FOTOGRAFIA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)

FOTOGRAFIA (XV, p. 782)

Ernesto CAUDA
Giulio CORTINI

Durante la seconda Guerra mondiale e nel periodo successivo il campo della fotografia propriamente detta è stato caratterizzato da due elementi tecnici di particolare importanza: 1) la sempre crescente correzione e luminosità degli obiettivi; 2) la sempre maggiore sensibilità cromatica e finezza della granitura delle emulsioni negative. Tali caratteristiche sono state migliorate soprattutto per le aumentate esigenze della tecnica della ripresa cinematografica (v. cinematografia, in questa App.).

Per quanto riguarda la fotografia professionale, i progressi sono stati relativamente esigui; la tendenza a diminuire taluni eccessi di "sfumato" (flou), divenuti di moda negli anni precedenti alla guerra, ha reso meno attuale il problema della costruzione degli obiettivi con errori residui, affidando gli effetti di morbidezza dei contorni e dei piani successivi ad un adeguato impiego dei mezzi a disposizione per lo sviluppo dei negativi e soprattutto a quelli relativi all'ingrandimento e alla stampa delle fotografie.

L'alto costo dei materiali e della mano d'opera, non disgiunto dalla scarsezza quantitativa e qualitativa delle carte fotografiche, ha riportato la fotografia professionale ai sistemi normali di stampa diretta o per ingrandimento, restringendo il campo di applicazione dei sistemi di effetto più artistico, ma assai più costosi, delle carte a pigmenti.

La fotografia per dilettanti e, in parte, quella documentaria si sono avvalse anche del passaggio in dominio pubblico di molti brevetti tedeschi. Si hanno oggi numerose macchine di costruzione non tedesca e che riproducono ottimamente, sia pure con talune modifiche, e, in certi casi, anche con notevoli perfezionamenti, i prodotti d'anteguerra delle più note case germaniche. Si tratta in genere di apparecchi meccanicamente perfetti e assai complessi, che rispondono in pieno alle più moderne esigenze tecniche e pratiche (impiego di pellicola cinematografica, perforata o no; leggerezza, solidità e sicurezza d'impiego; telemetro e mirino con correzione parallattica, contatore, ecc.). Una gran parte dei perfezionamenti si riferisce, più ancora che agli obiettivi, agli otturatori e ai loro organi di comando e di collegamento ed ai meccanismi di scatto e di avanzamento della pellicola.

Un otturatore moderno deve essere in grado di soddisfare numerose esigenze, sia di carattere ottico-fotografico, sia d'impiego. Tra le prime vanno ricordate: 1) rapporto quanto più possibile prossimo all'unità fra la durata del tempo efficace e quella del tempo totale d'esposizione; 2) uniformità della durata di esposizione su tutta la superficie d'immagine, per ottenere una gradazione quanto più possibile uniforme su tutto il campo; 3) massima possibile contemporaneità dell'esposizione di tutto il campo (ossia minimo intervallo tra il momento in cui s'inizia l'esposizione del primo punto del campo colpito dalla luce e il momento in cui s'inizia l'esposizione dell'ultimo punto colpito dalla luce), e ciò per evitare distorsioni dell'immagine di soggetti in rapido movimento; 4) ampia scala dei tempi d'esposizione e perfetta regolarità effettiva dei tempi stessi; 5) possibilità di dare una posa breve con comando unico e la posa lunga con comando doppio (otturatore aperto sino a un nuovo scatto).

Tra le esigenze d'impiego vanno menzionate le seguenti: 1) permanenza dell'esatta taratura iniziale dei tempi d'esposizione anche dopo uso prolungato; 2) possibilità di cambiare l'obiettivo in piena luce; 3) bloccaggio dello scatto se il fotogramma esposto non è stato convenientemente spostato e sostituito da un fotogramma vergine, per evitare le doppie esposizioni; 4) possibilità di scatto a distanza, oppure congegno di comando ritardato dello scatto (10÷15 sec.).

Per quanto riguarda il materiale sensibile negativo, bisogna ricordare che i varî elementi presentano, in certi casi, un'importanza alquanto diversa nella fotografia normale e nella cinematografia.

