FORTIFICAZIONE

Enciclopedia Italiana (1932)

FORTIFICAZIONE (lat. fortificatio; fr. fortification; sp. fortificación; ted. Festungswerk; ingl. fortification)

Mariano BORGATTI
Renato BIASUTTI
Federico PFISTER
Plinio FRACCARO
Romeo MELLA
Carlo MANGANONI

Cenni generali. - È quella parte dell'arte militare che insegna ad approfittare delle condizioni offensive e difensive naturali delle località (fortificazione naturale), oppure ad accrescerle o a sostituirle con opportuni provvedimenti (fortificazione artificiale) al fine di favorire l'azione delle truppe e l'efficacia delle armi che vi sono impiegate, e altresì di provvedere alla conservazione di tutti gli elementi di forza nella preparazione, nell'attesa e nello sviluppo dell'azione. La fortificazione artificiale si suole suddividere in: permanente, se costituita da elementi durevoli e con fine di durata, impiegando come materie principali pietre, mattoni, metalli, e legnami e terra come materie secondarie; campale, se costituita con elementi improvvisati o di circostanza nell'imminenza di un'azione offensiva o difensiva inattesa o rapida. La fortificazione campale è anche completamento della fortificazione permanente per mettere piazze, o forti, o sbarramenti, in stato di difesa o per facilitarne l'azione attaccante. Consiste in fossi, argini o aggeri, palancate, abbattute e simili ostacoli passivi, e in trincee, camminamenti e simili mezzi di attacco. Fra queste due forme si suole distinguere la fortificazione semi-permanente o mista, che è quella nella quale predominano come elementi costitutivi la terra, i legnami, raramente i metalli e le murature. Fortificazioni di tale specie sono in massima erette nell'affrettata organizzazione difensiva di un'importante località, o a fini tattici in punti strategici che si ritiene debbano avere non grande durata. Frequentemente esse segnano il passaggio alla fortificazione permanente. Ci dànno esempio di fortificazione semi-permanente a fini tattici in località d'importanza transitoria o eventuale i campi trincerati costruiti a Bologna e a Piacenza contro l'Austria, dopo la campagna del 1859, campi che occorreva costruire con sollecitudine e che si prevedeva sarebbero stati superati da una campagna non lontana per la conquista del Veneto.

In qualsiasi opera di fortificazione due sono gli elementi principali, costitutivi, che dànno carattere e classificazione alle opere, e sono: il loro tracciato (pianta) e il loro profilo (sezione). Nel profilo si possono avere: uno o più rilevati dovuti a parti costruite sopra îl terreno naturale (zeriba, palizzata, aggere, muro, terrapieno); uno o più fossati; e anche la combinazione di quelli e di questi in un profilo solo. Il tracciato è quasi sempre vincolato a forme geometriche per il migliore sviluppo delle azioni di difesa o di offesa. Le forme principalissime di tracciato in fortificazione sono: il tracciato rettilineo o poligonale; il tracciato a bastioni; il tracciato a tanaglie.

Circa l'importanza o estensione del luogo fortificato o dell'opera si può avere: o un abitato fortificato o un luogo fortificato; e questo può essere limitato a posizione di piccole dimensioni, come un appostamento, uno sbarramento, un castello, una torre; oppure avere grande sviluppo in senso longitudinale, come una frontiera; o averlo in tutti i sensi, come un campo trincerato o una regione fortificata. E si può avere un'opera isolata, come un fortino, una rocca, una batteria, una caserma difensiva; o avere un complesso di opere, come sarebbe la cinta di una città con opere interne ed esterne, aderenti, staccate, che hanno nomi diversi: rivellini, lunette, opere a corno, ecc. Le mine e le contromine per l'attacco e la difesa delle piazze fanno parte della fortificazione (v. mina).

Storia della fortificazione.

Hanno influito sulle varie affermazioni tecniche della fortificazione le condizioni di civiltà dei popoli e le condizioni politiche, ma specialmente le maniere di attaccare e di difendere le posizioni fortificate; e queste maniere sono state varie in conseguenza delle armi usate nell'attacco e nella difesa, intendendosi per attacco l'insieme delle operazioni con le quali chi vuole espugnare una posizione fortificata si avvicina ad essa e la circonda, sia per impossessarsene occupandola, sia per paralizzarne l'azione e togliere valore alle truppe o alle risorse che contiene (quando la posizione fortificata è una città o una piazzaforte in genere l'attacco suol dirsi assedio) e intendendosi per difesa il complesso delle disposizioni prese, o delle operazioni eseguite da chi è in una posizione fortificata al fine di rendere vane le azioni di chi l'attacca, o al fine di prolungare la resistenza. L'arte di espugnare posizioni fortificate si dice poliorcetica; fu detta anche arte ossidionale e oggi si dice comunemente arte degli assedî o guerra d'assedio. La risoluzione dell'attacco di una posizione fortificata può aversi in diversi modi: o l'attaccante cessa ogni azione (leva l'assedio, come si dice quando si tratta di piazzaforte attaccata) oppure il difensore cede la posizione; e nel caso di piazzeforti si stipula di solito la capitolazione, contenente le condizioni della resa. Più raro è il caso della distruzione del luogo attaccato con annullamento dei difensori (perché uccisi o fatti prigionieri, o per l'uno e l'altro avvenimento associati).

Primitivi. - La necessità di proteggere l'abitato con opere difensive sorge quando la popolazione ha raggiunto un certo grado di sedentarietà e, al tempo stesso, nei rapporti esterni della tribù si sono sviluppate l'abitudine e l'attitudine alla guerra. Esse mancano quindi ai veri primitivi, tra i quali le sedi sono frequentemente spostate e gl'incontri ostili con i vicini sono risolti sempre in campo aperto. Tutt'al più si osserva tra questi, per es. fra gl'Indiani delle praterie nordamericane, la scelta di luoghi naturalmente protetti per le sedi e lo sviluppo di sistemi di vigilanza e di segnalazione intorno ad esse. La preoccupazione della difesa si diffonde invece fra gli agricoltori primitivi, manifestandosi anzitutto largamente con la scelta, per l'abitato, di luoghi provvisti di ostacoli naturali all'accesso (sommità di alture, rocce, acque correnti) o tali da tenerlo normalmente nascosto (sedi nel folto della foresta, in caverne, in lagune). Talune forme di abitazione, sorte per motivi diversi, presentano anche qualità facilmente sviluppabili di sicurezza e si poterono diffondere anche in rapporto a queste: tali le dimore in caverne, e le abitazioni sotterranee o semisotterranee da un lato, le case su pali e sulle acque dall'altro. Le sedi dei cliff-dwellers, in caverne aperte a mezza costa, su pareti a picco, dovevano essere quasi imprendibili: torri di vedetta e complicati sistemi di accesso completavano l'apparato difensivo naturale. Le case sugli alberi segnalate in varî villaggi tropicali, dall'India all'America Meridionale, avevano un analogo ufficio di vigilanza.

Non mancano inoltre esempî di abitazioni isolate, erette in strutture apposite per la difesa: sono da citare i castelli d'argilla e paglia dei Gurunsi, Sola e Tamberma della Guinea (fig. 2), la tembe compatta, talora bastionata (fig. 3), altre volte semisotterranea o con accesso sotterraneo, dell'Africa orientale (v. abitazione), i fortini dei Jívaro dell'Ecuador, le case addossate al pendio con piattaforma dominante l'unico sentiero di accesso (Haida, lago Kivu).

Opere di difesa per interi villaggi sono state osservate dovunque, ma con distribuzione molto irregolare e, in molte regioni, soltanto per limitati periodi di tempo. La loro insorgenza è regolata, come è facile intendere, dall'esistenza di uno stato prolungato di rapporti bellici, che può interessare soltanto, e temporaneamente, determinati territorî. Per questa ragione anche la moderna penetrazione europea nei paesi a cultura inferiore ha condotto quasi dappertutto alla decadenza e all'abbandono delle opere indigene di fortificazione.

La forma più comune di difesa è la palizzata (figg. 5 e 6), piantata a recinto circolare intorno al villaggio e fornita di una sola apertura. Nell'Africa negra, ove ha struttura assai semplice, il recinto (boma, zeriba) è unico. In talune regioni, scarse di vegetazione (Ovambo, Okavango), esso è costruito di pali e stuoie, in altre, ancor più aride, è sostituito da muri di pietre a secco o di fango (fig. 4). Nell'Africa orientale i pali erano per lo più inclinati verso l'interno. Un altro tipo di difesa assai comune in taluni luoghi (Congo, Africa orientale) è quello delle siepi vive, di piante per lo più spinose, euforbia, ensete, acacia, ecc. Forme più complesse, come quelle descritte da A. Schachtzabel per un capo della regione di Tabora, palizzata composita con bastioni, sistemi concentrici interni di tembe, ecc., sono da ritenersi dovute a influssi della cultura araba.

Tutto il territorio melanesiano e indonesiano degli agricoltori primitivi e della caccia alle teste ha o aveva apparati difensivi analoghi intorno alle sedi o alle più importanti di esse. Tra i Daiaki, i villaggi fortificati (kotta) erano chiusi da palizzate alte fino a 10-15 m. a pianta quadrangolare, con piccoli bastioni a due angoli opposti e posto di vedetta all'esterno: tra i Bataki, la palizzata, verticale nel tratto inferiore, era inclinata verso l'esterno con la porzione più alta. Nel territorio polinesiano, si erano sviluppati i provvedimenti difensivi specialmente nella Nuova Zelanda, e i pah dei Maori apparvero agli Europei piuttosto campi trincerati che villaggi. L'America settentrionale aveva villaggi fortificati fra i gruppi etnici, pescatori quasi sedentarî, del NO., ma soprattutto nella zona agricola orientale, dai Grandi Laghi al Golfo del Messico: le palizzate erano a pianta circolare, spesso a più ordini concentrici (Huroni, Irochesi), o completate da bastioni (Biloxi) o erette su parapetti di terra (Louisiana). Nei secoli XVI-XVII opere analoghe erano diffuse nel Yucatán, tra i Ghibcha della Colombia, nel territorio venezuelano e tra le tribù Guarani del Rio Paraguay e della costa brasiliana. Palizzate doppie e fosse coperte, a trabocchetto, con pali appuntiti sporgenti nel fondo, all'esterno, erano comuni nel nord (Río Meta): nel Venezuela e nel territorio argentino settentrionale si preferivano le siepi vive di piante spinose. Le culture della regione andina e messicana (Inca, Aztechi) avevano naturalmente sviluppata una tecnica molto progredita della fortificazione per mezzo di muri di pietre o di argilla con terrazzi, bastioni, baluardi, passaggi coperti, ecc. (v. messico; perù). Antiche opere di difesa sono rappresentate anche da molti dei cosiddetti mounds degli Stati Uniti: alcune di esse (Fort Ancient, Newark, Butler County, ecc.) sono notevoli per lo sviluppo e la complessità dei cordoni artificiali dei recinti, che erano certamente completati da palizzate, e delle trincee, e per la felice scelta e utilizzazione delle condizioni topografiche. Un'altra regione ricca di resti di opere difensive hanno rilevato le ricerche moderne nella Rhodesia meridionale intorno alle già celebri rovine di Zimbabwe (fig. 7). Nell'una e nell'altra regione la diffusione di così numerose e importanti opere di fortificazione sta probabilmente a rappresentare periodi di più intensa attività politica e bellica delle stesse genti che gli Europei hanno poi trovato sul posto. Ma non è da escludere, almeno per la Rhodesia, l'influsso temporaneo di culture esterne.

Preistoria e antichità. - Le più antiche fortificazioni risalgono al periodo neolitico, nel quale la dimora fissa fece sorgere contemporaneamente il bisogno della difesa locale. Ogni forma di civiltà ha il suo tipo di fortificazione, dipendente dalla propria tradizione; ma tutti i tipi subiscono l'influenza gli uni degli altri, e soprattutto quella dell'ambiente e dei progressi delle armi difensive e offensive. Nella loro forma primitiva tali fortezze, per le condizioni sociali dei tempi, sono piuttosto da considerare come villaggi o come città fortificate; esse consistevano di solito in recinti più o meno fortemente muniti, che dalle prime elementari forme si vanno a mano a mano sviluppando e integrando in forme più complesse con contrafforti, torri, fossati, avancorpi, ridotti, ecc.

Popoli mediterranei. - A un tipo fondamentalmente comune per forma e per struttura si possono ricondurre le fortificazioni che s'incontrano presso le antiche genti designate oggi col nome di mediterranee, senza voler dare a tal nome una precisazione etnica; quelle genti cioè che dall'età eneolitica a quella del ferro, e prima della calata delle genti indoeuropee, occuparono la maggior parte delle regioni che si affacciano al Mediterraneo: grandi recinti irregolari o minori costruzioni circolari a blocchi di pietre, in generale grandi o grandissimi, disposti a secco, per lo più su un'altura o all'incontro di due vallate o di due corsi d'acqua: la resistenza, almeno nella fase più antica, ha carattere passivo: a grado a grado le maggiori opere di difesa si raggruppano presso le porte: solo dopo una lenta evoluzione appariscono le torri fiancheggianti.

Il Portogallo, soprattutto nelle provincie di Entre-Douro-e-Minho e di Tras-os-Montes, ci offre le sue citanias, specie di cittadelle a unica o a triplice poderosa cinta, che segue il movimento del terreno. Del tutto affini alle citanias, ma più piccoli, sono i castros della Spagna, particolarmente della Galizia e delle Asturie, fra i quali sono notevoli quelli di San Saturnino, di Samoedo e di Sabiña. Citanias e castros mantennero quasi inalterato il carattere dalla loro prima origine sino alla conquista romana. Ben altrimenti evoluto è il carattere che presentano le assai più tarde cittadelle iberiche a struttura megalitica, particolarmente quelle della Catalogna e della bassa Aragona, fra le quali meritano uno speciale ricordo quelle di Osuna (fig. 9), Numanzia (fig. 11), Tarragona, Gerona, Sagunto, Olerdola, Baza, Alpera (Meca) e Azaila (secoli VIII-III a. C.), che già hanno torri fiancheggianti e talvolta (Osuna) il muro a lieve scarpa esterna. Caratteristici delle Baleari e proprî dell'età del bronzo sono i talayots, robuste torri, solitamente rotonde ma talvolta anche quadrate, tronco-coniche o piramidali, a grandi blocchi, isolate o poste a difesa di grandi, irregolari cinte di mura, spesse circa tre metri, racchiudenti nel loro perimetro dei villaggi, analogamente a quanto si osserva nei villaggi fortificati nuragici della Sardegna. I talayots quindi si ricollegano così alle torri maltesi e ai sesi di Pantelleria come ai nuraghi; questi, com'è noto, erano a un tempo abitazioni e fortezze: talvolta isolati, a guisa di casa forte, talaltra congiunti ad altri, spesso minori, con cortine di allacciamento, sì da costituire una cittadella o un campo fortificato: degni di ricordo il nuraghe Losa di Abbasanta, con la sua duplice turrita cinta esterna, e il nuraghe Palmavera di Alghero, col suo recinto poderosamente rinforzato dinnanzi alla porta d'accesso: essi rappresentano il tipico adattamento del sistema difensivo mediterraneo alla fiera e indipendente vita dell'isola.

