FINANZA

Enciclopedia Italiana (1932)

FINANZA (da finis usato nel basso latino, come il gr. τέλος, nel significato di "pagamento", attraverso il fr. finer "definire pagando" [un conto]; fr. e ingl. finances; sp. finanza; ted. Finanzen)

Alberto DE STEFANI
Mauro FASIANI
Federico FLORA
Giovanni Battista FASOLIS

Finanza, in senso lato, può dirsi il modo in cui lo stato-nazione utilizza la propria potenza di lavoro umana e strumentale. Potenza di lavoro che può essere utilizzata in combinazioni umane-strumentali, individuali o famigliari o associative o collettive. Nel primo caso la destinazione e il buon governo della potenza di lavoro è il prodotto della volontà individuale autonoma di chi dispone di questa potenza umana e strumentale che è riconosciuta di suo libero uso dall'ordine giuridico. Negli altri casi la potenza di lavoro è utilizzata da chi ne dispone per averne acquistato il diritto d'uso o per delegazione o per rapporto gerarchico. Il caso dell'utilizzazione delegata della potenza di lavoro è preponderante sul caso dell'utilizzazione autonoma individuale. Nel fatto la potenza di lavoro dello stato-nazione nel suo ripartirsi e nel suo utilizzarsi dipende da un numero relativamente limitato di persone che ne usano per diritto nascente da contratto, da successione, da leggi, da consuetudini gerarchiche.

Quando il potere politico si sostituisce all'arbitrio individuale o privato nel decidere il modo in cui deve essere utilizzata una parte della potenza di lavoro umana e strumentale dello stato-nazione si ha il fenomeno finanziario in senso stretto. In questo caso la sostituzione non dipende dalla volontà del delegante, ma dall'impero della legge e si dice pertanto coattiva.

Si possono dunque immaginare due posizioni-limite: quella in cui nessuna quota della potenza di lavoro d'una popolazione sia investita coattivamente per decreto dell'autorità politica e quella in cui tale potenza di lavoro sia tutta investita per decreto di tale autorità. La prima ipotesi esclude l'esistenza dello stato, come soggetto di attività economica; la seconda rispecchia la condizione di un assorbimento totale dell'autonomia economica individuale nell'autorità dello stato.

La quota di potenza di lavoro, umana e strumentale, adoperata dallo stato e dagli altri enti pubblici, è proporzionata al potere di acquisto (danaro) di cui essi dispongono nel periodo di tempo che si vuol considerare (anno, esercizio finanziario), sia che ne dispongano come ricavato di contribuzioni coattive (imposte, tasse, contributi obbligatorî, ecc.), sia che ne dispongano a titolo di prestito (accensioni di debiti consolidati, redimibili, fluttuanti), o per creazione di valuta legale (emissioni di carta-moneta).

Dal punto di vista economico, il problema finanziario è duplice, e cioè riguarda: 1. la ripartizione dell'onere finanziario tra i soggetti dell'economia privata; 2. l'uso concreto fatto dal potere politico e dagli enti che ne emanano della potenza di lavoro da essi amministrata. L'onere finanziario può incidere i soggetti economici privati in via temporanea o definitiva, per cui si legittima la distinzione tra incidenza di diritto o immediata e incidenza di fatto o mediata. Il caso del pagamento degl'interessi del debito pubblico dimostra poi che in certe gestioni lo stato assorbe parte del potere d'acquisto per ripartirlo successivamente tra i cittadini senza averlo utilizzato come domanda di potenza di lavoro, umana o strumentale: semplice ridistribuzione del potere d'acquisto nell'orbita dell'economia privata.

Qualunque sia la politica finanziaria, quella delle imposte o quella dei prestiti, la domanda pubblica di potenza di lavoro, e cioè la pressione economica dell'ente pubblico non può avere per oggetto che la potenza di lavoro, umana e strumentale, esistente nel momento in cui essa si esplica. La pressione economica dell'ente pubblico è, anche nel caso di pagamenti differiti, sempre attuale, perché l'ammortamento del debito e il pagamento degl'interessi dànno luogo a quella ridistribuzione nell'orbita dell'economia privata, alla quale si è già accennato.

Non si sono finora considerati quei casi di spostamento del potere d'acquisto e della domanda economica privata di potenza di lavoro che sono determinati non da un uso diretto di essa da parte dello stato e degli enti che ne sono emanazione, ma da un intervento del potere politico che tende a modificare le posizioni naturali nei rapporti economici privati (protezionismo).

