SPAZIALE, FISICA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

SPAZIALE, FISICA

Franco Mariani

. Sotto questa denominazione s'individua un vastissimo campo di ricerca fisica che ha assunto una sua vasta e più precisa fisionomia con l'avvento dei satelliti artificiali, per la possibilità di esplorazione diretta dello spazio circostante la Terra e più in generale dello spazio interplanetario. Come tale la f. s. ha un carattere spiccatamente interdisciplinare, in quanto in essa convivono, tra le altre, la fisica dei plasmi, la fisica solare, la fisica dei pianeti, la geofisica. Lo spazio circostante la Terra e i pianeti, e in generale lo spazio interplanetario costituiscono un immenso laboratorio nel quale particelle cariche elettricamente, campi magnetici ed elettrici, radiazioni elettromagnetiche, fenomeni collettivi di tipo termodinamico ed elettromagnetico si manifestano e s'influenzano a vicenda.

La denominazione stessa di f. s. va interpretata nel senso di fisica (" nello" spazio (piuttosto che in quello di fisica ([ dello" spazio), cioè di studio e interpretazione dei fenomeni che avvengono nello spazio. Ci limitiamo in questo contesto a considerare alcuni fondamentali argomenti di f.s. e precisamente il vento solare e la sua interazione con l'involucro esterno dei pianeti fino ai limiti dello spazio interplanetario, nonché la formazione della magnetosfera e le fasce di radiazione.

Il vento solare. Cenno storico. - L'origine solare della radiazione elettromagnetica che raggiunge la Terra è cosa ben nota. Dell'energia convogliata da questa radiazione circa la metà si trova nella regione visibile dello spettro. Questo peraltro si estende dalle più basse frequenze, inferiori a quelle delle radioonde, a quelle molto più alte (per es., raggi X e γ). Che il Sole fosse anche sorgente di una radiazione corpuscolare è un fatto da molto tempo postulato sulla base di argomentazioni indirette, ma solo di recente verificato sperimentalmente mediante strumenti portati da veicoli spaziali nello spazio interplanetario.

Risale a G. D. Cassini (1672) l'idea che la luce zodiacale, debole luminosità osservabile in prossimità del piano equatoriale, fosse luce diffusa da corpuscoli. L'idea di fasci di particelle, ai quali attribuire le tempeste magnetiche, fu avanzata per la prima volta alla fine del secolo scorso da G. Fitgerald (1892) e da Sir O. Lodge (1900). Gli esperimenti di K. Birkeland (1903) e i calcoli di C. Störmer di orbite di corpuscoli carichi elettricamente, provenienti dal Sole e interagenti col campo magnetico della Terra, sono stati i primi passi concreti. Nel 1919 F. A. Lindemann precisava l'idea che le nuvole di particelle emesse dal Sole dovessero essere costituite da cariche elettriche dei due segni in modo da costituire un gas complessivamente neutro. Negli anni 1931-40 finalmente prendeva forma la teoria di S. Chapman e V. C. A. Ferraro che attribuiva le tempeste magnetiche e le aurore polari all'interazione di fasci di particelle solari con il campo magnetico terrestre.

L'ultimo passo verso lo schema di spazio interplanetario, ormai universalmente adottato nelle sue linee generali, si basa sullo studio della deviazione della coda di certe comete dalla direzione radiale. Mentre nell'idea di Chapman e Ferraro si riteneva che fasci di particelle cariche si originassero sul Sole sporadicamente, l'idea suggerita dalle osservazioni di C. Hoffmeister (1943) e poi più quantitativamente elaborata ed estesa da L. Biermann negli anni 1951-57 è che il Sole emette particelle con continuità, è cioè sorgente permanente di radiazione corpuscolare. Dal punto di vista teorico le proprietà generali di questa radiazione furono predette da E. N. Parker negli anni 1957 e immediatamente seguenti: la denominazione di "vento solare" fu coniata da Parker nel 1958. Le prime osservazioni dirette del vento solare si debbono a K. Gringauz e collaboratori nel 1959, con strumenti a bordo delle sonde russe Lunik III e Venus I; poco dopo, il satellite americano Explorer X (1961) e soprattutto la sonda Mariner 2 confermavano definitivamente l'esistenza di un flusso continuativo, ancorché variabile nel tempo, di particelle solari. Il fatto che le particelle siano cariche elettricamente, principalmente protoni ed elettroni, insieme con l'osservazione che il Sole possiede intensi campi magnetici, implica (v. oltre) che il vento solare sia anche permeato da un campo magnetico, sia cioè un plasma magnetizzato.

Le tecniche di osservazione. - Rivelazione di particelle. - La rivelazione delle particelle del vento solare, la cui energia è dell'ordine delle centinaia di eV, richiede l'uso di strumenti senza parete. Si tratta essenzialmente di opportuni collettori di cariche, per lo più preceduti da dispositivi atti a deviare la traiettoria delle particelle incidenti, sia per selezionarle in energia sia per ovviare all'effetto disturbante prodotto dalla luce solare. I rivelatori possono essere pozzi di Faraday, deflettori elettrostatici, ecc.

Nel pozzo (o tazza) di Faraday, che è un vero e proprio pozzetto metallico alla cui entrata sono situate una o più griglie metalliche, il flusso di particelle viene rivelato misurando la corrente elettrica che affluisce sul collettore c (fig. 1 A). Le caratteristiche geometriche della tazza e opportuni campi elettrici creati tra le varie griglie e il collettore permettono di separare i contributi determinati da particelle nei vari intervalli di energia, consentendo quindi di risalire alla direzione di provenienza, alla densità di particelle nel fascio, alla loro distribuzione in velocità, alla "temperatura" del fascio, ecc. Nei deflettori elettrostatici la selezione in energia consiste nel far passare le particelle tra due elettrodi paralleli di forma sferica o cilindrica, tra i quali è stabilito un campo elettrico; solo le particelle dotate di certe energie riescono a non cadere sull'uno o sull'altro degli elettrodi, in modo da giungere finalmente al collettore c (fig. 1 B).

Quando i flussi di particelle sono modesti si usano dispositivi di rivelazione più sensibili, in particolare certi rivelatori a moltiplicazione, nei quali cioè ogni particella, incidendo su una speciale superficie, dà mediamente origine a più di una particella secondaria e queste, sotto l'azione di un opportuno campo elettrico, vanno di nuovo a colpire la stessa superficie, così da esaltare il fenomeno di moltiplicazione. In questo modo il flusso che finalmente va a colpire il collettore può essere accresciuto di vari ordini di grandezza. Ed è, al limite, anche possibile contare individualmente le particelle incidenti dagl'impulsi di corrente da ciascuna di esse prodotti. La separazione tra elettroni e ioni positivi, principalmente protoni, può essere fatta con dispositivi fra loro simili ma usando campi elettrici di verso opposto. Peraltro, la misura degli elettroni è fortemente perturbata da effetti spuri di varia natura (per es., dai fotoelettroni emessi per effetto fotoelettrico dalle superfici metalliche colpite dalla radiazione solare).

Rivelazione di campi magnetici. - La determinazione di campi magnetici nello spazio interplanetario viene fatta mediante magnetometri a saturazione (flux-gate), a effetti nucleari o a induzione. Mentre i primi due tipi sono stati usati soprattutto per misurazioni di campi costanti o lentamente variabili, i magnetometri a induzione sono atti a misurare campi rapidamente variabili.