Caratteristici della Francia meridionale sono i castelars, cinte murali di pietre a secco, che raggiungono lo spessore di due metri, assai frequenti soprattutto nelle Alpi Marittime; come sono caratteristici della Venezia Giulia e Tridentina i castellieri (v.).

Da tutte queste fortificazioni di tipo mediterraneo e preariano si differenziano nettamente quelle di tipo indoeuropeo, nelle quali sono caratteristiche la prevalenza del legno e della terra battuta in confronto della pietra, e la presenza assai frequente del fossato e della difesa idrica: segno evidente che esse si sono costituite presso popolazioni dimoranti originariamente in territorî boscosi e ricchi di corsi d'acqua. A prescindere dalle palafitte lacustri, che traevano dall'acqua la loro naturale difesa, ricordiamo tra queste fortificazioni le terramare, specie di palafitte all'asciutto, stazioni quadrilatere palificate cinte di argine e di fossa: l'argine di terra era internamente rinforzato da un sistema di gabbioni, ma è notevole come nella terramara di Taranto, cioè in pieno paese mediterraneo, il rinforzo interno dell'aggere esista, ma non sia più di legno, bensì di pietra. Anche nella Svizzera le stazioni non lacustri dell'età neolitica e del bronzo erano protette da fossati e da palizzate, come si è constatato nella stazione di Ebersberg am Ircher. Alle fortificazioni di tipo indoeuropeo si debbono ascrivere anche le cittadelle celtiche della Spagna, gli oppida gallici, le stazioni munite dell'Ungheria e del nord balcanico come, molti secoli dopo, i recinti in terra del nord scandinavo, del tempo dei Vichinghi. Tra le prime ricordiamo quella di Numanzia (sec. V a. C.?), al disotto della già ricordata cittadella iberica e al disopra di un villaggio ligure: essa era costituita da tre cinte concentriche di terra poste a ripiani lungo la collina; fra i secondi gli oppida di Bibracte (Mont Beuvray), Gergovia, Uxellodonum e quello di Avaricum descritto da Cesare; fra le stazioni fortificate ungheresi ricordiamo quella di Lengyel, difesa da un rialto artificiale di terra.

Affini, invece, come tipo e come struttura e anche come età (secoli VII-III a. C.), alle fortezze iberiche di stretto tipo mediterraneo, sono le arces megalitiche dell'Italia centrale e meridionale, alcune delle quali, come quelle di Alatri, Norma, Preneste, Ferentino, Cori, Segni (fig. 12) e Venafro (v. alle singole voci), hanno lasciato resti grandiosi di porte e di mura, ora di tipo poligonale e ora di tipo quadrato. Meno ciclopiche di struttura, ma pur sempre poderose sono le mura delle cittadelle etrusche, che traggono sicuro partito dalla configurazione naturale della roccia e sono spesso rinforzate da torri; esse, come quelle italiche dei Latini, dei Volsci e degli Ernici, hanno generalmente porte poderose. Non già per l'età, ma per la struttura queste acropoli ciclopiche dell'Italia centrale si accostano a quelle, assai più antiche, costruite nell'età micenea in Grecia (v. più oltre).

Egitto. - L'Egitto e la Babilonia precedettero tutti gli altri paesi anche nella creazione di forme più evolute di fortificazione. In Egitto troviamo ancora superstiti due resti di fortezze che si attribuiscono alla seconda dinastia, quella di Shūnet az-Zabīb ad Abido e quella di Kōm el-Aḥmar, enormi quadrilateri di mattoni crudi, notevoli per lo spessore delle mura e per l'efficacia difensiva delle porte; dell'antico impero, altre fortezze dello stesso tipo e il campo trincerato di Elefantina. In queste costruzioni la resistenza passiva era quasi totalmente affidata alla massa e allo spessore delle mura. I testi ricordano spesso i sistemi di fortificazioni eretti a protezione delle frontiere verso la Nubia (fig. 13) e specialmente per sbarrare l'istmo di Suez. Durante il medio e il nuovo impero, l'arte fortificatoria egiziana si perfeziona. Le fortezze hanno tracciato quadrangolare o ovale o adattato alle irregolarità del terreno; le mura, spesso doppie, hanno un basamento a scarpata di pietra e la parte superiore di mattoni, conmerlature e sporti e tettoie di legno e torri rotonde nell'epoca più antica e poi quadrate. Dinnanzi alle mura, sono scavati uno o più fossati, a scarpa murata, sormontati da ponti levatoi. La grandiosa porta a piloni del tempio di Ramses III a Medīnet-Habu, che era circondato di mura come una fortezza, ci dà l'idea di una porta di cinta fortificata egiziana del nuovo impero. I monumenti figurati ci fanno poi vedere i metodi d'assedio degli Egiziani del nuovo impero. I guerrieri si accostano alle mura della fortezza nemica protetti dal tiro degli arcieri e coprendosi spesso con grandi ripari mobili; alcuni dànno poi l'assalto alle porte con le scuri, mentre altri con le spade in pugno e gli scudi sulle spalle cercano di scalare le mura con grandi scale.

Babilonia e Assiria. - Anche le più antiche fortificazioni babilonesi a noi note risalgono al IV millennio. Il materiale è in genere il mattone crudo (solo i basamenti si fanno, quando è possibile, di pietra o mattoni cotti), e quindi le muraglie sono molto grosse (di solito ⅓ dell'altezza). Più che fortezze vere e proprie erano cinte murali di città, che però ai consueti elementi di resistenza passiva, molteplicità, altezza e grossezza delle mura sapevano congiungere efficaci mezzi di difesa attiva (torri fiancheggianti specialmente le porte, porte a settori, anditi a gomito). Spesso si hanno parecchie cinte successive di mura e una cittadella-palazzo costituisce inoltre un ridotto centrale. Uno o più fossati con acqua cingono le mura, separati da argini che servono per la difesa avanzata. Le fortificazioni di Babilonia (figg. 15 e 16) e di Ninive erano imponenti per estensione, solidità e ricchezza di opere. Sul modello delle fortificazioni babilonesi, variamente modificato e adattato ai varî paesi, sorsero le fortezze che gradatamente sostituirono in Siria e Palestina, nell'Anatolia hittita e nelle regioni contermini le primitive cinte di terra o di sassi; naturalmente la pietra, della quale quei paesi abbondano, vi è più largamente usata. Karkemish, Boǧazköy, Zingirli, Gerusalemme, ecc., sono esempî cospicui di fortificazioni dell'Asia anteriore del II millennio a. C. (v. le singole voci). Gli Hittiti ebbero anche delle vere fortezze. Dall'architettura militare degli Hittiti e degli Assiri deriva le sue forme quella assai più evoluta dei Persiani che vediamo sapientemente attuata nelle grandiose difese murali di Susa: tre cinte successive di mura rafforzate da torri fiancheggianti, casematte, merli e sporti di coronamento, e due ampî fossati: e, infine una robusta cittadella all'interno. La grandiosità delle fortificazioni babilonesi e assire corrispondeva alla potenza dei mezzi d'assedio escogitati e messi in opera nell'Asia anteriore specialmente dagli Assiri. Anche qui l'accostamento alle mura avveniva sotto la protezione del tiro intenso degli archi, eseguito di solito da gruppi di arcieri protetti da grandi scudi mobili o da ampi ripari su ruote; si cercava di sguarnire le mura nemiche di difensori, i quali reagivano alla loro volta bersagliando gli assalitori. Grandi aggeri venivano costruiti per far accostare alle difese le macchine d'assedio, torri mobili con arcieri e ariete nel piano inferiore, arieti, testuggini, ecc. L'assalto veniva dato infine dalla fanteria dei lancieri con le scale.

Egeo pre-greco. - Nell'area egea, dalle fortificazioni primitive neolitiche, che pur presentano anche sistemi a tre cinte concentriche, come a Dimini in Tessaglia, si passa nell'età del bronzo a fortilizî più complessi e imponenti, che noi conosciamo specialmente dagli esempî celebri di Troia (fig. 18) e Micene, rocche circondate da alte e potenti muraglie di massi spesso enormi, con accessi resi dall'arte difficilissimi e quindi inespugnabili se i difensori facevano buona guardia e finché avevano viveri. L'arte difensiva può dirsi già matura in queste fortificazioni micenee: tracciati a denti di sega, bastioni e torri fiancheggianti, porte scee e porte a vestibolo, interno alla foggia hittita (Soulas, Tirinto, Hissarlik), mura, casematte, camminamenti a gomito.

Caratteristica soprattutto è la fortezza di Tirinto (fig. 17), costruita sulla spianata di una collina sistemando mirabilmente le sue difese e le abitazioni entro uno spazio limitatissimo: il clivo di accesso fiancheggia esternamente la formidabile cinta megalitica; di là dalla porta si svolge per 75 m. un corridoio chiuso tra la cinta esterna e un secondo poderoso muro interno prima di giungere ai propilei. A Tirinto, come del resto in ogni fortezza micenea, oltre alla porta principale troviamo una postierla a cui si giungeva da una gradinata di scalini scavati in parte nella viva roccia e protetta dal muro di cinta.

Grecia. - Le città greche che si vennero dal sec. VIII sviluppando ai piedi delle acropoli, non ebbero dapprima, in genere, cinte fortificate; l'acropoli doveva servire di rifugio alla popolazione in caso di attacco. Ma la minaccia persiana indusse le città greche d'Asia e d'Europa a cingersi di mura, e solo Sparta rimase fedele alla tradizione delle città aperte. Atene invece si pose assai presto alla testa delle città fortificate.

Essa era circondata da un muro almeno dalla fine del sec. VI, e nel 493 a. C. aveva già cominciato a fortificare il porto del Pireo; dopo l'invasione persiana le fortificazioni del Pireo furono completate e la città protetta dalla più ampia cerchia del muro di Temistocle (circa 6 km.). Più tardi le due fortezze della città e del porto furono riunite con le "mura lunghe" (sommanti insieme circa 14 km.) e ne venne così una gigantesca fortezza di circa 30 km. di sviluppo, capace di contenere tutta la popolazione dell'Attica e che nessun esercito greco del tempo avrebbe potuto seriamente cingere d'assedio. Le mura di Atene, rifatte e molte volte restaurate in seguito (v. atene, V, pp. 175-176), avevano un basamento di pietre squadrate e poligonali dello spessore da 2 a 3 m. e dell'altezza di m. 1,70, sopra il quale s'alzava un muro di mattoni; ed erano rinforzate da numerose torri sporgenti, di solito quadrate, che al Pireo distavano poco più di 50 m. l'una dall'altra. Le porte, ben riconoscibili ancora al Pireo, erano protette da torri spinte in avanti e davano su piazzali circondati da mura, dalle quali il nemico che avesse oltrepassato la porta esterna poteva essere coperto di proiettili, prima di poter forzare il passaggio più interno.

Esempî tipici della fortificazione greca del sec. IV sono Mantinea, Messene e Rodi.

La cinta di Mantinea è del 371 a. C. La città è posta in piano e ha un tracciato ellittico, mura con scarpa di pietra della grossezza di 4 m. sormontata da muro di mattoni, torri quadrate ogni 26 m. circa e porte abilmente protette con un ingegnoso sistema indicato nella figura 19; l'Ophis era stato deviato e condotto a scorrere dinnanzi alle mura. Le opere di Messene, costruita ex novo nel 369 a. C., sono in alcuni punti bene conservate. Il muro della grossezza di m. 2,50 alla base e alto in media 4,60, è coronato da un cammino di ronda (v. più oltre) di 2 m. di larghezza e da merlature, e protetto lungo i lati da torri quadrate di m. 6 per 4, distanti fra loro da 30 a 100 m. e sopraelevate di 6-7. m. sul muro, e agli angoli da torri rotonde. La parte superiore delle torri ha due stanze sovrapposte, una con feritoie per arcieri e una con finestre per macchine da tiro. Fossati dinnanzi alle mura erano in quest'epoca rari, e Atene non ne ebbe sino alla fine del sec. IV.

Le fortezze greche erano erette con grande accorgimento: i tracciati delle cinte, spesso multiple, erano sagacemente combinati e adattati alle disposizioni del terreno; avevano le torri e i bastioni disposti in guisa da ottenere un efficace fiancheggiamento, feritoie diritte o oblique, fossati, scarpe e controscarpe, porte ben difese e postierle abilmente mascherate. Erano così in grado di sfidare i mezzi d'offesa del tempo, che erano assai limitati. La scalata di mura sufficientemente difese era impresa assai difficile, e quindi, se una città non poteva essere conquistata di sorpresa con un fortunato colpo di mano o per tradimento, si ricorreva di solito al blocco, per terra e per mare se si trattava di città marittima, costruendo opere di circonvallazione di terra, legnami, e anche di muratura, se il blocco si prolungava. Si cercava di mantenere il blocco finché gli assediati, esaurite le sussistenze, fossero costretti ad arrendersi.

L'assedio di Samo nel 440-39 durò 9 mesi, quello di Potidea (432-29) tre anni; erano quindi imprese che costavano enormemente. Dopo la metà del sec. V compaiono in Grecia le prime macchine d'assedio, imitate dall'Oriente; l'ariete (a Samo, 440), la testuggine e l'aggere (assedio di Platea, 429); ma esse diedero scarsi risultati. Sulla difesa delle città scrisse poco dopo il 360 a. C. un trattatello un certo Enea, detto il Tattico.

Una nuova epoca nella storia delle fortificazioni e dell'arte ossidionale s'inizia nel sec. IV a. C. presso i Greci occidentali per impulso dei Cartaginesi. Questi nel 409-7 adottarono contro le città greche della Sicilia i sistemi ossidionali già usati dagli Assiri. Si facevano avanzare in un primo tempo alte torri mobili di legno, dalle quali i tiratori spazzavano via i difensori delle mura; quindi, sotto la protezione delle torri, si preparava il terreno per l'accostamento delle macchine d'assedio destinate ad aprire la breccia, gli arieti e le testuggini, sotto le quali si lavorava a scalzare le mura. Si usavano spesso anche lavori di mina, per far crollare col fuoco sotterraneo torri e cortine. Si dava infine l'assalto attraverso la breccia ottenuta e calando dalle torri ponti sulle mura. I Siracusani adottarono subito dai loro nemici i nuovi sistemi d' attacco (assedio di Motye nel 397) e li perfezionarono con la adozione delle artiglierie allora inventate, catapulte e baliste, macchine per il lancio di grandi giavellotti e di proiettili di pietra e di piombo. Le artiglierie più leggiere venivano collocate sulle torri mobili; con le più pesanti si formavano delle batterie fisse. Il tiro contro le opere della difesa poteva essere così aperto più da lontano e aveva effetti distruttivi, oltre che d'interdizione.

