FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO

Carla Rabitti Bedogni

In ambito finanziario, vengono così definiti i fondi mobiliari costituiti dalla raccolta di fondi di singoli risparmiatori, la cui gestione è demandata a una società con il fine d'investirli in funzione della migliore redditività. La l. 23 marzo 1983, che ha introdotto in Italia la disciplina propria dei f. c. di i. mobiliare, costituisce il momento conclusivo di una lunga vicenda i cui contorni si erano andati progressivamente delineando per oltre un ventennio. Già nel 1961, infatti, la Commissione per la riforma delle società di capitali, insediata dal ministro dell'Industria e Commercio, elaborò una proposta per l'istituzione dei f. c. mobiliari, proposta che in gran parte fu trasfusa nel d. d. l. 22 settembre 1964 n. 763. Il nutrito dibattito che seguì questo progetto e quelli che nelle successive legislature furono costantemente ripresentati ha creato il tessuto culturale da cui trae origine la disciplina vigente

Nel suo nucleo essenziale questa è volta a realizzare contemporaneamente tre diversi obiettivi: offrire ai risparmiatori una nuova e diversificata possibilità d'investimento controllato e a basso rischio; assicurare alle imprese industriali quotate in borsa la possibilità di rafforzare la propria struttura finanziaria; introdurre un fattore stabilizzante nel mercato di borsa

Il meccanismo predisposto dalla legge si articola in uno schema trilaterale, basato sul principio di specializzazione, al quale partecipano: a) una società per azioni avente a oggetto esclusivo della propria attività la gestione di f. c.; b) una banca depositaria dei titoli e del denaro appartenenti ai fondi; c) i partecipanti all'investimento

La sostanza economica del fenomeno è quella di una gestione ''in monte'' o collettiva dell'altrui risparmio. Le somme di denaro versate dai singoli risparmiatori vengono messe in comune e gestite in funzione della migliore redditività del fondo. Questa finalità di massimizzazione dei profitti va contemperata, nella valutazione della legge, con l'esigenza di assicurare protezione ai risparmiatori che, proprio in relazione al carattere collettivo della gestione, non hanno alcun potere d'intervento o d'indirizzo dell'attività del gestore, essendo a essi riservata, in caso di dissenso, solo la facoltà di chiedere la liquidazione delle proprie quote. Si è perciò esattamente osservato che il punto centrale della disciplina in esame sembra costituito dall'equilibrio che va costantemente realizzato tra funzionalità del meccanismo attraverso il quale si realizza l'attività del fondo ed esigenza di tutela degli investitori. Questa finalità viene perseguita, nel sistema della legge, attraverso gruppi di norme volti a garantire:

a) la separazione dei soggetti tra cui si articola l'attività del fondo, che si realizza vietando alla società di gestione di avere la disponibilità materiale dei titoli e del denaro appartenenti al fondo e, allo stesso tempo, precludendo alla banca depositaria ogni attività di gestione. Da entrambe rimane poi distinto il fondo di cui, come si dirà in seguito, la legge non definisce la natura, limitandosi a stabilire che esso costituisce "patrimonio distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione e da quello dei partecipanti";

b) i requisiti soggettivi degli enti di cui sopra e delle persone fisiche incaricate della loro amministrazione e direzione.