Le teorie finanziarie sulla scelta dei migliori tributi e sulla loro migliore ripartizione tra i cittadini, partono sempre da certi postulati etici, politici, sociali ed economici che trascendono una rigorosa logica e la tecnica finanziaria, le quali sono perciò stesso impotenti a risolvere, in modo autonomo, tali problemi. Si può però riconoscere la pratica utilità di alcune regole di applicazione di qualsiasi politica tributaria, dette anche massime o canoni tributarî, dettate da Adamo Smith nella sua grande opera An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations (1776): 1. i cittadini devono contribuire alle spese pubbliche in proporzione del loro rispettivo reddito (canone dell'eguaglianza); 2. le imposte che i cittadini sono obbligati a pagare devono essere certe e non arbitrarie (canone della certezza); 3. ogni imposta deve essere prelevata nel tempo e nel modo in cui il prelevamento è di maggior convenienza per il contribuente (canone di convenienza del pagamento); 4. ogni imposta deve essere congegnata in modo da prelevare dalle tasche del popolo il meno possibile oltre a quanto essa fa entrare nella cassa dello stato (canone dell'economia della riscossione).

Mentre i canoni della certezza, della convenienza e dell'economia hanno un carattere rigorosamente tecnico e sono indipendenti da ogni particolare politica tributaria e non sono cioè altro che regole di buona amministrazione, quello dell'eguaglianza corrisponde a un particolare principio di politica tributaria. Esso è anche riprodotto nell'art. 25 dello statuto del regno d'Italia nella forma seguente: "i regnicoli contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello stato". La dizione dello statuto italiano è meno univoca di quella adoperata da Adamo Smith (in proportion to the revenue), perché non è chiaro se il principio dell'eguaglianza, o meglio della proporzionalità, si riferisca al patrimonio o al reddito.

L'utilizzazione del potere d'acquisto che lo stato preleva dai cittadini con atto d'imperio (imposte, tasse, contributi obbligatorî, ecc.) o con prestiti volontarî, dipende dalla politica delle spese pubbliche che trova la sua documentazione negli stati di previsione della spesa e nei rendiconti consuntivi delle varie pubbliche amministrazioni.

Non ha molta importanza teorica la classificazione astratta delle spese pubbliche, ma essa ha un'importanza storico-politica anche comparativa, in rapporto a determinate circostanze nella vita dello stato, degli enti pubblici e della nazione. Ma a molti equivoci ha dato luogo la distinzione tra spese produttive e spese improduttive. Non possono chiamarsi improduttive né le spese di sicurezza interna né le spese di sicurezza esterna, né le spese di decoro: non le prime né le seconde, perché la sicurezza è una condizione di vita dello stato-nazione, anche come unità economica, e neppure le ultime, che, saggiamente commisurate alle disponibilità e alla prosperità, educano nei cittadini il senso della bellezza e del pubblico prestigio.

Quanto è difficile seguire l'incidenza dei tributi in rapporto agli assestamenti che essa determina nell'equilibrio economico, altrettanto è difficile accertare l'utilità economica delle spese pubbliche, in rapporto a questi medesimi assestamenti che esse pure concorrono a determinare.

Dalle osservazioni fatte risulta che il governo della pubblica finanza implica delle intuizioni o dei propositi finalistici da tradursi in atto con quell'insieme di spostamenti del potere di acquisto dall'economia privata all'economia pubblica, che costituiscono la materia dell'economia finanziaria.

Evoluzione storica dei sistemi finanziarî.

Nei primi centri d'incivilimento, e, più tardi, nei più antichi imperi d'Oriente, le finanze pubbliche si assommano nelle finanze del re. La natura eminentemente agricola dell'economia e la continuità delle imprese belliche, fan sì che le due fonti principali di entrata siano costituite dai redditi dei possedimenti regi e dal bottino di guerra, poi sostituito dal tributo del vinto. Non mancano tuttavia contribuzioni, per lo più ripartite fra tribù, clan e famiglie, sui frutti dei beni immobili e mobili (armenti), doni volontarî e prestazioni personali.

Nei sistemi finanziarî dell'antica Grecia, fonti essenziali rimangono il bottino di guerra e i redditi dei dominî pubblici. I cittadini sono esclusi, in genere, da ogni contribuzione diretta, salvo quelle straordinarie; e i tributi vengono riversati sugli assoggettati o dominati. A Sparta (a parte la contribuzione degl'iloti alle famiglie spartane) acquista stabile assetto il tributo fisso sui perieci. In Atene entra a far parte degl'introiti ordinarî, il tributo degli alleati. Atene conosce tuttavia varie forme di imposte indirette (diritti di dogana, di porto, sulle vendite), liturgie di vario genere e imposte personali sugli stranieri, gli schiavi, i liberti, le cortigiane. La sua costituzione democratica consente di riversare prevalentemente sulle classi alte le spese straordinarie, con l'imposta sul capitale e le liturgie straordinarie; mentre la sua progredita economia permette che fonti di entrata siano cercate nei redditi mobiliari e personali, attraverso le imposte personali e indirette, e le alterazioni monetarie.