Nei magnetometri a saturazione (fig. 2) si sfrutta il fatto che magnetizzando una barretta (o due barrette) di materiale ferromagnetico fino alla saturazione con una corrente variabile di frequenza f, si determina una distorsione del campo prodotto rivelabile su un circuito secondario ai cui capi si può osservare una tensione indotta di seconda armonica della tensione di eccitazione, cioè a frequenza 2f, la cui ampiezza è proporzionale alla componente del campo magnetico ambiente nella direzione della barretta. Con tre elementi sensori, mutuamente perpendicolari, è possibile determinare completamente il vettore del campo magnetico.

Nel magnetometro a induzione la misura del campo è ricondotta a quella della differenza di potenziale indotta ai capi di una bobina per effetto dell'induzione elettromagnetica in essa provocata da un campo magnetico variabile. La variazione del campo può essere sia intrinseca del campo magnetico, sia determinata dal fatto che la bobina è montata su un veicolo che si muove rispetto all'ambiente che è permeato dal campo. Poiché la bobina è sensibile solo alla componente del campo magnetico perpendicolare al piano delle sue spire, anche in questo caso il vettore magnetico può essere determinato mediante tre bobine mutuamente perpendicolari.

Il principio di funzionamento dei magnetometri a effetti nucleari è alquanto più complicato e si basa su particolari effetti all'interno di certi nuclei atomici. In generale si può dire che una misurazione assai precisa del valore del campo magnetico, si riconduce a quella della frequenza della radiazione elettromagnetica emessa nel salto quantico da un livello energetico più elevato a uno di energia più bassa. Nel caso del magnetometro a precessione nucleare si sfruttano le transizioni tra livelli energetici dei nuclei d'idrogeno. Nel caso dei magnetometri "a pompaggio ottico" si sfruttano le transizioni tra livelli elettronici la cui separazione in energia è proporzionale al campo magnetico ambiente. Un terzo tipo di magnetometri, che sfrutta le transizioni tra livelli metastabili dell'elio, ha la particolarità di rendere possibile la misurazione delle componenti (e non della sola intensità del campo) ed è quello tra i magnetometri a effetti nucleari che è stato più estensivamente usato, specialmente per misurazioni nello spazio interplanetario.

Osservazioni sperimentali nello spazio inteplanetario tra il Sole e la Terra. - Il dato sperimentale che si ottiene con i rivelatori sopra descritti è da un lato il flusso di particelle, la loro distribuzione in velocità e direzione di provenienza, dall'altro il vettore magnetico.

La direzione di provenienza del vento solare viene in genere ricavata sfruttando la rotazione del veicolo spaziale intorno a un asse, che è quasi sempre perpendicolare al piano dell'eclittica. In queste condizioni, il rivelatore "guarda" in tutte le direzioni azimutali al variare del tempo. Lo spettro energetico viene ricavato invece da consecutive misurazioni su differenti intervalli di energia, ottenute variando i campi elettrici in gioco nei dispositivi di rivelazione.

In fig. 3 si riporta un esempio tipico di spettro di energia. Il numero di particelle contate con il rivelatore puntato verso il Sole presenta un massimo molto evidente a energia di circa 0,88 keV, mentre il flusso di particelle osservato a questa energia è ristretto a un angolo di pochi gradi centrato intorno alla direzione che va al Sole. Da andamenti del tipo di quello della figura è possibile determinare la velocità media delle particelle, nonché la loro "temperatura" che misura la dispersione della velocità intorno alla media.

È anche possibile ricavare informazioni sul tipo di particelle che costituiscono il vento solare: per es., il piccolo massimo secondario che compare a circa 1,7 keV è attribuibile a particelle (nuclei di elio), presenti in ragione di qualche percento del massimo principale dovuto a protoni. Sono anche stati individuati in piccole percentuali altri ioni, pesanti, quali carbonio, ossigeno, silicio e ferro.

Le particelle del vento solare si muovono nello spazio allontanandosi dal Sole in direzione pressoché radiale con velocità che può variare in modo notevole, mantenendosi peraltro entro i limiti approssimativi di 200 e 900 km/sec. La velocità d'insieme degli elettroni e dei protoni è sostanzialmente la stessa; le loro temperature invece sono notevolmente diverse, dell'ordine di 104 °K per i protoni e di 105 °K per gli elettroni. Le densità di particelle variano entro ampi limiti tra 0,5 e 100 per cm3. Questi dati e altri d'interesse sono raccolti nella tabella.

Un fatto assai importante è che la dispersione delle velocità, in termini più semplici la "larghezza" della loro curva di distribuzione, è diversa a seconda della direzione in cui il rivelatore è puntato. Il massimo tende a manifestarsi in una direzione che vicino alla Terra è inclinata di circa 45° rispetto alla direzione radiale; il minimo si riscontra in una direzione pressappoco perpendicolare alla prima. Ciò mostra che il vento solare è termicamente anisotropo.

Quanto alla composizione chimica è stata riscontrata l'esistenza, accanto agli elettroni, ai protoni e alle particelle α, di piccolissime percentuali di altri nuclei, in particolare nuclei di carbonio, e di ossigeno variamente ionizzati, di silicio e di ferro.

Per effetto della rotazione solare particelle emesse da un dato punto della superficie solare in tempi diversi si muovono in direzioni diverse. La successione di queste particelle è ciò che costituisce un fascio il quale appare incurvato, allo stesso modo di come un getto d'acqua emesso orizzontalmente da una piattaforma rotante appare rispetto a un osservatore fermo sulla piattaforma stessa.

Per ciò che riguarda il campo magnetico i risultati sono riassunti dalle figg. 4a e b, ove sono riportati rispettivamente la distribuzione percentuale in intensità e l'orientazione del campo, individuata dagli angoli Θ e ϕ che sono l'angolo che il campo forma con il piano dell'eclittica e l'angolo che la proiezione del campo stesso su questo piano forma con la direzione che va dalla Terra al Sole. Appare dalla figura che il valore medio del campo interplanetario è di circa 5,5 γ (i γ = 10-5 oersted), cioè circa 10.000 volte inferiore a quello della Terra al suolo; il verso del campo sul piano dell'eclittica è preferenzialmente orientato a 135° dalla linea Terra-Sole, o quello opposto a 315°, mentre l'angolo di elevazione sull'eclittica è abbastanza simmetricamente distribuito intorno al valore zero, corrispondente a un campo medio giacente sul piano dell'eclittica stessa.

Lo studio dei dati magnetici ha messo in evidenza l'esistenza di una struttura in grande, individuata dai cosiddetti "settori magnetici". Si tratta di regioni di spazio nelle quali la direzione media del campo è uscente dal Sole oppure entrante verso il Sole. La fig. 5 mostra chiaramente questo comportamento, osservabile sull'angolo del campo sul piano eclittico. Nel corso dei 27 giorni, corrispondenti a una intera rotazione solare, sono stati osservati fino a 4 settori, alternativamente positivi, cioè con campo uscente, e negativi con campo entrante.