In particolare: 1) la società di gestione dev'essere costituita nella forma di società per azioni con capitale sociale versato non inferiore a due miliardi di lire o al più elevato importo stabilito dal ministero del Tesoro sentita la Banca d'Italia, e deve avere per oggetto esclusivo la gestione di f. comuni. Essa può gestire più fondi, diversificati nella loro specializzazione (caratterizzati cioè da una connotazione finanziaria e da un obiettivo di investimenti diversi da quelli degli altri fondi gestiti dalla stessa società), ma in tal caso il capitale minimo della società di gestione va aumentato di un ulteriore miliardo per ciascun fondo gestito. L'esclusività dell'oggetto sociale esprime il divieto per la società di gestione di svolgere attività d'impresa diverse dalla gestione del fondo (quali per es. intermediazione finanziaria, consulenza, finanziamenti, ecc.) e corrisponde all'esigenza di evitare pericolose commistioni di attività e interessi diversi, assicurando nello stesso tempo una specifica competenza professionale dei gestori e il loro impegno esclusivo nella cura degli interessi dei partecipanti al fondo. Alle stesse finalità risponde la norma la quale impone, come requisito necessario per l'autorizzazione alla gestione di f. c., che la maggioranza degli amministratori e i dirigenti che hanno la rappresentanza legale della società di gestione abbiano svolto per uno o più periodi, complessivamente non inferiori a un triennio, funzioni di amministratore o di carattere direttivo in società o enti del settore creditizio, finanziario o assicurativo, aventi capitale a fondo di dotazione non inferiore a 500 milioni di lire, o abbiano esercitato la professione di agente di cambio facendo fronte ai propri impegni come previsto dalla legge. È inoltre necessario che gli amministratori e i dirigenti di cui sopra abbiano i requisiti di onorabilità previsti dalla l. 23 marzo 1983 n. 77, e cioè che non siano interdetti, inabilitati, falliti, non siano stati condannati a una pena che importa l'interdizione anche temporanea dai pubblici uffici e l'incapacità a esercitare uffici direttivi, non abbiano riportato condanne (o sanzioni sostitutive, di cui alla l. 24 novembre 1981 n. 689) per debiti contro il patrimonio, contro la fede pubblica o contro l'economia pubblica, ovvero per debiti non colpevoli per i quali la legge commini la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni;

2) la banca depositaria, incaricata del regolamento di tutte le operazioni disposte dalla società di gestione, risponde della custodia dei titoli inclusi nel fondo e delle disponibilità liquide di questo; va scelta tra gli istituti di credito che presentino un'adeguata organizzazione aziendale. Gli amministratori e i dirigenti debbono avere i requisiti di professionalità e onorabilità previsti dalle leggi;

3) a partire dall'approvazione del d. lgs. 25 gennaio 1992 n. 83, di attuazione delle direttive comunitarie n. 85/611 e n. 88/220, la partecipazione a f.c. è aperta a tutti. Nel vecchio regime invece i partecipanti al fondo dovevano essere, secondo la previsione di legge, piccoli risparmiatori, o investitori persone fisiche. La partecipazione a f. c. da parte di società ed enti aventi a oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale era ammessa solo per le imprese di assicurazione autorizzate al ramo vita, limitatamente agli accantonamenti a fronte delle riserve matematiche ai sensi del T. U. delle leggi sulle assicurazioni private.

c) il funzionamento di adeguati meccanismi di controllo è esercitato dal ministero del Tesoro che autorizza l'istituzione del fondo, sentita la Banca d'Italia, dopo aver accertato l'esistenza di tutti i requisiti previsti dalla legge. La società di gestione, prima d'iniziare in concreto la propria attività, dovrà predisporre un regolamento del f. c. che dovrà essere preventivamente approvato dalla Banca d'Italia. Nella fase di svolgimento dell'attività i controlli, volti ad assicurare la tutela del risparmio raccolto tra il pubblico attraverso una costante vigilanza sulla regolarità ed efficienza della gestione del fondo e la completezza dell'informazione fornita al mercato, sono rispettivamente attribuiti alla Banca d'Italia e alla CONSOB anche se con esse cooperano soggetti diversi, e in particolare la banca depositaria e la società incaricata della certificazione del bilancio della società di gestione.

