Fisica medica

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Fisica medica

Ida Ortalli

(App. V, ii, p. 252)

Per f. m. si intende la 'fisica applicata alla medicina', e precisamente la disciplina che sviluppa la ricerca e la didattica in connessione con i problemi della salute dell'uomo, avvalendosi dei principi e dei metodi propri della fisica, implicitamente instaurando la base per un linguaggio comune a fisici e medici. Infatti i 'fisici medici' sono coinvolti in molti aspetti del programma 'Controllo di qualità' per la cura della salute, in quanto esperti nel precisare i parametri fisici essenziali per tale programma. Questo fatto risulta evidente, per es., nella radioterapia, dove la precisione della dose, alla cui definizione concorrono entrambe le competenze, è importante dal punto di vista sia tecnico che clinico. Da ricordare anche l'uso della comunicazione mobile (telefoni cellulari), che ha sollevato il problema delle interazioni delle radiazioni elettromagnetiche con l'organismo umano e, in particolare, con il cervello, aprendo nuovi settori di indagine. Gli effetti sulla salute dei campi elettromagnetici nella gamma di frequenze estremamente basse (ELF, Extremely Low Frequency) costituiscono un argomento controverso in relazione al potenziale effetto cancerogeno di questi campi. Finora non vi sono evidenze epidemiologiche per gli effetti cancerogeni dei campi ELF. I maggiori progressi in f. m. negli anni Novanta sono stati realizzati nella radioterapia e nella produzione di immagini. Le tecniche di radioterapia sono state trattate in particolare nella voce radiologia medica (App. IV, iii, p. 139; V, iv, p. 392). Per lo sviluppo delle tecniche ecografiche si veda nell'App. V la voce ecografia (ii, p. 7) e, per il loro impiego in cardiologia, v. cardiologia (i, p. 504), ripresa anche in questa Appendice. Per quanto riguarda gli organi artificiali, l'analisi dei segnali, gli elaboratori per la diagnostica, la robotica, gli equipaggiamenti per la riabilitazione, si rinvia a bioingegneria nell'App. V (i, p. 375) e a ingegneria biomedica, in questa Appendice. Per quanto riguarda infine i biomateriali, in questa sede vengono messi in luce gli aspetti medici delle applicazioni, mentre per le caratteristiche tecniche si rinvia ancora a ingegneria biomedica, in particolare al sottolemma Bioingegneria, in questa Appendice. *

Inquadramento generale

di Ida Ortalli

Radioterapia antitumorale

Scopo di questa radioterapia è non solo distruggere le cellule tumorali, ma avere anche il controllo locale del tumore irradiato. Per incrementare la probabilità di conseguire tale risultato, senza contemporaneamente aumentare il rischio di produrre danni ai tessuti sani, occorre aumentare la selettività dell'irradiazione e dell'effetto biologico della radiazione sulle cellule tumorali rispetto a quelle normali.

La radioterapia convenzionale, utilizzata nel trattamento delle neoplasie (⁶⁰Co ecc.), impiega radiazioni ionizzanti di elevata energia (∼1MeV) e in dosi massicce (anche 100 Gy). La somministrazione al paziente di dosi così elevate è resa necessaria dal fatto che solo una piccola frazione della radiazione totale è in grado di produrre danni letali alle cellule tumorali, e quindi, per l'efficacia terapeutica, occorre disporre di un fascio di grande intensità.