Il comportamento del vento solare e del campo magnetico all'interno di un settore è abbastanza tipico: la densità di particelle è massima tra 1 e 2 giorni dall'entrata in un settore; il campo è massimo poco dopo il massimo di densità; anche la cosiddetta attività geomagnetica (v. magnetismo: Magnetismo terrestre, App. III, 11, p. 9) risulta massima un paio di giorni dopo l'inizio di un settore. L'esistenza dei settori e soprattutto la loro netta tendenza a ricorrere in una o più successive rotazioni solari mostra che il campo magnetico ha le sue radici sul Sole, in regioni abbastanza ben definite, le quali pure tendono a permanere sul Sole oltre 27 giorni. È appunto questo il motivo che determina il riprodursi di caratteristiche simili nella struttura del campo magnetico in successive rotazioni solari. Dagli studi statistici sulla correlazione tra il campo magnetico interplanetario e il campo magnetico nella fotosfera solare risulta un massimo di correlazione allorché si confronta il campo osservato in prossimità della Terra con quello osservato circa quattro giorni prima sul Sole. Ciò indica che una configurazione di campo solare tende a essere trasportata nello spazio interplanetario coprendo la distanza Sole-Terra in circa 4 giorni, a una velocità media di circa 400 km/sec, che coincide con la velocità media del vento solare.

Dalle prime osservazioni di vento solare a oggi, sono trascorsi 15 anni che coprono più di un ciclo di attività solare. È un fatto di rilievo che non sono state riscontrate, su tempi lunghi, apprezzabili variazioni delle caratteristiche del vento solare e del campo magnetico interplanetario. Non si ha cioè indicazione di rilevanti variazioni con il ciclo solare. Non è inopportuno segnalare che fino a questo momento le osservazioni sperimentali, di cui abbiamo riferito sopra, sono state effettuate sul piano equatoriale del Sole o nelle sue immediate vicinanze. Per ciò che riguarda le condizioni fisiche del mezzo interplanetario fuori di tale piano si hanno soltanto alcune osservazioni indirette, il che mostra come la nostra conoscenza dello spazio interplanetario sia ancora lacunosa e bisognosa di approfondimento.

Modelli teorici. - Fino a non molti anni fa si riteneva che lo spazio interplanetario fosse essenzialmente vuoto, con il Sole come sorgente di energia elettromagnetica. Come si è accennato, si riteneva che solo sporadicamente lo spazio interplanetario fosse attraversato da fasci di particelle cariche responsabili delle tempeste magnetiche e, più o meno direttamente, di aurore polari. Un passo notevole fu compiuto da S. Chapman nel 1950 con un modello di atmosfera solare in equilibrio idrostatico nel quale il calore si trasmetteva per conduzione termica attraverso il gas della corona solare. Ne risultava una situazione nella quale la temperatura della corona variava molto lentamente allontanandosi dal Sole; di conseguenza, la pressione idrostatica del gas decresceva anch'essa abbastanza lentamente da dar luogo a un'espansione del gas non contenuta dalla forza di gravità solare che, pur assai cospicua vicino al Sole, non risultava peraltro sufficiente a trattenere l'atmosfera solare. Un modello più avanzato, proposto qualche anno dopo (1958) da E. Parker, considera l'atmosfera solare in equilibrio idrodinamico: in queste condizioni si ha un flusso continuo di particelle sfuggenti dal Sole, del quale è possibile prevedere le caratteristiche all'altezza dell'orbita terrestre e, più in generale, nello spazio interplanetario fino a oltre i pianeti. Il modello è stato ulteriormente elaborato a includere l'effetto di un campo magnetico che permea il plasma nonché a tenere conto di altri importanti fattori come la conduzione termica, la composizione del gas a due componenti tra loro interagenti (protoni ed elettroni, aventi diversa temperatura).

Non entrando in dettagli, i risultati possono essere riassunti rapidamente come segue: le particelle che sfuggono dal Sole hanno una velocità rapidamente crescente nei primi 10 ÷ 20 milioni di km dal Sole fino a raggiungere un valore quasi indipendente dalla distanza eliocentrica (fig. 6). Questo valore, dell'ordine delle centinaia di km/sec, dipende in pratica, vicino all'orbita terrestre, dalla temperatura del gas che si trova alla base della corona solare. Valori così alti delle velocità, superiori a quelli della velocità del suono, rendono supersonico il flusso di particelle solari. Quanto al campo magnetico presente alla superficie solare, esso, come si è detto, affonda in questa le sue radici. Ma qui entra in gioco un'importante caratteristica del campo magnetico interplanetario: quella di essere, come si dice, "congelato" nel plasma. Con ciò si allude al fatto che, per l'elevata conducibilità elettrica del vento solare, questo reagisce con estrema prontezza a eventuali variazioni del campo magnetico che lo permea. In parole diverse, le leggi fondamentali dell'elettromagnetismo impongono la costanza del flusso di campo magnetico attraverso una qualsiasi linea chiusa ogni elemento della quale si muova con la velocità delle particelle del vento solare in quello stesso punto. Se la linea si allarga, come conseguenza geometrica della propagazione del vento solare verso la Terra, l'intensità del campo magnetico si attenua, sostanzialmente, con legge d'inversa proporzionalità al quadrato della distanza eliocentrica.

La conseguenza di quanto detto è che la rotazione del Sole con periodo di circa 27 giorni fa sì che le radici del campo siano "trascinate " come fili elastici dalla regione dove esse sono originate, mentre simultaneamente il plasma solare, che si propaga verso l'esterno, tende a "tirare" radialmente le linee di forza del campo. Il risultato abbastanza intuitivo è quello di avere una situazione di campo magnetico proprio come quella descritta nella fig. 5.

Le linee del campo hanno una forma a spirale; le particelle individuali del plasma si muovono in direzione radiale, proprio come avviene della puntina di un giradischi che si muove in direzione radiale sul piatto, entro un solco che costituisce una spirale che si avvolge intorno al centro del disco. L'angolo Φ che il campo forma con la direzione radiale varia con la distanza r dal Sole e con la velocità V del vento solare. Pure variabili con la distanza sono le due componenti radiale, Br, e azimutale, Bϕ, del campo magnetico; si ha rispettivamente, indicando con Ω la velocità angolare del Sole, r0 la distanza eliocentrica alla quale il campo radiale è B0:

All'altezza dell'orbita terrestre, con V = 400 km/sec, si ha Φ ≈ 45°; quanto a Br e Bϕ, i valori calcolati sono in ottimo accordo con quelli misurati.

L'esistenza di un flusso continuo di particelle ionizzate dal Sole verso lo spazio interplanetario ha posto, tra gli altri, il problema dell'interazione tra il vento solare e i pianeti del sistema solare e il problema se, come e dove il vento solare esaurisce la sua spinta verso lo spazio esterno. Il primo problema verrà esaminato nel successivo paragrafo, mentre il secondo verrà ora brevemente esaminato.

La densità di particelle del vento solare decresce ovviamente con la distanza dal Sole, in quanto il flusso da questo originariamente emesso tende a distribuirsi su un fronte di avanzamento sempre più esteso. Ne segue che la pressione dinamica che il vento solare possiede per il suo moto diventa progressivamente più debole. La "fine" (o terminazione, nel gergo fisico) è determinata dall'equilibrio tra questa pressione e quella complessivamente esercitata dal gas interstellare, in esso anche includendo i raggi cosmici, e dal campo magnetico interstellare. La pressione da quest'ultimo esercitata si comprende osservando che le traiettorie delle particelle vengono incurvate dal campo magnetico cosicché il vento solare non può più liberamente propagarsi. Il vento viene allora contenuto e la sua ulteriore penetrazione nello spazio interstellare viene impedita. Si ritiene generalmente che la distanza alla quale questo contenimento avviene sia di qualche decina di unità astronomiche, cioè al di là dei pianeti solari esterni.