Il controllo della Banca d'Italia è disciplinato in parte direttamente dalla l. 77/1983 così come modificata dal d. lgs. 83/92, in parte attraverso il rinvio ad alcuni articoli della legge bancaria, e si realizza attraverso l'analisi dei bilanci e delle situazioni periodiche che gli enti controllati debbono trasmettere alla Banca d'Italia "nei modi e nei termini da essa stabiliti", nonché dei verbali delle assemblee dei soci e delle proposte, accertamenti e contestazioni del Collegio sindacale, e nel potere dell'organo di vigilanza di acquisire ogni altro elemento di giudizio per assicurare una conoscenza della situazione degli operatori che consenta con tempestivi interventi di prevenire eventuali crisi. Strumentale a tale controllo è il potere conferito alla Banca d'Italia di determinare in via generale: a) gli altri dati, oltre alle situazioni contabili periodiche e ai bilanci, necessari per esercitare l'attività di vigilanza; b) gli schemi-tipo e la periodicità dell'invio della documentazione richiesta. Accanto a questi controlli, detti ''cartolari'', ve ne sono stati altri (''diretti''), che si attuano con ispezioni periodiche o straordinarie dei funzionari della Banca d'Italia i quali "avranno la facoltà di chiedere l'esibizione di tutti i documenti e gli atti che riterranno opportuni per l'esercizio delle loro funzioni". In tale esercizio i funzionari della Banca d'Italia sono considerati pubblici ufficiali e vincolati dal segreto d'ufficio.

Allo stesso fine di garantire un'efficace e corretta gestione dei soggetti controllati rispondono anche i particolari poteri d'intervento attribuiti alla Banca d'Italia, cui spetta, nell'esercizio delle proprie funzioni di vigilanza, di determinare "le modalità di investimento del capitale delle Società di gestione". La stessa Banca d'Italia ha inoltre il potere di ordinare la convocazione dell'assemblea dei soci del Consiglio di amministrazione o di altri organi amministrativi per sottoporre al loro esame i provvedimenti ritenuti utili all'azienda. In caso d'inerzia degli organi sociali cui spetta il potere di convocazione, la Banca d'Italia può provvedere direttamente agli adempimenti al fine necessari.

A questi controlli, che attengono alla gestione del fondo, il sistema della legge ne aggiunge altri riguardanti la precisione, completezza e chiarezza dell'informazione che la società di gestione mette a disposizione dei risparmiatori. Questi controlli sono affidati alla CONSOB e sono descritti all'art. 7 comma 3 lett. c) e art. 7 quarto comma.

Il quadro della disciplina dei controlli si completa con la previsione di una sorta di cooperazione dell'attività di controllo da parte della banca depositaria e della società di revisione. L'art. 2 bis della l. 77/1983 stabilisce infatti che la banca depositaria controlla a ogni liquidazione mensile che le operazioni disposte dalla società di gestione siano conformi alla legge, al regolamento del fondo e alle prescrizioni dell'autorità di vigilanza. Delle eventuali irregolarità gli amministratori e i sindaci della banca depositaria debbono riferire senza ritardo alla Banca d'Italia. Lo stesso articolo prevede poi che la società incaricata della revisione provvede alla certificazione del bilancio e del rendiconto del f. c. ai sensi dell'art. 4 del d. P. R. 31 marzo 1975 n. 136. In virtù di questo richiamo, nel caso in cui riscontri irregolarità che impediscano di certificare il bilancio senza percezioni, la società di revisione dovrà informare immediatamente la CONSOB. Ai sensi dell'art. 18 d. P. R. 31 marzo 1975 n. 138 richiamato dall'art. 7 della l. 77/1983, la CONSOB dovrà comunicare alla Banca d'Italia ogni irregolarità comunque riscontrata nell'esercizio delle funzioni di propria competenza, che richieda l'intervento della Banca d'Italia. Se dai controlli sulla gestione emergono gravi irregolarità, la Banca d'Italia, accertatane l'effettiva esistenza in contraddittorio con gli interessati, propone la decadenza della società dalla gestione del fondo. Tale decadenza viene pronunziata dal ministro del Tesoro, sentito il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio. Contestualmente a tale provvedimento il ministro del Tesoro dispone alternativamente la prosecuzione del fondo a cura di un'altra società ovvero la liquidazione del fondo.