Nell'evoluzione del sistema finanziario di Roma, si possono distinguere tre periodi. Nel primo, sino alla fine della repubblica, il nerbo principale delle entrate pubbliche è rappresentato dal reddito dei beni demaniali, di cui entrano a far parte i territorî via via conquistati, assoggettati a diversi tipi di imposte, canoni, gravami e dal tributum ex censu, imposta sul capitale dei cittadini, cespite straordinario di guerra, in origine, poi divenuto praticamente permanente fino alla vittoria di Macedonia (167 a. C.). Il sistema è rudimentale, e rispondente al carattere agricolo dell'economia e all'attività conquistatrice dello stato. Nel secondo periodo, che va da Augusto a Diocleziano, si verifica un processo di unificazione e di trasformazione, sui cui particolari e sulle cui date i pareri sono discordi. È incerto se il tributum ex censu sia abbandonato. Le provincie vengono assoggettate a una duplice imposizione: il tributum soli, imposta fondiaria poggiata sulla catastazione e sul classamento, e un testatico che calpisce chi sfugge alla prima. Lo sviluppo progressivo dei redditi mobiliari e personali, oltreché il testatico provinciale, fa sorgere tutto un insieme di nuove imposte che colpiscono la ricchezza nella sua circolazione (imposta sulla vendita dei mobili e immobili, sulla vendita degli schiavi, sulle successioni indirette, dazî, ecc.). Nel terzo periodo, l'unificazione del sistema finanziario si compie. Sorge un'imposta fondiaria generale, la capitatio terrena, ripartita in base a catastazione, che viene integrata da una capitatio humana, gravante su chi sfugge alla prima, e da un insieme di dazî, monopolî, prestazioni, imposte e tasse, che si riconnettono allo sviluppo dei redditi mobiliari. Contemporaneamente sorgono e si allargano le esenzioni, e l'imposta, rigettata sui coloni, acquista uno spiccato carattere servile.

Nel Medioevo, l'Impero d'Oriente conserva l'ossatura del sistema romano, perfino nelle provincie passate sotto la dominazione araba. In Occidente invece la trasformazione è profonda, almeno a partire dal sec. VIII. Il sovrano, il vassallo e, con la decima, la Chiesa, si ripartiscono in vario modo le entrate, e nella complessità e varietà dei rapporti giuridici e politici sorgono le più diverse e irregolari forme di balzelli. La fonte principale di entrate è costituita dai frutti delle terre del sovrano e del signore, a cui si aggiungono ogni sorta di dazî, gabelle, e diritti. Le finanze del sovrano cadono in ben misere condizioni, ed egli è costretto a ricorrere continuamente ai prestiti e alle alterazioni monetarie. Nobili e clero sono esenti da ogni tributo, salvo quelli ai quali consentono. I livellarî debbono annue prestazioni personali, in natura e in denaro. La maggior parte del carico si riversa sui tagliabili, soggetti alla taglia fissata dal principe e signore. Le finanze hanno carattere patrimoniale e non si distingue fra bisogni del sovrano e bisogni pubblici. Più regolare svolgimento hanno le finanze nelle città, specie nei comuni italiani. Oltre i beni demaniali, le gabelle e i dazî e le prestanze, si elabora in essi un'imposta personale sul patrimonio, in base a catasti, in cui si descrivono i beni immobili, spesso mobili e talvolta anche i redditi dei non possidenti, sicché tutta la ricchezza viene chiamata a contribuire. L'imposta è generalmente proporzionale, talvolta progressiva.

Al principio dell'Evo moderno, al raccogliersi e consolidarsi del potere nel sovrano, anche le finanze si accentrano nelle mani del principe. Tuttavia il sistema finanziario, per lungo tempo, non diviene né più semplice né meno sperequato. Fonte principale d'entrata rimane il demanio, a cui si aggiungono imposte dirette e indirette. La crescente difficoltà di accertare il patrimonio nel suo insieme, la tendenza a rigettare sulle classi inferiori il peso tributario, e le minori opposizioni che s'incontrano, fan sì che, da un lato, l'imposta sul patrimonio ceda il campo a una quantità d'imposte speciali sulle varie fonti della ricchezza (imposte sulle case, sulle terre, sul bestiame, sulle feste, sui fuochi, sui matrimonî, sulle morti, ecc.), e, dall'altro, le imposte indirette acquistino il più ampio sviluppo. Le forti spese rendono quasi dappertutto le finanze cronicamente dissestate, e si ricorre a ogni sorta di espedienti: alienazioni di beni e d'introiti, prestiti volontarî e forzosi, alterazioni monetarie, annullamenti e conversioni forzose di debiti e pensioni.

