APOSTOLI, Francesco

Enciclopedia Italiana (1929)

APOSTOLI, Francesco

Roberto Cessi

Nato nel 1755 dal conte Benedetto Apostoli, segretario di cancelleria, Francesco, di malferma salute, ma di spirito inquieto, desideroso di novità e d'avventura, abbandonò la carriera paterna e la patria per gettarsi nella società colta d'Europa; e andò tra il 1775 ed il 1779 vagando oltr'Alpe ove contrasse cospicue amicizie ed appagò la sua inclinazione letteraria. Di questa scorribanda non tardò a pentirsi e ritornò sui suoi passi, rientrando in patria e riprendendo il suo posto di cittadino nella cancelleria veneziana: ma quel vagabondaggio, come aveva viziato la mente del letterato, aveva anche pregiudicato le fortune della vita del pigro burocrata. Fatto dopo il 1784 assistente alla giunta della compilazione del codice criminale, non seppe attendere al suo ufficio; e, riassalito dalla nostalgia dei circoli letterarî oltramontani, abbandonò ancora, fra l'89 e il '90, ufficio e famiglia, per raggiungere la meta di tutti i letterati del tempo: Vienna. Fu una nuova delusione. Pochi mesi dopo faceva ritorno a Venezia, pieno di amicizie, ma povero di mezzi e screditato presso le sfere ufficiali, sì che dovette adattarsi all'ingrato ufficio di confidente del tribunale degl'Inquisitori di stato, ufficio che non era fatto pel suo temperamento caustico ed ingenuo e fu la fonte di tutte le sue disgrazie. Senza diventar patriota o giacobino fu trȧvolto dagli "errori del secolo"; le relazioni coi patrioti francesi lo resero inviso e sospetto alla diffidente polizia veneziana ed alla fine dovette scontare la pena di una colpa non commessa, con la dura relegazione a Corfù (1794-1797), solo perché non era stato abbastanza avveduto nel mestiere da ultimo abbracciato. La bufera rivoluzionaria venne nel 1797 a riscattarlo dalla prigionia; ma egli non ne seppe approfittare, e a Venezia, come a Milano, raccolse solo qualche briciolo di fortuna dal nuovo stato di cose, a Venezia quale vice-commissario generale della polizia, a Milano con la nomina all'ufficio di console in Ancona. Egli avea con ciò accumulato altrettanti titoli per diventare un perseguitato dell'Austria al momento della restaurazione e per meritarsi, senza colpa, la lunga e straziante prigionia a Sebenico ed a Petervaradino, senz'esserne poi rimeritato, come tanti altri compagni di sventura, al risorgere della buona stella napoleonica. Strappato alle infamie del carcere, non trovò adeguato compenso alle sofferte disavventure: nella sua qualità di inviato della repubblica di San Marino a Parigi non ebbe fortuna.

Linguacciuto, privo di intuito politico, non sapeva cattivarsi simpatie, mentre pareva fatto a posta per attirare sulla sua persona i sospetti, anche perché non aveva salde convinzioni politiche. E Parigi fu egualmente a lui nefasta, preparandogli nuove miserie, fino agli ultimi anni di vita, che condusse come funzionario austriaco (1816) nella biblioteca di Padova. La letteratura dovette servire a colmare le lacune dell'uomo pubblico: ad essa fu costretto a fare appello per sopperire ai bisogni dell'esistenza, quando mancava ogni altra risorsa. Scrisse molto, dalle Lettres et contes sentimentaux de George Wanderson, alle originali novelle Storia di Andrea e Saggezza della follia (1777); dalle farse: I fantasmi, L'è tutto un momento e La madre civetta, alle Ricerche sovra gli uomini e le cose del sec. XVIII; dalle Epoche politiche dell'éra volgare del tempo della prima relegazione, alle Lettere Sirmiensi della seconda prigionia. Queste ultime, le più note, costituiscono l'opera che raccomanda ai posteri la fama del disgraziato autore, più per l'importanza storica che per il valore letterario. Non è vero che le posteriori Prigioni del Pellico abbiano oscurato la fama delle Lettere Sirmiensi, assai discusse ed anche censurate dalla critica letteraria del tempo. Sebbene in esse non manchi contenuto di verità, sebbene non siano assenti pagine e squarci di sana prosa, quella che manca è la robustezza dello spirito animatore, per cui il racconto suscita nel lettore pietà e commiserazione, non passione, eccita sincero compianto, non ammirazione. Né migliore è la produzione dell'ultimo periodo, dai tre volumi della Rappresentazione del sec. XVIII (1802), alla Storia dei Galli Franchi e Francesi (1810), alla produzione comica di quegli stessi anni. Le commedie dell'Apostoli, di schietto sapore goldoniano, meritano forse, dal punto di vista letterario, un apprezzamento migliore delle altre sue opere, per quanto viziate dal difetto di trascuratezza propria di un compositore frettoloso: ma ci sono tratti di naturalezza, di spontaneità, di candida ingenuità, ispirati ad una interpretazione semplice e sentita della realtà quotidiana della vita, infiammati da sentimento, che sgorga senza leziosaggine dal cuore più che dalla mente. Anzi in queste composizioni, dove meno affatica l'artificio erudito, e più domina la spontaneità dell'osservatore delle gioie e miserie spicciole della vita, si rivela il substrato non infecondo dell'ingegno dell'A.

Bibl.: F. Apostoli, Le letture sirmiensi riprodotte ed illustrate da Alessandro D'Ancona con la vita dell'autore scritta da G. Bigoni, in Bibl. stor. del Risorgimento, s. 4ª, X; G. Bigoni, Un corrispondente napoletano di Fr. Ap., in Nuovo Arch. Veneto, I (1891); Butti, I deportati del 1799, in Arch. Stor. Lomb., s. 4ª, VII (1907); P. Molmenti, Carteggi casanoviani. Lettere del patrizio Zaguri a Giacomo Casanova, Palermo 1922, pp. 165, 326, 337.

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