CAETANI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)

CAETANI, Francesco

Daniel Waley

Figlio di un fratello di Bonifacio VIII, Roffredo (II) conte di Caserta, e di Elisabetta Orsini, nacque intorno al 1260. Probabilmente in età molto giovane sposò Maria, sorella di Rinaldo signore di Supino, consentendo così ai Caetani l'alleanza con un'altra famiglia feudale della Campagna. Tuttavia, in seguito, non sappiamo con esattezza quando, passò alla carriera ecclesiastica. Considerando l'imponente numero di benefici di cui era titolare nel primo anno di pontificato di Bonifacio VIII (1295), possiamo pensare che egli cominciò ad accumulare benefici sin da quando lo zio era cardinale, prima, cioè, del dicembre del 1294. L'8 sett. 1295, data in cui gli venne concesso il permesso di ricevere un'ulteriore dignità a York, era canonico e tesoriere a Laon, e titolare di altri cinque canonicati con prebenda (a York, a Parigi, ad Arras, a Lisieux ed ad Anagni), di un priorato e di molti altri benefici specialmente in Campagna. Nell'ottobre del 1295, se non prima, era cappellano pontificio. è probabile, a giudicare dagli incarichi che riceverà in seguito, che egli abbia compiuto, prima di questa data, studi in diritto canonico; ma non abbiamo notizie sicure al riguardo. è anche probabile che, nell'autunno del 1295, avesse già ripudiato formalmente la moglie visto che allora era chiaramente impegnato nella carriera ecclesiastica. Ma forse si erano soltanto separati. Infatti il futuro antagonista di Bonifacio VIII, Guglielmo di Nogaret, accusò il C., descritto come un giovane grasso e forte, di dissolutezza per aver avuto due figli dalla moglie dopo che questa aveva fatto voto di castità; Nogaret, tuttavia, sembra ritenere che Maria fosse stata soltanto ripudiata dopo la nomina del C. a cardinale. Maria entrò in convento (nel febbraio del 1300 era monaca nel convento di S. Maria de Viano nella diocesi di Anagni); i signori di Supino considerarono il ripudio come un insulto e passarono tra i nemici dei Caetani in Campagna.

Il 17 dic. 1295 il C. fu nominato cardinale diacono di S. Maria in Cosmedin. Dette inizio a vasti restauri della sua chiesa: un nuovo ciborio, opera di Deodato, che reca lo stemma del C. fu al centro della ricostruzione. In seguito (28 marzo 1302) gli venne anche affidata l'amministrazione della chiesa di S. Agata in Suburra "in commendam", poiché era priva di un cardinale titolare. Grazie a una dispensa dello zio il C. continuò a possedere, anche come cardinale, numerosi benefici: nel febbraio del 1303 era arcidiacono di Richinond (nella diocesi di York), tesoriere di Lodi, titolare di un'abbazia nella diocesi di Troia, di tre chiese e di un'abbazia in Campagna. Le rendite dell'arcidiaconato inglese, però, gli erano contese da un altro pretendente. Il suo modo di considerare i benefici ecclesiastici può forse essere messo bene in luce da due concessioni fatte dal pontefice Bonifacio VIII dietro sua richiesta: la prima assegnava un quantitativo annuo di grano proveniente da una chiesa nella diocesi di Spoleto, insieme con l'aspettativa del primo beneficio che sarebbe rimasto vacante nella diocesi di Todi, al figlio dodicenne di un familiare del C.; la seconda attribuiva al figlio di un altro familiare del C. la somma annua di trenta libbre da ricevere dall'abbazia di Farfa e l'aspettativa di una prebenda a Pisa.