Per quanto diversa sia la storia finanziaria dei varî paesi, è solo alla fine del Settecento e nel corso dell'Ottocento che i sistemi finanziarî subiscono un altro profondo mutamento. Con i nuovi ideali e le nuove costituzioni cessano i privilegi fiscali, l'assolutismo sovrano in tema di finanza e la confusione tra finanze dello stato e finanze del re. Il continuo aumento delle spese pubbliche e la sempre crescente massa dei redditi mobiliari e personali, mentre fanno diminuire l'importanza delle entrate demaniali, esigono un nuovo assetto di imposte cle chiamino a contribuire le nuove ricchezze. Il differenziarsi dei costi di produzione importa la necessità d'una tassazione dei redditi al netto dalle spese, mentre le tendenze democratiche e il variare della distribuzione della ricchezza, spingono alla diversificazione qualitativa e quantitativa dei redditi. Si sviluppa il concetto del carattere personale dell'imposta, anche se il reddito dell'individuo è per lo più tassato separatamente alle varie fonti, per comodità d'accertamento e di esazione. Tale trasformazione ha una prima concretizzazione in Inghilterra, nella riforma del Pitt, che nel 1798, insieme col riscatto della land tax, introduce l'imposta generale sui redditi. Abolita nel 1802, risorge nel 1803 per opera di H. Addington, col nome di property tax; abolita di nuovo nel 1816, viene ripristinata provvisoriamente nel 1842 da Robert Peel, col nome di income tax e diviene fonte principale e costante delle entrate del bilancio inglese. I redditi sono divisi in cinque categorie (rendite fondiarie; profitti agrarî; interessi sui capitali; redditi industriali, professionali, commerciali; stipendî e pensioni), tassati in origine con la stessa aliquota, poi con aliquote diverse. L'imposta, a poco a poco e con diverse varianti, finisce col diventare l'ossatura di quasi tutti i sistemi finanziarî moderni, malgrado il notevole tentativo prussiano di un'imposta complessiva sul reddito netto globale delle persone. Spesso, come in Italia, anziché assumere la forma di un'imposta unica, consta dell'insieme di più imposte (imposta sui terreni, sui fabbricati, di ricchezza mobile, sui celibi) formalmente distinte. La necessità della diversificazione qualitativa dei redditi, suggerisce l'introduzione d'imposte integrative, come l'imposta sul patrimonio e le imposte sui trasferimenti, rappresentanti un aggravio sui redditi fondiarî e di capitale puro. La diversificazione quantitativa si ottiene con la progressività delle aliquote, con minimi di esenzione, e con le imposte complementari sui redditi. La necessità di colpire redditi che per il loro ammontare o per la loro natura sfuggono all'accertamento o che non sarebbe possibile colpire direttamente, e, spesso, i bisogni di bilancio, consigliano la conservazione di imposte indirette più o meno numerose (imposte di consumo, di fabbricazione, dazî, monopolî, ecc.).

La guerra mondiale, con le sue impellenti necessità finanziarie, ha avuto profonde ripercussioni sui sistemi finanziarî delle varie nazioni. Gli stati hanno provveduto al fabbisogno immediato con diversi espedienti: debiti pubblici, imposte straordinarie, emissioni di moneta a corso forzoso, aumento delle aliquote delle imposte esistenti, creazione di nuovi e disparati istituti. Il riassetto dei tributi nel dopoguerra, con spiccata tendenza al ritorno alla precedente struttura fondamentale, è opera ancora in corso nella maggior parte delle nazioni, anche se in Italia può dirsi, formalmente, compiuta.

Scienza delle finanze.

La scienza delle finanze o economia pubblica o finanziaria, considerata nel suo insieme, studia i principî economici, gli obiettivi politici, le norme legislative che reggono l'acquisto, la gestione e l'impiego delle ricchezze necessarie agli enti politici per la soddisfazione dei bisogni pubblici, oppure, più concisamente ma meno esattamente, la ripartizione economica, storica, giuridica del costo di produzione dei servizî pubblici fra i singoli membri dell'aggregato politico. I prezzi quasi privati e politici, le tasse, le imposte, la carta moneta, i prestiti forzosi o volontarî, fluttuanti, redimibili, perpetui, non sono che gli strumenti principali per mezzo dei quali simile ripartizione viene in ogni tempo e luogo compiuta.