L'uso di queste macchine si diffuse gradatamente nella Grecia propria, ove Filippo II di Macedonia ne fece per primo largo impiego (assedî di Perinto e Bisanzio, 340 e 339 a. C.). Alessandro, per mezzo dei suoi ingegneri militari, perfezionò ulteriormente questi procedimenti di assedio, collocando tra l'altro artiglierie pesanti nei piani più bassi delle torri, che divennero batterie mobili. L'assedio di Tiro è il più famoso fra quelli diretti da Alessandro. L'età alessandrina vide crescere le proporzioni delle macchine e delle artiglierie: la helepolis fatta costruire da Demetrio Poliorcete (v.) al famoso assedio di Rodi nel 305 e opera dell'architetto ateniese Epimaco (v.), era una torre a più piani alta circa 40 metri.

La difesa dovette rispondere perfezionando i sistemi fortificatorî. Anche qui Siracusa fu alla testa: Dionisio ne fece una gigantesca fortezza di quasi 30 km. di perimetro.

La chiave del sistema, l'altura dell'Eurialo a ovest, fu protetta da un forte (figg. 20 e 21), le cui mura potenti, di 6 metri di spessore, erano precedute da tre larghi fossati, e l'orlo del più esterno di essi stava a 170 m. dalle mura; così si impediva alle macchine d'assedio di accostarsi in modo pericoloso al corpo della fortezza. Gallerie sotterranee permettevano l'ammassamento al coperto nei fossati delle truppe destinate alle sortite. Anche le fortificazioni di Selinunte furono rifatte secondo gli stessi criterî; notevoli altresì quelle di Velia.

Filone di Bisanzio formulò nel secolo II i principî di questa nuova arte fortificatoria che dominò l'età ellenistico-romana. Si costruiscono grandi opere dinnanzi al muro principale: parecchi ordini di fosse, con interposti argini rafforzati da palizzate e il più interno da un muro (προτείχισμα), e opere avanzate isolate; si arriva più tardi a due o più cinte, di cui le esterne sono dominate dalla più interna, come già in Oriente, e come vediamo nelle fortificazioni di Costantinopoli (fig. 23) e di Nicea (fig. 24) del sec. IV d. C.; dalle muraglie scompaiono le soprastrutture di legno, ne viene aumentata l'altezza (muri di più di 10 metri d'altezza sono frequenti), e contro i colpi dell'ariete si accresce lo spessore e si cura la costruzione con corsi uniformi di blocchi squadrati, saldamente cementati e tenuti da collegamenti metallici; il cammino di ronda viene allargato e i merli irrobustiti; le torri sono più poderose e semirotonde o poliedriche per resistere meglio all'ariete e ai proiettili, con vari ordini di stanze con feritoie e finestre per il tiro frontale e di fiancheggiamento delle mac. chine. Per le cortine si consigliano i tracciati più opportuni per intensificare il tiro fiancheggiante, con salienti e rientranze a sega o a gradino; e vengono anch'esse munite di feritoie e finestre in corrispondenza di locali e gallerie coperte ricavate nella parte interna. Numerose postierle assicurano la rapidità di movimenti alle truppe delle opere avanzate e per le sortite. La fortezza di Dura-Europo è uno degli esempî più recentemente messi in luce di questo sistema (fig. 25).

Inoltre si accrescono i mezzi attivi della difesa. Anche la difesa adotta le artiglierie per battere da lontano le opere d'approccio dell'assediante e le sue macchine. Gran nemico delle macchine era il fuoco col quale si distruggeva spesso in breve ora il lavoro di settimane. Esso veniva adoperato dall'assediante e dall'assediato in varie forme, fiaccole incendiarie, getti di liquido infiammato, ecc. Il lavoro di mina dell'attaccante la difesa oppone quello di contromina; contro la breccia si preparano mura più arretrate.

I Greci usarono anche fortificazioni a difesa dei confini o di passi importanti, sotto forma o di muri continui o di sistemi di forti staccati. L'Attica era, ad es., protetta da una linea di forti che andavano da Eleusi a Ramnunte. Uno sbarramento continuo si aveva invece fra l'Egaleo e il Parnete pure nell'Attica, alle Termopile, all'Istmo di Corinto. Scarso uso fecero invece i Greci della fortificazione campale (v. accampamento).

Italia e Roma. - Si è già accennato alle fortificazioni italiche primitive. Sotto l'influenza delle colonie greche, si diffusero le cinte murate di pietra e laterizî, specialmente in Etruria e nel Lazio, almeno dal sec. VI, altrove alquanto più tardi; ma non per questo l'aggere fu abbandonato, e il muro servì da rivestimento all'aggere, che venne inoltre sostenuto spesso da un secondo muro verso l'interno: p. es., l'aggere serviano in Roma e le mura di Pompei. L'uso delle torri per il fiancheggiamento è più tardo, ed esse furono alle volte, come a Pompei, inserite posteriormente nel muro. I sistemi della fortificazione e della poliorcetica ellenistica si diffusero, con adattamenti, per tutto il mondo romano.

Le città fortificate che non potevano essere prese subito d'assalto (repentina oppugnatio), richiedevano un regolare assedio (longinqua oppugnatio) o il blocco (obsidio). Si usava circumvallare la fortezza, cioè costruire un vallo con fossa e palizzata, rinforzato a intervalli da castella; il grosso dell'esercito stava in castra fortificati, posti nei punti strategici più importanti. Se v'era probabilità di tentativi di soccorrere la fortezza assediata dall'esterno, la circonvallazione era doppia, con una linea rivolta verso l'esterno. Il più noto esempio di doppia circonvallazione è quello di Cesare ad Alesia: la linea interna aveva lo sviluppo di 16 km., con 23 castelli, l'esterna di 21 km.; le truppe che non erano di servizio alle trincee stavano in 8 campi. Scelto poi il settore per l'attacco e radunato il materiale necessario, specialmente legname e metalli, si costruivano l'aggere, le torri, le artiglierie, gli arieti, i trapani da muro (terebrae), i ripari mobili di graticci e tavole (plutei), le gallerie mobili coperte (vineae), le tettoie mobili (testudines, musculi) e tutte le altre macchine necessarie. Se era il caso, si procedeva anche a lavori di mina. L'assalto della fanteria veniva dato con la nota formazione della testudo o con scale; le truppe venivano inoltre munite di fascine per ricoprire i fossati e di molti arnesi sussidiarî, falces murales, asce, ecc.

I Romani furono maestri nella fortificazione campale (v. accampamento; castro), la quale influì sul tracciato delle fortificazioni permanenti, sia perché molte fondazioni romane ebbero, come Aosta, cinta rettangolare, a imitazione dell'accampamento fortificato, con torri, sia perché i campi sulle frontiere divennero, sotto l'Impero, permanenti conservando il tracciato quadrangolare. Grandiosa applicazione fecero i Romani delle linee fortificate continue nei limites (v. limes) dell'età imperiale, valli continui, per grandi tratti murati, appoggiati a campi, fortilizî e torri, che proteggevano intere regioni, come i valli della Britannia, della Germania e della Rezia. Altrove i limites erano costituiti da sistemi di fortificazioni staccate.

Medioevo. - Durante il Medioevo la fortificazione continuò a essere costituita essenzialmente di mura, con o senza fosso, e di torri. Però come conseguenza degli ordinamenti sociali, che subirono un profondo cambiamento nel Medioevo, col feudalesimo prima, poi coi comuni e con le repubbliche, indi con le signorie, si ebbero in fortificazione elementi nuovi, cioè: il castello feudale nelle città, il castello baronale nel contado, la rocca, la torre nobiliare; e in molti casi la torre semplice fu usata come elemento a sé di osservazione e di difesa e tali furono le torri litoranee, le torri di confine e simili (v. castello; rocca; torre). In queste opere medievali caratteristiche (castelli e rocche), fu in modo speciale curato l'ostacolo e fu cercato di aumentarlo con cinte multiple e concentriche, con fossi profondi, con molte feritoie, balestriere o saettiere, per offendere con ogni mezzo l'assalitore (frecce, pietre, liquidi bollenti, fuoco); e ne risultarono particolari interni minutamente studiati per contrastare all'assalitore, palmo a palmo, l'avanzata dalle porte all'ultimo rifugio. Perciò, grande uso di ponti levatoi, di saracinesche, di piombatoie, di garette applicate alle mura, di guardiole sporgenti agli angoli salienti, comunicazioni contorte e battute dal fianco e dall'alto, di agguati, di trabocchetti.

Non molte furono le città nuove o fornite di nuovi recinti. Ma l'ordinamento fu sempre a mura e torri, con impiego talvolta di opere addizionali, quali le lizze o antemurali, già usate nella fortificazione antica, e di altre opere di nuovo carattere, come: grosse torri rotonde dette rondelle, collegate alle mura con doppia muraglia (capannata, poi caponiera) o collegate con passaggio sotterraneo (figura 26); torrioni pentagonali detti puntoni (fig. 27); revellini fatti con palancate o con fosso e aggere (fig. 28). Le torri delle cinte, pur sempre elemento principalissimo di difesa, si fecero nelle nuove costruzioni medievali assai vicine fra loro per tutela delle porte e per viva azione sulle mura. Delle torri una più grossa e più forte, detta mastio, o maschio, o cassero, serviva ordinariamente da ridotto; e siccome si faceva sempre più alta delle altre serviva anche da osservatorio.

Pochi furono, dopo lo sfasciamento dell'Impero romano, gli assedî condotti con l'arte poliorcetica dell'evo antico; furono piuttosto assalti di sorpresa con scalate o sorprese alle porte o urti diretti fra difensori e attaccanti fuori dell'ambito fortificato. Fu solo dopo il 1070, o dopo l'assedio di Durazzo condotto da Roberto il Guiscardo, che ritornarono in uso le macchine e i procedimenti della poliorcetica classica, e si cominciò a sentire il bisogno di ritornare alle grandi piazze. Alle macchine nevrobalistiche furono aggiunte altre macchine, pure da getto, però fondate sull'azione e sull'impiego di contrappesi e che potrebbero dirsi litobale, come: i trabocchi, i mangani, le briccole; e si usarono promiscuamente e forse più le seconde che le prime.

Una delle caratteristiche del Medioevo in fatto di assedî delle piazze fu l'impiego frequente di strattagemmi e di astuzie; e si escogitarono all'uopo i più strani mezzi e procedimenti che ora ci sembrano puerili, come l'entrata, nelle città assediate, entro botti o sopra carri in mezzo al fieno o per barche di finte vettovaglie e simili, e parecchi autori ne fanno descrizioni particolareggiate. E tutto ciò ebbe una durata di quasi tre secoli, cioè fino alla diffusione della polvere da sparo.

Rinascimento. - Sei e Settecento. - Nel sec. XIV, quando apparve, e nel sec. XV in cui si diffuse, la polvere da fuoco, nuovo mezzo di guerra, formidabile e potente, rivoluzionò tutti gli elementi di offesa e di difesa, le armi e le fortificazioni. Già fino dal sec. XIII in alcune piazzeforti erano state allargate le piattaforme sulle mura ed erano state ingrandite le torri per potervi adattare le macchine balistiche d'allora, che, col perfezionarsi della tecnica di guerra, avevano preso proporzioni notevoli. Ma l'influenza delle bocche da fuoco fu molto più profonda e s'impose su tutto il sistema fortificatorio. Vi fu tra il sec. XV e il sec. XVI un periodo transitorio. Non si potevano a un tratto riconoscere inadatte o insufficienti opere che erano costate molto studio e molto denaro, che si erano fino allora dimostrate rispondenti alla loro azione difensiva e offensiva, e avrebbero richiesto somme ingenti per essere rifatte. E si ricorse a ripieghi, così come si fece per le armature; cioè si ingrossarono le murature e s'ingrandirono gli elementi, specialmente le torri.

Molti sono gli esempî di questo periodo transitorio o di ripiego. Niccolò V a metà del Quattrocento ingrossò tutte le torri della cinta di Leone IV e una nuova ne costruì col muro alla base grosso quasi 8 metri; i muri della torre di Ham in Francia furono grossi 10 m. e le cortine del Castello di Salces (Pirenei orientali) furono fatte grosse 18 m. Considerato poi che la muratura scoperta esposta ai tiri delle nuove artiglierie male resisteva, si ricorse talvolta a coperture di legnami e specialmente di terra, ciò che si disse terrapienamento; e questo terrapieno, o anche ramparo, fu messo talvolta all'esterno delle cinte, talvolta all'interno.

Ma anche le torri ingrandite divenivano facile bersaglio all'artiglieria attaccante, e si provvide cambiando il loro tracciato circolare o rettangolare in tracciato pentagonale (seguendo qualche esempio medievale) con un vertice verso la campagna, due lati obliqui, altri due di congiunzione con le cortine laterali, e finalmente il lato di base inserito nel recinto. Questa disposizione che già si era alcune volte usata nella fortificazione del Rinascimento, condusse al baluardo, o bastione.

La creazione dei grandi stati (secoli XIV-XVI) portò all'impiego di eserciti numerosi, come era avvenuto nell'epoca antica e di conseguenza si ritornò alle vaste fortificazioni.

Le principali modificazioni successivamente apportate alle opere furono molteplici: anzitutto si abbassarono le mura e più ancora le torri, riducendo queste alla stessa altezza di quelle, per presentare minore bersaglio ai tiri dell'attaccante. Furono soppresse tutte le parti di minore resistenza e quelle più facilmente incendiabili. Furono sacrificate le merlature, le caditoie o piombatoie, le guardiole sporgenti, le coperture delle piattaforme e dei terrazzi. E per proteggere meglio il piede delle mura si scavò sempre il fosso, che fu fatto largo e profondo anche perché non venisse facilmente colmato dalle rovine delle mura battute in breccia; gli fu fatto un muro di scarpa (scarpa del terrapieno) verso la città e frequentemente uno di controscarpa verso la campagna; e fu asciutto, o acqueo, o a manovra d'acqua, secondo le condizioni locali.

Fortificazione a fronti bastionati. - È ormai accertato che questo tipo di fortificazione ha origini italiane. Il primo scrittore di fortificazione moderna fu Mariano di Iacopo senese, detto il Taccola (1381-1458?). Egli aveva preparato una difesa di Roma per papa Calisto III (1455-1458), basata sul sistema che poi fu detto bastionato, costituito di baluardi con la terrazza a livello delle piattaforme laterali (quelle delle torri); il saliente era rivolto verso il nemico, e nei fianchi erano disposte delle batterie basse. Poco dopo, intorno al 1461, volendo Lodovico di Savoia rafforzare le difese di Torino, fece costruire da Michele Canale il Bastion Verde (fig. 29) applicato alle stesse mura romane e medievali; opera che dimostra chiaramente il passaggio dall'uno all'altro sistema di fortificazione. Il rafforzamento di Torino, interrotto per ragioni politiche, fu poi ripreso e completato solo dopo il 1536 per opera di Francesi (figura 30).