La società di gestione, le cui vicende sono in linea di principio autonome rispetto a quelle del fondo o dei fondi da essa gestiti, è poi assoggettata, ove ne ricorrano i presupposti, alla disciplina dell'amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento ai sensi degli articoli 57 ss. del R. D. L. 12 marzo 1936 n. 375, convertito, con modificazioni, nella l. 7 marzo 1938 n. 141 e successive modificazioni e integrazioni.

Tipologia. − Le tipologie entro le quali si classificano i f. c. di i. mobiliare rispecchiano l'evoluzione delle caratteristiche che questi ultimi presentano. Infatti le tipologie adottate ufficialmente hanno subito negli ultimi anni alcune modificazioni introdotte per tener conto della mutata realtà dell'offerta.

Inizialmente, i fondi venivano ripartiti entro tre grandi, e relativamente generici, gruppi (azionari, bilanciati e obbligazionari). Tra i primi venivano ricompresi quei f. c. di i. mobiliare caratterizzati da un portafoglio investito in misura prevalente in titoli azionari e obbligazionari convertibili. Nella categoria dei fondi bilanciati erano invece posti i fondi tendenti a realizzare una composizione degli investimenti equamente ripartita, almeno tendenzialmente, tra investimenti azionari e investimenti obbligazionari. Infine, tra i fondi obbligazionari si annoveravano quei fondi per i quali l'investimento in titoli azionari e obbligazionari convertibili era escluso per regolamento, o comunque rappresentava una quota largamente minoritaria del portafoglio titoli.

Tipicamente, alla categoria degli azionari appartengono fondi con investimenti in titoli azionari e obbligazionari convertibili, che mediamente rappresentano una quota del patrimonio del 50÷75%; ciò non esclude che, a seconda delle diverse fasi di mercato e dei singoli fondi, tale valore possa anche significativamente mutare. Non si può comunque non rilevare come, a confronto delle convenzioni internazionalmente impiegate per la classificazione dei fondi, nella realtà italiana tale quota risulti in genere piuttosto modesta.

Il discorso è più agevole per i fondi bilanciati, per i quali la quota di patrimonio investita nei citati titoli oscilla fra il 30 e il 50%, rappresentando quest'ultimo valore una sorta di tetto difficilmente superabile, dato l'obiettivo di questi stessi fondi. I fondi obbligazionari risultano probabilmente quelli di definizione più agevole, essendo normalmente il loro contenuto in azioni e obbligazioni convertibili non superiore al 10-15% del patrimonio, mentre la parte rimanente del portafoglio viene investita in titoli di Stato, obbligazioni ordinarie e altre attività finanziarie quali carta commerciale o certificati di deposito.

Nella realtà del mercato, tali categorie si sono rivelate in breve tempo eccessivamente ampie e indifferenziate: i fondi obbligazionari, per es., si sono in breve diversificati tra fondi che ammettevano l'investimento azionario, sia pure entro limiti che, di diritto o di fatto, rimanevano piuttosto ristretti, e fondi che escludevano del tutto tale possibilità d'impiego del proprio patrimonio. Da qui la divisione della primitiva categoria in due subtipologie, e cioè quella dei fondi obbligazionari misti, per i quali il regolamento di gestione non esclude l'investimento in azioni e obbligazioni convertibili, fissandone o meno il limite massimo, e quella dei fondi obbligazionari puri (a volte definiti anche monetari), i quali escludono espressamente l'investimento in tali titoli.

In seguito alla liberalizzazione valutaria (maggio 1987), i f. c., che già prima potevano investire in esenzione dal deposito infruttifero fino al 10% del patrimonio in titoli espressi in valuta estera, hanno potuto liberamente disporre in tema di impieghi in titoli esteri. In breve, questa facoltà ha dato origine a numerosi fondi che, nell'ambito delle tre grandi tipologie sopra descritte, si caratterizzavano per una spiccata componente estera degli investimenti. Ne è derivata l'introduzione di nuove subtipologie relative ai cosiddetti fondi azionari internazionali, bilanciati internazionali e obbligazionari misti internazionali.