Interazione del vento solare con i pianeti. - Il vento solare interagisce in diverse maniere con l'ostacolo rappresentato da un corpo planetario, a seconda delle caratteristiche fisiche di questo (esistenza di atmosfera, di campo magnetico, conducibilità elettrica della parte solida, ecc.).

a) Interazione con la Terra. Il primo caso confortato da osservazione diretta è quello della Terra. Già al tempo in cui si attribuivano le tempeste magnetiche a fasci di particelle cariche sporadicamente incidenti sul campo magnetico terrestre, S. Chapman e V. C. A. Ferraro avevano messo in luce che il fronte di avanzamento piano di un fascio molto esteso di particelle subiva una notevole deformazione allorché avvicinandosi alla Terra cominciava a farsi sentire il campo magnetico terrestre con la sua azione deviatrice sulle particelle individuali del fascio, restando peraltro il campo stesso modificato per il fatto che il moto di particelle nel loro insieme equivale a correnti elettriche, le quali generano appunto un campo magnetico. Naturalmente le regioni del fascio più lontane dalla linea congiungente la Terra al Sole, poco o affatto perturbate, proseguendo il loro movimento oltre la Terra e sopravanzando le particelle deviate dal campo magnetico terrestre, dànno origine a una "cavità" scavata nel fascio che ingloba il campo magnetico terrestre stesso e che, nella direzione opposta al Sole, finisce col richiudersi a distanza più o meno grande e con modalità diverse a seconda dei vari modelli proposti. Il vento solare incidendo sulla regione esterna, assai poco densa, dell'atmosfera ionizzata che circonda la Terra e nella quale il campo magnetico terrestre è ancora molto debole, determina una superficie di compressione violenta, denominata fronte d'urto. Si tratta di un'onda d'urto supersonica, cioè di una superficie di discontinuità in corrispondenza alla quale si ha da un lato il plasma solare non perturbato che avanza con velocità supersonica e dall'altro una regione di turbolenza nella quale il gas compresso si scalda fortemente e il campo magnetico è fortemente intensificato; il vento solare, deviato, tende a propagarsi in direzione diversa da quella d'incidenza, lambendo all'interno una regione nella quale il campo geomagnetico è abbastanza regolare, anche se con caratteristiche modificate rispetto a quello semplice che esisterebbe in assenza del vento solare (fig. 7). Esiste un punto S, detto "di stagnazione" o "di arresto", che rappresenta il punto di massimo avvicinamento del vento solare alla Terra. Questo punto è tanto più prossimo alla Terra quanto più alta è la velocità del vento solare e la sua densità di particelle. Nel caso tipico di densità 4 particelle/cm3 e velocità di 500 km/sec, il punto di stagnazione si trova a una distanza pari a circa 10 volte il raggio della Terra, cioè a circa 60.000 km dalla superficie terrestre.

L'onda d'urto terrestre è un fenomeno che in condizioni di stazionarietà del flusso di vento solare è anch'esso stazionario, salvo la lenta variazione diurna determinata dalla variabile inclinazione del dipolo geomagnetico rispetto alla direzione del vento solare. La struttura dell'onda d'urto è individuabile come quella di uno shock senza collisioni; con ciò s'intende che nella regione dove essa si forma la densità di materia è così bassa da non aversi collisione tra le singole particelle (com'è invece il caso dei gas nelle normali condizioni). Ciò implica meccanismi d'interazione tra vento solare, gas ambiente e campo magnetico del tutto diversi da quelli dei gas ordinari e d'altra parte, come i dati di osservazione mostrano, assai efficaci. La formazione e le proprietà dell'onda d'urto vengono descritte in modo notevolmente soddisfacente in base alle equazioni della magnetofluidodinamica. Si trova che l'onda d'urto è quella che con termine tecnico si chiama "onda magnetosonica veloce" (magnetosonic fast wave), che il vento solare penetra attraverso la sua superficie per uno spessore che è di pochi raggi terrestri, di fronte al Sole, e che cresce progressivamente spostandosi verso la parte antisolare. Dal punto di vista matematico il problema è molto complesso, anche perché le equazioni che governano le equazioni caratteristiche dell'onda d'urto non sono lineari e ammettono quindi una grande varietà di situazioni possibili.

La superficie all'interno della quale il plasma solare non può penetrare è detta "magnetopausa"; questa superficie include ovviamente il punto di stagnazione. Tutta la regione, la cui estensione va da un minimo di 304 volte il raggio terrestre a molte decine di raggi terrestri, delimitata dalla magnetopausa internamente e dall'onda d'urto esternamente, si denomina regione di transizione. Man mano che ci si sposta all'indietro allontanandosi dalla Terra, l'interazione vento solare-campo diventa via via più labile, ma non per questo meno interessante. Riferendoci ancora alla fig. 7, si dà nome di coda geomagnetica a una regione lunga parecchie centinaia di raggi terrestri, nella quale il campo magnetico è sostanzialmente parallelo alla direzione di moto del vento solare, con un orientamento verso la Terra o via dalla Terra, a seconda che ci si trovi sopra o sotto un determinato piano coincidente col piano equatoriale terrestre, agli equinozi. Si riconosce dalle osservazioni fatte da vari veicoli spaziali che l'intensità del campo varia assai lentamente con la distanza dalla Terra ed è nulla in corrispondenza a una superficie più o meno piana detta superficie o piano neutro. Questa coda costituisce, in certo senso, una specie di analogo magnetico della coda delle comete. La regione delimitata esternamente dalla magnetopausa e internamente dalla superficie terrestre, denominata magnetosfera (v. oltre), è di straordinario interesse per la comprensione dei fenomeni fisici associati al moto di particelle cariche nel campo magnetico terrestre, all'aurora boreale e agli strati esterni della ionosfera. In questa regione sono localizzate le fasce di Van Allen.

b) Interazione con la Luna. Il tipo d'interazione con la Luna è molto diverso da quello con la Terra, in quanto la Luna è priva di apprezzabile campo magnetico: gli strumenti, portati sulla sua superficie nel corso delle missioni Apollo e, d'altra parte, le misure fatte da satelliti intorno a essa hanno permesso di valutare il campo magnetico lunare come parecchie migliaie di volte inferiore a quello della Terra. Tra l'altro non è nemmeno escluso che questo debolissimo campo superficiale sia dovuto a meteoriti giacenti in prossimità del luogo di misura. Quanto al vento solare, l'inesistenza di un'atmosfera fa sì che le sue particelle vadano a cadere direttamente sulla superficie lunare. Di conseguenza non si ha nulla di simile all'onda d'urto e alla magnetopausa terrestri; si ha solo, nella direzione opposta al Sole, la formazione di una zona priva di particelle, praticamente coincidente con la zona d'ombra della luce solare.