Il C. collaborò con lo zio nella compilazione del Liber Sextus;il che sta a testimoniare una sua preparazione giuridica. Sembra inoltre che egli fungesse da segretario pontificio: una lettera del 1302 di un emissario aragonese descrive Bonifacio VIII mentre in concistoro si rivolge al C. dicendogli "Et, tu, Francisce… scribas illi episcopo, quod bene eos corrigat". La maggior parte del suo lavoro di Curia consisteva nel trattare affari di ordinaria amministrazione. Si occupava di problemi relativi a benefici ecclesiastici ed aveva anche il compito - che probabilmente gli procurava anche vantaggi finanziari - di conferire il pallio agli arcivescovi: a volte prendeva parte di persona alla cerimonia del conferimento delpallio, come nei casi dell'arcivescovo di York, Tommaso, nel 1300, di quello di Riga e di quello di Tiro nel 1301. La sua attività curiale comportava spostamenti con la Curia tra Roma, Orvieto, Anagni ed altre città. Così lo troviamo ad Orvieto testimone all'atto con cui Bonifacio VIII il 27ott. 1297stabiliva i termini di pace per Bologna, a S. Pietro in Roma come testimone della dichiarazione fatta dal papa il 30 giugno 1298 in occasione della pace tra Francia e Inghilterra, e ad Anagni il 29 sett. 1301. Aveva un suo alloggio a Roma presso la chiesa dei SS. Quattro Incoronati.

Nello stesso tempo il C. prendeva parte attiva alla costruzione della ambiziosa signoria territoriale dei Caetani, specialmente in Campagna e Marittima. Tutte le notizie relative alla sua personalità indicano che egli era ben adatto a svolgere un ruolo preminente di questa politica. Non c'è bisogno di pensare che egli si limitasse ad eseguire le direttive dello zio: egli intendeva, infatti, come sottolinea il Falco, creare uno "stato" per se stesso, oltre che agire nell'ambito della politica familiare. Nell'estate del 1297, mentre era ad Orvieto al seguito della Curia, acquistò, a nome del fratello Pietro, conte di Caserta, varie terre a Sermoneta, Bassiano e San Donato dagli Annibaldi. Nel 1299 e 1300 acquistò altre terre a Trevi, Filettino, Vallepietra, Collalto e Sgurgola, forse con lo scopo di sostenere la politica del fratello in quella regione. I due fratelli, poi, fecero vari acquisti in comune. Nel 1300 acquistarono Ienne e nel 1301 Giove, presso Orte nell'Umbria meridionale, per il quale versarono ai signori di Parignano 40.000 fiorini.

Nel febbraio del 1303 la signoria dei C. in Campagna e Marittima, confermatagli formalmente del papa, comprendeva, tra l'altro, Trevi, Ferentino, Vallepietra, Cavignano, Sgurgola, Torre, Trivigliano, Pofi, Carpino, Falvaterra, Collemezzo, Carpineto, Sermoneta, Bassiano, San Donato, Norma, Ninfa, San Felice, Astura (si veda al riguardo la "carta feudale del Lazio" pubblicata da G. Marchetti Longhi, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XXXVI[1956]). Le terre dei Caetani in Campagna erano allora collegate con quelle che la famiglia aveva alla frontiera (Terracina) e nel Regno (Fondi, Caserta), mentre nello stesso periodo i rivali dei Caetani in Campagna erano tagliati fuori dal Regno. Giove, presso il Tevere, era un'appendice al nucleo dei possedimenti dei Caetani nel Lazio (Viterbo) e nel Patrimonio in Tuscia (Orvieto, contado aldobrandesco). Nel medesimo tempo (marzo-aprile 1302) il C. ottenne anche il possesso della fortezza di Capo di Bove, che in parte acquistò e ricevette per il resto in dono da Luca Savelli. La fortezza, che comprendeva anche Tor Perrone sulla sinistra della via Appia, era in posizione tale da poter costituire un caposaldo dei Caetani sulle vie meridionali di accesso a Roma, e nello stesso tempo l'anello di congiunzione tra la torre delle Milizie in Roma e la signoria in Campagna e Marittima. Il C. fondò una chiesa parrocchiale a Capo di Bove (maggio 1303) e dovette avere ulteriori ambiziosi progetti per il futuro.