La gradazione (gamma) alla quale occorre sviluppare un negativo cinematografico non corrisponde sempre a quella ottima per un negativo fotografico, perché, mentre il primo è sempre destinato a dare per stampa a contatto (e perciò senza l'intervento dell'effetto di diffrazione della luce tra i grani d'argento ridotto dell'emulsione - effetto Callier) un diapositivo da proiettare sullo schermo (con effetto Callier tra i grani dell'emulsione del positivo), il secondo è generalmente destinato a dare un positivo su carta, per stampa diretta o per ingrandimento. Inoltre, la serie delle gradazioni delle carte fotografiche è molto più numerosa di quella delle pellicole positive per cinematografia; le variazioni di composizione, di temperatura, di durata d'esposizione possibili per il processo positivo fotografico sono infinitamente più numerose di quelle attuabili nel processo positivo cinematografico; la gamma delle esposizioni del negativo fotografico è assai più ampia, almeno sotto l'aspetto della durata, di quella delle esposizioni cinematografiche, che, salvo i rari casi di ripresa rallentata o accelerata, si aggirano sempre sul cinquantesimo di secondo. Bastano questi brevi cenni per rendersi conto che le esigenze, sotto il punto di vista della sensibilità cromatica e generale delle emulsioni negative, differiscono alquanto per l'impiego fotografico e per quello cinematografico.

Per quanto riguarda le esigenze della granitura, le cose stanno in pratica in modo diverso. Infatti, la grana del negativo cinematografico - che si riproduce anche sul positivo - è sottoposta all'enorme ingrandimento della proiezione sullo schermo, mentre quella del negativo fotografico è sottoposta all'ingrandimento su carta, di ordine notevolmente inferiore. Parrebbe dunque che le esigenze di finezza della grana dovrebbero essere assai maggiori per le emulsioni negative cinematografiche che non per quelle fotografiche. Ma non bisogna dimenticare che nella proiezione cinematografica si hanno due elementi favorevoli alla fusione della grana dell'immagine sullo schermo, e cioè la distanza relativamente grande dello spettatore dallo schermo stesso e il fatto che l'effetto della granulosità dinamica (vale a dire dell'immagine in movimento) è di gran lunga inferiore a quello della granulosità statica dell'immagine fissa. Questi due elementi tendono a compensare il maggiore ingrandimento, cosicché si può affermare che le esigenze di finezza di granitura sono relativamente meno sentite per le emulsioni negative per scopi cinematografici che non per quelle per scopi fotografici normali, specialmente a causa della moderna tendenza ad eseguire le fotografie su immagini di formato molto piccolo, ciò che rende quasi sempre necessario un notevole ingrandimento su carta. Si trovano infatti oggi sul mercato pellicole fotografiche negative a grana finissima e di elevata sensibilità generale.

Fotografia a colori. - Il problema tecnico della fotografia a colori è fondamentalmente lo stesso di quello della cinematografia a colori, che deriva dal primo; le esigenze d'ordine pratico differiscono però notevolmente nei due casi.

Mentre, per la cinematografia, è di capitale importanza la possibilità di ottenere, in modo relativamente facile, numerose copie positive, si può ritenere che, per la fotografia a colori, nella maggior parte dei casi, possa essere sufficiente una sola copia positiva. Evidentemente, gli stessi procedimenti impiegati per la cinematografia a colori possono dare anche per la fotografia le copie positive occorrenti; ma trattandosi di diapositive, esse non possono essere esaminate che per trasparenza o per proiezione, casi piuttosto eccezionali per la fotografia. Questo inconveniente, unito alla difficoltà di stabilire la giusta durata d'esposizione, nonché alla complessità, delicatezza ed elevato costo dei processi di sviluppo e d'inversione, costituisce tuttora un notevole ostacolo alla diffusione della fotografia a colori. Sono tuttavia in corso numerosi studî per risolvere il problema della stampa diretta a colori su carta; si tratta di un problema di assai difficile soluzione pratica, per il fatto che i colori, in questo caso, devono essere esaminati per riflessione e non più per trasparenza. I risultati sinora ottenuti, anche se ottimi in certi casi sotto l'aspetto estetico e della resa cromatica in numerose e perfette sfumature, lasciano ancora molto a desiderare dal punto di vista della praticità, perché richiedono non solo procedimenti lunghi, delicati e complessi, ma anche esperienza ed abilità che si possono acquistare solo dopo periodi di lunga pratica.