Lo studio teorico, sistematico, autonomo delle entrate pecuniarie degli enti politici, necessarie alla produzione dei servizî a essi richiesti in modo indivisibile e continuo dalla popolazione, o da larga parte indeterminata di essa, rimonta appena all'alba del sec. XVIII, allorché la pubblicità dei bilanci, prima segreti, i benefici di una sapiente gestione delle imposte e la progressione delle spese pubbliche, talvolta più veloce dell'aumento della popolazione e della ricchezza, costrinsero statisti, cameralisti, economisti a curare la scelta dei tributi, a illustrare l'amministrazione dei beni demaniali, a studiare gli effetti della pressione fiscale sulla produzione, sulla distribuzione e sul consumo della ricchezza. L'aspetto economico a partire dalla seconda metà del sec. XVIII ebbe però la prevalenza su quello politico, a causa dell'enorme gravezza dei tributi arrivati talvolta ad assorbire la quinta e perfino la quarta parte del reddito privato nazionale, onde spesso profondi rivolgimenti politici e sociali. L'indagine dei fenomeni finanziarî venne confusa con quella già progredita dei fenomeni economici. La finanza divenne un capitolo dell'economia politica, che di essa si occupa, secondo l'esempio smithiano, soltanto nella parte riguardante il consumo dei beni privati e pubblici, prodotti unicamente per "arricchire il popolo e il principe". Furono gli economisti tedeschi, e fra essi principalissimi J. H. G. Justi con i suoi due volumi Staatswirtschaft (1755) e System des Finanzwesens (1776) e di poi K. A. Malchus (1770-1840), K. H. Rau (1792-1870), W. Roscher (1817-1894), L. Stein (1815-1890) che iniziarono le prime trattazioni dottrinali, sistematiche, indipendenti delle spese e delle entrate pubbliche, favoriti dall'importanza assunta dalle questioni finanziarie nell'Austria e nella Germania meridionale negli anni che corrono dalla Restaurazione alla guerra franco-prussiana.

Dalla definizione che sopra si è data della scienza delle finanze deriva che l'indagine finanziaria è triplice: economica, politica, giuridica. Alla prima - che scaturisce dalle perenni, universali esigenze della convivenza sociale, ossia dalla natura delle cose e degli umani raffronti - provvede la scienza pura, che dei fenomeni derivanti dall'attività economica degli enti politici scopre le cause prime, i caratteri costanti, gli effetti politici e sociali, ossia le leggi approssimative o empiriche, che, entro certi limiti, invariabilmente e necessariamente si producono. Studia, in altri termini, la vita economica degli enti politici; i principî che regolano, con il minor spreco possibile di mezzi per i singoli consociati e con il maggior vantaggio per la nazione, l'acquisto dei beni privati (entrate) e la loro trasformazione in beni e servizî pubblici (spese), astraendo totalmente da ogni giudizio sull'opportunità del fine che le ricchezze socializzate sono destinate a realizzare, da tutte le altre funzioni e attività statali e dall'indirizzo politico e sociale dominante. È la parte meno progredita dell'economia finanziaria, alla quale più rivolsero la mente e gli studî gli economisti italiani - e fra essi in grado eminente Maffeo Pantaleoni, Antonio de Viti De Marco, Luigi Einaudi, - e che più importa allo statista e al legislatore di conoscere, poiché a essi discopre le forme più economiche, fra quelle numerose suggerite dal capriccio, dall'ignoranza, dall'empirismo, per ottenere i beni occorrenti alla soddisfazione dei bisogni collettivi.

Alla seconda indagine - che scaturisce dalle variabili contingenze dell'ambiente - provvede l'arte o la politica finanziaria, avente lo scopo di raggiungere, mediante una modificazione delle cause prime dei fenomeni, scoperte dalla finanza pura, un certo risultato, diverso da quello che per la libera azione di quelle cause si sarebbe avuto. L'indagine teorica, serena, obiettiva, ha per fine la scoperta di una legge che vale per tutti i casi, come i principî della meccanica razionale valgono per tutte le macchine; l'indagine pratica, che insegna la virtù dell'adattamento flessibile alle contingenze della vita reale, quella d'una norma agendi, dapprima derivata dall'esperienza individuale o collettiva e poi dalle indagini speculative, che, se cronologicamente seguono l'arte, logicamente la precedono. Le possibilità della politica non sono però illimitate. Non bisogna dimenticare l'adagio baconiano: naturae non imperatur nisi parendo. Infatti, ad esempio, per l'asserito carattere naturale delle leggi finanziarie, i contribuenti per effetto della ripercussione delle imposte risultano spesso diversi da quelli designati arbitrariamente dallo stato, onde la necessità per esso di conoscere prima le leggi della traslazione dei tributi e di agire poi giovandosi di esse. In ogni modo scienza finanziaria e politica finanziaria devono lavorare l'una per l'altra, poiché né la scienza può prosperare all'infuori della realtà, né la politica raggiungere compiti sempre più elevati senza il sussidio dei principî scientifici, per essa, insieme, incitamento e freno. Il contributo della politica finanziaria allo sviluppo scientifico della finanza fu in ogni tempo notevole specialmente da parte delle assemblee legislative, chiamate, fin dalle loro origini, a vagliare le proposte finanziarie dei governi riguardanti i bilanci, i tributi e i prestiti; proposte seguite spesso da dibattiti e talvolta da vivaci conflitti d'interessi, d'idee, di dottrine che ebbero poi sempre larga eco nell'opinione pubblica.

