CALZOLARI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CALZOLARI (Calzolaris), Francesco

Giuliano Gliozzi

Nacque a Verona il 10luglio 1522. Il padre (di antica famiglia veronese che già si era distinta nel sec. XIII, ai tempi di Ezzelino da Romano) esercitò la professione di speziale nella farmacia detta "la campana d'oro", nella piazza principale della città. Entrambi i genitori, Libera e Giacomo, morirono nel dicembre 1572. Dalla moglie, Felice, ebbe quattro figli: Angelo, Orazio, Angelina, Francesca. Seguì la professione del padre, dedicandocisi con passione per tutta la vita. Solo per un breve periodo, dal marzo all'agosto del 1573, ricoperse l'ufficio di consigliere del podestà per tenere giudizio sulle mercanzie.

Pur riluttante a muoversi dalla città natia, il C. seppe tenere organici legami con i rappresentanti più significativi della scienza naturale, e in particolare botanica, del suo tempo. Egli stesso afferma di avere avuto come maestro l'illustre concittadino Girolamo Fracastoro, ma non sappiamo quando e come questo rapporto si sia concretato. Sappiamo invece che verso il 1548-49 frequentò l'ateneo padovano, dove fu edotto nella conoscenza dei semplici dal prefetto dell'orto botanico, Luigi Anguillara. In quel periodo si legò d'amicizia col coetaneo naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi, che avrà una grande influenza sulla sua formazione, sia direttamente, intrattenendo con lui una corrispondenza scientifica durata più di quarant'anni, sia indirettamente, mettendolo in contatto con le maggiori personalità della botanica del tempo. Fu infatti l'Aldrovandi a fargli conoscere Luca Ghini, maestro di molti grandi naturalisti della seconda metà del secolo; ed è anzi probabile che di questo medico imolese i due giovani abbiano frequentato assieme un corso all'orto botanico dell'università di Pisa nell'anno accademico 1551-52 (Cermenati, Intorno il Ghini, p. 946). Tra il C. e il Ghini si stabilirono intensi rapporti, manifestatisi in reciproche spedizioni di piante, ed in alcune visite del secondo a Verona, dove i due botanici erborizzarono insieme sulle pendici del monte Baldo.

Su questo rilievo delle Prealpi Venete, che per la felice collocazione geografica (situato tra l'Adige e il lago di Garda ) mostrava una eccezionale dovizia di flora e la presenza di specie rare altrove difficilmente reperibili, il C. organizzò più volte spedizioni scientifiche in compagnia di famosi botanici e naturalisti. La più celebre di queste escursioni fu effettuata nel 1554, e vi presero parte, oltre al C., l'Aldrovandi, l'Anguillara e il bellunese Andrea Alpago, futuro professore all'ateneo padovano. Da questa esperienza, cruciale per la formazione del C., prenderà le mosse la sua celebre operetta, Il viaggio di Monte Baldo, che vedrà le stampe dodici anni più tardi.

Morto il Ghini nel 1556, il C. si rivolse nuovamente all'Aldrovandi perché lo mettesse in rapporto con qualche altro naturalista di fama, e fu così che stabilì legami col celebre Pierandrea Mattioli, consiliario e medico primario dell'arciduca Ferdinando d'Austria. La protezione di costui, le sue commissioni di preparati medicinali, il regolare scambio di droghe e di rarità naturali (attraverso non facili collegamenti tra Verona da un lato e Vienna e Praga dall'altro) contribuirono notevolmente alla preparazione scientifica e all'affermazione professionale del Calzolari.