Durante la guerra fra gli Estensi e i Veneziani negli anni 1482-1484, vennero frequentemente impiegati bastioni a rafforzare località d'interesse strategico. Il senato veneto fece altresì costruire presso Pontelagoscuro "due bastioni di marmo in triangolo con muraglie grosse piedi venti"; e pure a Pontelagoscuro esistevano lungo il Po tre opere "a punta", specie di rivellini, rivolte una verso monte, una verso valle e una verso il passaggio del fiume. V'era anche un grande torrione che per essere demolito richiese la mina. Terminata la guerra Ercole I d'Este applicò il sistema bastionato per l'ingrandimento della città di Ferrara (addizione erculea); e successivamente il metodo entrò nell'uso comune.

Sono di quest'epoca: la rocca d'Ostia di Baccio Pontelli elevata nel 1483 per ordine del cardinale Della Rovere (poi Giulio II) e di Sisto IV suo zio (fig. 31); la cinta bastionata di Civita Castellana (1494-1497) e il fortino quadrangolare a bastioni di Nettuno (1501-1503), di Antonio da Sangallo il vecchio; i baluardi della cittadella di Pisa (1509-1512) di Giuliano da Sangallo; il bastione della Maddalena (1527) nel recinto di Verona, di Michele Sammicheli; il bastione ardeatino (fig. 32) e le mura a Santo Spirito e al Belvedere del Vaticano a Roma (1536 circa), di Antonio da Sangallo il giovane. Frattanto la fortificazione a bastioni era stata confermata e ne erano state date le teorie, diffuse da Francesco Martini da Siena, morto nel 1504, con il suo Trattato di architettura civile e militare.

L'ordinamento bastionato, successione di bastioni inframezzati da tratti di mura rettilinee o da cortine, si affermò nella prima metà del sec. XVI e si diffuse nella seconda metà (vedi bastione). Il più semplice ordinamento bastionato si componeva del recinto continuo di bastioni e cortine, e del fosso.

Il recinto constò nei primi tempi di un muro che sosteneva un terrapieno interno; poi, successivamente, il muro fu abbassato e il terrapieno vi fu posto sopra, sistemato all'esterno a scarpata sorretta a sua volta dal muro detto di scarpa, che frequentemente fu tenuto molto basso perché fosse meglio protetto dalla controscarpa del fosso da tiri dell'attaccante; anzi, in molte opere del secolo passato, la scarpa di terra fu prolungata fino al fosso e ivi frequentemente (ma non sempre) fu eretto un muro isolato, detto muro alla Carnot dal nome di chi lo propose, il cui ufficio principale era di ostacolare l'arrampicata sulla scarpa del terrapieno a chi, nell'attacco, fosse arrivato nel fosso; e siccome questo muro era anche munito di feritoie, poteva costituire una linea di fuoco bassa. Si potevano avere cinte bastionate fornite di fossi asciutti (fig. 33) e cinte fornite di fossi acquei (fig. 34).

Il tracciato del fronte bastionato presentò al massimo grado l'inconveniente di avere davanti molti settori indifesi vicini e lontani (fig. 35), cioè non soggetti ai tiri normali e ove l'attaccante avrebbe potuto impiantare le sue batterie senza essere gravemente molestato; da ciò la necessità di eliminare o di battere questi settori. A tale scopo furono dagl'ingegneri militari del Rinascimento immaginati e applicati provvedimenti di molte specie che si possono raggruppare in due serie ben distinte: ripiegamenti degli elementi del fronte, cioè delle cortine e dei bastioni; adozione di opere addizionali interne ed esterne, e, queste, di mano in mano più numerose e più importanti e più allontanate dal fronte, per seguire il progresso in gittata e in potenza delle artiglierie.

Un primo caratteristico esempio di ripiegamenti del tracciato si ha nel citato bastione Ardeatino a Roma, costruito dal Sangallo al tempo di Paolo III (1534-1549), quando si trattò di rafforzare tutta l'antica cinta d'Aureliano. E lo spezzamento della cortina, fatto per battere meglio il terreno esterno, ebbe anche scopo di adattamento dell'opera al terreno; problema questo che ha occupato frequentemente gl'ingegneri militari del Rinascimento, posti spesso fra le esigenze topografiche del terreno d'impianto e le forme geometriche dei tracciati scolasticamente imposti. I ripiegamenti del tracciato furono in seguito svariatissimi.

Altrettanto varie e numerose furono le opere addizionali (interne ed esterne): in un fronte della fine del sec. XVIII se ne potevano annoverare più di 30 con nomi, forme e azioni diverse. Le più caratteristiche opere addizionali interne furono il cavaliere e la caserma difensiva. È detta cavaliere una sopraelevazione fatta o nel mezzo di una cortina o di un bastione al fine di permettere la vista e il tiro su punti lontani del terreno esterno e di rafforzare la cinta magistrale. Esso poteva servire da ridotto alla cortina o al bastione: nel qual caso era chiuso da un fosso con ponticello levatoio. La caserma difensiva è un fabbricato che serve come ricovero di truppe, e nel tempo stesso è organizzato a difesa; e può essere non alla prova o alla prova (di bomba) e armata, o no, di artiglieria. Le caserme difensive erano elevate o dietro alle cortine o dentro ai bastioni, o alla loro gola, o alla gola dei rivellini, e servivano anche da ridotto alle parti di opere che le comprendevano. Quando queste caserme avevano piccole proporzioni e contenevano poco presidio si dicevano corpi di guardia difensivi.

Fra le opere addizionali esterne aderenti al recinto magistrale molti autori pongono la strada coperta, le piazze d'armi di strada coperta, e lo spalto.

È strada coperta una zona larga dagli 8 ai 10 m., piana, scorrente sopra la controscarpa del fosso, che permette il transito delle forze della difesa lungo il fronte all'esterno della cinta magistrale, ed è detta coperta, perché è nascosta all'attaccante da un rialzo continuo di terra anticamente detto argine, ora spalto, ordinato o intagliato internamente con profilo di fucileria (così i difensori potevano dalla strada coperta fare una prima azione contro l'attaccante che si avvicinava al corpo di piazza) ed era esternamente limitato con un piano a dolce pendio, detto pendio dello spalto. Quando la strada coperta era stretta si diceva cammino di ronda. La strada coperta venne allargata ai rientranti risvoltando il tracciato del ciglio dello spalto o a dente o a lunetta (cioè ad angolo retto o ad arco di cerchio) e formandovi le piazze d'armi rientranti e ai salienti si arrotondò la controscarpa e si prolungò a dente il ciglio dello spalto predetto formando piazze d'armi di saliente. Il loro ufficio era di concorrere con la strada coperta a dare tiri radenti sullo spalto e di facilitare le riunioni per le sortite. Un primo esempio di strada coperta si trova nelle fortificazioni di Brescia del 1428. Le piazze d'armi ai salienti e ai rientranti sembra fossero suggerite, per primo, da Gerolamo Cattaneo, novarese, nel 1567. Nelle fortificazioni bastionate più vicine ai tempi nostri si fecero dei ridotti nelle piazze d'armi rientranti.

Al fronte bastionato tipico è aggiunto nel fosso e davanti alla cortina un rivellino, che copre la cortina stessa da offese esterne e serve a battere specialmente le piazze d'armi di strada coperta e incrociare fuochi davanti ai salienti del fronte. Quest'opera fu frequentemente usata nella fortificazione del Rinascimento ed ebbe talvolta un ridotto, il cui ufficio risulta dal nome. Talvolta il rivellino fu tracciato col saliente curvilineo e allora si disse lunetta; nome che poi fu generalizzato per opere avanzate all'esterno del recinto. A difendere il bastione, specialmente dai tiri normali alle facce, si provvide con il cosiddetto coprifaccia o controguardia (denominato anche, per la sua forma, mezzaluna). L'impiego della controguardia fu suggerito da F. De Marchi (1504-1576) e dal De Pasino (seconda metà del 1500) e fu ripreso da B.-F. Pagan. Altra opera addizionale molto usata davanti alla cortina e dietro al rivellino fu la tanaglia. Esempio di quest'opera importante e di altre successivamenie applicate è la fortezza di Alessandria (figura 36), fortificata con bastioni da J. Bertola nella prima metà del sec. XVIII e completata e rafforzata da F. Chasseloup al tempo di Napoleone. La piazza aveva cavalieri interni, rivellini con ridotto, coprifacce e le tanaglie davanti a molte cortine. Quest'opera addizionale era stata proposta da Francesco di Giorgio Martini da Siena sul finire del sec. XV col nome di barbacane e riprodotta nel primo quarto del Seicento da F. Tensini che le disse barcannone. Altra opera aderente d'impiego frequente nella fortificazione bastionata, che durò per quasi quattro secoli, fu la mezzaluna o lunetta, breve coprifaccia messo davanti al rivellino. Qualche volta questo coprifaccia era spezzato in due specie di ali al fine di lasciare libera l'azione frontale del rivellino, e le ali si dissero lunette maggiori o minori secondo la loro vastità e importanza.

Con questi provvedimenti diversi si giunse fino quasi alla fine del sec. XVIII, quando, per il perfezionarsi continuo delle artiglierie e per l'allungamento dei loro tiri, fu necessario tenere l'attaccante sempre più lontano dal fronte: le opere addizionali furono allora spostate in avanti e dette perciò avanzate.

Esse furono svariatissime di forma e di nomi. La più diffusa e la più organica fu la lunetta avanzata (e talvolta staccata), che ebbe forma di fortino chiuso con fronte rettilineo e due fianchi, o fronte a dente più o meno sporgente. Talvolta la lunetta era congiunta all'opera principale per mezzo di un androne a feritoie (o no) e allora l'opera complessa prendeva il nome di freccia dalla sua forma. Un'opera avanzata avente un fronte a bastione con due fianchi più o meno lunghi si disse a corno; se aveva alla fronte due bastioni affiancati oppure mezzo bastione per parte di un bastione in capitale si diceva a corona; e se i bastioni erano tre completi con due cortine intermedie, si diceva a corona doppia. Alcune opere avanzate furono costituite da una tanaglia o angolo rientrante con due lunghi fianchi, detta forbice o opera a coda di rondine (fig. 37), o da una tanaglia spezzata con un dente nel mezzo detta doppia forbice o anche berretto da prete (fig. 38), o da un rivellino con mezza tanaglia spezzata per lato, che si disse tanaglione (fig. 39). La maggior parte di queste opere avanzate, specialmente nelle fortificazioni sul finire del Settecento e nella prima metà dell'Ottocento, erano completate o rafforzate da rivellini con ridotto o no, da controguardie, coi loro fossi, spalti, strade coperte, ecc. indipendenti dal recinto retrostante principale.

I primi ingegneri militari che avrebbero suggerito opere addizionali avanzate sarebbero stati gl'insegnanti della scuola del Genio di Mézières sul finire del Settecento. E però da rilevare che quando la Peschiera passò all'Austria, insieme a tutto il territorio della Serenissima, pel trattato di Campoformio (17 ottobre 1797), aveva già parecchie opere avanzate. Le opere addizionali avanzate avevano davanti a loro il fosso, la strada coperta, lo spalto; dato che in talune piazze tali opere erano numerose e ravvicinate le une alle altre, i fossi e gli spalti frequentemente si congiungevano, costituendo così, fuori dal recinto, un doppio fosso.

Sul variare del tracciato e sull'adozione in misura minore o maggiore delle opere addizionali e sulla loro distanza dal recinto principale, influì l'aumento successivo di potenza e di portata delle bocche da fuoco, e la maggiore precisione del tiro; ma furono ancora elementi determinanti i particolari criterî dei fortificatori, le particolarità del terreno d'impianto, le condizioni politiche degli stati che si fortificavano e le posizioni delle opere rispetto ai confini politici e simili circostanze. Nei secoli XVI, XVII e XVIII vi furono scuole e ingegneri militari che diedero nome a particolari sistemi fortificatorî. Notissimo ingegnere militare italiano teorico della fortificazione fu Francesco De Marchi (1504-1576), il quale nel suo Trattato d'architettura militare (pubblicato postumo a Brescia nel 1599), che ebbe varie edizioni italiane e francesi fra la fine del sec. XVI e il principio del XVII, provò a ridurre a tipi geometrici quei trovati pratici che ai maestri italiani del Rinascimento avevano suggerito, caso per caso, le condizioni del terreno e le esigenze della difesa. Fu tenuto per alcun tempo come figura perfetta il pentagono, come aveva praticato il Sangallo a Civita Castellana, adottato poi dal Florenzuoli a Firenze nella Fortezza da basso, dal Melloni a Boulogne, dal Laparelli a Roma (Castel Sant'Angelo), dal Paciotto alle cittadelle di Torino e di Anversa. Successivamente il Busca (morto nel 1619) volle invece dimostrare che "la figura di sei lati fa il balovardo perfetto" e il Savorgnano l'adottò per la cittadella di Casale, il Lanci per Grosseto città e più tardi il Bertola per Alessandria (cittadella). Da allora si manifestò la tendenza ad aumentare ancora il numero dei lati, Palmanova del Lorini fu un poligono di nove lati; il citato Savorgnano per Nicosia, nell'isola di Cipro, prese per base un poligono di undici lati. Ma le discussioni si svolsero anche in altri campi, e con le discussioni sorsero frequentemente proposte bizzarre. Il menzionato Busca combinò le opere esterne del suo fronte in modo da essere agevolmente demolite con le mine allorché il difensore fosse costretto ad abbandonarle, e questo ordinamento fu detto sistema di demolizione; Domenico Rossetti scrisse nel 1678 un'opera ove espose un suo sistema di fortificazione a rovescio, perché il rientrante della controscarpa si trova dinnanzi al saliente del bastione, dando luogo a immensi fossati, coperti da rivellini con ridotti. Carlo Andrea Rana, rinomato architetto militare piemontese della seconda metà del Settecento, che studiò alcune fortificazioni, come quella di Fenestrelle, giunse, seguendo l'andazzo del tempo, a imitare con le opere accessorie antistanti al fronte bastionato, figure di scudi, lance, giavellotti, archi con frecce, scimitarre, tamburi e simili.

Arte ossidionale. - Anche durante il Rinascimento si continuarono a usare dagli assedianti linee di circonvallazione o di contro-circonvallazione. Come per il passato, gli assedianti procedevano verso la piazza assediata al riparo di fossi e di trincee, il cui parapetto era costituito, per solito, con la terra scavata. Le artiglierie degli attaccanti furono disposte nei primi tempi sopra un terrazzo artificiale di fronte a una delle cortine della cinta (costituendo così la batteria reale o imperiale o anche batteria generale) e con queste artiglierie (talvolta numerose e potenti) si cercava di smontare i pezzi di difesa della cortina; poi si apriva la breccia. La batteria reale era sussidiata da batterie minori, specialmente da batterie d'infilata. Quando la cortina fu protetta da opere esterne (tanaglia, rivellino, coprifaccia) e dall'incrocio di fuoco dei bastioni, l'attacco si rivolse verso il saliente dei bastioni stessi. Si costruivano batterie di smonto in vicinanza delle capitali per distruggere le artiglierie avversarie, e poi batteria di breccia e, sullo spalto, controbatterie che avevano lo scopo di controbattere quelle che la difesa portava sui parapetti nelle ultime azioni di resistenza.