In alcuni paesi (USA, Russia, Canada, Svizzera) sono in atto terapie sperimentali (adroterapia) che fanno uso di acceleratori di protoni e di altre particelle 'adroniche', cioè particelle pesanti (neutroni, protoni e nuclei) prodotte da macchine acceleratrici tipo sincrotrone (v. acceleratore: Acceleratori per applicazioni mediche, in questa Appendice). La radiazione usata è formata da fasci di protoni (o neutroni) con energia fino a 250 MeV, che dovrebbero permettere un'alta selettività dal punto di vista fisico, o da fasci di ioni positivi da 400÷500MeV, che dovrebbero presentare un'alta selettività sia fisica che radiobiologica. Il vantaggio principale di questo tipo di radioterapia, oltre a ottenere una distribuzione di dose più favorevole, dovrebbe consistere nella possibilità di aumentare la dose di radiazione al tumore senza aumentare quella ai tessuti sani o agli organi vicini. La situazione a livello mondiale dell'adroterapia non è del tutto definita. I risultati finora ottenuti dimostrano che essa presenta un vantaggio clinico rispetto alla terapia convenzionale, soprattutto nel caso dei tumori dell'occhio (melanomi uveali, retinoblastomi), ma trova applicazione anche nei condrosarcomi della base cranica, nelle malformazioni artero-venose, nei tumori della parotide e nei craniofaringiomi.

Esistono altre tecniche che si propongono di inattivare le cellule tumorali mediante l'azione combinata di opportune sostanze 'sensibilizzanti' con radiazioni di bassa energia. Questo tipo di approccio ha avuto anche recentemente un intenso sviluppo, pur non essendo nuovo nelle sue idee di base.

Infatti, già nel 1903 A. Jesoniek e H. Tappenier fecero un tentativo di trattamento antitumorale marcando colture cellulari con agenti sensibili alla luce visibile e, poi, irradiandole con quest'ultima. I risultati furono positivi, ma i tempi non erano, per così dire, maturi, sicché queste ricerche non ebbero seguito. Solo negli anni Settanta queste idee vennero accolte e si verificò, fino agli anni Novanta, una vera e propria esplosione di interesse per i trattamenti basati sulla terapia fotodinamica dei tumori (PDT, Photo-dynamic-therapy). Tuttavia tali terapie, per quanto efficaci, sono circoscritte al trattamento di tumori superficiali o alle cavità. Le sperimentazioni sono proseguite pertanto anche in altre direzioni.

Infine, sia la radioterapia di fotoattivazione (PAT, Photon Activation Therapy) utilizzata per la distruzione delle cellule tumorali, sia la determinazione della distribuzione del calcio nelle ossa mediante densitometria digitale (MOC, Mineralometria Ossea Computerizzata), sono tecniche che stanno suscitando nel mondo interesse crescente.

Un progetto degli anni Novanta è l'irraggiamento di cellule tumorali utilizzando una tecnica di tipo non convenzionale, cioè la risonanza Mössbauer. L'idea centrale è quella di produrre, tramite effetto Mössbauer, elettroni secondari nei punti vitali delle cellule tumorali e quindi sfruttare la ionizzazione locale per distruggere le cellule stesse.

La radiazione gamma Mössbauer si comporta come la luce nella fotoinattivazione. In quest'ultima la luce, assorbita da opportune molecole sensibilizzanti, induce la formazione di composti secondari fortemente reattivi. La radiazione gamma Mössbauer viene invece assorbita da opportuni isotopi (isotopi Mössbauer), che sono già presenti o che vengono introdotti. L'energia del fascio gamma rilasciata alla materia andrà a depositarsi per la maggior parte nella regione in cui sono presenti detti isotopi, e in grande quantità verrà restituita sotto forma di elettroni secondari. Se tale regione è costituita da un tessuto tumorale, il meccanismo descritto diventa un metodo per produrre una distruzione selettiva dei tessuti tumorali.

Produzione di immagini

La tomografia assiale computerizzata (TAC o più propriamente TC) e le successive generazioni di scanner-TC hanno rivoluzionato non solo la radiodiagnostica, ma anche l'andamento clinico dei pazienti.