Parlando della sua attività scientifica, il C. afferma di avere speso la maggior parte della sua vita "in cercare da me, et con l'aiuto de' Signori et amici miei... i veri Semplici" (Lettera, p. [5]). Preoccupazione, questa, che fa di lui un tipico rappresentante di quella farmacopea rinascimentale, cui la rivalutazione della medicina classica impose il compito del riconoscimento e del reperimento delle erbe medicinali indicate nelle ricette degli antichi. In questa ricerca, il metodo del C. è nettamente sperimentale, basato sulla convinzione che "la cognitione de' Semplici non può haversi dal legger libri, quando insieme non vi sia congionta la sperienza de gli occhi stessi, così per conoscere le spetie loro, come per distinguere i buoni da' rei" (ibid., p. [11]). Lo scrupolo, il rigore e i mezzi economici di cui poteva disporre (l'impiego, per esempio, di numerosi salariati) permisero al C. di conseguire vistosi successi. In particolare, le ricerche gli consentirono nel 1561 di comporre la teriaca, un elettuario allora molto apprezzato come contravveleno, sostituendo soltanto sei "semplici" rispetto alla ricetta tramandata da Andromaco, medico cretese di Nerone; sostituzioni che cinque anni dopo, con l'aggiunta dei rarissimi amomo, costo e acazia, si ridussero a tre. Il successo del C. fu contestato da un certo Hercolano Scalcina, perugino, un uomo sui quarant'anni dal torbido passato, che lavorava come garzone nella spezieria dell'Angelo di Verona e frequentava saltuariamente l'università di Padova. Costui, da tempo in attrito con il C., che si era rifiutato di assumerlo alle proprie dipendenze, in uno scritto di cui conosciamo soltanto il titolo abbreviato (Successo, giudicio et offerta), denigrò la teriaca del C., presentandone per contro una propria come di gran lunga migliore. Ma il Collegio dei medici di Verona, mentre riconosceva l'eccezionalità della teriaca del C., denunciava la falsificazione di molti semplici in quella dello Scalcina. Frattanto esprimevano giudizi entusiastici sull'opera del C. scienziati di fama come Gesner, Mattioli, Borgarucci e Olivi. Scalcina finì alla gogna: inutilmente cercò di laurearsi in medicina a Venezia, e poi a Ferrara. Cacciato con ignominia, dovette far ritorno a Perugia, dove si fece prete (lettera del C. all'Aldrovandi del18 genn. 1568, in Cermenati, F. C. da Verona, p. 39).Per difendersi dalle accuse dello Scalcina, il C. scrisse una memoria di poche pagine, che inviò al medico G. B. Susio con una lettera del 1º sett. 1566, "con espressa conditione che non siano vedute né lette pubblicamente, ma comunicate solamente ad alcuni ch'ella saprà scegliere tra gli altri". Al C. pareva disdicevole che un gentiluomo del suo rango polemizzasse pubblicamente con un garzone di bottega come lo Scalcina. Ma la memoria e le lettere, tramite il medico G. A. Magnoni, finirono in mano al cremonese Vincenzo Conti, che le pubblicò, facendole precedere da una dedica ad Andrea Roncadelli in cui si scusa di aver contravvenuto alle disposizioni dell'autore (Lettera di M. F. C. spetiale al segno della Campana d'oro in Verona, intorno ad alcune menzogne et calonnie date alla sua Theriaca da certo Scalcina Perugino, Cremona 1566).

Ancor più grandi sono la fama e il merito del C. come raccoglitore e catalogatore di oggetti naturali: sotto questo rispetto egli ebbe un'assoluta preminenza nell'Italia della seconda metà del Cinquecento, paragonabile soltanto a quella dell'Aldrovandi a Bologna, di Ferrante Imperato a Napoli e del granduca di Toscana.

Al primo piano della sua abitazione, sopra l'officina di speziale, il C. allestì un museo ripartito in tre locali, di cui il primo conteneva i ritratti dei più insigni scienziati e medici contemporanei; il secondo vasi e alambicchi per la distillazione; il terzo, infine, spezie, piante e minerali esposti in bell'ordine, nonché rarità naturali di ogni genere, come il corno di unicorno offertogli nel 1565 dal Mattioli e l'uccello del paradiso proveniente dalle Molucche donatogli da D. Bartoli. Per arricchire il suo museo il C. non cessò di adoperarsi, sia con ricerche personali, sia con continui scambi coi naturalisti del tempo. Molti di questi si recavano in visita al museo e ne rimanevano profondamente ammirati. L'Aldrovandi lo visitò il 15 ott. 1571, il Mattioli nel settembre 1571, nell'aprile 1581 Antonio Passieno, un medico giunto appositamente da Pescara. Di costoro il medico bolognese G. B. Olivi raccolse le testimonianze che pubblicò aggiungendovi una propria descrizione del museo, nel volumetto De reconditis..., stampato nel 1584.

Nella conduzione del museo il C. fu coadiuvato dai due figli maschi, di cui il maggiore, Angelo, dimostrava particolare predisposizione e intelligenza: ma morì a soli ventotto anni cercando piante sul monte Baldo. Quasi contemporaneamente il C. perse anche l'altro figlio. Dopo questa disgrazia, divenuto completamente cieco in seguito a cataratta, verso il 1584 si ritirò definitivamente a vivere in un podere di sua proprietà a Rivoli, alle falde del monte Baldo. Qui morì il 5 marzo 1609.

La farmacia e il museo furono ereditati dal figlio naturale Gerolamo e quindi dal pronipote Francesco. Sotto la guida di quest'ultimo il museo ebbe nuova fama e sviluppo, e fu nuovamente oggetto di minuziosa, e ammirata illustrazione da parte di due medici, Benedetto Ceruto e Andrea Chiocco (1622).