Le trincee d'approccio, per evitare di essere battute d'infilata, si facevano procedere dalla linea d'investimento verso la piazza con larghi serpeggiamenti e zig-zag che andavano sempre restringendosi e accorciandosi di mano in mano che si avvicinavano alla piazza. Questo procedimento (detto attacco alla zappa) fece la sua prima comparsa nei primi anni del sec. XV; pare fosse applicato dai Turchi all'assedio di Costantinopoli (1453); fu poi perfezionato nel secolo seguente, per opera specialmente degl'ingegneri militari italiani, e applicato anche in pieno secolo XVI. Quando il parapetto della zappa era fatto di sola terra la trincea soleva dirsi semplice; ma talvolta il parapetto era costituito disponendo lungo il tracciato della trincea gabbioni riempiti di terra (procedimento alla zappa volante). Fra una trincea e l'altra si potevano scavare fossi di comunicazione che furono poi detti parallele.

Col progressivo perfezionamento delle bocche da fuoco i compiti di queste furono suddivisi a seconda delle loro caratteristiche: si ebbero così batterie di bombardamento, batterie di breccia, batterie d'infilata, batterie di smonto, ecc., e lungo le linee d'investimento oltre al posto delle batterie si ricavavano anche ridotte, depositi per munizioni e simili. Trincee a zig-zag, ridotte, batterie, ecc., furono descritti più volte da Pier Paolo Floriani (1584-1638) nelle sue opere sulla fortificazione.

Nel sec. XVIII, con lo sviluppo delle opere più avanzate rispetto al recinto principale, l'attacco dovette, necessariamente, iniziarsi più da lontano, e procedere con maggior numero di approcci. Nella maggior parte dei casi non fu più possibile, o conveniente, fare una linea di circonvallazione continua attorno alla piazza, ma si limitò l'investimento alla disposizione studiata di gruppi d'armati (fanterie e artiglierie) afforzati, se del caso, nei punti meglio indicati dalle condizioni topografiche delle località. Le trincee in linea avvolgente furono scavate solamente davanti al tratto di fronte che si volle attaccare a fondo, e questo tratto di trincea, fatto di solito alla zappa semplice, si disse prima parallela. Essa fu poi, a poco a poco, e di mano in mano che occorreva, allargata e rafforzata e completata con ricoveri, depositi, ecc. Dalla prima parallela si staccavano le trincee e i camminamenti a zig-zag verso la piazza; questi erano riuniti da una seconda parallela; quando poi i lavori erano giunti presso allo spalto si apriva di solito una terza parallela.

Per queste strade coperte manovravano le truppe d'assedio e si spostavano le artiglierie che dovevano andare a impostarsi nelle batterie di trincea o nei cavalieri di trincea (batterie alte), i quali avevano sostituito le antiche bastite di legname e poi di terra e mattoni. Giunto l'attacco allo spalto potevano essere sviluppati due procedimenti; o si procedeva alla discesa sotterranea sotto, allo spalto per giungere in fondo al fosso in corrispondenza alla breccia, e poi s'attaccava la breccia a viva forza; oppure, se la breccia non era ancora aperta o bene aperta, si portavano avanti le artiglierie fin sul ciglio dello spalto conquistando di viva forza la strada coperta, e ivi si costruivano nuove batterie di breccia; si costruivano altresì controbatterie con il compito di controbattere le artiglierie fiancheggianti avversarie, rinchiuse nei fianchi ritirati dei bastioni. L'assalto alla breccia o l'atto finale dell'assedio era sempre fatto di viva forza.

I metodi d'assedio per tutto il sec. XVII furono, per così dire, codificati da scrittori militari e tattici: fra questi più notevoli il principe d'Orange (metodo del principe d'Orange) e il Vauban (1600 e anni seguenti): nei trattati di fortificazione l'attacco alla Vauban (fig. 40) tenne il primo, anzi l'unico posto, per tutto il sec. XVIII e quasi tutto il XIX. Contro questo sistema di attacco il difensore opponeva il fuoco delle artiglierie e della fucileria, tentava sortite, praticava contromine per distruggere gl'impianti avversarî sopra lo spalto. E l'attaccante sventava i lavori della difesa con altri lavori di mina; e questi e quelli costituivano la guerra sotterranea che accompagnava quasi sempre l'attacco alla zappa. L'assedio di Torino nel 1706 per parte dei Francesi e la difesa eroica dei Piemontesi costituirono uno dei più interessanti episodî della guerra d'assedio: si vede impegnata una grande fortezza sorta lentamente e regolarmente coi procedimenti sopra esposti e che furono i prototipi del fronte bastionato e dei suoi derivati.

Epoca moderna (fino alla guerra mondiale). - Nella seconda metà del Settecento l'ordinamento bastionato, caposaldo della fortificazione del periodo precedente, fu fatto oggetto di serie critiche. Si osservò che nessun proiettile caduto sui bastioni restava senza effetto; che i fianchi erano facilmente infilabili da lontano; che era necessario l'impiego sempre maggiore di opere addizionali per battere i settori indifesi, che si coprivano dannosamente fra loro ed esigevano il frazionamento dell'azione difensiva. M.-R. Montalembert nella sua opera sulla Fortification perpendiculaire (1776-1796) affrontò in modo razionale la risoluzione del problema e propose tracciati di fortificazioni, fra i quali un tracciato tanagliato e il sistema poligonale che porta il suo nome e che è un ritorno al fronte delle antiche fortezze, con lati di poligono in numero conveniente per chiudere il luogo da difendere. Ogni fronte, e nella parte di mezzo, ha nel sistema del Montalembert una grande opera staccata (specie di caponiera) destinata al fiancheggiamento del fosso, difesa all'esterno da un rivellino, col suo fosso; davanti ai fossi del fronte e del rivellino vi è una controguardia generale, poi un altro fosso continuo, indi la strada coperta con amplissime piazze d'armi rientranti occupate da ridotti a fosso; i fossi sono tutti acquei (fig. 41). Queste idee non furono però accolte da tutti gl'ingegneri militari e si continuò per alcun tempo (fine del sec. XVIII e principio del XIX) a modificare i tipi primitivi esposti, moltiplicando le opere addizionali e avanzandole maggiormente. Nonostante però queste titubanze ad affrontare il nuovo, a sostituire cioè il bastionato con un sistema radicalmente diverso e più corrispondente alle esigenze della nuova tecnica, questa finì con l'imporsi. A poco a poco si giunse a semplificare molto il recinto delle piazze fino a ridurlo, per piazze di nuova costituzione, a un semplice recinto terrapienato con fosso; si portò la difesa all'esterno in opere staccate collegate tatticamente fra loro, le quali potevano battere l'avversario da lontano e presentavano piccolo bersaglio. Di solito queste opere erano forti o fortini di carattere permanente, ma talvolta erano di sola terra e legnami, oppure erano batterie o anche torri. Organizzazioni di questo genere furono dette, e si dicono tuttora, campi trincerati (v. campo: Campo trincerato, VIII, p. 612 segg.).

Le opere staccate (forti) dei campi trincerati (fig. 42) per quasi tutto l'Ottocento furono ispirate al principio di presentare azione frontale potente, battere il terreno interposto fra esso, essere chiuse alla gola; ed ebbero tutte fosso e spalto. L'ordinamento interno dei forti fu pressoché comune a tutti i tipi: o a due linee di fuoco, una di fanteria e una di artiglieria; o a una linea unica mista. Il fronte e i fianchi erano divisi in tratti per mezzo di traverse entro le quali, in appositi locali, si tenevano le munizioni o si rifugiavano gli uomini. Tra le traverse vi erano le artiglierie, semplici o accoppiate; dove non stavano artiglierie si stendevano i fucilieri. Sotto al ramparo, erano ricoverati i dormitorî per il presidio, i magazzini e simili, con accesso sul rovescio del ramparo stesso. Fa eccezione all'ordinamento a forti staccati la piazza di Linz (1830) che ha una cintura di torri in numero di 32, proposte dal arciduca Massimiliano e perciò dette torri Massimiliane. Alcune torri simili furono dagli Austriaci poste anche al campo trincerato di Verona (1833-1866).

Negli ordinamenti ora contemplati il fiancheggiamento dei fossi non era più fatto, come nel fronte bastionato, per ripiegamento del fronte stesso, ma per mezzo di un organo speciale detto caponiera, derivazione dell'antico capannato proposto da Francesco Martini da Siena sul finire del 1400. La caponiera moderna (fig. 43) era una costruzione di muratura e terra, elevata nel fosso dell'opera nel mezzo del fronte principale, e agiva con fuochi da ambe le facce e anche dalla testa; poteva essere armata con fucileria, con mitragliere e con piccole artiglierie. Quando la fronte dell'opera era a saliente la caponiera era doppia (fig. 44), e quando questo organo di fiancheggiamento era posto alle estremità del fronte per battere i fossi dei fianchi dell'opera, aveva azione da una sola parte e si diceva mezza caponiera (fig. 45). Poiché le caponiere sulla fronte delle opere potevano essere colpite da lontano, con tiri d'infilata nel fosso, furono sostituite frequentemente da tofani di controscarpa (fig. 50), specie di casematte per fucili o per mitragliatrici o piccole artiglierie e che erano ricavate nelle controscarpe dei fossi. Quando l'angolo d'incontro di due tratti di fosso era eguale o di poco diverso da 9°, le facce del cofano dove erano aperte le feritoie o le cannoniere seguivano la direzione della controscarpa; ma quando l'angolo era molto superiore (ottuso) o molto inferiore ai 90° (acuto) occorreva ripiegare la controscarpa normalmente all'asse del fosso. Il cofano di controscarpa era sempre in comunicazione con l'opera per mezzo di una galleria passante sotto al fosso. Davanti alle caponiere e ai cofani si scavava un fossetto (detto fosso diamante) più profondo del fosso principale, in modo che l'attaccante che fosse sceso nel fosso (anche per sorpresa) non potesse facilmente imboccare o chiudere le feritoie o le cannoniere. Infine il tamburo difensivo era una costruzione simile alla caponiera, posta alla gola delle opere staccate nelle piazze moderne e presso all'ingresso, e per essere quivi riparata dal tiro avversario, essendo coperta dalla massa dell'opera, poteva avere un ordinamento più complesso. È sempre, come la caponiera, ordinato per fanteria e qualche volta per artiglierie leggiere, ed è, di solito, a due piani; al piano inferiore le armi battono o fiancheggiano il fosso, al piano superiore difendono l'accesso all'opera e battono di rovescio il terreno circostante.

Il sistema di attacco delle piazzeforti non si discostò molto, per tutta la prima metà del sec. XIX e anche in seguito, dal sistema seguito nel periodo precedente. L'attacco era però iniziato più da lontano e si ricorse frequentemente a una quarta parallela. Occorre ancora accennare che, giunti i camminamenti, o le linee a zig-zag, in vicinanza alla piazza, fu necessario cambiare andamento alle trincee, giacché i ripiegamenti divenivano troppo frequenti per sottrarre i "rami d'avanzata" dai tiri d'infilata della piazza (o delle opere avanzate o staccate) sempre più precisi. Si adottò l'andamento frontale della zappa diretto verso la piazza stessa, ma coprendo i lavoratori della testa di zappa con un grosso gabbione, imbottito quasi sempre di fascine (gabbione fascinato; fig. 46). Frequentemente però s'interrompeva l'andamento verso l'opera che si attaccava e si camminava parallelamente alla fronte costituendo traverse di defilamento. La testa di zappa era aperta da una squadra di 8 uomini, divisi in due mezze squadre susseguentisi: la prima mezza squadra, comandata da un ufficiale, lavorava in testa ed era ricambiata di quando in quando dalla mezza squadra di riserva, comandata da un sottufficiale. I due primi uomini della squadra di lavoro erano difesi da corazza e da celata; aperta la testa di zappa e fatta la gabbionata dalla parte della piazza la trincea veniva allargata da squadre successive di zappatori. Se si procedeva verso la piazza e i tiri avversarî potevano venire dalle due parti, si faceva testa di zappa doppia con due gabbioni fascinati e si costruivano le gabbionate a destra e a sinistra dell'avanzata. Con questi procedimenti fu assediata dai Piemontesi Peschiera nel 1848, e gli Austriaci furono costretti alla capitolazione.

Nella seconda metà del sec. XIX tutta una serie di perfezionamenti nella tecnica degli esplosivi e delle armi da fuoco ebbe profonde ripercussioni anche negli ordinamenti difensivi. La rigatura delle armi da fuoco diede alle armi una portata maggiore e quindi un maggior campo e potenza d'azione; l'impiego su larga scala dei tiri curvi (con obici e mortai) e l'impiego di proiettili dotati di spolette speciali per ritardo di scoppio, diminuirono l'azione protettiva dei parapetti frontali nell'interno delle opere; l'impiego di proiettili carichi di esplosivi ad alta potenza inutilizzò o quasi alcuni provvedimenti difensivi, già molto efficaci (muri staccati di scarpa o muri alla Carnot, caponiere o mezze caponiere). Le modifiche più radicali che dovettero, dopo molte incertezze, ripieghi e tentativi, essere adottate per fronteggiare la nuova situazione furono sostanzialmente due: l'allontanamento sempre maggiore delle opere staccate dal nucleo abitato e il rafforzamento delle opere stesse mediante l'impiego di calcestruzzo e ferro. Con il primo espediente l'attaccante era tenuto più lontano dal nucleo abitato e gli era impedita una azione violenta di bombardamento con conseguente danneggiamento o distruzione parziale dell'abitato, e forzata cessione della piazza. Naturalmente questo allontanamento delle opere staccate aveva l'inconveniente di accrescere il loro numero, e perciò d'aumentare la spesa di costruzione e - quello che è peggio - di rendere debole tutta la linea stessa e di richiedere numerosissime truppe per fare convenienti azioni difensive. Ciò suggerì ad alcuni autori di riunire le opere staccate in piccoli gruppi, intervallati fra loro da larghi spazi di manovra. L'attaccante era ostacolato, nel passare fra gruppo e gruppo di opere, dall'azione delle opere dei gruppi laterali e da quella delle guarnigioni dei gruppi stessi. Questo ordinamento si disse a regioni fortificate. Il rafforzamento delle singole opere, mediante calcestruzzo e ferro, aveva riguardo soprattutto alla protezione delle bocche da fuoco. Di qui l'impiego nelle opere di casematte corazzate, di torri girevoli, di affusti corazzati, di torrette a scomparsa e anche l'impiego di artiglierie mobili su affusti corazzati fra opera e opera o fra gruppo e gruppo.