Una tomografia all'avanguardia per le immagini funzionali del cervello è la tomografia a emissione di positroni (PET, Positron Emission Tomography). Per es., seguendo la somministrazione di radiofarmaci, la PET fornisce una visualizzazione del metabolismo del glucosio e dell'ossigeno nelle regioni del cervello. L'avanzamento delle conoscenze sulla demenza è stato possibile grazie a studi di questo tipo. La PET aiuta anche lo studio dei processi associati all'epilessia, ai tumori al cervello e alla malattia di Parkinson. Inoltre, combinando la PET con l'elettroencefalografia e la magnetoencefalografia, si possono comprendere anche le complesse interazioni fra le attività metaboliche ed elettriche del cervello. La PET trova, inoltre, largo impiego in campo cardiologico, dove consente di studiare la perfusione e il metabolismo miocardico.

La tomografia computerizzata di emissione a singolo fotone (SPECT, Single Photon Emission Computerized Tomography) è un modo meno costoso e meno complesso per studiare i fenomeni di perfusione nel cervello e l'alterazione dei vasi sanguigni responsabile, in certe condizioni, dell'epilessia e dei tumori al cervello. Le tecniche, come le immagini di risonanza magnetica nucleare (NMR, Nuclear Magnetic Resonance, o MRI, Magnetic Resonance Imaging), rivelano dettagliate informazioni anatomiche specialmente del cervello, in modo particolare quando vengono usate immagini 'eco planari'. Recentemente si sono rese disponibili anche immagini di risonanza magnetica nucleare 'funzionale' (FMRI, Functional Magnetic Resonance Imaging). La capacità della FMRI di dare informazioni su variazioni locali minime del flusso del sangue cerebrale e di altri parametri sensibili all'attività del cervello ha aperto importanti campi di ricerca su diversi problemi quali la costruzione della mappa della parte laterale del cervello relativa alla parola, al linguaggio, alla percezione del dolore, all'evoluzione dell'epilessia e dell'apoplessia.

L'angiografia mediante risonanza magnetica (MRA, Magnetic Resonance Angiography) sta subentrando all'angiografia arteriosa come mezzo per fornire l'immagine dei vasi sanguigni del cervello e di altri distretti corporei (aorta, circolo periferico).

La spettroscopia di risonanza magnetica (MRS, Magnetic Resonance Spectroscopy) fornisce invece utili informazioni sui fenomeni che stanno alla base di importanti malattie. Per es., nel caso di traumi o di determinate patologie, dà informazioni sui meccanismi delle alterazioni nella composizione chimica e nei livelli di energia delle diverse regioni cerebrali. Recentemente la MRS imaging è stata usata con successo per individuare i tumori del cervello. Tuttavia, a parte gli alti costi, le tecniche di MRI continuano a presentare una serie di problemi che dovranno essere risolti.

A queste tecniche si aggiunge l'uso della radiazione di sincrotrone, che offre possibilità uniche per applicazioni di immagini; essa consente infatti di adottare tecniche innovative in un ampio intervallo di applicazioni in campo biomedico. In particolare, sono stati ottenuti risultati estremamente promettenti utilizzando sorgenti di radiazione nel campo delle ricerche di base a uso clinico, come nel caso dell'angiografia a sottrazione digitale (DSA, Digital Subtraction Angiography), della mammografia, della radioterapia e della diagnosi precoce di distribuzioni anomale del calcio nelle ossa.

L'angiografia coronarica con radiazione di sincrotrone fa uso di due righe dello spettro della radiazione, una prima e una dopo la soglia di assorbimento dello iodio, ottenendo per sottrazione immagini prive di artefatti e a elevato contrasto del settore coronarico.

La mammografia fa uso invece di un'intensa riga di energia compresa tra 17 e 20 keV ottimizzabile in funzione delle caratteristiche del tessuto mammario in esame. I risultati finora ottenuti mostrano immagini ad alto contrasto, in grado di evidenziare noduli densi di dimensioni minori di quelle osservabili usando sorgenti convenzionali. La radiazione di sincrotrone è quindi la candidata più promettente per la diagnosi precoce dei tumori mammari.

