BRAMANTE, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 13 (1971)

BRAMANTE, Francesco

Roberto Zapperi

Oscuro esponente di quel mondo di protonotari che affollavano la Curia romana, il B. emerse dall'anonimato nell'autunno del 1570, allorché Pio V lo inviò come suo nunzio straordinario alla corte di Francia per protestare contro la pace di Saint-Germain dell'8 ag. 1570 con la quale il re Carlo IX aveva accordato ai riformati molte più libertà di quante non ne avessero mai godute in Francia. Nel momento in cui gli fu conferito l'importante incarico era quasi del tutto sconosciuto, tanto che l'ambasciatore francese a Roma, Charles d'Angennes cardinale di Rambouillet, riuscì a sapere solo che era di Recanati e aveva la qualifica di protonotario apostolico. Notizie più abbondanti non riuscì a raccogliere neanche il signore di Monfort, inviato del duca di Savoia a Parigi, che nel novembre del 1570 precisò che il B. era "des gens de Monsieur le cardinal Alexandrin", cioè del seguito del segretario di Stato, il cardinal nepote di Pio V, Michele Bonelli.

La scelta del B. fu decisa in tutta segretezza nel corso di una congregazione di cardinali di Curia tenuta nell'agosto del 1570, ma restò, per espresso desiderio del papa che attendeva il decantarsi della situazione, segreta fino ai primi di ottobre. Il 19 agosto furono stese dallo stesso Pio V le istruzioni che, rielaborate il 25 settembre, gli furono consegnate il 29, insieme con vari brevi credenziali per Carlo IX, Caterina de' Medici, i cardinali di Bourbon e di Lorena, l'arcivescovo di Sens, i duchi d'Angiò, d'Alençon, di Montpensier, di Nemours e di Nevers. Nell'istruzione si riaffermava con estrema risolutezza la più recisa condanna del trattato di Saint-Germain, gravido, agli occhi del papa, delle più funeste conseguenze per la monarchia francese e per la Chiesa di Roma. Solo se il trattato nascondeva l'effettivo proposito di disarmare gli ugonotti per procedere in un secondo tempo alla loro eliminazione, il re cristianissimo poteva contare sull'appoggio pontificio. Il B. doveva anche significare al re il desiderio del papa che aderisse anch'egli alla progettata lega contro il Turco.

Partì da Roma il 9 ottobre e arrivò a Parigi il 29. Il 6 novembre il nunzio ordinario, Fabio Mirto Frangipane, annunziò il suo arrivo al cardinale Girolamo Rusticucci e poco dopo lo presentò a corte: il B. poté esporre così al re e a Caterina de' Medici le rimostranze del papa sulla pace di Saint-Germain. Fu accolto "graziosissimamente" dai due sovrani che dettero ampie assicurazioni sulla loro devozione alla S. Sede, non senza accennare velatamente all'interpretazione del trattato suggerita dal papa e all'intenzione di "far tutto con dissimulazione et con pensiero che tengono riposto nell'animo". Per la questione dell'adesione alla lega antiturca Carlo IX si schermì, e, pur dando atto al papa di buona volontà, denunciò l'interessata politica antiturca dei Veneziani e degli Spagnoli, mossi gli uni dall'esigenza di "custodire Cipro, che è loro particolare interesse" e gli altri "la Sicilia et altri luoghi... di quelle frontiere", nella certezza che "caminandosi a questi fini de interessi particolari, et non del bene pubblico, come prima li potranno conservare il suo per qualunche modo, non vorranno altrimenti guerra con il Turco" (Hirschauer, p. 129).

