COLONNA, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COLONNA, Francesco

Stefano Andretta

Figlio di Giulio Cesare, principe di Palestrina, e di Artemisia Orsini, le fonti a disposizione non permettono di stabilirne il luogo e la data di nascita. La prima informazione biografica è quella della sua partecipazione ad una festa in onore di s. Agapito svoltasi in Palestrina il 18 ag. 1592. Nel 1593, alla morte del padre, grazie ad un atto di rinuncia del fratello Giacomo, abate conimendatario di S. Pastore di Rieti, egli divenne successore di diritto nei titoli e nei beni del genitore, il quale aveva ottenuto con un breve di Pio V del 22 febbr. 1571 il principato di Palestrina. Assunto questo titolo, il C., per ingraziarsi l'animo delle popolazioni ordinò che fossero compiuti i lavori necessari a migliorare la viabilità di Palestrina e a rendere più agevole l'ingresso alle quattro porte principali della citià.

Una spiccata attrazione per la vita avventurosa e per le prospettive della carriera militare lo convinse ben presto a porsi al servizio delle armate spagnole. Infatti, nel 1594 si recò in Francia e nelle Fiandre, militando nelle truppe di Alessandro Farnese che accorrevano in aiuto della lega cattolica severamente impegnata da Enrico IV di Borbone e dagli ugonotti.

Tornato in Italia dopo la conclusione della pace di Vervins, si unì in matrimonio con Ersilia Sforza, figlia, di Federico, e cercò con successo di estendere i propri possedimenti. Impugnando una vecchia convenzione stipulata tra il nonno Stefano e Alessandro Colonna nel 1540, venne a un accordo con la cugina Giulia e si fece cedere il feudo di Castelnuovo che era stato temporaneamente affidato alla Camera apostolica. Comunque il suo soggiorno in patria fu presto interrotto: per intercessione del cardinal Aldobrandini presso il nunzio in Fiandra Ottavio Frangipane, il quale fungeva anche da informatore militare della S. Sede e da intermediario nella selezione dei comandanti presso l'arciduca, il C. ottenne di ritornare sotto le bandiere spagnole.

Nel 1604 Ambrogio Spinola, inviato da Filippo III nei Paesi Bassi per attaccare la Frisia e contenere l'attacco sferrato da Maurizio di Nassau, nominò il C. revisore generale delle piazzeforti delle Fiandre e gli affidò il comando di un reggimento di mercenari napoletani precedentemente guidato da Camillo Caracciolo, principe di Avellino. Il C. mantenne quest'incarico appena un anno, comunque ebbe modo di distinguersi insieme con Sigismondo d'Este, Ferrante Bentivoglio e altri combattenti italiani nella campagna organizzata dallo Spinola pet ostacolare la liberazione di Ostenda da parte delle truppe del Nassau. Il C., sebbene nominato cavalieredei Toson d'oro, fece ritorno in patria senza aver ottenuto le sperate fortune (fu anzi remunerato in maniera inferiore agli altri principi italiani) e con la fama di avere un incontenibile quanto disastroso amore per il gioco d'azzardo.

Dal 1614 fissò la sua dimora stabile nel palazzo di Palestrina, dove si adoperò per facilitare la fondazione di un convento di monache clarisse. Nel'1625, grazie all'intervento di Carlo Barberini, venne nominato mastro di campo e governatore militare delle Marche.

Giunto ad Ancona nel febbraio del 1625, dopo essersi fermato in Umbria per rendersi personalmente conto dello stato delle guarnigioni e per verificare la possibilità di effettuare leve militari, egli ebbe il compito di agevolare lo smistamento delle truppe pontificie dirette verso la Valtellina; oltre alle incombenze di ordinaria amministrazione, il C. tentò senza successo di condurre un'incisiva lotta al banditismo che infestava la regione, sollecitato in questo dalle autorità ecclesiastiche. Per attendere più da vicino ai suoi interessi e per fronteggiare meglio una situazione finanziaria sempre più compromessa, chiese nel dicembre dello stesso anno di poter lasciare l'incarico e di tornare nei suoi feudi.

Ottenuto il congedo e rientrato a Palestrina,'il C. invano tentò di sfuggire alla rovina che investiva la sua famiglia: incalzato dai creditori, "dopo cinque anni di espedienti, di sprechi e di suppliche al re di Spagna, si decise a vendere la città di Palestrina aCarlo Barberini, fratello diUrbano VIII e acquirente nello stesso periodo di numerosi altri possedimenti.

Il contratto di vendita venne stipulato il 16 genn. 1630: ai Barberini, oltre alla città, furono ceduti i feudi di Algido, Mezza Selva e Corcollo; al C. restarono soltanto alcuni feudi di secondaria importanza nell'Abruzzo e nel Lazio, e solo un breve di Urbano VIII - che elevava i possedimenti di Carbognano a principato - lo salvò dalla vergogna di non poter vantare nemmeno un titolo nobiliare.

Morì, non si sa dove, l'11 dic. 1636.

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