Era nel suo palazzo di Anagni quando la città cadde in mano ai nemici di Bonifacio VIII (7 sett. 1303). Anche il suo palazzo fu preso d'assalto, ma egli riuscì a fuggire, raggiunse Torre e vi raccolse truppe: due giorni dopo, insieme con il nipote Benedetto, anch'egli fuggito da Anagni, rientrò in città con i suoi soldati e liberò il papa. La morte di Bonifacio VIII (11 ott. 1303) cambiò profondamente la situazione della famiglia. Già nel febbraio 1304 il C. cominciò a vendere alcune terre (Astura), anche se il breve pontificato di Benedetto XI (ottobre 1303-luglio 1304), la cui elezione era stata probabilmente sostenuta dal C., costituì per i Caetani una appendice pacifica al periodo di Bonifacio VIII. Il C. restò in Curia e continuò a ricevere privilegi pontifici.

L'importante conclave di Perugia, che si aprì alla morte di Benedetto XI e durò fino al giugno del 1305, fu molto contrastato. Dai resoconti dei contemporanei (quelli, cioè, degli emissari aragonesi) si apprende che il C. si schierò con il partito del cardinale Matteo Rosso Orsini contro quello del cardinale Napoleone Orsini. Durante il conclave il C. approfittò della presenza degli emissari aragonesi per inviare messaggi al re Giacomo II, chiedendogli la restituzione delle terre del Regno che l'Ordine di Calatrava aveva concesso al figlio del re: il monarca doveva rammentarsi del bene che per lui aveva nutrito il defunto pontefice. Dopo circa un anno il C. e gli altri "bonifaciani" furono indotti dal partito del cardinale Matteo Rosso a votare per Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, che in questo modo si assicurò l'elezione a pontefice (col nome di Clemente V): nel voto finale il C. funse da scrutinatore. Egli dovette essere stato erroneamente persuaso che Clemente era propenso ad assumere una linea politica favorevole ai Caetani. La voce, che corse allora, che Bertrand de Got era stato in precedenza cappellano del C. sembra inesatta: quanto meno non lo era stato ufficialmente.

Sotto Clemente V il C. continuò ad occuparsi di questioni di ordinaria amministrazione presso la Curia: si trattava per lo più di problemi giuridici connessi con elezioni contestate; continuò a conferire il pallio ad arcivescovi e a seguire la Curia nei suoi spostamenti. Fu a Cluny nel 1306, a Tolosa all'inizio del 1309, al concilio di Vienne nel 1311-1312 e in seguito (nel 1314) fu uno dei cardinali italiani che a Valenza emanarono un'enciclica per condannare l'incendio provocato da Guasconi a Carpentras durante il conclave apertosi alla morte di Clemente V. Inoltre lottò con energia per difendere in Inghilterra il suo beneficio e quelli del parente e omonimo Francesco di Pietro (II) Caetani: nel 1311 persuase Clemente V a chiedere a vari prelati inglesi di convocare alla corte pontificia l'arcivescovo di York per la questione delle pretese del C. sull'arcidiaconato di Richmond.

Il C., però, veniva sempre più allontanato dalle funzioni importanti della Curia, nonostante la sua anzianità come cardinale. L'unico compito di un certo rilievo che ricevette fu quello di indagare nel 1310 sulla morte di Francesco, pretendente al marchesato d'Este; in questa occasione venne nominato legato a latere per far luce sull'episodio e, se necessario, punire i colpevoli. Non sappiamo nulla sull'esito della missione, ma è probabile che non ebbe successo a causa dei frequenti disordini che turbavano Ferrara in quel periodo.