Il campo magnetico convogliato dal vento solare non subisce particolari modifiche per la presenza della Luna, come dimostra il campo osservato di fronte al Sole e nella zona d'ombra. Questa particolarità consente di attribuire un valore molto basso alla conducibilità elettrica del materiale costituente la Luna. Se la conducibilità fosse elevata si avrebbero infatti apprezzabili correnti elettriche indotte e, contrariamente a quanto le osservazioni dirette mostrano, risulterebbe modificata la configurazione del campo magnetico che permea il vento solare in prossimità della Luna.

c) Interazione con Venere e Marte. Anche in questo caso il campo magnetico proprio dei due pianeti è assai piccolo o addirittura nullo, come nel caso della Luna. Tuttavia l'interazione con il vento solare è di tipo ancora diverso, in quanto in ambedue i casi esiste un'atmosfera che, come quella terrestre, è ionizzata. Permeata dal variabile campo magnetico convogliato dal vento solare, la ionosfera di Venere e Marte diventa sede di correnti indotte le quali deformano il campo magnetico congelato nel vento solare in un modo che alla fine non è troppo dissimile da quanto avviene nel caso terrestre. Anche in questo caso infatti, nonostante la notevole diversità d'interazione, si viene a formare un'onda d'urto esterna e una superficie interna che ha una configurazione molto simile alla magnetopausa. Taluno ha proposto il nome di anemopausa, a significare che essa rappresenta la superficie in corrispondenza alla quale il vento solare cessa la sua penetrazione entro l'atmosfera planetaria.

d) Interazione con Giove. L'interazione del vento solare con Giove è sotto molti aspetti simile a quella con la Terra, nel senso che il pianeta possiede un campo magnetico abbastanza intenso da esercitare un'efficace azione di deviazione sulle particelle del vento solare e di schermo contro la loro penetrazione ravvicinata alla sua superficie. La distribuzione del campo magnetico intorno a Giove è di più difficile interpretazione che nel caso terrestre, in quanto esso è fortemente asimmetrico intorno all'asse geometrico del pianeta. La descrizione mediante un solo grosso magnete (o dipolo), come per il caso della Terra, è notevolmente inaccurata, per cui occorre tener conto di contributi aggiuntivi (termini di quadrupolo o di ottupolo). In ogni caso, ben differentemente dalla Terra, il dipolo è fortemente eccentrico: propriamente è spostato di circa un quinto del raggio planetario rispetto al centro di Giove. Il valore del campo magnetico alla superficie del pianeta è da 10 a 20 volte superiore a quello terrestre, è cioè dell'ordine di parecchi oersted e orientato in verso opposto a quello della Terra. Questa forte intensità del campo e, insieme, le enormi dimensioni geometriche di Giove (volume circa 1000 volte quello della Terra) fanno del pianeta stesso un grosso ostacolo sul cammino del vento solare e, comunque, rendono enorme la sua influenza su molti fenomeni dello spazio interplanetario. Per quanto riguarda il vento solare, le osservazioni dirette dovute, come quelle del campo, alle sonde americane Pioneer 10 e 11 (fig. 8A) mostrano l'esistenza di un'onda d'urto simile a quella terrestre a distanza generalmente poco maggiore di 100 raggi di Giove (circa 70 milioni di km). La situazione è riassunta nella fig. 8B dove vengono indicate varie regioni nelle quali si riscontrano regimi diversi per le particelle. All'interno della "magnetopausa" ci sono particelle intrappolate simili a quelle presenti nelle fasce di radiazione terrestre. Il fatto che la magnetopausa si trovi a distanze così grandi mostra l'esistenza di una notevole pressione di particelle dall'interno dell'atmosfera di Giove che si somma alla già notevole azione di contenimento del vento solare esercitata dal campo magnetico del pianeta. Si è anche trovato che a distanze più ravvicinate certe asimmetrie nella distribuzione delle particelle ricorrono con la stessa periodicità di circa dieci ore, che rappresenta il periodo di rotazione di Giove attorno al proprio asse. In una regione intermedia, circa 30 ÷ 50 raggi di Giove, le linee di forza del campo magnetico assumono una configurazione "allungata", che con ogni probabilità nella direzione antisolare dà origine a una lunghissima coda simile a quella della Terra. Un fatto di rilevante importanza è la scoperta che Giove agisce come sorgente di particelle relativistiche, in particolare elettroni di energia tra 3 e 30 MeV, che appaiono incanalate verso lo spazio interplanetario lungo le linee di forza del campo magnetico. Molti più dati di osservazione si aspettano da una missione (Jupiter-orbiter) attualmente in fase di definizione che prevede la messa in orbita intorno a Giove di satelliti artificiali.

e) Interazione con Mercurio. L'ambiente elettromagnetico che circonda Mercurio è particolarmente interessante per le sue piccole dimensioni, giusto all'estremo opposto di Giove. L'esplorazione è dovuta alla sonda Mariner 10, passata tre volte in prossimità del pianeta. È presente un campo magnetico più intenso del previsto, anche se circa 100 volte inferiore a quello terrestre alla superficie del pianeta. È stata rilevata la presenza di una cavità magnetica con punto di stagnazione a solo 0,5 raggi planetari. È pure ben evidente una coda magnetica e uno strato neutro, nella direzione opposta a quella del Sole. Le correnti elettriche che scorrono sulla magnetopausa e sul piano neutro sono abbastanza intense da perturbare la distribuzione del campo magnetico fino alla superficie stessa del pianeta. Questo porta a ritenere (e i dati di osservazione lo confermano) che non ci si debbano aspettare intorno a Mercurio regioni d'intrappolamento di particelle simili alle fasce di radiazione intorno alla Terra.

La magnetosfera terrestre. - Questa regione è rappresentata, non in scala per motivi di chiarezza, nella fig. 9, che mostra le diverse regioni che la compongono e la configurazione delle linee di forza del campo magnetico. Con riferimento a quest'ultimo s'individuano tre distinte regioni: una regione più interna nella quale le linee del campo sono tanto più prossime a quelle di un dipolo, quanto più esse sono vicine alla Terra; una seconda regione nella quale le linee vengono per così dire allungate e "stirate" in direzione opposta al Sole pur mantenendo la loro connessione con la superficie terrestre; una terza regione infine nella quale le linee sono per così dire aperte, allontanandosi fino a molte centinaia di volte il raggio terrestre a costituire, nei due semispazi a nord e a sud del piano equatoriale, i due "lobi" nord e sud della coda geomagnetica. Quanto alle particelle, si distinguono quattro regioni: la prima è una sottile regione di penetrazione delle particelle del vento solare, detta mantello, e una specie d'imbuto che si abbassa fino alla Terra a costituire le cosiddette "cuspidi" polari. Una seconda regione più vicina alla Terra, detta "strato di plasma", il cui piano di simmetria è quello che più sopra abbiamo chiamato piano neutro, costituisce una specie di riserva di particelle di elevata energia catturate al vento solare. In una terza regione, detta plasmasfera, permeata dalle linee di campo geomagnetico e prossima alla Terra, si accumulano particelle di origine ionosferica poco energetiche. Infine, nella quarta regione le linee del campo sono chiuse e le particelle sono decisamente più energetiche che nelle altre regioni di cui si è parlato: è questa la regione d'intrappolamento dove sono localizzate le fasce di radiazione o di Van Allen (v. oltre).

La dinamica del complesso sistema costituito dalla magnetosfera può essere orientativamente così delineata: un notevole flusso di particelle del vento solare tende a penetrare attraverso la coda geomagnetica e attraverso le cuspidi polari verso la ionosfera polare, come indicato in fig. 9. Nel mantello la velocità delle particelle è ridotta rispetto a quella del vento solare diventando sempre più piccola penetrando nello strato di plasma. Associato al moto nella direzione antisolare c'è un effetto di lenta deriva (con velocità di pochi km/sec) del plasma verso la parte centrale della coda geomagnetica ove si accumulano le particelle che vanno a costituire lo strato di plasma. Naturalmente, in condizioni non perturbate, l'accumulo di particelle non dura all'infinito in quanto s'instaura uno stato di equilibrio dinamico tra quelle convogliate verso lo strato di plasma e quelle perdute: in particolare un notevole flusso di perdita può essere individuato in particelle che, guidate dalle linee di campo magnetico nella parte della Terra opposta al Sole, vanno a precipitare verso la bassa atmosfera alle alte latitudini magnetiche dando così origine alle ben note manifestazioni aurorali. I dati di osservazione dànno, in realtà, buona evidenza di processi di accelerazione di particelle fino a energia di parecchi keV, che sono giusto nell'ordine di quelle attribuite alle particelle che dànno origine alle aurore polari.