Dopo questa udienza si recò, sempre accompagnato dal Frangipane, dal cardinal di Bourbon al quale consegnò il breve papale. Vi ritornò il giorno successivo e, alla presenza del nunzio ordinario e del duca di Montpensier, dette sfogo a tutta la sua eloquenza, bollando d'infamia la pace di Saint-Germain e richiamando il cardinale ai suoi doveri verso Roma. Se ne ebbe in risposta le più calde professioni di fedeltà alla S. Sede, che del resto furono seguite da altre consimili del cardinal di Lorena, segno inequivocabile della viva preoccupazione suscitata negli ambienti cattolici dal trionfo ugonotto di Saint-Germain. Lo zelo del Bourbon arrivò al punto di proporre al B., che aveva sostenuto la necessità della residenza dei cardinali francesi a Roma e della sottomissione dei vescovi alla visita ad limina, l'istituzione di severi controlli sul clero e l'obbligo per i vescovi di convocare i sinodi provinciali per eliminare gli abusi e di deferire a Roma gli ecclesiastici sospetti di eresia. Erano posizioni che si accordavano assai male con l'antica tradizione gallicana fortissima nel clero francese, e il B. non esitò a ricordarlo al cardinale di Bourbon, che si dichiarò pronto a dare per primo l'esempio di sottomissione a Roma.

Un incontro altrettanto importante ebbe luogo lo stesso giorno con il cardinale Nicolas di Pellevé arcivescovo di Sens, dal quale il B. ebbe confidenze di estremo interesse. Seppe infatti che il re aveva concluso la pace solo per "cavar de mano all'ugonotti li denari, li ha imprestati per pagar quelli raitri, li quali havea con esso loro, li quali disiderava levarseli da li occhi et anche per haver le forteze et qualche uno de principali in mano o fargli morir con ferro o veneno et che l'intrinseco del negotio non li sapea, né il cardinale de Lorena, né il cardinale Borbone" (Hirschauer, p. 133). Dallo stesso Pellevé il B. ebbe il consiglio di moderare il tono delle sue rimostranze a corte e di condurre le trattative con maggiore flessibilità. Era un avvertimento opportuno per l'inesperto diplomatico, che aveva dato inizio alla sua missione con una foga assai poco compatibile con la natura dei negozi da trattare. Il Frangipane, che ne seguiva passo passo l'azione a corte, non mancò di rilevare per suo conto l'inesperienza del giovane protonotario, del quale segnalò tuttavia benevolmente in un dispaccio al Rusticucci del 17 novembre la buona volontà di apprendere. Il 15 novembre intanto il B. aveva seguito in compagnia del Frangipane la corte a Mézières, dove poté procurarsi informazioni più precise sulle effettive intenzioni del re e di Caterina de' Medici nei riguardi degli ugonotti. Fu il cardinal di Pellevé a rivelargli i loro segreti disegni "il reverendissimo Pelvè mi ha detto che il re ha humore, con far carezza a qualch'uno di questi ugonotti confidenti dello ammiraglio et alli altri per captivarseli et per denari et altre gratie, farli ammazzare lo admiraglio et altri capi et così fargli estinguere da loro medesimi, che come siano levati questi capi, li altri si estingueranno in tre giorni" (Hirschauer, p. 136). Era già il programma che due anni dopo avrebbe portato alla notte di s. Bartolomeo, e il commento con il quale il B. accompagnò al Rusticucci le confidenze ricevute preannunciava il compiacimento pontificio: "il discorso mi piace, quanto segua lo effeto; bisogna raccomandarsi a Dio res sua agitur, ma io mai me ne quieterei fin che fussero revocati et annichiliati li capituli di questa obprobiosa pace et che li heretici si abbruciassero come al tempo delli re passati et come si deve fare, come arbori senza frutto et pecore contaminate" (ibid.). Nella stessa lettera al Rusticucci del 28 novembre egli ritornava sul tema, a lui particolarmente caro, dei mezzi e modi migliori per combattere in Francia il dilagare dell'eresia. Un punto su cui non si stancava di insistere era la situazione dell'alto clero francese che egli riteneva largamente responsabile dei progressi della fede riformata e suggeriva di sottomettere, a dispetto delle libertà gallicane, al controllo rigoroso della Curia.