La maggior preoccupazione del C., comunque, durante il pontificato di Clemente V fu quella di difendere il nome di Bonifacio VIII e la causa dei Caetani nell'Italia centrale. Fu il principale difensore dello zio, specialmente nel corso delle udienze di una specie di processo postumo tenutosi ad Avignone a partire dal marzo del 1310. Replicando alle accuse scritte presentate dai cardinali della famiglia Colonna, il C. affermò che la condanna dei Colonna era stata pronunciata da Bonifacio VIII in un pubblico concistoro tenutosi a Rieti, davanti ad una grande folla: in quella occasione i Colonna avevano espresso contrizione e chiesto perdono. Affermò inoltre che la distruzione di Palestrina era stata un provvedimento giusto e necessario. Negò, poi, ogni valore alle storie messe in giro contro i Caetani (come, ad esempio, quella secondo cui essi avevano complottato per uccidere Stefano Colonna). Ammise ad un certo momento che i Caetani avevano acquistato proprietà con il denaro della Chiesa, ma poi ritrattò questa dichiarazione. I Caetani non avevano alcun obbligo - egli sostenne - di restituire le terre ai Colonna; anzi si lamentò sia degli assalti portati da questi alle proprietà dei Caetani in Campagna dopo la morte di Bonifacio VIII, sia del tentativo, fatto senza alcuna autorizzazione dal nipote conte Benedetto, di arrivare con i Colonna ad una permuta che avrebbe fatto passare ad essi terre dei Caetani. La difesa della memoria del pontefice Bonifacio VIII nel 1310 aveva chiaramente il suo centro nella residenza del C. ad Avignone, ove, ad esempio, i testimoni nominavano i loro procuratori; inoltre un familiare del C. fu accusato di aver minacciato un testimone dell'accusa e il C. dovette chiedere scusa per l'episodio. La replica del C. ai Colonna - che i Caetani erano pronti ad impegnare se stessi e le loro proprietà nell'interessse dei sovrani francesi - non sembra essere stata molto convincente; tuttavia il "processo" fu sospeso senza aver raggiunto alcuna conclusione. In generale si può dire che durante il pontificato di Clemente V i Caetani si mantennero sulla difensiva: indicativa della loro decadenza è la canonizzazione di Celestino V nel 1313.

Comunque, la lunga lotta in Campagna per la difesa delle proprietà familiari dette alcuni risultati positivi. Alla morte del fratello Pietro, conte di Caserta, nel 1308 il C. aveva assunto virtualmente la guida della famiglia. Clemente V incaricò il C., insieme con il cardinale Napoleone Orsini, di tentare un accordo tra tutti i baroni e i Comuni della Campagna. Non fu raggiunta nessuna pace definitiva; tuttavia, nell'aprile del 1312 il pontefice confermava l'accordo che i due cardinali erano riusciti ad imporre ai conti Benedetto e Roffredo Caetani (nipoti del C.) da un lato e ad Anagni, Alatri e a vari Comuni e signori della Campagna dall'altro.

La lotta tra Caetani e Colonna si colorì nell'aprile 1316 di uno strano episodio: un chierico, di nome Evrart di Bar-sur-Aube, accusò il C. di aver usato la stregoneria per attentare alla vita del re di Francia Luigi X, del fratello di questo, conte di Poitiers, e dei cardinali Pietro e Giacomo Colonna. Accuse di questo genere non erano insolite nel secolo XIV; è anche possibile che il chierico fosse un agente provocatore incaricato di conquistarsi la fiducia del Caetani. Ad ogni modo sembra che l'accusa cadesse presto.

Il lungo conclave che portò all'elezione di Giovanni XXII (agosto 1316) trovò il C. - se si può prestar fede ai soliti rapporti aragonesi - dalla parte del vincitore. Il C. continuò a svolgere anche sotto questo pontefice una parte attiva nel lavoro amministrativo della Curia e nel 1317, dopo circa vent'anni di lotta per assicurarsi le rendite del suo conteso beneficio inglese, chiedeva ancora al pontefice di intervenire presso il vescovo di Londra perché risolvesse la questione a suo favore. Il 13 maggio 1317 il papa gli dava il permesso di testare: il 16 maggio il C. moriva ad Avignone. Il giorno dopo il papa era già al lavoro per distribuire i benefici di questo tenace accaparratore di proprietà e benefici ecclesiastici.

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