Nell'ambito dei servizi offerti dai f. c., sono stati creati anche fondi obbligazionari puri collegati al servizio di conto corrente, caratterizzati dalla possibilità di far affluire automaticamente al fondo le disponibilità eccedenti una giacenza media prefissata di conto corrente, ovvero di reintegrarla, con risorse prelevate dal fondo, qualora scenda sotto detto limite. Esistono (dicembre 1991) 23 f. c. che offrono tale servizio, ma i vari annunci di iniziative simili da parte di altre società di gestione fanno prevedere un significativo sviluppo di questo segmento del mercato, che in ogni caso, date le caratteristiche degli investimenti, viene ricompreso nella tipologia dei fondi obbligazionari puri. Tra le novità introdotte, si segnala il tentativo di offrire un prodotto analogo ai fondi multicompartimentali (umbrella funds, già noti nei mercati esteri), caratterizzati dalla possibilità concessa al partecipante, in forma gratuita o poco costosa, di mutare l'indirizzo dell'investimento, all'interno dello stesso fondo, spostandosi tra le diverse linee di gestione che il fondo stesso offre.

Risultando impossibile costituire fondi di diritto italiano con queste caratteristiche, dati i vincoli normativi in merito alla specializzazione dei fondi stessi, la soluzione adottata prevede la sottoscrizione contestuale in due fondi di investimento con la possibilità, accordata al partecipante, di trasferire periodicamente disponibilità da un fondo all'altro transitando attraverso il connesso servizio di conto corrente, modificando così la composizione complessiva dell'investimento secondo scelte non vincolate a decisioni del gestore dei fondi medesimi. Il capostipite di questo tipo di servizi è stato il cosiddetto Sistema Fideuram Mix, che abbina il fondo azionario internazionale Fideuram Azione al fondo obbligazionario puro Fideuram Moneta. A un obiettivo analogo, anche se con automatismo inferiore, mira la facoltà, offerta ormai da molte società di gestione, di reinvestire gratuitamente il ricavato dal disinvestimento da un fondo in altro fondo gestito dalla medesima società.

Alla fine del 1991, rispetto a un'evoluzione del patrimonio complessivo gestito e del numero dei fondi in attività (v. tab. 1), la composizione del mercato dei f. c. italiani per le tipologie sopra elencate risultava essere quella riportata in tab. 2, in termini di quota percentuale di patrimonio gestito. Le prestazioni medie annue delle diverse categorie di f.c. registrate nel periodo compreso tra il primo anno di attività e il 1991 sono illustrate in tab. 3.

Bibl.: A. Bompani, I fondi mobiliari italiani, Padova 1983; F. Ascarelli, Operazioni atipiche di raccolta di risparmio, Firenze 1984; R. Costi, Le istituzioni finanziarie degli anni Ottanta, Bologna 1984; P. Jaeger-P. Casella, I fondi comuni d'investimento, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano 1984; L. Lanzio, I fondi comuni di investimento, ivi 1984; Id., I fondi comuni di investimento, Napoli 1985; G. Visentini, I valori mobiliari, in Trattato Rescigno, xvi, Torino 1985; F. Ascarelli, I fondi comuni di investimento, ibid.; F. Carbonetti, I cinquant'anni della legge bancaria, in Riv. soc., 1986, p. 84 ss.; G. La Villa, Il diritto dei valori mobiliari, Firenze 1986; G. Visentini, L'attività parabancaria, Milano 1987; G. Cammarano, Il ruolo dei fondi comuni di investimento nel mercato dei capitali, in Banca Impresa e Società, 1987; R. Costi, E. Gliozzi, G. Verga, Autonomia e responsabilità della società di gestione, in Diritto ed Economia, 1988; G. Palladino, I fondi comuni mobiliari, Roma 1988; D. Velo, G. Palladino, Lo sviluppo dei fondi comuni nel mondo, Milano 1990; P. Berlando, L'attuazione delle direttive sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari, in L'Europa e la CEE, 3 (1992), Inserto.

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