Quanto alla plasmasfera, i dati di osservazione mostrano che l'energia tipica delle particelle è di vari ordini di grandezza inferiore che nello strato di plasma ed è appunto questa caratteristica che fa parlare di plasma "freddo". Il limite esterno della plasmasfera è ben individuato da una brusca variazione di densità di particelle: entrando nella plasmasfera si osserva un aumento di 10 ÷ 100 volte rispetto alla densità presente all'esterno. Le particelle della plasmasfera sono abbastanza legate alle linee di forza del campo geomagnetico da seguirne, nel loro insieme, la rotazione intorno all'asse terrestre: in altri termini esse "coruotano".

È importante osservare che la modificazione del campo magnetico terrestre, tanto più rilevante quanto più ci si allontana dalla superficie della Terra, implica l'esistenza di correnti elettriche (ovviamente associabili a movimenti di particelle cariche). Di primaria importanza sono il sistema di correnti distribuito sulla magnetopausa e quello sul piano neutro: il primo determina lo stato di separazione tra il campo magnetosferico e quello interplanetario convogliato dal vento solare; il secondo determina invece la configurazione tipica del campo nei due lobi settentrionale e meridionale della coda geomagnetica. Inoltre, l'elevata conducibilità elettrica lungo le linee del campo magnetico (in realtà particelle elettricamente cariche, in moto lungo tali linee, non incontrano ostacolo al moto, come è invece il caso di quelle in moto trasversalmente a esse) implica l'insorgere di correnti elettriche che collegano le varie regioni magnetosferiche alla ionosfera. Lo stesso sistema di correnti ionosferiche, da lunghi anni postulato per interpretare le variazioni temporali del campo geomagnetico, è connesso ai sistemi di correnti magnetosferiche in modo abbastanza complesso anche se intuitivamente del tutto plausibile.

Fasce di radiazione o di Van Allen. - S'indica con tale denominazione la parte interna della magnetosfera nella quale le linee di forza del campo geomagnetico sono chiuse e sono "intrappolate" particelle cariche di elevata energia, fino a varie decine di MeV.

La scoperta delle fasce di radiazione è avvenuta nel corso della prima missione scientifica americana su satellite, montata sul satellite Explorer I. In realtà, l'esperimento realizzato da J. A. Van Allen (da ciò il nome di fasce di Van Allen) si proponeva di studiare l'andamento con la quota della radiazione cosmica mediante un contatore di Geiger. L'esperimento era in grado di misurare fino a 200 ÷ 300 particelle per cm2 e per secondo, più che sufficiente per i flussi previsti, che erano notevolmente più piccoli. Al contrario, il risultato dell'esperimento fu che il conteggio saliva progressivamente fino a un massimo e poi, crescendo ulteriormente la quota, calava fino ad annullarsi. Dopo alcune incertezze iniziali, l'interpretazione, poi rivelatasi corretta, fu che le particelle incidenti sul contatore diventavano così numerose da modificarne sostanzialmente il funzionamento: il contatore non era più capace, per l'affollamento, di "contare" le particelle! Successivi esperimenti concepiti per rivelare flussi molto più intensi, hanno confermato definitivamente il grosso aumento di conteggio e hanno soprattutto permesso di stabilire la configurazione di una vasta regione circostante la Terra fino a distanze di qualche decina di migliaia di km: nella parte più vicina alla Terra sono presenti in gran numero protoni di energia fino a qualche decina di Mev, mentre nella parte più lontana sono presenti con grandi intensità elettroni di energia fino a qualche MeV. Le caratteristiche fisiche dei flussi misurati risultano organizzate nel modo più semplice e naturale facendo riferimento al campo magnetico terrestre: per es. la distribuzione delle intensità misurate da un determinato rivelatore nei vari punti di un piano meridiano geografico, contenente cioè l'asse di rotazione geografica della Terra, non è esattamente la stessa su piani meridiani diversi. In altre parole non c'è simmetria circolare attorno all'asse terrestre. Se invece le distribuzioni vengono riferite ai piani meridiani magnetici, definiti intormo all'asse di simmetria del campo magnetico terrestre, allora esse diventano sostanzialmente simmetriche.

Il primo sistematico studio della regione di confinamento delle particelle energetiche si ebbe con la missione della sonda Pioneer 3, la quale, lanciata per giungere alla Luna, entrò in orbita molto eccentrica intorno alla Terra. La fig. 10 mostra un sommario delle misure, con indicazione delle due zone di massimo conteggio che Van Allen indicò con la denominazione di fascia interna e fascia esterna.

In realtà è oggi del tutto chiaro che i due massimi vanno attribuiti a protoni penetranti, di energia di parecchie decine di MeV e oltre, quello più interno, e a elettroni penetranti, di energia dell'ordine dei MeV, quello più esterno.

In altri termini, la diversa distribuzione in energia delle particelle in punti diversi e le caratteristiche di risposta del rivelatore usato ai vari tipi di particella possono dare risultati non immediatamente correlati alla reale struttura fisica.

La scoperta delle fasce di radiazione ha posto numerosi problemi, in particolare: le traiettorie delle particelle intrappolate; lo spettro energetico; i processi di origine e di scomparsa; il collegamento ad altri fenomeni.

Il problema delle traiettorie ha le sue lontane origini nei calcoli elaborati dal fisico svedese C. Störmer che studiò in modo sistematico agl'inizi del nostro secolo il moto di particelle cariche in presenza di un campo magnetico di dipolo, come quello magnetico terrestre. Un fatto molto importante da lui matematicamente riscontrato fu quello dell'esistenza di certe particolari zone intorno alla Terra nelle quali particelle di una determinata energia non potevano penetrare dall'esterno o, viceversa, dalle quali non potevano uscire nel caso esse ne fossero già all'interno. In altre parole, particelle di quella determinata energia interne alle zone che Störmer chiamò "proibite" erano "intrappolate".

Quanto alla forma effettiva delle traiettorie lo studio è estremamente complicato e sono stati assai utili metodi approssimati. Le particelle intrappolate sono soggette sostanzialmente a tre tipi di movimenti (fig. 11) che si sovrappongono tra loro: a) un moto di rotazione intorno alle linee di forza del campo magnetico; b) un moto di va e vieni lungo le linee di forza; c) un moto di deriva trasversale alle linee stesse, intorno all'asse di simmetria del campo magnetico terrestre. Il primo tipo di moto è la ben nota precessione di Larmor. Il moto lungo le linee del campo avviene con una velocità longitudinale che diminuisce progressivamente man mano che la particella si avvicina alla Terra, in punti cioè dove il campo magnetico cresce d'intensità, fino ad annullarsi in un punto ben definito. Al contempo la traiettoria si restringe sempre più intorno alle linee stesse. Il terzo tipo di moto determina un progressivo spostamento della traiettoria intorno all'asse del dipolo. Il movimento più veloce è quello di tipo a); segue poi, meno veloce, quello di tipo b); più lento ancora il moto di deriva c). A titolo di esempio il periodo corrispondente a un'intera oscillazione o a un giro intorno alla Terra, è rispettivamente nei tre casi: parecchi μsec, 0,1 sec e 1 ora, per elettroni di 1 MeV; 4 • 10-3 sec, 2 sec e 1/2 ora, per protoni di energia sempre di un MeV, al centro della fascia interna.

