ALBANI, Francesco

Enciclopedia Italiana (1929)

ALBANI, Francesco

Matteo Marangoni

Nacque a Bologna da Agostino Albani, ricco mercante di seta, e da Elisabetta Torri il 17 marzo 1578. Fanciullo ancora, fu messo alla scuola di Dionigi Calvaert, ov'ebbe carissimo condiscepolo Guido Reni, che, più tardi, lo attrasse con sé all'Accademia di Ludovico Carracci. Dall'insegnamento carraccesco partono infatti le prime pitture dell'A., che furono semplici collaborazioni a quelle di Ludovico: per es., il fregio a puttini e cariatidi in una sala del palazzo Favi a Bologna. Verso il 1610 andò a Roma col Reni, intento lungamente allo studio di Raffaello. Inimicatosi più tardi il Reni, a causa di gelosie di lavoro, l'Albani si strinse ad Annibale Carracci, che allora affrescava la Galleria Farnese e, in un secondo momento, lo aiutò nella decorazione, ora al Museo di Barcellona, della cappella di San Diego in San Giacomo degli Spagnoli. Attraverso gl'influssi carracceschi si faceva a mano a mano strada nell'A. la nota personale; ed egli, tratto da Annibale l'amore per le grandi composizioni mitologiche, eseguì in breve volger di tempo (1611-1614) la decorazione della vòlta della Galleria Giustiniani a Bassano presso Roma, rappresentandovi la caduta di Fetonte dal cielo, con continue reminiscenze di Annibale, per l'invenzione e la composizione delle storie, e l'altra, nella Galleria Verospi a Roma, con Apollo e i cavalli infuriati.

Nel 1614, mortagli la prima moglie Anna Rusconi, decise di ritornare a Bologna con la figlia da lei avuta; quivi nel 1616 sposò Doralice Fioravanti, la bellissima modella di tutte le sue Veneri, da cui ebbe undici figli, dei quali i biografi dell'A. si compiacciono di descrivere le grazie, ritratte in ogni opera del padre nei minuscoli genietti e amorini. È questa l'epoca più feconda dell'artista: quella in cui, accanto alle grandi tavole d'altare, come il Battesimo di Cristo nella Pinacoteca di Bologna, o i famosi Ss. Giovanni e Rocco nella chiesa collegiata di Persiceto, o il Gesù Bambino cui viene annunciata la Passione, nella chiesa della Madonna di Galliera (opera, quest'ultima, che è ritenuta il suo capolavoro nel genere religioso), sorgono i piccoli quadretti idillici, dai lontani paesi incantati, dalle leggiadre danze di Veneri e di Amori, che furono caratteristici della sua arte. Si può dire infatti che la fama dell'A. poggia tutta su queste opere, che lo resero così celebrato al suo tempo, da farlo dichiarare "l'Anacreonte della pittura" e ben si comprende, se si pensa che, in questo, l'A. era l'aulico rappresentante dello spirito del tempo. Nelle sue ricche ville di Meldola e di Querzola egli poteva liberamente dipingere per ornare dimore di privati, chiese e comunità. Instancabile, con fantasiosa prontezza, l'Albani aderiva a qualunque richiesta. Di qui, naturalmente, le frequenti ripetizioni dei suoi soggetti, sovente fino alla stucchevolezza: ad es., le innumerevoli scene di danze, il cui capolavoro rimane sempre la Danza degli amori nella Pinacoteca di Brera, a Milano.

Pittore aulico, come si è detto, fu il favorito del cardinale Scipione Borghese, nella cui villa affrescò i Quattro elementi, con tale grazia e fantasia d'invenzione, che dové ripeterli altre tre volte per diversi committenti, e fu richiesto anche dal cardinale Gian Carlo de' Medici (figlio di Cosimo II), per il quale raffigurò le Insidie di Venere e degli Amori alla castità di Diana (1633) e, nella Villa di Mezzomonte, con audace scorcio, Ganimede che offre a Giove la coppa dell'ambrosia. Salvo alcune altre opere di argomento religioso (sempre di carattere carraccesco, come le tavole per chiese di Osimo e Forlì), nell'ultimo periodo della sua vita, l'A. si dedicò quasi esclusivamente alle piccole composizioni che prediligeva, traendone spesso le invenzioni dalle Metamorfosi di Ovidio, e dal poema del Tasso. Nell'ottobre 1660 motiva, a 82 anni. Come rapida era stata la sua fama, altrettanto rapida ne fu la decadenza: il suo nome divenne in breve quasi sinonimo di grazia sdolcinata e leziosa. Egli non possiede né la bravura del Reni, né, almeno, la scrupolosità del Domenichino. L'A. si occupò anche di teorie sull'arte, e aveva in animo di scrivere, con l'amico Orazio Zamboni, un trattato sulla pittura; abbiamo di lui alcune lettere pubblicate dal Malvasia, con giudizî intorno all'arte molto impersonali: l'aver aituato il Bellori nelle sue Vite dei Carracci è il solo merito che in questo campo gli spetti.

Bibl.: C. C. Malvasia, Felsina pittrice, Bologna 1841-44, II, p. 149 segg. A. Bolognini-Amorini, Vita del celebre pittore Fr. Albani, Bologna 1837; H. Tietze, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, I, Lipsia 1907.

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