D'altro lato, invece, la fotografia a colori consente una più facile regolazione dei varî elementi dell'esposizione in confronto della cinematografia; inoltre, la mancanza o l'esiguità dell'ingrandimento, anche quando si proietta il diapositivo colorato, rendono meno gravi i problemi relativi alla finezza della grana degli elementi coloranti e alla nitidezza dei contorni.

Fotografia scientifica. - Le applicazioni della fotografia in questo vastissimo e importantissimo settore si sono largamente avvalse dei perfezionamenti tecnici conseguiti negli ultimi tempi. L'aumentata sensibilità generale e cromatica delle emulsioni, la possibilità di graduare e di regolare la sensibilità per determinate bande della lunghezza d'onda luminosa, l'accresciuta correzione e luminosità degli obiettivi sono tutti fattori che hanno permesso di registrare fenomeni rapidissimi, scarsamente illuminati o addirittura non percepibili dall'occhio umano. Grandi progressi sono stati conseguiti nella fotografia a raggi infrarossi e ultravioletti, nella microfotografia, nella radiografia, nella cronofotografia ad esposizioni brevissime, nella spettrofotografia e nella fotografia dei fenomeni attinenti alla fisica nucleare. La grande sensibilità e la finezza delle graniture delle emulsioni, con conseguente elevato potere risolvente, hanno consentito di spingere sempre più oltre l'analisi spettrografica, tanto nelle applicazioni chimiche e metallurgiche, quanto in quelle relative alle ricerche dell'astrofisica, nonché lo studio quantitativo statistico e dinamico delle traiettorie dei corpuscoli liberati per bombardamento elettronico. Fenomeni che prima sfuggivano ad ogni registrazione fotografica possono oggi essere perfettamente registrati e, per conseguenza, analizzati e calcolati: tali documentazioni costituiscono punti di partenza per nuove ricerche, e permettono controlli e conferme di precedenti calcoli teorici.

Impiego delle lastre fotografiche come rivelatori di particelle elementari.

Emulsioni fotografiche appositamente studiate vengono oggi impiegate per la rivelazione di particelle elementari ionizzanti, sia prodotte in laboratorio, sia traenti origine dai raggi cosmici.

Com'è noto, una particella ionizzante, attraversando un'emulsione fotografica, sensibilizza sul proprio percorso un certo numero di granuli di AgBr. Tale numero dipende, in larga misura, sia dalle qualità dell'emulsione considerata (sensibilità, dimensioni dei granuli e loro numero per unità di volume), sia dalla carica, massa ed energia della particella. Se queste condizioni sono favorevoli, lungo la traiettoria seguita dalla particella appare all'esame microscopico, dopo lo sviluppo della lastra, una traccia costituita da una serie di granuli neri, incorporata nella gelatina trasparente. I tratti di traccia che si possono vedere risultano sempre più brevi a misura che le particelle da osservare diminuiscono di massa e di carica, cioè quando, partendo da ioni più pesanti delle particelle alfa (per es. frammenti di scissione) si passa a sperimentare con particelle alfa, con protoni, con mesoni, con elettroni, nell'ordine.

Queste differenze nella granulazione delle diverse particelle permettono spesso di riconoscere la natura della particella che ha lasciato una determinata traccia, purché questa traccia finisca nell'emulsione (cosicché, punto per punto, sia misurabile il percorso residuo) e sia abbastanza lunga da consentire uno studio statistico della granulazione. Un altro criterio per la distinzione, spesso associato al primo, è quello offerto dalla misura della frequenza delle deviazioni dalla linea retta, in quanto - come ben s'intuisce - una particella è soggetta a deviazioni in numero tanto maggiore quanto più piccola è la sua massa.

