 1971, p. 222).

Per meglio comprendere l'importanza di questa commissione, bisogna tener presente che questo palazzo fu la prima "grande dimora" dei Barberini, dove il cardinal Maffeo visse nel periodo che precedette la sua elezione al pontificato. La facciata è rappresentata in incisione nel quarto libro delle Magnificenze di Roma (1754) del Vasi (Hibbard, 1971, tav. 89 c), e si nota che a sinistra la fabbrica del C. terminava dopo la prima campata, con finestra, che seguiva il portale. Il prolungamento del palazzo Barberini lungo via dell'Arco del Monte, la cui fronte segue lo schema della facciata del C., come già aveva ipotizzato Apolloni, può aver avuto luogo soltanto in un periodo posteriore al 1754, il che preclude l'attribuzione dell'atrio ovoidale sia al Borromini (E. Hempel, Borromini, Wien 1924, p. 133), siaal C. stesso (Portoghesi, 1967, p. 170; Fiore, 1976, p. 198). Baglione, che descrive assai particolareggiatamente il contributo del C., non nomina questo atrio, che secondo Apollonj dev'essere posteriore all'acquisto del palazzo da parte dei carmelitani scalzi, nel 1734; essi trasformarono il vestibolo assai profondo dei C. in chiesa, e, chiudendo l'accesso verso l'esterno, fecero disfare il portale. L'atrio del resto, che in maniera precipitosa fu suggerito come fonte d'ispirazione per l'analoga sistemazione dello scalone di palazzo Cariano a Torino, del Guarini (Benedetti, 1970, p. 725), può invece essere confrontato con quello di S. Croce in Gerusalemme di Pietro Passalacqua e Domenico Gregorini (1743-45).

Il C. doveva aver già acquistato una certa notorietà quando, nel 1641, fu consultato, durante la costruzione della casa dei filippini presso S. Maria in Vallicella, per il noto problema del pilastro nel cortile che avrebbe tolto luce ad una finestra della sacrestia (Portoghesi, 1967, p. 55).

II 1° sett. 1643 la Congregazione dei cardinali per il Collegio di Propaganda Fide, al fine di terminare il palazzo, e per altri futuri compiti, "elegit et deputavit D. Franciscum Continum in suum architectum" (Pollak, 1928, p. 235, n. 805).

Nel 1652 successe a M. Longhi quale architetto della chiesa dei SS. Ambrogio e Carlo ed è menzionato nei documenti negli anni 1653-54 (G. Drago-L. Salerno, SS. Ambrogio e Carlo..., Roma 1967, ad Indicem). Virgilio Spada, che si servì di lui e di Domenico Castelli (3-4 marzo 1646) in una questione per l'acqua Paola (Garms, 1972, p. 199, n. 973; Heimbürger Ravalli, 1977, p. 283), nella lista degli architetti romani, del 14 nov. 1657, così lo definiva: "disegna e misura bene, è in ben concetto di fedele e diligente è provisionato da SS.ri Barberini, ha moglie e figli" (Heimbürger Ravalli, p. 302 n. 24). Infatti, aveva sposato il 17 ott. 1637 la romana Agata Baronio di Arcangelo (parrocchia dei SS. Celso e Giuliano), e uno dei loro figli sarà l'architetto Giovanni Battista. Nel 1646 il nome dell'artista compariva in un "elenco degli architetti e sottomaestri di strade e dei capimastri muratori" in servizio presso la "presidenza delle strade" (M. Del Piazzo, Ragguagli borrominiani [catal.], Roma 1968, p. 22 n. 7) e, dieci anni più tardi, fece parte della commissione di esperti che, il 7 febbr. 1657, raccomandò il licenziamento del Borromini come architetto di S. Agnese (G. Eimer, La fabbrica di S. Agnese..., I, Stockhohn 1970, p. 212). Il C. divenne "accademico di merito" all'Accademia di S. Luca nel 1650 (Pascoli, 1736) e, in questo tempo, egli creò la sua opera più straordinaria: il casino Batberini vicino a Palestrina che è composto, gvidentemente sotto l'influsso della pianta di S. Ivo, da due triangoli incrociantisi (Fiore, 1976; le piante in Benedetti, 1970, figg. 20 s.).

Il motivo per questa configurazione è di natura emblematica in quanto il committente, il principe Maffeo, intendeva alludere allo stemma della moglie, una Giustiniani, che rappresenta una torre triangolare (Belli Barsali-Branchetti, 1975, pp. 31 s., 311 s.).

Ancora a Palestrina, e sempre su commissione dei Barberini, il C. costruì, presso il palazzo baronale, la chiesa di S. Rosalia, cruciforme, a sala unica, che era pronta con l'incrostazione di marmi policromi, nel 1677 (Fasolo, 1961, p. 191; Fiore, 1976, pp. 199, 202 n. 16). Vi costruì pure la chiesa conventuale che chiudeva il prospetto del Corso. purtroppo oggi distrutta, a navata unica e terminata da un transetto (Fasolo, cit.).

La sola chiesa che egli fece a Roma, S. Maria Regina Coeli, del 1654, con Pannesso convento delle carmelitane scalze riformate, gli era stata commissionata da Anna Colonna, moglie di Taddeo Barberini, la quale vi si fece costruire un notevole sepolcro (Martinelli, 1660-63, p. 127; Fiore, 1976, p. 198).

