CALDERIA, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)

CALDERIA (Calderio), Francesco

Ugo Tucci

Figlio di Bernardo, nacque nella seconda metà del sec. XV probabilmente a Padova, dove il 16 apr. 1502venne nominato cancelliere capitolare, essendo già insignito dei titoli di pubblico notaio e giudice ordinario. Senza abbandonare quella di notaio, che è documentata dal 1494 al 1509, svolse la funzione di cancelliere almeno fino al 29 giugno 1509, godendo dal 1506 di una decima su certi beni del capitolo a Luvignano.

Attingendo allo Scardeone e all'Orsato, il Vedova scrive che all'epoca dell'occupazione imperiale di Padova, desideroso di vedere paesi nuovi e anche di far fortuna, il C. si sarebbe trasferito in Spagna, dove avrebbe steso una relazione sull'America che avrebbe stampato col titolo Delli costumi delli abitanti le isole in India scoperte da Colombo, Pizzaro e Cortese.Questa relazione americana - in parte anche cronologicamente improbabile - non ci è mai pervenuta ed è possibile che non sia stata mai scritta, o almeno stampata.

Meta del viaggio del C. nella penisola iberica dovette essere non la Spagna, che egli certamente traversò, bensì Lisbona, dove soggiornò fino al 24 febbr. 1514, quando si mosse per tornare in Italia, diretto a Roma, ciò che fa supporre che potesse avere qualche incarico di segreteria al seguito di un inviato della corte pontificia. A Roma era sicuramente il 21giugno 1514, data della lettera dedicatoria al vescovo di Aquila Giovanni Dominici d'una succinta Rerum et regionum Indicarum per serenissimum Emanuelem Portugallie regem partarum narratio verissima, pubblicata senza espressa indicazione d'anno e di luogo.

Il titolo di questa operetta trova una giustificazione nei numerosi passi celebrativi del monarca, che tuttavia danno l'impressione d'essere stati ingeriti in un secondo tempo, e le lodi s'estendono anche alla sua prolificità; in effetti il racconto si limita dichiaratamente alle notizie sulle Indie portoghesi pervenute a Lisbona nel 1513, e come è naturale ne sono al centro Alfonso de Albuquerque e la conquista di Malacca. Il C. descrive la cacciata del sultano musulmano, la cattura di duemila pezzi d'artiglieria e di sette elefanti attrezzati per il combattimento, l'incendio della città con le sue venticinquemila case e la successiva ricostruzione attorno alla fortezza, edificata con grosse pietre quadrate. Anche qui, come aveva fatto a Goa, l'Albuquerque istituì una zecca, che coniava cattolici d'oro, malagnesi (malaquēs)d'argento e monete di stagno (calains)con la funzione di "quattrini"; i mercanti giavanesi, birmani, indiani avevano fatto atto di sotto missione, il commercio era tornato a fiorire e le navi portoghesi potevano caricare quantità incredibili di spezie e di verzino. Gli Indostani guardavano con favore ai Portoghesi, che li avevano liberati dagli Arabi, e allettati dai loro costumi, "multum conformibus Italicis", si convertivano in massa alla fede cristiana. Il C. li descrive nudi, la pelle non nera ma grigia, col loro strano culto dei buoi e delle vacche, e fornisce importanti dettagli sull'antropofagia rituale praticata dagli abitanti dei paesi dai quali arrivava il verzino: il prigioniero tenuto ben nutrito per un certo tempo e quindi abbattuto con una mazza di legno fra canti solenni e gioiosi, e le sue carni arrostite e consumate; delle tibie si faceva quella specie di fistule che in Italia si chiamavano sigolotti, e il C. si vanta d'aver avuto occasione di suonarli nel tempo in cui dimorava a Lisbona. Egli infatti si preoccupa soprattutto della veridicità di quello che racconta e, per quanto è possibile, cerca di avvalorarlo con esperienze personali. Delle cose indiane che ha visto in Portogallo ciò che l'ha entusiasmato di più sono gli elefanti; ai suoi occhi si pongono come il simbolo dei paesi di nuova conquista, e la minutezza della descrizione include anche particolari anatomici di quelli di sesso femminile.

Il C. si trovava a Lisbona quando nel 1513era arrivato, carico di regali meravigliosi, l'ambasciatore del re di Ormuz, un siciliano poliglotta con un avventuroso passato di schiavo e di rinnegato, che in un mondo socialmente meno rigido di quello occidentale aveva potuto raggiungere una posizione di grande prestigio. L'anno seguente, proprio alla vigilia della sua partenza per l'Italia, il C. assisté all'arrivo alla corte lusitana dell'ambasciatore etiopico, che portava in dono un grosso pezzo del legno della croce e chicdeva esperti per deviare alle sorgenti il corso del Nilo, in modo che l'Egitto venisse distrutto dalla siccità. A Lisbona il progetto di una alleanza in Mar Rosso con la flotta del re cristiano d'Etiopia accendeva grandi speranze e il C. ricorda come già Tristão da Cunha avesse mandato a questo scopo una missione diplomatica: ora si sapeva che l'Albuquerque s'era messo in viaggio con un'armata marittima sulla quale erano imbarcati quattromila uomini per andare a congiungersi con le forze di Prete Gianni e stroncare gli Arabi nel Mar Rosso. La "narratio verissima" del C. si chiude con una rievocazione delle imprese dell'Albuquerque, in particolare la liberazione di Goa, presa d'assedio dagli Arabi e dai Turchi, e la distruzione della rocca di Nabastar.

L'opera del C. fu trascurata dal Ramusio e dalle altre raccolte cinquecentesche di relazioni sui paesi nuovi, e rimase praticamente ignorata, forse anche perché sulle gesta dell'Albuquerque erano disponibili, dal 1557, i Comentarios pubblicati da suo figlio.

Sempre secondo lo Scardeone, il C. sarebbe morto in Spagna, ancora giovane, intorno al 1525. Non sappiamo quale fondamento abbia questa notizia, perché dopo il suo ritorno in Italia nel 1514 del C. si perde ogni traccia.

Fonti e Bibl.:Biblioteca capitolare di Padova, Acta Capitularia, tomi 7 e 8 (che raccolgono gli atti rogati dal C. dal 1502 al 1504 e dal 1507 al 1509); Ibid., Caneva della Cattedrale di Padova, 1503-1509; Archivio di Stato di Padova, Archivio Norarile, atti dal 1494 al 1509 (voll. 6); B. Scardeone, De antiquitate urbis Patavii, Basilea 1560, p. 157; G. Vedova, Biogr. d. scritt. padovani, Padova 1832, I, pp. 179 s.; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori, Roma 1927, pp. 81 s.; L. de Matos, Natura, intelletto e costumi dell'elefante, in Boletim internacional de bibliografia luso-brasileira, I(1960), pp. 44 ss.

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