I due punti estremi M1, M2 su una linea di forza, tra i quali oscillano le particelle intrappolate, hanno il nome di punti di riflessione (mirror points); è in prossimità di questi punti che le particelle possono sfuggire all'intrappolamento, in quanto essendo più vicine alla Terra ove più densa è l'atmosfera (anche se sempre molto tenue) più alta risulta la probabilità d'interazione con le particelle atmosferiche.

Quanto alle caratteristiche energetiche delle particelle intrappolate, esse sono espresse dallo spettro energetico. Se s'indica con E l'energia cinetica delle particelle, si definisce "funzione di distribuzione" dell'energia f(E) il rapporto ΔΝ/ΔΕ tra il numero ΔΝ di particelle, aventi energia cinetica compresa tra i valori E ed E + ΔE, e l'intervallo ΔE di energia (nell'ipotesi che ΔΕ sia sufficientemente piccolo). In molti casi la funzione f(E) assume la forma kE, dove a è un numero positivo avente valori dell'ordine di 1 e k è una costante di proporzionalità. Il valore di a può essere esso stesso dipendente dall'energia. La costante k dipende dalle caratteristiche geometriche del rivelatore, oltre che, ovviamente, dal luogo e dalle condizioni di osservazione. In certi casi, o luoghi, la funzione f(E) è assai più complicata di quanto sia la semplice funzione E, potendo anche presentare massimi e minimi relativi.

In linea generale, si può dire che la densità delle particelle diventa via via più piccola al crescere della loro energia, che la densità di protoni energetici decresce al crescere della distanza dalla Terra, mentre invece quella degli elettroni cresce fino a un massimo conseguito intorno a due raggi terrestri di distanza sull'equatore.

Sorgenti e processi di scomparsa. - Molti e differenti meccanismi di origine delle particelle intrappolate sono stati proposti.

Accenniamo ai cosiddetti neutroni di albedo, che sono protoni prodotti dall'interazione di raggi cosmici con particelle neutre atmosferiche a bassa quota; parte di questi neutroni viene emessa verso l'alto e nel tempo di qualche decina di minuti si disintegra dando origine a protoni energetici ed elettroni che restano poi intrappolati. Altro processo di cui si è fatto cenno più sopra è la diffusione di particelle cariche, che, pur vincolate nei loro movimenti dal campo magnetico terrestre, lentamente possono spostarsi da una regione della magnetosfera a un'altra, appunto la regione d'intrappolamento. Alla diffusione si accompagna una variazione di energia cinetica, a volte positiva e a volte negativa. Che si tratti di aumento, cioè di accelerazione di particelle o di diminuizione, cioè di decelerazione, dipende dal dettaglio del meccanismo.

Quanto alla perdita di particelle intrappolate, una causa importante è l'assorbimento per urto con particelle neutre dell'atmosfera, come si è sopra accennato. Ma ci sono altri meccanismi connessi all'interazione con le stesse particelle cariche, con campi elettrici o magnetici variabili, fenomeni d'instabilità, ecc.

Da quanto si è detto risulta chiaro che le fasce di radiazione costituiscono il risultante di svariati meccanismi competitivi, per cui le loro condizioni fisiche sono determinate da una sorta di equilibrio dinamico, che può essere anche sostanzialmente modificato per effetto di variazioni di uno o più dei fattori che lo regolano.

Molto espressivamente Van Allen ha introdotto l'analogia del secchio "bucato": le fasce si comportano come un secchio che raccoglie l'acqua che in esso viene convogliata, perdendola attraverso dei buchi.

Motivi di brusche variazioni dei fattori di equilibrio, possono essere brusche variazioni del campo magnetico ambiente, quali, per es., quelle associate alle tempeste magnetiche; oppure brusche variazioni delle proprietà, per es. di velocità, del vento solare che incide sulla magnetosfera alterando la struttura del campo magnetico; oppure ancora fenomeni elettromagnetici quali quelli associati ai fenomeni aurorali tipici delle alte latitudini. Un motivo tutto speciale di perturbazione a lungo termine delle fasce di radiazione sono state le esplosioni nucleari in alta quota, sia americane (Starfish) sia russe nell'estate-autunno 1962. Il risultato delle esplosioni è stato quello di produrre gran numero di particelle cariche ad alta quota (400 km nel caso Starfish) le quali si sono sovrapposte a quelle preesistenti di origine naturale. In particolari posizioni i flussi aggiuntivi sono di gran lunga maggiori di quelli preesistenti. Data la lunga vita media di alcuni dei prodotti delle esplosioni nucleari, le cosidette fasce artificiali hanno prodotto un "inquinamento" che è durato anni e non è ancora completamente estinto.

Il vento solare in condizioni perturbate. - Quanto si è detto sopra descrive in linea generale le principali caratteristiche del vento solare in condizioni di "quiete". Tuttavia i dati di osservazione mostrano chiaramente che sovrapposte a uno stato medio che è quello sopra descritto si osserva una continua, incessante successione di variazioni che in parte sono da attribuire a effettive variazioni temporali e in parte, invece, alle irregolarità spaziali che gli strumenti osservano a tempi diversi in quanto esse sono trascinate "rigidamente" dal vento solare che istante per istante incide sugli strumenti stessi ad alta velocità (si noti che la velocità assoluta con cui i veicoli spaziali si muovono nello spazio è di qualche km/sec, cioè di circa due ordini di grandezza inferiore a quella del vento solare). Sono così osservabili discontinuità di vario genere che si è riusciti a classificare in varie categorie teoricamente prevedibili (discontìnuità tangenziali, rotazionali, onde d'urto), onde di vario genere (in particolare onde di Alfvén). Ci soffermiamo qui brevemente sul fenomeno più vistoso, quello delle onde d'urto o shock inteplanetari, molto spesso chiaramente associabili a brillamenti solari.

Quando uno di questi eventi si verifica, si ha, generalmente un forte aumento di temperatura che determina in prossimità del Sole una brusca onda di pressione a carattere esplosivo che si propaga con velocità elevata (500 ÷ 1500 km/sec) attraverso il gas coronale. Tale onda è supersonica, in quanto la velocità del suono nella corona è nell'ordine dei 100 km/sec. Si ha così un'onda d'urto che si propaga nello spazio. Una descrizione teorica del fenomeno, per primo formulata da E. Parker e quindi ulteriormente elaborata e generalizzata, porta a prevedere l'evoluzione dell'onda durante la sua propagazione verso, e oltre, la Terra. Sotto ipotesi altamente idealizzate, in particolare la simmetria sferica intorno al Sole, si ottengono configurazioni di campo magnetico quali quelle indicate in fig. 12: a seconda dei casi la deformazione può esibire una o due superfici di discontinuità del campo. In un diverso modello dovuto a T. Gold si pensa a configurazioni di linee del campo magnetico, emesse a mo' di lingue dal Sole, le quali finiscono con investire la Terra. Le due vedute qui espresse sono con ogni probabilità casi estremi di una situazione molto complessa che appunto per questo non è descrivibile in modo matematico semplice. In realtà i dati osservativi confermano nettamente l'esistenza di onde d'urto.