Il nome del C. compare nei documenti che si riferiscono all'ampliamento (1659-1665) del monastero delle monache di S. Maria dei Sette Dolori (M. Bosi, S. Maria..., Roma 1971, p. 18); e sebbene la facciata della chiesa sia stata lasciata incompiuta, l'opera sorprende per il tentativo di conferire all'intera fronte del gruppo edilizio l'impressione dì un concetto complessivo, ripetendo sulla destra, probabilmente in assenza di progetti specifici del Borromini per questo braccio, la sporgenza convessa della parte sinistra.

Nel 1661 il C. fece parte di un comitato di arbitrato fra i canonici di S. Maria in via Lata e la famiglia Doria-Pamphili (Carandente, 1975, p. 116), ed insieme con altri fece una stima di case da abbattere per costruire il Barico di S. Spirito (Heimbürger Ravalli, 1977, p. 275). Ancora nell'anno 1668 venne consultato quando si progettarono modifiche all'interno della basilica dei SS. Apostoli, insieme ad Antonio Del Grande e Carlo Rainaldi, cui fu conferito l'incarico (E. Zocca, La basilica..., Roma 1959, pp. 56 s.).

Il C. morì a Roma il 20 luglio 1669 (Roma, Arch. stor. del Vicariato, Parrocchia di S. Tommaso in Parione).

È evidente che il C. fece parte del "filo borrominiano", piuttosto che di quello berniniano nellastoria dell'architettura romana. La più chiara testimonianza di questo è il casino Barberini a Palestrina, se non la più importante, forse la più originale villa dell'intero Seicento nell'ambiente romano, anche se alquanto eccentrica, sebbene il suggerimento per l'adozione della forma triangolare gli venisse dal committente.

Potrebbe quindi sorprendere che il C. avesse affidato suo figlio Giovanni Battista al Bernini invece che al Borromini (Pascoli, 1736); ma dobbiamo tenere presente che, nella famosa congregazione riguardante il proseguimento di S. Agnese in Agone, egli aveva preso posizione contro il Borromini, e non è improbabile che l'indirizzo dato al figlio fosse condizionato anche da fattori personali.

La maggior parte della carriera del C. si svolse sotto il patronato dei Barberini, sebbene il Pascoli ricordi che egli servì anche altre case nobili di Roma e che "ebbe l'onore di servire alcuni pontefici". Il C. potrebbe essere definito un "affiancatore" del Borromini, il cui esempio egli seguì, se non per propria devozione o diretta inclinazione, per una certa congenialità e con innegabile serietà.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. del Vicariato, Schedario Mario Taglioni, ad vocem;J. Garms, Quellen aus dem Archiv Doria-Pamphili, Rom-Wien 1972, ad Indices;G. Baglione, Le vite de' pittori, scultori et architetti, Roma 1642, pp. 180 s.; F. Baldinucci, Notizie dei professori dei disegno, V, Firenze 1846, p. 433; F. Martinellì, Roma ornata dall'architettura... [1660-63], a cura di C. D'Onofrio, Roma 1969, pp. 127, 178; L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori ed architetti..., II, Roma 1736, p. 552; O. Pollak, Die Kunsttätigkeir unter Urban VIII., I, Wien-Augsburg-Köln 1928, pp. 234 s., 346; B. M. Apolloni, La "Casa Grande dei Barberini", in Capitolium, VIII (1932), pp. 451-462; U. Donati, Artisti ticinesi a Roma, Bellinzona 1942, pp. 397 ss.; F. Fasolo, L'opera di Hieronimo e Carlo Rainaldi, Roma 1961 pp. 9, 22, 191 s., 351 nn. 11 s.;C. D'Onofrio, Roma vista da Roma, Roma 1967, p. 54 n. 12, 161 s.; P. Portoghesi, Borromini, Milano 1967, pp. ss, 168, 170; P. Marconi, La Roma del Borromini, Roma 1968, pp. 115 ss.; S. Benedetti, Guarini e l'internaz. del Barocco, I, Torino 1970, pp. 725, 729, 747, 750; H. Hibbard, C. Maderno..., University Park, Penna.-London 1971, ad Ind.;E. Salza Prina Ricotti, Villa Adriana..., in Mem. dell'Acc. naz. dei Lincei, classe di scienze mor., stor. e filol., s. 8, XVII (1973), pp. 1-47 passim;I. Belli Barsali-M. G. Branchetti, Ville della campagna romana, Lazio, II, Milano 1975, pp. 31 s., 78 n. 11, 311 s.; G. Carandente, Il Pal. Doria Pamphili, Milano 1975, pp. 116, 318; F. P. Fiore, F. e G. B. Contini, in Ric. di storia dell'arte, 1976, nn. 1-2, pp. 197-210; M. Heimbürger Ravalli, Archit., scultura e arti minori nel Barocco italiano. Ricerche nell'Arch. Spada, Firenze 1977, ad Indicem;A. Blunt, Borromini, Cambridge, Mass., 1979. pp. 128, 130; J. Connors, Borromini and the Roman Oratory, Cambridge, Mass., London 1980, p. 48; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 338.

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