Esporre anche sommariamente come fosse la fortificazione al principio del nostro secolo è arduo compito dato che tutti gli stati d'Europa avevano sviluppato opere di difesa importantissime, e talvolta imponenti, seguendo scuole o criterî diversi da stato a stato. Basterebbe citare i tipi Brialmont per il Belgio; Mougin, Galopin, Saint-Chamond, ecc., per la Francia; Schumann, Gruson, Moncrieff per la Germania; Welitschko, Leobersdorf, Voourduin, Laurent, Scool, Leithner, Crainicianu, Rocchi, Maggiorotti, ecc., per altri paesi. I profili delle opere riuscirono ordinariamente di grosse murature fatte con calcestruzzo e masse di terra di copertura (fig. 47), ma sui parapetti si mantennero solamente, o si portarono a momento opportuno, artiglierie leggiere, o vi si fecero azioni di fucileria e le artiglierie pesanti furono quasi per ogni dove e per ogni scuola poste entro casematte di ferro o di ghisa, o entro torri di ferro permanenti o a scomparsa (fig. 48). Anche i particolari costitutivi delle opere furono profondamente trasformati e modificati o nelle forme o nei materiali al fine di resistere ai nuovi mezzi di offesa. Le caponiere si fecero di calcestruzzo o di calcestruzzo e ferro, o completamente di ferro. Ne furono fatte anche scorrevoli in modo da essere tenute a riparo nell'interno dell'opera durante l'azione avversaria lontana, ed essere spinte fuori nel fosso quando l'avversario tentava d'attraversarlo per dare l'assedio all'opera. I cofani (fig. 50) furono fatti o di calcestruzzo o di ferro o con questi materiali combinati. L'avvicinamento al fosso fu ostacolato il più possibile, disponendo p. es. abbattute sul pendio dello spalto o sulla scarpa interna del fosso (fig. 51), o scavando per larghe zone buche di lupo n disponendo reti di filo di ferro; difese accessorie tutte queste che potevano essere preparate o improvvisate nell'imminenza di un attacco. Però alcune di tali difese ebbero carattere permanente; così lo Schumann pose, nelle opere da lui fatte costruire in Germania, reti di filo di ferro nei fossi; altri fortificatori, come il Welitschko, fecero il fosso-spalto con reti lungo la scarpata interna e il Degnise propose per tali reti permanenti dei sostegni speciali; e ancora in Francia, Belgio e Danimarca furono poste sulla scarpa del fosso cancellate permanenti.

Per quanto riguarda il modo di attaccare le piazze moderne si è ricorso a successivi mezzi secondo le armi che si avevano a disposizione. Data l'estensione delle piazze, si è tentato per prima di far cadere le opere esterne per bombardamento da lontano; ma questo mezzo, per esempio, non riuscì nella guerra fra Giapponesi e Russi del 1904-5, e al celebre assedio di Port Arthur i Giapponesi tentarono più volte l'attacco violento, ma dovettero rinunziarvi e ricorrere al procedimento per camminamenti e trincee.

Il tipo teorico detto alla Vauban, che fu in uso, come sappiamo, per quasi tutto il secolo passato, venne ora modificato nel senso che non furono più scavate parallele così come allora si comprendeva la parola, ma giunto l'attacco sul terreno scoperto, battuto efficacemente anche dalla fucileria e dalle armi a tiro rapido (1000 a 1200 metri dalla linea delle opere), l'attaccante doveva crearsi una vasta piazza d'armi o appostamenti per fanterie in corrispondenza alle opere che voleva far cadere e farsi un punto di partenza per ulteriori lavori d'approccio da eseguirsi sotto la sua protezione (fig. 52). Questi appostamenti potevano essere costruiti di sorpresa col favore della notte, per essere rinforzati nelle notti successive; e da essi s'iniziavano i lavori per la costruzione delle batterie, degli appostamenti di seconda posizione, ecc., come dimostra la figura citata.

I lavori di zappa, e in modo più particolare quelli vicini alle opere avversarie, non si facevano, né si potevano fare con copertura di gabbioni, ma si scavavano più profondamente e se ne curava la difesa frontale e laterale per mezzo della terra estratta dal fossato (zappa a riparo anteriore di terra). Raramente si poteva fare assegnamento sulla discesa nel fosso, assalto della breccia e simili operazioni, ma si doveva ricorrere sempre al bombardamento finale.

Questo dunque, per le piazze a opere staccate (campi trincerati) moderne; però alcuni autori non ritennero convenienti gli ordinamenti corazzati, costosissimi e che immobilizzano le bocche da fuoco senza sottrarle a danni che possono renderle inutilizzabili; e proposero ordinamenti più speditivi, consistenti in linee di opere o in gruppi di opere ordinate a cielo scoperto, con potenti artiglierie aventi lunga azione in modo da tenere lontano in un primo tempo l'attaccante; e con l'intesa che le artiglierie delle opere venissero portate in batterie intermedie fra opera e opera o fra gruppo e gruppo quando l'avversario, affermatosi sul terreno lontano, minacciasse di portare azione su terreno di mano in mano più vicino al nucleo. E non mancò qualche autore che propugnò di rendere mobili le artiglierie protette da corazzamenti, come l'affusto corazzato carreggiato del tipo Schumann, la batteria corazzata Mongin scorrevole sopra binario di ferrovia e simili ordinamenti; e per essi il modo di attacco avrebbe dovuto subire convenienti modifiche.

La fortificazione odierna. - All'inizio della guerra mondiale la fortificazione permanente, a seconda dell'importanza e delle caratteristiche geografiche e topografiche, era costituita da tagliate, ridotte, forti, piazzeforti.

Qualche regione era organizzata a campo trincerato, altre a frontiere bastionate, allo scopo di costituire perni di manovra, aumentare la capacità offensiva della truppa, rafforzare le difese naturali, impedire o ritardare l'avanzata dell'avversario. Molte opere erano di vecchio tipo, altre trasformate; qualcuna era di tipo moderno e ritenuta alla prova dei grossi calibri. Generalmente era palese la loro esatta ubicazione e poco curato il mascheramento. Calcestruzzo, cemento armato, acciai temprati e murature erano variamente impiegati, con sensibili differenze nel tracciato, nella forma e dimensione delle cupole, nello spessore delle corazze, nella costituzione delle avancorazze, nella massa del calcestruzzo, ecc. Qualche opera aveva carattere puramente difensivo, altre invece erano state studiate e attuate con funzione di appoggio offensivo, come nel complesso quelle costruite nel Trentino. Varî erano il tipo e la funzione dell'armamento.

I procedimenti guerreschi e la potenza dei mezzi offensivi usati sino dal 1914 e via via accresciuti con un più razionale e intenso sfruttamento delle industrie, influirono sull'efficacia della fortificazione in genere e in specie di quella avente carattere permanente. Vi furono forti che cedettero innanzi tempo, e sebbene la scarsa resistenza non sia da imputarsi esclusivamente alla natura delle opere fortificatorie, sorsero dubbî circa l'efficienza e l'importanza della fortificazione permanente, e dopo i primi successi tedeschi più di un forte venne disarmato sistemandone le artiglierie in posizioni scoperte o dietro ripari in terra. Non si può tuttavia negare che la fortificazione apprestata nel periodo prebellico, quantunque non bene rispondente alla specie e potenzialità dei moderni mezzi di offesa, in molte circostanze risultò di grande efficacia specialmente coi miglioramenti e le trasformazioni che le circostanze di tempo e luogo resero possibili. I Tedeschi impiegarono quasi un mese per avere completamente ragione delle opere di Liegi e Namur che furono tra le prime a subire la grande prova. Le postazioni in cupola a Verdun e sugli Altipiani diedero ottimi risultati. Ma non soltanto durante la guerra furono elevate critiche alla fortificazione permanente; anche dopo cessate le ostilità, specialmente gl'Inglesi e gli Americani negarono importanza alla fortificazione permanente, perché ritennero le opere troppo visibili e troppo facilmente vulnerabili, e v'è tuttora chi sostiene che essa deve cedere il posto alle istallazioni in terra, ai mascheramenti, a una più ricca e bene studiata rete stradale.

È indubitato che i progressi della chimica, lo sviluppo dell'aviazione, l'intensificarsi della trazione meccanica, l'aumento di potenza delle artiglierie, debbono essere tenuti presenti nell'organizzazione difensiva, sia essa campale o permanente, e se è logico prevedere che la prima, data la grande importanza acquistata nella guerra passata, sarà nuovamente imposta durante un eventuale conflitto armato, si deve pure ritenere necessaria anche la seconda. Questa opportunamente modificata nei mezzi, nelle forme e nelle dimensioni, dovrà essere predisposta sin dal tempo di pace per quanto concerne gli organi principali delle sistemazioni difensive, come ricoveri alla prova, postazioni di talune artiglierie, speciali osservatorî, fiancheggiamenti, ecc.; e studiata preventivamente per la sua integrazione con lavori da eseguirsi solo al momento del bisogno.

La fortificazione campale, sebbene nelle guerre russo-turca e russo-giapponese avesse dimostrato la sua efficacia, stante il carattere eminentemente offensivo impresso alla tattica moderna, esordì nel 1914 con lavori di terra di lieve entità anche perché le truppe disponevano di scarsi mezzi ed era stato trascurato l'addestramento nei lavori del campo di battaglia. I primi ripari speditivi avevano il solo scopo di offrire temporanea protezione dal fuoco delle armi portatili e in parte da quello delle artiglierie di piccolo calibro le quali, per l'esiguo munizionamento, generalmente non potevano eseguire un fuoco molto intenso. Anche là dove la situazione imponeva delle soste, nell'esecuzione dei lavori di rafforzamento predominava il concetto di ridare al più presto alle operazioni il carattere della guerra di movimento. Così nel 1914 la sistemazione difensiva delle posizioni risultò normalmente costituita da un'unica linea di centri di resistenza, il cui tracciato consentiva l'esecuzione del fuoco convergente, incrociato e fiancheggiante. Tali centri erano poi collegati da trincee di limitata profondità e le difese accessorie erano formate da reticolati di piccola grossezza. Esposta per tal modo la difesa a facili colpi di mano, le truppe dovevano essere proiettate sulla prima linea e questo schieramento lineare e denso, attuato allo scopo di garantire il possesso delle posizioni, era causa di numerose perdite. Le artiglierie e le mitragliatrici paralizzarono ben presto la guerra di movimento obbligando le truppe a cercare protezione in trinceramenti più resistenti, e nell'inverno del 1914-15 le trincee divennero pertanto più profonde e gli ostacoli passivi aumentarono di grossezza. Dietro la linea di combattimento sorsero i ricoveri per i rincalzi. Dopo i micidiali combattimenti della primavera del 1915 la fortificazione s'impose decisamente presso tutti gli eserciti belligeranti e verso la fine dell'anno la sistemazione difensiva lineare era sostituita da quella a zone su più ordini di trinceramenti, con profondi reticolati e con altre difese accessorie attive o passive, opportunamente protette dal fuoco fiancheggiante delle artiglierie e delle mitragliatrici.

Questo assetto difensivo era per lo più così costituito: una linea avanzata di osservazione; a 100-200 m. da essa una linea di massima resistenza da difendersi a oltranza e perciò ancora fortemente presidiata; quindi una terza linea più arretrata di circa 600-800 m. per i rincalzi, e per ultimo, a 800-1000 m., quella delle riserve. La zona difensiva comprendeva nel suo sviluppo capisaldi naturali o artificiali con azione di fuoco nelle varie direzioni. Il sistema era completato da camminamenti per meglio assicurare i rifornimenti, sottraendo gli uomini quanto più fosse possibile alla vista e alle offese dell'avversario. I Tedeschi iniziarono altresì l'organizzazione difensiva di tali camminamenti che aumentarono di numero con orientamento trasversale e diagonale, in modo da costituire dietro le linee principali di difesa, dei compartimenti stagni per offendere il fianco del nemico che fosse riuscito a penetrare nella posizione, ostacolarne i progressi e agevolare i contrattacchi attraverso sbocchi offensivi opportunamente predisposti.

L'osservazione aerea intensificata e i progressi ottenuti nel rilievo fotografico, dando la possibilità di scoprire le posizioni, desumerne i particolari e determinare con esattezza i punti più importanti da assegnarsi come obiettivi dell'artiglieria, riaffermarono la necessità di ricorrere al mascheramento (frascate, stuoie, reti) e al mimetismo. Il sistema difensivo tedesco aveva inoltre dinnanzi ai reticolati di prima linea dei punti di appoggio per l'assalto, i quali, occorrendo, venivano collegati mediante trincee così da avere una nuova linea difensiva più vicina a quella avversaria. Le trincee avevano qua e là un leggiero blindamento capace di proteggere dalle pallette degli shrapnels e dalle schegge delle granate dei piccoli calibri, ma gl'intensi bombardamenti, resi possibili dall'aumentato numero dei medî e grossi calibri e dall'assicurato rifornimento delle munizioni, spesso colpivano tali blindamenti causando un maggior danno ai difensori e ostruendo gli scavi. Pertanto nel 1916 si cominciò a dare la preferenza ai trinceramenti interrati o rasi, profondi circa m. 2,50 senza feritoia, con pendii piuttosto dolci, riparando le truppe dalle intemperie con leggiere coperture mobili, e dal bombardamento, con ricoveri in caverna, preferibilmente numerosi ma piccoli e con accessi ben dissimulati.

Sempre nell'intento di ridurre le perdite, talvolta impressionanti data la dovizia dei mezzi di offesa accresciuti non solo di numero ma anche di specie (artiglierie, mitragliatrici, bombarde, lanciafiamme, lanciagas), si diminuì l'addensamento dei difesori nelle prime linee separando altresì dalle trincee gli organi principali della difesa, come mitragliatrici e osservatorî, e assicurando lo sbarramento mediante speciali segnalazioni e un'adatta distribuzione delle bocche da fuoco e delle armi automatiche. Le trincee ebbero inoltre la protezione di profondi ordini di reticolati, e le mitragliatrici, divenute armi portatili della massima importanza così nell'offensiva quanto nella difesa, vennero scaglionate in profondità, a scacchiera, dietro le prime linee, in ricoveri di calcestruzzo o scavati nella roccia in prossimità delle postazioni a cielo coperto. Ridotte difensive con carattere autonomo furono costruite in speciali località a tergo delle zone, per arrestare il successo dell'attaccante e agevolare la riconquista del terreno perduto. Ad alcuni chilometri dalla prima posizione venne apprestata a difesa una seconda zona con le stesse direttive seguite per la prima e quindi una terza, se non completa, almeno abbozzata.

Nel 1917, con l'impiego di grandi masse d'artiglieria, di numerose mitragliatrici e col crescente uso dei gas tossici e dei carri d'assalto, i ricoveri di prima linea vennero ritenuti dannosi, si resero sempre più necessarî la rarefazione degli uomini e un più accentuato scaglionamento in profondità dei mezzi difensivi. Il principio della difesa ad oltranza della prima linea non fu più ritenuto dogma infrangibile e prevalse il concetto che, pure nella difensiva, la fanteria doveva ricorrere al movimento. Conseguentemente la fortificazione campale andò modificandosi in base ai seguenti criterî: organizzazione di posti di vedetta e di ascolto sparsi sulla fronte e collegati con la retrostante linea di resistenza priva di ricoveri. Sostenuta dai Tedeschi l'idea che la prima linea doveva essere possibilmente costituita con l'occupazione degl'imbuti di granata perché meno individuabile - dietro a questa, a circa 30-40 m., una trincea con piccoli ricoveri, quindi una parallela per i rincalzi a 150-200 m. con ricoveri alla prova, preferibilmente in calcestruzzo a due uscite, e posti di comando; più indietro a 200-300 m. un'altra parallela con ridotti per le riserve. Le trincee piuttosto larghe, senza rilievi, con tracciato a greca o a dente, rinforzate da postazioni ben dissimulate per mitragliatrici; i camminamenti attivi, numerosi, per collegare le diverse linee e servire per la compartimentazione delle zone. Largo impiego di difese accessorie robuste, a larghe maglie, profonde, disposte in più ordini e con andamento non parallelo alle trincee per facilitare il fiancheggiamento. Punti di appoggio e capisaldi dovevano essere dissimulati nell'inviluppo dei trinceramenti. Nelle zone di montagna la sistemazione difensiva si doveva imperniare ai capisaldi da costituirsi nelle località elevate con cortine da ricavarsi lungo i declivî (figg. 53 e 54).