La sua missione in Francia volgeva ormai alla fine: ai primi di dicembre, rientrato a Parigi da Mézières, il B. vi trovò l'invito a rientrare in Italia. Ma su consiglio del Frangipane e del Pellevé egli si trattenne ancora a Parigi, con la speranza di ottenere altre udienze a corte. Era ancora a Parigi nel gennaio del 1571 e solo verso la metà del marzo risulta a Roma.

A conclusione della sua missione compilò un rapporto per la Curia che è stato identificato e pubblicato da Ch. Hirschauer (pp. 139-152). Si tratta di un resoconto minuto e puntuale delle conversazioni avute col re e con la regina madre nel corso delle varie udienze a corte, steso in forma di domanda e risposta. Nel rapporto stupisce anzitutto l'inusitata violenza dell'attacco a Caterina de' Medici, alla quale non risparmiò, con assai poco diplomatico procedere, le accuse più infamanti. Nella rozza e truculenta esposizione del B., la corte francese appare affollata di ugonotti incalliti che davano esca alla frenesia di potere della regina madre. A Caterina egli spiattellò in faccia che "in summa a lei si dava la colpa de tutti i mali che ha patito quel povero regno, et che si dicono de lei tante che non è possibile crederle, pure che ella si metta la mano a la consientia et sapprà che a Dio nessuna cosa è occulta..." (p. 142). Ma al di là delle banali accuse del rozzo diplomatico pontificio, documento di un vero e proprio furore controriformistico, l'interesse maggiore del suo rapporto sta nelle risposte di Carlo IX e di sua madre che non si stancarono di insistere su un punto fondamentale: il conflitto che dilaniava il regno di Francia era di natura politica prima che religiosa, "che in quel regno sono più interessi et inimicitie che heresie, sia ne da l'una parte, ne da l'altra si litica altro che questo et han preso il nome de catholici o papisti et ugonotti, come de Ghelfi et Gibellini et, si Sua Santità non mirarà a le passioni de costoro et attenderà al servitio del culto con dar per ciò bone provisioni in quel regno, che le heresie smariranno et, se questa via fusse stata presa in Inghilterra, quel regno non sarebbe in quel termine che si trova" (pp. 151-152). A riprova di questa considerazione generale, Carlo IX precisò di essere stato costretto a concludere la pace di Saint-Germain "per esser tradito da catholici che erano presso di se, che miravano, più a l'interesse loro proprii et alla divisione del regno, che al servitio de Dio et del re, et che haveano caro tenerlo debile et di più, che, essendo senza denari per sustentar la guerra, si risolvette de vendere tutti li beni de li ugonotti et rebelli, et che li medemi catholici che erano presso di se l'impedirno con dire che, havendosi a confiscar quei beni, si doveano dare a loro..." (p. 141). Queste risposte erano certo un modo garbato di richiamare il papa alla sfera religiosa che doveva essergli propria e di respingere così, con una dichiarazione generale di principî, le proteste pontificie. Non mancano però di rivelare nel modo di considerare la realtà della situazione francese l'educazione politica di pretto stampo machiavelliano di Caterina de' Medici.

Dopo questa missione il B. ritornò nell'oscurità che meritava: di lui non si hanno più notizie.

Fonti eBibl.: Arch. Segr. Vat., Segreteria di stato,Francia, vol. 4, cc. 75v, 91r, 94r-95v, 97r-103v, 105r-106v, 109r-115r, 120r-121r, 123rv, 131r-134r; Misc. Arm. II, 82, cc. 153r-160r, 185r-192r, 317r-321r; Arm. XLIV, vol. 15, cc. 232v-237r; V. Martin, Le gallicanisme et la Réforme catholique, Paris 1919, pp. 100-101; Ch. Hirschauer, La politique de St. Pie V en France (1566-1572), Paris 1922, ad Indicem;L. von Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1929, ad Indicem.

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