Alla terza indagine - che ripete i natali, per diretto o per indiretto, dall'autorità del legislatore - ossia all'elaborazione delle norme giuridiche che regolano le spese e le entrate pubbliche (la materia finanziaria per la sua importanza non può essere regolata che per legge), necessarie a raggiungere, conformemente alla scienza e alle condizioni nazionali, gli scopi proprî della politica, provvede, infine, il diritto finanziario, essenzialmente relativo e storico, e perciò il ramo più progressivo e mobile dell'intero diritto pubblico, come quello che fedelmente rispecchia le tendenze morali, politiche, sociali, in ordine ai tributi, di ciascuna età. A questa mobilità corrisponde però la maggiore uniformità della legislazione fiscale dei paesi più evoluti che si affrettarono ad accogliere sistemi tributarî pressoché identici, e la maggiore facilità che, in confronto ad altre discipline giuridiche, presenta l'unificazione legislativa del diritto finanziario dei varî paesi, alla quale pure intende la Società delle Nazioni. Il che prova la dipendenza del diritto finanziario dalla scienza delle finanze, dalla quale per l'identità del contenuto e per il fine comune non si può assolutamente staccare. Ogni nuovo istituto giuridico deriva dai concetti prima enunciati dalla scienza in contrasto alle leggi vigenti. Le leggi tributarie sono la traduzione legislativa dei principî della scienza e della politica finanziaria; perciò non si connettono al diritto privato, dal quale fanno spesso completa astrazione, ma al diritto pubblico. La finanza teorica si traduce senza posa in termini giuridici. Scienza ed esperienza plasmano spirito e forme; perfezionano gl'istituti positivi, ne arricchiscono i principî di deduzioni nuove e di nuove applicazioni. In questi ultimi tempi i cultori del diritto pubblico, convinti che soltanto un razionale ordinamento giuridico del sistema tributario permette di raggiungere nel modo più economico e con minore attrito gli scopi dell'imposizione, hanno consacrato all'esposizione, illustrazione e semplificazione delle leggi fiscali opere numerose e pregevoli. E ciò specialmente in Italia che vanta nelle leggi fondamentali della tassazione dei redditi della ricchezza mobiliare (24 agosto 1877, n. 4021) e degli atti assoggettati alla registrazione (21 aprile 1862, n. 585) due capolavori giuridici.

Il diritto finanziario delle entrate comprende: 1. il diritto finanziario delle entrate economiche private, nelle quali vanno comprese le entrate derivanti da fonti produttive dello stesso genere di quelle delle entrate economiche private; 2. il diritto finanziario delle entrate di diritto pubblico o diritto tributario propriamente detto (tasse, contributi, imposte); 3. il diritto finanziario del debito pubblico. Il diritto finanziario delle pubbliche spese va riferito alla cosiddetta legislazione del bilancio, al servizio dei pagamenti e ai controlli di varia specie delle spese. Infine il diritto dell'amministrazione delle finanze comprende tutte le norme attinenti e proprie a ciascun ramo dell'azienda generale delle finanze e quelle riguardanti la riscossione dei pubblici tributi e il modo di conservarne ed erogarne il ricavato.