L'opera intitolata Il viaggiodi Monte Baldo della magnifica città di Verona nella quale si descrive con meraviglioso ordine il sito di detto monte et d'alcune parti ad esso contigue, et eziandio si narra d'alcune segnalate Piante et Herbe che ivi nascono et che nell'uso della medicina più di tutte l'altre conferiscono fustampata per la prima volta in italiano a Venezia nel 1566. In una lettera a Prospero Borgarucci (15 sett. 1565), preposta a questa edizione, il C. spiega gli intenti dell'opera. Si parte dalla constatazione che "di molti e gravissimi errori cagione, et a Medici et alli Spetiali è stata a giorni nostri la ignoranza de' semplici" (p. 3). Al problema della individuazione dei semplici ha risposto egregiamente il Mattioli col suo commento a Dioscoride. Alle difficoltà di preparazione e composizione rimedierà Borgarucci stesso, in una opera annunciata (che uscirà col titolo La Fabrica de gli Spetiali, Venetia 1671, e di cui il Viaggio costituirà l'appendice). Dunque, questo solo restava, di saper il luoco dove agevolmente si ritrovasse copia delle piante" (p. 4), e questo è il compito che si prefigge il C., con particolare riferimento alla flora di monte Baldo. La sua è la descrizione di un viaggio da Verona alla sommità del monte, attraverso una serie di villaggi (Bussolengo, Rivoli, Chiusa, ecc.), con una minuziosa annotazione, per ogni località, delle specie vegetali che si incontrano, onde ne risulta una precisa e insolitamente ricca mappa floreale.

Qualche dubbio è stato sollevato la paternità dell'operetta. Secondo O. Montalbano (p. 29) essa sarebbe stata scritta "opera et auxilio calami J. B. Olivae": ma se aiuto ci fu, non dovette essere determinante, perché la forma letteraria rimane piuttosto rozza e dialettale, tanto che lo stesso C. si sente in obbligo di affermare che "bisogno sarebbe stato d'un'ingegno nelle lingue, e nel comporre più esercitato del mio" (p. 5).

Per rendere l'opera più accessibile agli scienziati stranieri, Mattioli consigliò al C. di tradurla in latino, e in questa forma la pubblicò in calce al suo Compendium de plantis omnibus, Venetiis 1571, col titolo Iter Baldi civitatis Veronae Montis,inquo mirabili ordine describitur montis ipsius atque aliarum quarundam ipsum contingentium partium situs;la stessa versione si ritrova in calce a I. Camerarius, De plantis epitome utilissima, Francofurti 1586, alle due ed. del trattatello De reconditis di G. B. Olivi (Venezia 1584, Verona 1593); nella raccolta di J. F. Séguier, Plantae Veronenses, Verona 1745. Dalla versione latina G. P. Bergantini trasse un sunto in italiano dal titolo Traduzione della descrittione di Monte Baldo fatta latinamente da F. C., cui fu amico P. A. Mattioli e che insieme con U. Aldrovandi nel MDLIV visitò tal monte, Venezia 1740.

Interessante la corrispondenza scientifica del C. con l'Aldrovandi, conservata alla Biblioteca universitaria di Bologna nella raccolta Lettere di uomini illustri scritte ad U. Aldrovandi:trentanove lettere, oggi interamente pubblicate da M. Cermenati, che coprono un arco di tempo molto esteso (1554-96) e servono bene ad illustrare l'attività del C. e l'ambiente scientifico in cui visse.

Del C. si conservano un ritratto ad olio nell'Orto botanico di Pisa, un acquerello nell'Orto botanico di Bologna, una silografia pubblicata nel volumetto dell'Olivi.

Fonti e Bibl.: P. A. Mattioli, Nelli sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo della materia medicinale, II, 6, Venezia 1585, p. 1469; G. B. Olivi, De reconditis, et praecipuis collectaneis ab honestissimo, et solertiss. F. C. Veronensi in Musaeo adservatis... testificatio, Venetiis 1584; B. Ceruto-A. Chiocco, Musaeum F. C. Jun. Veronensis... luculenter descriptum, et perfectum, Veronae 1622; S. Maffei, Verona Illustrata, IV, Verona 1731, col 202; O. Montalbano, Bibliotheca botanica, Hagae-Comitum 1740, p. 29; G. Fantuzzi, Memorie della vita di U. Aldrovandi, Bologna 1774, pp. 243-47; P. S. Saccardo, La botanica in Italia, I, Venezia 1895, p. 42; II, ibid. 1901, p. 26; G. B. De Toni-A. Forti, Intorno alle relazioni di F. C. con Luca Ghini, in Boll.della Soc. botanica it., XVI (1907), pp. 152-56; M. Cermenati, Intorno il Ghini e i suoi rapporti con F. C., in Atti d. R. Ist. Veneto, LXIX(1910), n. 2, pp. 939-61; Id., F. C. da Verona e le sue lettere ad U. Aldrovandi, Roma 1910; G. B. De Toni, F. C., in Gli scienziati italiani dall'inizio del medio evo ai nostri giorni, a cura di A. Mieli, I, Roma 1923, pp. 387-91; P. Donazzolo, Iviaggiatori veneti minori, Roma 1927, p. 143.

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