All'arrivo di onde d'urto di questo tipo è attribuibile, almeno in gran parte, l'origine delle tempeste magnetiche, in conseguenza dell'interazione che esse subiscono con il campo magnetico terrestre ai limiti esterni della magnetosfera. Può così accadere che questa venga compressa più di quanto non lo sia normalmente, il che equivale a dire che l'intensità del campo magnetico magnetosferico, e più in particolare alla superficie terrestre, risulta notevolmente accresciuta. I collaterali effetti indotti nelle fasce di radiazione portano a ulteriori complicate variazioni di campo che si possono osservare nel tempo che segue la fase iniziale di compressione.

La magnetosfera in condizioni perturbate. - Lo stato fisico della magnetosfera, descritto prima, è quello che ne individua in linea generale le condizioni di "quiete". Ma nella realtà le continue variazioni di velocità, densità, campo magnetico, ecc., a volte più intense e vistose ma sempre presenti, del vento solare determinano un incessante stato di variabilità all'interno della magnetosfera: e ciò fa variare il flusso incidente di particelle, di energia nonché di quantità di moto. D'altra parte anche il campo magnetico congelato nel vento solare interagisce con quello terrestre. Si hanno condizioni fisiche molto complesse, che solo nelle linee generali e da poco tempo cominciano a essere individuate. Accade a volte che si addivenga a una situazione di forte instabilità globale della magnetosfera, che può generare la cosiddetta sotto-tempesta magnetosferica (magnetospheric substorm).

Una descrizione delle linee generali delle sottotempeste si può dare facendo riferimento alla fig. 13, che mostra una sezione della magnetosfera secondo i meridiani di mezzogiorno e di mezzanotte. Allorché il campo magnetico interplanetario nelle sue continue fluttuazioni di verso (e d'intensità) acquisisce un'orientazione nel senso nord-sud celeste, cioè in senso opposto al campo magnetico terrestre, si ha un fenomeno di "riconnessione" delle linee di forza, cioè una vera e propria riconfigurazione della distribuzione del campo magnetico in tutta la regione d'interazione. Ne consegue la comparsa di una vera e propria connessione tra campo magnetico esternamente e internamente alla magnetosfera, in corrispondenza della magnetopausa: il campo magnetico è discontinuo e la sua componente perpendicolare alla magnetopausa viene a costituire un canale di penetrazione delle particelle del vento solare nel mantello che tende così a diventare più spesso. Inoltre, si ha un vero e proprio trasporto convettivo di linee di forza geomagnetiche dal lato di giorno verso la coda geomagnetica. Crescono di conseguenza la densità (e quindi la pressione dinamica) di particelle nella coda nonché la corrente elettrica nello strato neutro e il campo magnetico della coda. Questo processo resta attivo finché il campo magnetico del vento solare è orientato verso sud. Si perviene allora, quando il fenomeno duri per tempi superiori a qualche decina di minuti, a una situazione limite al di là della quale la coda geomagnetica non sopporta, per così dire, ulteriori aumenti di densità e di campo. A questo punto le condizioni sono instabili ed è facile la comparsa di un processo che riporta a una condizione di maggiore stabilità: compare una linea sul piano neutro (linea neutra) in corrispondenza alla quale il campo magnetico dei lobi nord e sud tende a riconnettersi bruscamente, l'energia accumulata sotto forma di energia magnetica tende a liberarsi velocemente, nello spazio di 10 ÷ 20 minuti, convertendosi in energia cinetica del plasma che precipita velocemente verso le calotte polari.

In termini diversi, si ha una veloce contrazione delle linee di forza magnetiche verso la Terra e, in modo simile a quanto avviene per un contagocce strizzato, una parte delle particelle cariche immerse nel campo vengono accelerate (ed espulse) lungo le linee di minore resistenza, cioè lungo le linee del campo, verso le calotte polari, il che dà origine alla manifestazione aurorale. Le fasce di radiazione risentono anch'esse di questo stato di perturbazione, come risulta dall'osservazione di brusche variazioni delle loro caratteristiche fisiche (spettro energetico e densità delle particelle intrappolate, campo magnetico, ecc.).

Lo sviluppo della ricerca spaziale negli anni futuri. - Tra i programmi in atto ricordiamo quello che va sotto il nome di "collaborazione magnetosferica internazionale" che è un programma di ricerche coordinato su scala mondiale per lo studio della magnetosfera, considerata come un unico immenso sistema costituito da regioni mutuamente correlate. Tale programma prevede una serie di lanci di satelliti, razzi, e palloni d'alta quota nonché un'estesa serie di osservazioni sulla superficie terrestre per gli anni 1976-79. L'Italia partecipa a questa grossa impresa internazionale con vari esperimenti su veicoli spaziali nonché con una rete di osservazioni al suolo.

Per quanto riguarda lo studio del vento solare nello spazio interplanetario sono in fase di avanzata definizione missioni fuori del piano dell'eclittica che non sono state finora possibili per le limitazioni di potenza anche dei più grossi vettori finora realizzati. È in avanzata fase un progetto che prevede un lancio di una o forse due sonde verso Giove, con modalità tali di orbita da far sì che la deviazione introdotta dall'azione gravitazionale di Giove permetta una radicale modifica dell'orbita che diventerà essenzialmente polare intorno al Sole. Una missione di questo tipo, con un lancio prevedibile nei primi anni Ottanta, permetterà per la prima volta uno studio "stereoscopico" del Sole, cioè al di fuori dell'eclittica.

Sono pure in corso di preparazione, o di discussione, missioni verso i pianeti lontani (Saturno e oltre), nonché verso alcune comete. Il passaggio alla fase di realizzazione e i primi risultati significativi possono aspettarsi verso il 1980-90. Occorre tra l'altro tenere conto dei lunghi tempi necessari alle sonde lanciate dalla Terra per raggiungere il loro obiettivo planetario (già nel caso di Giove occorrono circa due anni!).

All'altro estremo nella scala delle distanze dal Sole sono in orbita rispettivamente dal dicembre 1974 e dal gennaio 1976 due sonde Helios 1 e Helios 2, che hanno un perielio molto ravvicinato, di circa 0,3 unità astronomiche, e sulle quali è montato un esperimento in collaborazione tra Italia e Stati Uniti. Ma si prevede un'ulteriore e più complessa missione per la quale è in corso lo studio di definizione: quella di una sonda solare che penetri fino a distanze eliocentriche di pochi raggi solari, cioè proprio nella regione dove sono attivi i meccanismi di accelerazione e di emissione del vento solare.

Bibl.: E. N. Parker, Interplanetary dynamical processes, New York e Londra 1958; W. N. Hess, The radiation belt and magnetosphere, Waltham, Mass., 1968; J. G. Roederer, Dynamics of geomagnetically trapped radiation, Berlino e Heidelberg 1970; J. C. Brandt, Introduction to solar wind, S. Francisco 1970; A. J. Hundhausen, Coronal expansion and solar wind, Berlino e Heidelberg 1972. Riviste (annate dal 1960 in poi): Journal of geophysical research; Science; Solar physics; space science reviews; Geomagnetism and aeronomy (trad. inglese dall'omonima rivista russa).