FINANZA LOCALE

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

FINANZA LOCALE

Franco Gallo

. Sotto il termine "finanza locale" si ricomprendono i problemi economici e giuridici conseguenti sia all'esistenza di enti locali territoriali, sottoposti allo stato, dotati di autonomia ai sensi degli artt. 5,115,119 e 128 Cost. sia all'esigenza di garantire a tali enti i mezzi finanziari necessari per lo svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Tra i tre tipi di enti locali (regioni, province e comuni) previsti nell'art. 114 Cost. esistono differenze tra il primo e gli altri due non solo per quanto riguarda la normativa costituzionale, ma anche per quanto attiene gli stessi ordinamenti finanziari. Si rende perciò opportuno trattare separatamente la materia esaminando, in questa sede, gli ordinamenti finanziari e le entrate dei comuni e delle province e rinviando alla voce finanza regionale, qui di seguito, per l'esame del sistema finanziario delle regioni.

Entrate tributarie. - Con l'entrata in vigore della legge delega per la riforma tributaria 9 ottobre 1971 n. 825, si è provveduto ad abolire un pletorico numero di tributi locali di scarso gettito e di oneroso quanto difficile accertamento e ad affidare, in loro sostituzione, il reperimento dei mezzi finanziari (atti ad assicurare l'autonomia degli enti) a un sistema imperniato su tre nuovi tributi locali, su alcuni tributi propri non aboliti e su un regime provvisorio di finanziamento contenuto nel d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638.

In particolare, le province usufruiscono, come gettito di natura tributaria, esclusivamente della tassa di occupazione di suolo pubblico sopravvissuta alla riforma tributaria e prevista dagli artt. 192-200 del T.U. per la f. l. approvato con r.d. 14 settembre 1931, n. 1175 e della quota loro riconosciuta del gettito della nuova imposta locale sui redditi accertata e riscossa dallo stato (art. 9 lett. b d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599).

I comuni, a loro volta, hanno come proprie fonti autonome di entrata, accertate e riscosse da loro stessi, la nuova imposta sulla pubblicità e alcuni tributi locali di scarso rilievo non soppressi dalla richiamata legge delega quali:

a) la tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (artt. 192-200 T.U.F.L. n. 1175, cit.);

b) il contributo per la costruzione di gallerie;

c) l'imposta di soggiorno (d.l. 24 novembre 1938, n. 1926);

d) l'imposta sui cani (artt. 130-136 T.U.F.L., cit.);

e) il diritto di peso pubblico e di misura pubblica (artt. 209-213 T.U.F.L., cit.);

f) i diritti sulle pubbliche affissioni (artt. 28-37 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639);

g) la tassa per la raccolta e il trasporto dei rifiuti solidi urbani interni (artt. 268-272 bis T.U.F.L., cit., e art. 27 L. 20 marzo 1941, n. 266).

L'imposta sulla pubblicità, che tra i tributi gestiti direttamente dai comuni è quella di maggiore importanza per estensione del presupposto e ammontare del gettito, è stata introdotta con il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, in sostituzione della tassa sulle insegne e dell'imposta sulla pubblicità affine e colpisce tutte le pubblicità localizzabili nel territorio comunale, eccetto quella radiofonica e televisiva e sulla stampa periodica, sostituendosi in un certo senso anche alla soppressa imposta erariale sulla pubblicità.

A tali tributi locali in senso stretto, vere espressioni dell'autonomia tributaria dei comuni, si aggiungono due imposte, l'imposta locale sul reddito disciplinata dal richiamato d.P.R. n. 599 del 1973 e l'imposta sull'incremento di valore degl'immobili, introdotta con d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, che possono considerarsi erariali per quanto concerne l'accertamento e la riscossione, cui provvedono gli uffici dello stato, e locali per quanto riguarda l'attribuzione del gettito, che va agli enti locali minori (regioni, comuni, province, camere di commercio, aziende autonome di cura soggiorno e turismo per l'ILOR, i soli comuni per l'INVIM) nel cui territorio viene prodotto il reddito soggetto a tassazione. Nella mente del legislatore tali tributi dovrebbero costituire l'entrata fondamentale degli enti locali sostituendo, per quanto riguarda l'incidenza del gettito sui loro bilanci, i principali tributi propri aboliti dalla legge delega n. 825 del 1971.

L'autonomia del comune si esprime nella facoltà di stabilire annualmente, con delibere dei consigli comunali, aliquote tra un minimo e un massimo. In particolare, per l'ILOR, l'art. 9 del cit. d.P.R. n. 599 del 1973 fissa nella misura dal 6 all'8,50% l'aliquota che può essere stabilita dai comuni e, per l'INVIM, l'art. 15 del d.P.R. 29 ottobre 1972, n. 643 determina sei diversi scaglioni d'incremento imponibile e per ognuno di essi il limite minimo e massimo entro il quale i comuni stessi possono stabilire le aliquote. Al comune è riconosciuta altresì la facoltà di partecipare all'accertamento dell'INVIM in quanto interessato all'entità dello stesso, per essere l'unico destinatario del gettito.