Come regola generale si può affermare che i principî del diritto privato sono applicabili in tema di pubblica finanza quando si sia in presenza di rapporti patrimoniali e quando questi si svolgano nel regime di una perfetta uguaglianza e libertà di concorrenza; per modo che, non venendo a sovrapporsi e a prevalere l'interesse collettivo, sia esclusa la necessità di applicare norme di diritto pubblico. Ben inteso che è compito dell'interprete desumere la portata delle norme di diritto privato caso per caso, con precipuo riguardo al senso letterale delle parole di cui il legislatore si è servito, e al contenuto effettivo dei rapporti che si vogliono regolare. Cosa che in certi casi può riuscire non poco difficile, perché il cittadino che entra in rapporto di diritto privato con lo stato non cessa di trovarsi nel rapporto di sudditanza, per modo che tra lui e lo stato vengono a correre due rapporti, uno di diritto pubblico e l'altro di diritto privato. Se però determinati rapporti giuridici creati dal diritto finanziario non sono da esso sufficientemente regolati, non si può affermare che siano senz'altro applicabili i principî del diritto privato. Tali principî sono applicabili quando il diritto finanziario a essi esplicitamente si riferisca, o quando si tratti di rapporti giuridici che si riallaccino al diritto privato. In ogni caso, quando il diritto finanziario crea rapporti o istituti giuridici che non possano in alcun modo essere riallacciati al diritto privato, in quanto gli contraddicano, o in quanto questo sia a essi estraneo, allora non si possono applicare le regole del diritto privato. Queste dovranno servire alla realizzazione di idee giuridiche che riposano su certi bisogni e sono esattamente adattate a tali bisogni e a tali rapporti. Si noti infine che le norme restrittive del diritto finanziario, specie per quanto si riferisce al contenzioso e alla procedura, devono essere strettamente applicate, in quanto non bisogna mai dimenticare che esse costituiscono un'eccezione.

Secondo alcuni il campo della scienza dell'amministrazione finanziaria, è differente dal vero e proprio diritto finanziario, il quale si limita a fornire le regole per la raccolta dei mezzi e per il loro impiego, e quindi deve considerarsi separatamente dal diritto finanziario la tecnica dell'amministrazione finanziaria, sia in quanto essa è mente direttiva dell'applicazione dei precetti finanziarî (tecnica amministrativa direttiva) sia in quanto eseguisce materialmente i precetti del diritto finanziario (tecnica amministrativa esecutiva). Così relativamente ai tributi sarebbe ufficio del diritto di determinare l'obbligo dei tributi per quanto riguarda il soggetto, la riscossione e le sanzioni per i contribuenti e gli agenti che trasgrediscono le leggi finanziarie; invece compito dell'amministrazione sarebbe stabilire, in conformità alle leggi, la quota di ciascun contribuente, riscuoterla, versarla e custodirla nelle casse dello stato e impedire che i fondi raccolti siano distratti per scopi non consentiti dalla legge. Questa divisione, tuttavia, fra diritto e amministrazione finanziaria non è da tutti ammessa.

Sono queste le tre indagini che la scienza delle finanze compone per l'identità del contenuto, il fine unico e il costante riferimento a un principio comune, la legge del minimo mezzo - avversa a ogni ripartizione dei gravami fiscali che renda la soddisfazione dei bisogni pubblici, costosa, penosa, ingiusta, incompleta - in una sola organica dottrina nella quale la scienza, la politica, la legislazione finanziaria si possono rappresentare come tre circonferenze intrecciate in modo che mai si può seguire l'una senza penetrare nell'altra.

Per quel che riguarda l'ordinamento finanziario dello stato e degli enti locali, v. bilancio; debito pubblico; emissione, istituto di; imposte e tasse, ecc.

Bibl.: Per l'Italia, oltre alle opere italiane e straniere di finanza comprese nella Biblioteca dell'economista, iniziata da Francesco Ferrara (s. 3ª, X, parte 1ª e s. 4ª, XIV, parte 1ª, 2ª, e 4ª) si vedano: M. Pantaleoni, Traslazione dei tributi, Roma 1882; A. De Viti de Marco, Il carattere teorico dell'economia finanziaria, Roma 1888; id., Saggi di economia e finanza, in Giorn. degli economisti, 1898; id., Lezioni di scienza delle finanze, Roma 1923; id., I primi principî dell'economia finanziaria, Roma 1928; U. Mazzola, I dati statistici della finanza pubblica, 1890; M. Loria, Le basi economiche della costituzione sociale, Torino 1912; L. Einaudi, Intorno al concetto di reddito imponibile e di un sistema d'imposta sul reddito consumato, in Memorie della R. Acc. delle scienze di Torino, Torino 1912; id., Principî di scienza d. finanze, Torino 1932; id., Il sist. trib. ital., Torino 1932; id., Contributo alla ricerca dell'ottima imposta, in Annali di econ. editi dall'Università Bocconi, Milano 1929; V. Tangorra, Trattato di scienza della finanza, Milano 1915; G. Ricca-Salerno, Scienza delle finanze, Firenze 1916; E. Barone, Principi di econ. finanziaria, Roma 1920; G. Borgatta, Lo studio scientifico dei fenomeni finanziari, in Giorn. degli econ., gennaio 1920; E. Lolini, L'attività finanz. nella dottrina e nella realtà, Roma 1920; F. Flora, Manuale della scienza delle finanze, Livorno 1921; G. Alessio, Ulteriori studî sulla teoria del reddito nazionale, in Atti della R. Acc. naz. dei lincei, Roma 1923; XVII, fasc. 2; L. Cossa, Corso di scienza delle finanze, Milano 1924; A. Graziani, Ist. di scienza delle finanze, Torino 1929, 3ª ed.; B. Griziotti, Principî di politica, diritto e scienza d. finanze, Padova 1929; M. Fanno, Elementi di scienza d. finanze, Torino 1929; Pugliese, L'imposizione dell'imprese di carattere internaz., Padova 1930; Vanoni, Natura e interpretazione delle leggi tributarie, Padova 1932. Per una ricca bibliografia di opere di finanza italiane e straniere v. L. Gangemi, Lineamenti di letteratura finanziaria, Milano 1929. Per l'attuale ordinamento finanziario dell'Italia v. A. de' Stefani, Manuale di Finanza, Bologna 1931.