Nel 1918 si riaffermò dappertutto il principio della difesa elastica già propugnato dal generale Ludendorff. In base a tale principio la fortificazione campale nell'ultimo anno di guerra assunse prevalentemente la seguente caratteristica: grande estensione in profondità della fronte difensiva, costituita da più sistemi scaglionati nello spazio in maniera che due di essi non potessero essere presi contemporaneamente sotto il fuoco; impiego di opere leggiere per lasciare incerta l'artiglieria circa gli obiettivi da battere e limitarne così l'efficacia; divisione dei sistemi difensivi in due fasce o zone, di cui la prima (Volferzone dei tedeschi) organizzata in modo da funzionare quale zona di copertura per svelare l'attacco della fanteria, ostacolarne le ricognizioni, neutralizzare i colpi di mano e le piccole azioni di sorpresa, rallentare l'attaccante e logorarlo prima che giungesse sulla posizione principale; la seconda (Kerrzone) per infrangere gli attacchi a fondo, contenerli in limiti ristretti e respingerli. Questa fascia, organizzata in modo che le truppe destinate a presidiare le posizioni principali fossero il più possibile risparmiate dal bombardamento, era di solito ripartita in tre strisce dette rispettivamente: di combattimento, dei rincalzi, delle riserve.

Da questo complessivo sguardo alle vicende della guerra mondiale si deduce: 1. che la fortificazione permanente in alcune località venne completamente meno al suo compito, o perché non rispondente nei suoi elementi costitutivi alla potenzialità dei mezzi impiegati dall'attaccante, o per insufficiente comprensione dei comandi, o per deficienza di armamento, di materiali, di uomini per la difesa attiva; ma in molti altri casi, anche la dove le opere non avevano carattere del tutto moderno, la fortificazione permanente raggiunse gli scopi precipui cui tende l'assetto difensivo del tempo di pace. 2. Che la fortificazione speditiva del campo di battaglia esordì con pochi mezzi, risentendo dell'incompleto addestramento delle truppe nei lavori fortificatorî, ma ben presto essa fu imposta dalle ingenti perdite causate dalle armi e si sviluppò su tutti i fronti, sia in terreno pianeggiante sia nelle zone collinose e montane. Essa andò evolvendosi continuamente nel profilo e nel tracciato estendendosi molto in profondità in seguito all'aumento della potenza e del numero dei mezzi di offesa, con tendenza a ridurre i rilievi e ad eliminare tutto ciò che poteva apparire all'indagine del nemico resa più proficua dall'osservazione aerea e dai progressi della fotografia. Orientamento dei lavori in modo da avere la difesa elastica, attiva. In sintesi quindi, durante la guerra aumentò l'importanza della fortificazione campale e diminuì, almeno apparentemente, quella della fortificazione permanente. Nel periodo postbellico, mentre vi furono non pochi tecnici che si pronunciarono contro la fortificazione di carattere permanente e specialmente contro i forti unitarî e monolitici, tutti o quasi sostennero la necessità di addestrare le truppe fino dal tempo di pace nei lavori di fortificazione speditiva dotandole degli strumenti necessarî, pur dando ancora all'istruzione tattica, per ragioni intuitive, un'impronta prevalentemente offensiva. La tendenza odierna è favorevole a entrambe le fortificazioni: a quella campale perché sarà imposta dalle vicende del combattimento; a quella permanente per predisporre in tempo la difesa di località importanti e per avere appoggio attivo nella guerra di movimento. Essa dovrà anche in avvenire dare la possibilità di mobilitare e radunare le grandi unità servendo di sostegno alle truppe di copertura e a quelle destinate a portare la lotta in territorio nemico. Nella costruzione delle opere e nell'attuazione dei lavori i tecnici sono del parere che si dovrà tener conto non solo del carattere delle regioni da fortificare, degli scopi da conseguire e dei potenti mezzi di offesa, ma altresì dell'opportunità di ridurre al minimo il rilievo e le dimensioni delle opere, di disseminare largamente i capisaldi, pur conferendo ad essi la possibilità di reciproco appoggio, di occultare i lavori alla vista dall'alto, di studiare le installazioni delle artiglierie in corazzature, in caverne e allo scoperto, e organizzare la sistemazione difensiva in modo da poterla completare a momento opportuno con rafforzamenti di carattere campale, tenendo ben presente che le opere dovranno favorire la reazione attiva delle truppe che le presidieranno.

Le artiglierie nelle fortificazioni.

Delle artiglierie che s'impiegano nelle fortificazioni presentano caratteristiche particolari soltanto quelle sistemate in postazione fissa nelle opere permanenti, perché in tutti gli altri casi s'impiegano artiglierie campali, leggiere o pesanti, oppure artiglierie ferroviarie. La postazione fissa, escludendo la mobilità, non impone alcuna limitazione al peso, e consente inoltre di vincolare il materiale al piano d'appoggio o alle opere murarie o metalliche di protezione, dando così la possibilità di sviluppare,maggiormente gli elementi relativi alla protezione e alla celerità di tiro. 1, reticolati; 2, trincee; 3, camminalnenti; 4, sentieri; 5, piste In particolare, oltre a poter applicare al materiale efficaci mezzi di protezione diretta (scudi, coperture) che completano o almeno aumentano la protezione fornita dalle opere fortificatorie, si ha mezzo di sistemare il materiale nei riguardi del rinculo in modo da ridurre al minimo la perdita di tempo e il lavoro che ne consegue per i materiali rigidi, con vantaggio per la celerità di tiro, e in ogni caso, di ridurre al minimo lo spazio necessario per la manovra, con vantaggio per la protezione. Nei materiali ad affusto rigido si limita la lunghezza del rinculo, e si facilita o si rende automatico il ritorno in batteria dell'affusto, oppure si sopprime completamente il rinculo. Per i materiali a deformazione, la lunghezza del rinculo della bocca da íuoco è limitata al minimo da freni di grande resistenza, la cui applicazione è possibile, essendo la stabilità assicurata dai vincoli dell'affusto al piano d'appoggio. Si ha pure la possibilità di facilitare il movimento di rotazione del materiale attorno a un asse verticale, materializzato o no, mediante rulli o rotelle e sfere scorrevoli su rotaie circolari, in modo da agevolare e accelerare il puntamento in direzione per settori di tiro ampî o illimitati. Infine la postazione fissa permette, quando è conveniente, di applicare su larga scala, per la manovra dei varî meccanismi di caricamento, di direzione, di elevazione, ecc., motori elettrici o idraulici alimentati da energia generata da un impianto centrale dell'opera, raggiungendo così una celerità di tiro notevole anche per artiglierie di grosso calibro.

Queste caratteristiche si riferiscono essenzialmente all'affusto e agli elementi a esso annessi; per quanto riguarda le bocche da fuoco e le munizioni si può osservare che le artiglierie delle fortificazioni terrestri, essendo destinate ad agire, in linea normale, contro bersagli non corazzati, potranno essere limitate a cannoni, obici e mortai di piccolo e medio calibro, mentre quelle delle fortificazioni costiere saranno in prevalenza cannoni di grosso calibro di potenza superiore a quelli delle navi, per la lotta lontana, con l'aggiunta di obici di grosso calibro per battere eventuali angoli morti lungo le coste, e di cannoni di piccolo e medio calibro, per la difesa contro sbarchi, dei fronti a terra, ecc.

I tre tipi di sistemazione generale delle artiglierie nei riguardi della protezione, e cioè la sistemazione allo scoperto (in barbetta), la sistemazione in casamatta e la sistemazione in pozzo, presentano caratteristiche diverse, che influiscono sulla conformazione generale del materiale. Nel primo di tali tipi di sistemazione, l'elemento fortificatorio protettivo dato dal parapetto e dalle traverse che separano le piazzole in cui sono installati i pezzi, offre un campo di tiro orizzontale abbastanza ampio, ma scarsa protezione, che si cerca di aumentare con l'altezza del ginocchiello, e con la scomparsa.

Viceversa, nella sistemazione in casamatta, la protezione è grande, ma per essere veramente efficace, impone una cannoniera di minime dimensioni, il che porta a costruzioni speciali per ottenere la rotazione dell'intero pezzo, per il puntamento in direzione e in altezza, attorno a un punto situato nella cannoniera stessa o in sua vicinanza; inoltre i settori di tiro risultano necessariamente limitati, altrimenti la sottigliezza della parete frontale in vicinanza della cannoniera renderebbe irrisoria la protezione offerta dalla parete stessa. Per quest'ultimo motivo la casamatta è stata preferibilmente applicata là dove non era necessario un grande settore di tiro orizzontale come avviene per il fiancheggiamento, per la difesa di strette, ecc.

Con l'installazione in pozzo, che raccoglie il materiale in un pozzo rinforzato all'orlo di una robusta avancorazza di ghisa o di acciaio e chiuso superiormente da una cupola girevole da cui sporge soltanto la volata della bocca da fuoco, si può avere una buona protezione, unitamente a grandi settori di tiro. La sistemazione in pozzo apparsa verso il 1870 ha sostituito quasi completamente le altre sistemazioni nelle opere terrestri; nelle batterie costiere è ancora largamente usata la sistemazione allo scoperto. La sistemazione in casamatta interessa ancora, perché anche attualmente si dibatte la questione delle opere in caverna, che, per quanto riguarda l'installazione dell'artiglieria, sono perfettamente analoghe alla casamatta.

Sistemazioni allo scoperto. - Nell'evoluzione del materiale d'artiglieria i primi tipi d'affusto, che almeno in parte rispondono ai criterî su esposti, si riscontrano nel sistema Gribeauval (metà del sec. XVIII); l'affusto di legno, che porta incavalcata rigidamente la bocca da fuoco, è scorrevole su un sottaffusto con lisce inclinate in avanti e girevoli, per mezzo di rotelle su rotaie circolari, attorno a un perno avanzato, detto rocchio (v. affusto, I, p. 706, figg. 14-15). Questa sistemazione generale si mantenne anche nelle successive costruzioni metalliche, che restarono in servizio fino alla fine del sec. XIX nelle opere di muro e terra (fig. 55,1), nelle quali il sottaffusto è tenuto d'altezza considerevole allo scopo di permettere un parapetto molto alto senza che l'affusto propriamente detto presenti un angolo di coda molto forte, che favorirebbe l'impennamento allo sparo, e un peso eccessivo, che aumenterebbe il tormento; inoltre il rinculo dell'affusto sul sottaffusto è limitato da freni idraulici. Per le artiglierie a tiro curvo di grosso calibro (fig. 55,2), il profilo inferiore del sottaffusto è tenuto orizzontale e quasi aderente al piano d'appoggio e la sospensione è elastica, in modo da permettere al sottaffusto l'appoggio sul paiolo all'atto dello sparo per evitare l'inflessione delle lisce sotto l'azione della pressione dei gas nella bocca da fuoco che normalmente spara con grandi angoli di tiro.

Maggiore protezione nelle batterie allo scoperto si cercò di conseguire con gli affusti a scomparsa o a eclisse, coi quali la bocca da fuoco risulta per lo sparo al disopra del parapetto, e per effetto del rinculo si abbassa dietro di questo, e rimane in tale posizione per permettere la carica e qualche volta anche il puntamento coi serventi completamente al coperto. Fin dal principio del sec. XIX si ebbero affusti di tal genere (La Fère, fig. 55,3, Chasseloup, fig. 55,4; Redlichkeit, fig. 55,5), che trovano un riscontro nel tipo più recente a contrappeso del Moncrieff (fig. 55,6). Con l'introduzione dei ricuperatori idropneumatici compaiono gli affusti articolati (Tipi Moncrieff, fig. 55,7 e Biancardi fig. 55,8) a ruote, da cui derivano i modelli articolati e a piattaforma (fig. 55,9), di cui sono tuttora in servizio esemplari di medio e grosso calibro non recenti. Per questi ultimi tipi le piazzole erano circolari, avvicinandosi all'installazione in pozzo. Vennero pure impiegati per le batterie allo scoperto gli affusti a deformazione a lisce; di questo tipo è notevole l'affusto idropneumatico del Gruson (fig. 56,1), per bocche da fuoco a tiro curvo, in cui le lisce sono inclinate fortemente indietro, per produrre la scomparsa dietro un alto parapetto.

Gli affusti a deformazione a culla fecero scomparire tutte queste forme antiquate, e nelle costruzioni recenti si hanno affusti a culla e a piattaforma, per le artiglierie di medio e grosso calibro, o anche a piedistallo per artiglierie di piccolo e medio calibro. L'affusto a piattaforma nelle sue linee generali è costituito da una piattaforma metallica, con rotaia circolare fissa con chiavarde alla piazzola, e da una piattaforma girevole sulla prima, con l'interposizione di corone di sfere o ai rulli; sulla piattaforma girevole è fissato l'affusto a cassa, sul quale è incavalcata la culla, in genere di forma cilindrica e per corto rinculo, portante i freni e ricuperatori, a molla o idropneumatici, di grande resistenza, che frenano il rinculo della bocca da fuoco. A questo tipo appartengono le installazioni per bocche da fuoco a tiro curvo Armstrong, e quelle per i cannoni da 406 recentemente adottati dall'artiglieria da costa degli Stati Uniti. Anche gli affusti a piedistallo sono impiegati in batterie allo scoperto, specialmente per cannoni di piccolo e medio calibro da costa. Naturalmente tutti questi tipi di affusti possono essere provvisti di scudi di varia forma, estensione e spessore per la protezione diretta. Il rifornimento delle munizioni ai pezzi si fa a mano o mediante carrelli dalle riservette disposte nelle traverse, oppure con elevatori se i depositi munizioni sono situati sotto il ramparo.