Data l'importanza di tali imposte sarà opportuno vedere, per un più approfondito esame, le voci reddito e valore, Imposta sugli incrementi di valore degli immobili, in questa Appendice. Si ricorda comunque che per effetto del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 638, l'ILOR è devoluta dal 10 gennaio 1974 esclusivamente alle regioni a statuto ordinario: per tutti gli altri enti destinatari del gettito, e quindi anche per i comuni e le province, è stato invece previsto un regime di diritto transitorio in virtù del quale, per il quinquennio 1973-77, sono attribuite somme sostitutive del gettito dei tributi da essi sin qui percepiti. Per le province, per i comuni, per le camere di commercio, industria e agricoltura, per le aziende di soggiorno, cura e turismo, come pure per le regioni a statuto speciale, il finanziamento per il suddetto quinquennio ha quindi luogo attraverso contributi che sono loro devoluti, attraverso un apposito fondo, dall'amministrazione dello stato (v. oltre, finanza regionale). Per tale periodo, pertanto, in deroga provvisoria al disposto dell'art. 9 d.P.R. n. 599 del 1973, nessuna attribuzione dell'ILOR avviene a favore dei predetti enti locali: essi godono solo di entrate sostitutive dei tributi abrogati trasferite direttamente dal bilancio dello stato e assorbenti anche l'imposta in questione. Tali entrate sono erogate direttamente dallo stato e agganciate, con coefficienti di maggiorazioni annuali, alle riscossioni relative ai periodi antecedenti al 1973 o al 1974, secondo che siano riferite a tributi soppressi all'una o all'altra data.

La citata legge delega per la riforma tributaria n. 825 del 1971 (art. 12) affida poi a una legge ordinaria, da emanare entro il 31 dicembre 1977, il compito di realizzare un definitivo assetto della f. l. in relazione ai principi da essa stessa fissati e alle funzioni e ai compiti che con il nuovo ordinamento risulteranno assegnati ai comuni e alle province. Questa seconda fase, che dovrebbe avere inizio con il 1° gennaio 1979 (data, questa, prorogata dal d. l. 29 dicembre 1977, n. 945), presuppone, pertanto, una precisa individuazione delle sfere di interventi riservati ai poteri locali da effettuare sulla base del criterio della maggiore efficienza nel soddisfacimento del bisogno pubblico in sede territoriale e della migliore articolazione degl'interventi stessi.

A tutto il 1976 "non si è, peraltro, ancora provveduto a determinare in via definitiva i compiti e le funzioni degli enti locali minori, mentre è evidente che tale individuazione si presenta pregiudiziale a ogni definitivo assetto del loro sistema finanziario". Invero esiste la l. 22 luglio 1975, n. 382, con la quale è stato delegato il governo a completare il trasferimento delle funzioni alle regioni e ad attribuire agli enti locali minori le funzioni d'interesse locale nelle materie indicate dall'art. 117 Cost. e in altre materie ad esse strumentali. Ma tale delega, finora, non è stata utilizzata dal governo.

Entrate extra-tributarie. - Le entrate autonome dei comuni e delle province, diverse dal gettito dei tributi propri e della partecipazione a tributi erariali sono:

1) i proventi dell'utilizzazione dei beni costituenti il demanio e il patrimonio comunali e provinciali;

2) i proventi dei servizi municipalizzati;

3) i proventi dei mutui.

A parte l'individuazione del regime e dell'ambito dei beni costituenti il demanio e il patrimonio degli enti locali minori, alcune considerazioni è opportuno dedicare alle entrate derivanti dalla gestione dei servizi pubblici da parte dei comuni e dall'accensione di mutui per l'esecuzione di opere pubbliche e per la copertura del disavanzo economico dei bilanci.

I comuni e, in misura assai minore, le province prestano ai privati servizi a carattere industriale o prevalentemente tale: la materia è specificatamente regolata dal r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578, con il quale si approva il T.U. delle leggi sull'assunzione diretta di pubblici servizi da parte dei comuni e delle province. La forma normale di gestione di tali servizi, allorché rivestono carattere industriale, è quella della costituzione da parte dei comuni di un'azienda speciale distinta dalla sua amministrazione ordinaria, con bilanci e conti separati (art. 2,1 comma citato r.d. n. 2578). E peraltro ammessa la gestione in economia dei servizi di non particolare rilievo e per quelli non aventi carattere prevalentemente industriale (art. 15 stesso r.d.): in tale caso gli utili o le perdite derivanti dalla gestione del servizio si riflettono direttamente sul bilancio comunale.

Per quanto riguarda le aziende speciali, esse hanno la capacità di compiere tutti i negozi giuridici necessari per il raggiungimento dei loro fini e di stare in giudizio per le azioni che ne conseguono. I risultati economici della gestione fanno però capo al bilancio comunale; gli utili netti dell'azienda sono, infatti, devoluti a tale bilancio dopo aver detratto le somme necessarie per la costituzione di un fondo di ammortamento e di riserva o, eventualmente, per il miglioramento e lo sviluppo dell'azienda; le perdite, nell'impossibilità che siano coperte con il suddetto fondo di riserva, dovranno essere compensate dal comune mediante stanziamenti nella parte straordinaria del proprio bilancio di previsione della spesa.