Per l'Inghilterra: C. F. Bastable, Public finance, Londra 1892, 3ª ed. 1903; R. Jones, The nature and first principles of taxation, Londra 1914; J. Stamp, Wealth and taxabele capacity, Londra 1922; G. F. Shirras, the science of public finance, Londra 1924.

Per la Francia: P. Leroy-Beaulieu, Traité de la science des finances, Parigi 1888; G. Jèze, Cours de science des finances et de législation financière française, Parigi 1922; E. Allix, Traité élémentaire de science des finances et de législation financière, Parigi 1927, 5ª ed.

Per la Germania: K. D. Rau, Grundsätze der Finanzwissenschaft, 1832; A. Wagner, Finanzwissenschaft, Lipsia 1880-1890; W. Roscher, System der Finanzwissenschaft, Stoccarda 1886; L. Stein, Lehrbuch der Finanzwissenschaft, 7ª ed., Lipsia 1886; Sax, Grundlegung der theoretischen Staatswirtschaft, 1887; H. T. Eheberg, Grundriss der Finanzwissenschaft, Lipsia 1927; W. Gerloff e Fr. Meisel, Handbuch der Finanzwissenschaft, Tubinga 1927. Si vedano pure gli scritti pubblicati dai più noti cultori della finanza, tedeschi e stranieri, in onore di G. Schanz nell'opera: Festgabe für Georg von Schanz zum 75 Geburtstag, Tubinga 1928, voll. 2.

Per gli Stati Uniti: H. C. Adams, The science of finance, New York 1899; C. Seligman, L'impôt progressif, Parigi 1912; id., Essais sur l'impôt, Parigi 1914, voll. 2; id., Theorie sociale de la science des finances, in Revue de Sc. et de Lég. Fin., 1926, p. 575; P. Flehn, Introduction to public finance, Londra 1920; Brown, The Economics of taxation, New York 1924.

Per l'Unione Sovietica: P. Haensel, Die Finanz und Steuerverfassung der Union der sozialistischen Sowjet-Republiken, Jena 1928; Mann, Bemerkungen zur Früh geschichte der allgemeinen Steuerlehre, in Schmollers Jahrbuch, 1929, pp. 935-55.

Sul diritto finanziario in particolare v.: C. A. Conigliani, Il diritto pubblico nei sistemi finanziari, Bologna 1892; G. De Santis, Il diritto finanziario pubblico e privato, Torino 1918; G. Fasolis, Diritto pubblico finanziario e diritto privato, Città di Castello 1926; B. Griziotti, Studi di diritto tributario, in Studi nelle scienze giuridiche e sociali della r. Università di Pavia, Pavia 1928; G. Ricca Salerno, Le entrate dello stato, in Primo trattato di diritto amministrativo di V. E. Orlando, IX, Milano 1902; V. Tangorra, Il diritto finanziario ed i suoi odierni problemi, Torino 1902; A. Uckmar, Il diritto tributario, in Diritto e pratica tributaria, 1926; G. Vitagliano, Il diritto finanziario nella scienza e nell'evoluzione dello stato moderno, in Giornale degli economisti, novembre 1910; E. Blumenstein, Schweizerisches Steuerrecht., Tubinga 1926; id., Die Steuer als Rechtverhältniss, II, Tubinga 1927; O. Bühler, Lehrbuch des Steuerrechts, I: Allgemeines Steurrech, 2ª ed., Berlino 1927; H. Mirbt, Grundriss des deutschen und preussischen Steuerrechts, Lipsia 1926; W. Merk, Steuerschuldrecht, Tubinga 1926; F. von Myrbach-Rheinfeld, Précis de droit financier, trad. É. Bouché-Leclercq, Parigi 1909; O. Mayer, Le droit administratif allemand, Parigi 1903-05, I e II; Trobas, Essai sur le droit fiscal, in Revue de science et de législation financières, aprile-maggio-giugno 1928.

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