Altra tecnica molto utilizzata e che diviene sempre più raffinata è la tecnica ecografica Doppler con ultrasuoni. Quando gli ultrasuoni sono riflessi o diffusi da un corpo fermo, la frequenza degli ultrasuoni ricevuti è uguale a quella degli ultrasuoni incidenti. Se il corpo che riflette o diffonde si muove con una componente non nulla della velocità nella direzione di propagazione degli ultrasuoni, viene ricevuta una frequenza modificata per effetto Doppler che può essere rilevata dalla stessa sonda emettente gli ultrasuoni. Tali tecniche servono, per es., per lo studio del flusso sanguigno e per la rivelazione dei movimenti del cuore fetale.

Infine, la più comune applicazione della tecnica Doppler è il doppio-scanner. In questo strumento, due immagini bidimensionali acquisite in tempo reale vengono utilizzate per una visione tridimensionale che può essere utilizzata, per es., per rilevare l'andamento di un vaso all'interno dell'addome. Un altro importante campo di applicazione di questa tecnica è quello della cardiologia vascolare.

Biomateriali

Per biomateriale si intende una sostanza di origine sintetica o naturale, capace di integrare, sviluppare o sostituire un qualunque tessuto duro o molle dell'organismo umano. I biomateriali, o una loro combinazione, costituiscono, quindi, gli elementi base per dispositivi biomedicali più complessi o protesi che possono sostituire o completare le funzioni di un intero organo.

La biocompatibilità è l'elemento determinante affinché un materiale venga classificato come biomateriale, ed è da questo punto di vista che risulta necessario valutare attentamente le possibili conseguenze, di tipo chimico e biologico, che l'impianto di una protesi o di un dispositivo biomedicale può produrre in un sistema biologico. L'aspetto chimico può riguardare i processi di corrosione e di rilascio ionico a cui le leghe metalliche possono andare incontro dopo lunghi tempi di permanenza in tessuti biologici, oppure il rilascio di componenti da parte di protesi polimeriche.

Un esempio di questo processo è il rilascio di rame da parte di un dispositivo contraccettivo intrauterino (IUD, Intrauterine Device), costituito da un filo di rame ultrapuro avvolto su una struttura polimerica opportunamente sagomata. Nella fase iniziale si ha un forte rilascio di rame (∼60μg/giorno), che poi diminuisce esponenzialmente a circa 8μg/giorno dopo circa due anni di impianto. In questo caso si ha un'evidente correlazione tra l'effetto contraccettivo voluto e il rilascio di rame nell'utero. Nel caso di protesi metalliche si cerca invece di ridurre l'effetto di rilascio del metallo nel tessuto circostante che però, anche se minimo, presenta lo stesso tipo di evoluzione temporale, giacché solitamente un processo di calcificazione tende a isolare la protesi.

Altrettanto importante è la risposta di tipo biologico del sistema ricevente. Infatti, in tempi relativamente brevi si può instaurare un processo infiammatorio acuto dovuto al trauma meccanico con conseguente vascolarizzazione dei tessuti adiacenti che ricevono il materiale estraneo. Si può anche instaurare un processo infiammatorio di tipo cronico, che generalmente porta a una trasformazione funzionale dei tessuti interessati. Infine, il meccanismo di riparazione, con crescita cellulare o calcificazione in tempi lunghi, tende a stabilizzare o a rigettare il corpo estraneo.

Queste risposte diventano sempre più importanti se si pensa all'attuale tendenza a sviluppare materiali attivi che, una volta impiantati, si evolvono in modo da costituire un'interfaccia biomateriale-tessuto estremamente compatta. Alcuni materiali da impianto, per es., formano legami chimici stabili con i tessuti circostanti e rendono più stabile la protesi; altri vengono in una prima fase degradati e poi, quando hanno esaurito il compito per cui erano stati originariamente destinati, vengono assorbiti.

bibliografia

Per la documentazione si è fatto riferimento ai Proceedings Ninth International Conference on Biomedical Engineering, 3-6 December 1997, Singapore 1997.

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