Da quanto detto si comprende come l'obiettivo di tutte le ricerche intese a migliorare la tecnica è quello di ottenere emulsioni e studiare accorgimenti di sviluppo e fissaggio che consentano di aumentare il più possibile la granulazione e contemporaneamente di ridurre al minimo il numero, per unità di volume, dei granuli anneriti per cause diverse dal passaggio di una particella ionizzante. Intorno a questo problema si è lavorato fin dalle primissime ricerche eseguite con la tecnica delle emulsioni sensibili, e si lavora tuttora. Una data importante, che aprì la via allo studio e alla produzione delle emulsioni speciali per la rivelazione delle particelle, fu la scoperta, compiuta da M. Blau e H. Wambacher (1931), che il pinacriptolo giallo - sostanza che notoriamente agisce come desensibilizzante alla azione della luce - ha viceversa l'effetto di aumentare la sensibilità dei granuli all'azione delle particelle ionizzanti.

Nel periodo immediatamente successivo, le case produttrici incominciano a interessarsi di questa tecnica, i cui progressi vengono oramai realizzati prevalentemente nei laboratorî specializzati. La Ilford in Inghilterra, la Agfa in Germania e la Kodak in America gareggiano tra loro nella produzione di emulsioni sempre più sensibili e meno affette da velo. Con questi tipi di lastre vennero eseguite parecchie ricerche di fisica nucleare e sui raggi cosmici.

Ma i grandi successi della tecnica delle emulsioni sensibili sono stati conseguiti solo recentemente, dopo che la Ilford, alla fine della seconda Guerra mondiale, valendosi anche della collaborazione di fisici come C. F. Powell, G. P. S. Occhialini e D. L. Livesey, ha prodotto una serie di tipi di emulsione (Nuclear Research Emulsions type A-E) dotate di pregi notevolissimi per scarsezza di fondo, costanza di risultati, alto numero di granuli per unità di volume e sensibilità degli stessi all'azione ionizzante. Queste caratteristiche variano largamente da tipo a tipo, cosicché è possibile scegliere l'emulsione che più conviene a seconda del potere ionizzante delle particelle che in una particolare ricerca si vogliono osservare.

Con queste emulsioni è stato possibile, per la prima volta, osservare e identificare tracce di mesoni. Si è resa così possibile la recente e importantissima scoperta (Lattes, Occhialini e Powell) del processo di decadimento del mesone in mesone μ + una particella non ionizzante (v. mesone, in questa App.), che è senz'altro il maggior successo realizzato sinora con la tecnica delle emulsioni sensibili. Con questi successi, la tecnica delle emulsioni sensibili ha acquistato una grande importanza ed è entrata - o sta per entrare - a far parte dell'attività di molti laboratori in tutto il mondo.

Le lastre usate sono oggi in larghissima misura quelle della casa Ilford, che prepara emulsioni in cui siano stati introdotti elementi determinati in misura più o meno grande o lastre di spessore grandissimo - fino a 300 micron - eventualmente prive del supporto di vetro, o lastre in cui l'emulsione sia interrotta da uno strato di un elemento determinato. Peraltro, anche la Kodak ha ripreso a lavorare in questo campo ed ha recentemente prodotto alcune lastre che consentono - per la prima volta - la rivelazione di elettroni di piccola energia (fino a 100 mila eV).

Come si vede, la tecnica in discorso offre ampie possibilità di lavoro e presenta notevoli vantaggi. Una lastra spessa 100 μ equivale ad una camera di Wilson a pressione atmosferica, profonda 20 cm. e di dimensioni trasversali praticamente infinite (perché 2000 è, all'incirca, il rapporto tra il potere frenante della gelatina e quello dell'aria a pressione atmosferica). Inoltre l'emulsione è sensibile in permanenza e non soltanto durante un tempo assai breve rispetto a quello di funzionamento, come la camera di Wilson (che registra soltanto durante l'espansione). Il metodo è intrinsecamente semplice ed offre notevoli garanzie di stabilità e costanza di risultati; tuttavia, esso è soggetto a notevoli limitazioni d'impiego. Per limitarci ad un confronto sommario con la camera di Wilson, basti notare come questa consenta, a differenza dell'emulsione: a) il riconoscimento del segno della particella dalla deflessione in campo magnetico, che nelle lastre è impossibile ottenere per la brevità del percorso; b) l'osservazione di particelle che, per la loro grande energia e piccola ionizzazione specifica, non sono osservabili con le emulsioni; c) la combinazione attraverso opportuni circuiti con i metodi elettrici di rivelazione delle particelle. È da aggiungere che la ricerca sistematica delle tracce in una lastra, a mezzo del microscopio, è lavoro quanto mai lungo e complesso.

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