Sistemazione in casamatta. - Dopo le prime rozze costruzioni di legno (v. affusto, I, pp. 704-706, fig. 6-15) si ebbero materiali ad affusto rigido e sottaffusto dello stesso tipo usato per le batterie, in barbetta, ma col sottaffusto più basso, e col perno di rotazione avanzato in corrispondenza della cannoniera; inoltre l'affusto era provvisto, nelle costruzioni metalliche, di uno speciale congegno di abboccamento che faceva abbassare automaticamente la volata della bocca da fuoco nel rinculo, per evitare che essa urtasse contro il cielo della cannoniera. Nelle casematte metalliche fisse del tipo Gruson si era ottenuta la cannoniera minima (fig. 56,3) facendo l'affusto, anziché con le orecchioniere, munito nell'interno dei fianchi di guide arcuate lungo le quali scorrevano talloni applicati alla culatta della bocca da fuoco, la quale quindi per il puntamento in elevazione veniva a ruotare attorno a un punto della cannoniera; in conseguenza del grande preponderante in culatta che derivava da questa disposizione, il congegno di punteria era molto robusto oppure munito di contrappeso, o a pompa idraulica. La cannoniera veniva soppressa totalmente con la installazione a cannone prigioniero o a sfera del Krupp in cui il rinculo è totalmente soppresso, ma la bocca da fuoco assai tormentata longitudinalmente.

Sistemazione in pozzo. - Per le artiglierie di piccolo e medio calibro, dopo i prini tentativi di applicare lo stesso tipo di affusto rigido con sottaffusto usato per le batterie allo scoperto, ma col perno centrale, anziché anteriore, si ebbero i cosiddetti affusti corazzati, in cui sul fondo del pozzo era sistemato una specie di piedestallo con una forchetta che portava la bocca da fuoco o con gli orecchioni, o con le guide come negli affusti a cannoniera minima. La copertura era appoggiata sui fianchi dell'affusto, e talvolta tutto l'insieme sistemato a scomparsa, con sistemi a contrappeso o a vite, per fare sporgere la cupola e il cannone solo al momento dell'azione. Il rinculo era soppresso e lo sforzo sopportato dalla cupola, che si appoggiava sull'avancorazza che guerniva l'orlo del pozzo. Si ebbero anche alcuni tipi nei quali i fianchi dell'affusto erano sospesi alla cupola, girevole sull'orlo del pozzo per mezzo di corone di rulli o di sfere (fig. 56,5). Attualmente però si hanno sempre affusti a deformazione e a piattaforma (fig. 56,6): questa appoggia sul fondo del pozzo, e la costruzione è tale che l'asse degli orecchioni della culla viene a trovarsi molto vicino all'orlo del pozzo; la copertura metallica, o cupola, di solito ha appoggio indipendente dall'affusto, su di un gradino, posto poco al disotto dell'orlo ed è collegata con l'affusto stesso mediante bracci elastici. Data la disposizione dell'asse degli orecchioni, la cannoniera risulta minima; in queste installazioni è più che mai necessario ridurre al minimo il diametro della cupola; quindi cortissimo deve essere il rinculo e piccola la lunghezza della bocca da fuoco dietro gli orecchioni; per quest'ultimo motivo si ha un grande preponderante di volata che viene equilibrato con molle o con contrappesi. La cupola, una volta di ghisa, è attualmente costituita da due o tre segmenti di corazza d'acciaio speciale, inchiavettati tra loro, e rivestiti internamente da un'unica spessa lamiera pure d'acciaio. L'accesso al pozzo si ha mediante una scaletta ricavata nella massa cementizia dell'opera, e che scende dal fondo del pozzo al corridoio trasversale prospiciente al cortile interno dell'opera; per tale scaletta si effettua il rifornimento delle munizioni ai pezzi, a mano o anche mediante norie o macchine del genere.

Per i cannoni di grosso calibro la conformazione generale dell'installazione differisce da quella ora esaminata, perché la piattaforma a tamburo girevole è sistemata su di un grande anello di fondazione fisso a un gradino del pozzo, e ha la faccia superiore a livello dell'orlo del pozzo stesso (figg. 57 e 58); la piattaforma poi costituisce affusto per sé stessa, e porta le lisce su cui è scorrevole l'affustino, oppure i perni per l'incavalcamento della culla in cui scorre il cannone. Il rinculo è sempre molto corto. La copertura, un tempo costituita da una torretta di legname e ferro, poi da cupole composte di spicchi di ghisa indurita, e attualmente da una casamatta in forma di un basso zoccolo di cavallo, con pareti d'acciaio speciale di vario spessore secondo la posizione, è applicata alla piattaforma e con questa solidale nel movimento di rotazione; queste ultime installazioni vengono chiamate impianti a casamatta girevole. Sotto la piattaforma è sistemato un locale, detto camera di manovra, in cui sono contenuti macchinarî che non potrebbero esser disposti al piano dei pezzi; tale locale può esser costituito da un piano fisso alle pareti del pozzo, oppure da una specie di tamburo sospeso sotto la piattaforma e con questa solidale. Nel fondo del pozzo sboccano i corridoi provenienti dai depositi delle munizioni, le quali vengono fatte affluire mediante corona di rulli per la rotazione della cupola carrelli su binarî a terra o rotaie sospese, e sollevate mediante elevatori fino alla camera di manovra o al piano dei pezzi, dove vengono fatte passare in un altro elevatore o gabbia di caricamento, che le porta in posizione conveniente per essere introdotte nella culatta del cannone, mediante i calcatoi a cannocchiale o a catena. Tale passaggio è fatto a scopo di sicurezza, per evitare che eventuali accensioni accidentali di cariche ai pezzi comunichino l'incendio ai depositi di munizioni, attraverso la comunicazione diretta che dovrebbe esser sempre aperta se il sollevamento avvenisse senza il travaso. La manovra degl'impianti è sempre elettrica o idraulica, ma è anche sempre prevista la manovra a mano in caso di guasto. I particolari circa la manovra meccanica sono analoghi a quelli per gl'impianti di artiglierie di grosso calibro a bordo delle navi (v. artiglieria: Le artiglierie navali, IV, p. 724 segg.).

Puntamento e tiro. - Per le artiglierie di qualsiasi genere impiegate nelle fortificazioni, per le quali è prevista, anche se non permanentemente occupata, la posizione topografica al momento dell'azione, si presenta la possibilità di un'accurata e profonda preparazione preventiva di mezzi e di documenti atti ad accelerare l'individuazione e la segnalazione dei bersagli, la ricerca e la trasmissione dei dati di tiro e il puntamento stesso. È quindi sempre predisposta una vasta serie di osservatorî in posizione sicura dominante, con mezzi di comunicazione rapidi, sicuri e multipli, coi posti di comando e con le batterie; capisaldi di puntamento bene individuati e riportati esattamente su carte topografiche quadrettate permettono di stabilire per intersezione (o anche per osservazione da un solo osservatorio in terreno montuoso), la posizione di qualsiasi bersaglio; carte speciali a disposizione dei comandi dànno modo di determinare con la massima prontezza quali batterie possono concorrere a batterlo; da carte speciali di batteria si può rilevare immediatamente l'angolo di direzione rispetto a un dato caposaldo, nonché la carica e altri dati di puntamento; la trasmissione dei dati ai pezzi può essere organizzata mediante segnalazioni meccaniche, con telefono o anche mediante la punteria asservita; infine rotaie circolari graduate, disposte attorno a ogni pezzo, permettono, con acconci sistemi correttori, di dare la direzione al pezzo, con la semplice collimazione di un indice portato dall'affusto con la graduazione voluta.

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Preistoria ed età antica. Per le fortificazioni preistoriche v. J. Dechelette, Manuel d'archéologie préhistorique, celtique et gallo-romaine, I-III, Parigi 1908-1913, passim; F. Behn, art. Festung, in M. Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, III, Berlino 1925, p. 233. Sulle fortificazioni nella Penisola Iberica, v.: M. Cardozo, Citania e sabroso, Guimarães 1930; Castillo López, Los castros gallegos, Madrid 1908; A. Engel e P. Paris, Une fortesse ibérique à Osuna, Madrid 1906; A. Schulten, Numantia, II, Monaco 1931. Per le isole Baleari e la Sardegna, v.: J. Serra Rafols, Les îles Baléares, Barcellona 1929; A. Taramelli, La ricerca archeologica in Sardegna, in Il convegno archeologico in Sardegna, Reggio Emilia 1929. In generale, per i popoli mediterranei, v. anche castelliere; mura; nuraghi; terramare. Per la fortificazione antica in generale v.: G. De La Nöe, Principes de la fortification antique, Parigi 1888; A. von Cohausen, Die Befestigungsweisen der Vorzeit, Wiesbaden 1898; C. Schuchhart, Die Burg in wandelnder Weltgeschichte, Potsdam 1931. - In particolare, per l'Egitto: G. Roeder, in Ebert, op. cit., p. 256; A. Erman e H. Ranke, Aegypten, Tubinga 1922, p. 627; R. Weill, La fortification dans l'antiq. égyptienne, in Journ. asiatique, gennaio-aprile 1900; per l'Asia anteriore, P. Thomsen e B. Meissner, in Ebert, op. cit., III, p. 261. Sguardo d'insieme anche in A. Billerbeck, Der Festungsbau im alten orient, 2ª ed., Lipsia 1910; poi le bibliogr. alle voci babilonia e assiria; ninive, boǧazköy: susa; troia, tirinto; micene. Per l'età classica: A. de Rochas d'Aiglun, Principes de la fortification antique, Parigi 1881; id., articoli Munitio e Oppugnatio, in Daresmberg e Saglio, Dict. des ant. gr. et rom., III, ii, pp. 2034-2038; IV, 1, pp. 208-11; H. Droysen, Heerwesen und Kriegführung der Griechen, in K. F. Hermann, Lebhrbuch der gr. Antiquitäten, II, ii, Friburgo in B. 1889, p. 205; id., articoli Befestigung e Festungskrieg, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, coll. 185-193, e VI, coll. 2224-55. per Atene e il Pireo, W. Judeich, Topographie von Athen, 2ª ed., Monaco 1931, p. 113; per Mantinea, G. Fougères, Mantinée, Parigi 1898. Per l'Eurialo di Siracusa, L. Mauceri, Il castello Eurialo nella storia e nell'arte, Roma 1928; per Selinunte, J. Hulot e G. Fougères, Selinonte, Parigi 1910. Il testo di Enea (De obsidione toleranda commentarius) edito per ultimo da R. Schöne, Berlino 1911; quello di Filone sulla fortificazione, edito da De Rochas e Ch. Graux, in Revue de Philologie, II (1879), p. 91 (anche in Graux, Øuvres, II, Parigi 1881) e da R. Schöne. Philonis mechanicae Syntaxis libri IV et V, Berlino 1893. Su Dura-Europo, F. Cumont, Fouilles de Doura-Europos, Parigi 1926; A. Sogliano, Intorno alle antichissime cinte murali delle città etrusche e italiche, in Studi Etruschi, III (1929), p. 73; A. Maiuri, Studi e ricerche sulla fortificazione di Pompei, in Monumenti antichi, XXXIII (1930), p. 2.

Medioevo ed epoca moderna. Trattati antichi: G. B. Della Valle, Vallo, libro continente appartenentie ad capitani, retenere et fortificare una città, ecc., Napoli 1521; G. Cattaneo, Dell'arte militare, Brescia 1571 e 1608; G. Lantieri, Due libri del modo di fare le fortificationi, Venezia 1559; C. Tetti (Theti), Discorsi sulle fortificazioni, Roma 1585, Venezia 1619; B. Lorini, Delle fortificationi, Venezia 1592; G. Scala, Delle fortificationi, Roma 1596 e 1627; G. Belici (Bellucci), Nuova inventione di fabbricar fortezze, Venezia 1598; F. Tensini, La fortificatione, guardia, difesa et espugnatione delle fortezze, ecc., Venezia 1624 e Torino 1674; G. Barca, Breve compendio di fortificatione moderna, Milano 1639 e Bologna 1643; P. P. Ruggiero, La militare architettura, ovvero fortificatione moderna, Milano 1661; A. Porroni, Trattato universale militare moderno, Venezia 1676; D. Rossetti, Fortificazione a rovescio, Torino 1678; G. E. Alberghetti, Compendio della fortificatione, Venezia 1695; A. Raschini Soliani, Trattato di fortificazioni moderne, Venezia 1748; C. Borgo, Analisi ed esame ragionato dell'arte della fortificazione, Venezia 1770; A. D'Antoni Papacino, Dell'architettura militare... e fortificazione, Torino 1814; vedi anche: M. D'Ayala, Bibliografia militare italiana, Torino 1854, parte II. - Opere moderne: G. B. Bruzzo, Nozioni sulla fortificazione permanente, Torino 1849; C. Ravioli, Sopra un ms. inedito ed anonimo intitolato "Trattato delle fortificationi", Roma 1854; C. Sachero, Corso di fortificazione permanente, Torino 1861; E. Cosentino, Sull'indirizzo negli studi della fortificazione campale, Modena 1873; G. Figari, Alcune idee sul profilo delle opere di fortificazione in montagna, Roma 1885; F. Lo Forte, Tipi razionali di fortificazione permanente, Roma 1886; id., Il ferro nella fortificazione, Roma 1887; id., Ancora il ferro nella fortificazione, Roma 1888; P. Spaccamela, Fortificazione improvvisata, Roma 1891; B. Zanotti, Fortificazione permanente, Torino 1891; E. v. Leithner, La fortificazione permanente, trad. di E. Rocchi, Roma 1895 segg.; M. Borgatti, Il campo trincerato moderno, Roma 1897; id., La fortificazione permanente contemporanea, Torino 1898; A. Maggiorotti, La fortificazione passeggera coordinata alla tattica, Roma 1900; E. Rocchi, Traccia per lo studio della fortificazione campale, Torino 1903, nuova ed., ivi 1913; id., Le fonti storiche dell'architettura militare, Roma 1908; D. Levizzani, Dei locali alla prova nelle opere di fortificazione, Roma 1909; E. Rocchi, La fortificazione permanente contemporanea, Roma 1909; A. Guidetti, La fortificazione permanente, 2ª ed., Torino 1913; Ph. de L'Orme, in Øuvres d'architecture, Parigi 1626; N. de Fer, Introduction à la fortification, Parigi 1723; Du Fay Abbé, Véritable manière de bien fortifier, nuova ed., Parigi 1694; S. de Vauban, Traité de l'attaque et de la défense des places, L'Aia 1737-42, Parigi 1829; L. de Cormontaigne, Architecture militaire ou l'art de fortifier, L'Aia 1741; G. R. Fäsch, Kurze, jedoch gründl. Anfangsgründe zu d. Fortifikation, Norimberga 1780; B. F. de Belidor, La science des ingénieurs dans la conduite des travaux de fortification, Parigi 1813 e 1830; N. E. De la Barre-Duparcq, De la fortification, Parigi 1844; J. Herrer Garcia, Théorie analytique de la fortification permanente, trad. di E. De la Barre-Duparc, Parigi 1847; P. M. T. Choumara, Mémoire sur la fortification, 2ª ed., Parigi 1847; G. H. Dufour, De la fortification permanente, 2ª ed., Ginevra 1854; A. R. Emy, Cours élémentaire de fortification, 2ª ed. a cura di B. Bartet, Parigi 1857; F. J. Noizet, Principes de fortification, Parigi 1859; A. Brialmont, Études sur la défense des États et sur la fortific., Bruxelles 1864; id. Traité de fortific. polygonale, Bruxelles 1869; H. Girard, Traité des applications tactiques de la fortific., Parigi 1875; id., La fortific. de campagne appliquée, Parigi 1876.

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