Anche nei casi in cui il comune può dare in concessione all'industria privata dei servizi pubblici, esso percepisce un'entrata che è rappresentata dal canone di concessione oppure da una quota di partecipazione agli utili dell'impresa (art. 265 n. 4 cit. T.U.F.L. n. 1175 del 1931).

La possibilità degli enti locali di contrarre mutui è regolata da disposizioni di leggi diverse a seconda della finalità che con il mutuo si vuole perseguire. In particolare, principi generali in ordine all'assunzione di mutui da parte di enti locali sono contenuti negli artt. 299 e 300 del T.U. della legge comunale e provinciale approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383. A norma di tali articoli gli enti locali possono assumere mutui solo a determinate condizioni, e cioè se:

- hanno per scopo di provvedere ad opera pubblica di carattere obbligatorio debitamente autorizzata, i cui progetti abbiano riportato il visto dell'ingegnere capo del Genio Civile e, se prescritto, il parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici;

- hanno per oggetto il pagamento di debiti scaduti;

- ne sia garantito l'ammortamento determinando i mezzi per provvedervi oltre che quelli per il pagamento degl'interessi.

Riguardo alle province è altresì richiesto che l'assunzione di mutui avvenga per provvedere a spese straordinarie e obbligatorie, le quali in ogni caso riguardino l'acquisto di stabili per pubblico servizio o altre finalità previste da leggi speciali.

È necessario infine che gl'interessi del mutuo che il comune o la provincia intende contrarre, sommati agl'interessi di debiti o mutui di qualunque natura precedentemente contratti, non facciano giungere le somme da iscrivere in bilancio per il servizio degl'interessi a una cifra superiore al quarto delle entrate effettive dell'ente, valutate in base al conto consuntivo dell'anno precedente alla deliberazione relativa al mutuo.

Altre limitazioni sono previste dagli artt. 300, 306 e 333 del citato T.U. della legge comunale e provinciale del 1934, il quale detta anche precisi criteri in ordine alla formazione delle deliberazioni comunali e provinciali in materia, all'approvazione di queste da parte della giunta provinciale amministrativa ovvero della commissione centrale per la f. locale.

Per quanto concerne l'assunzione di mutui per la copertura del disavanzo economico dei bilanci, che ha raggiunto ormai dimensioni particolarmente preoccupanti (circa 20.000 miliardi a tutto l'anno 1975), è sufficiente ricordare che la facoltà dei comuni e delle province di contrarre tali mutui è stata ammessa fin dal 24 agosto 1944 con il d. lg. lt. n. 211 modificato ed emendato da successive e numerose leggi.

In considerazione del grave stato d'indebitamento dei comuni e delle province e in attesa di un'organica e definitiva sistemazione della f. l. (da attuarsi, a decorrere dal 1° gennaio 1978, con lo strumento della legge ordinaria secondo i criteri previsti dal più volte ricordato art. 12 della legge delega n. 825 del 1971), è stato emanato il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 651, istituente un fondo speciale per il risanamento dei bilanci comunali e provinciali. Tale fondo costituisce un primo tentativo in Italia di finanza coordinata, in quanto con esso:

a) si crea per la prima volta un organismo misto, composto in prevalenza da rappresentanti di enti locali affiancati da tecnici dei ministeri delle Finanze, del Tesoro, dell'Interno e del Bilancio e Programmazione Economica, che lo amministra in relazione alle esigenze concrete degli enti locali;

b) si responsabilizzano gli amministratori locali imponendo loro una programmazione delle spese e delle entrate liberamente accettata, che è posta necessariamente a base del piano di risanamento che, ai sensi di detto d.P.R., il comune e la provincia devono deliberare e presentare all'amministrazione finanziaria al fine di usufruire del finanziamento del fondo: all'ente che voglia beneficiare di tale finanziamento per provvedere al progressivo ripiano del proprio disavanzo è, infatti, vietato per il futuro di superare l'entità delle spese programmate in detto piano pluriennale.

L'istituzione di tale fondo costituisce un primo passo per avviare una definitiva riforma della f. l. che, nell'intenzione del legislatore manifestata all'atto dell'approvazione della legge delega sulla riforma tributaria, dovrebbe tradursi in un organico sistema articolato:

a) su tributi propri, accertati o riscossi direttamente dagli enti locali o tramite gli uffici finanziari dello stato;

b) su quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali, stabilite in misura proporzionale al gettito dei tributi stessi. Tali quote dovrebbero affluire in tutto o in parte in fondi comuni alimentati da percentuali variabili del gettito tributario, da distribuirsi anche con funzioni perequative in base alla situazione economica locale;

c) su contribuzioni dirette a risanare i bilanci e a tenerli in pareggio che consentono di abolire il ricorso al sistema dei mutui per la copertura del disavanzo economico del bilancio.

Bibl.: S. Steve, La riforma dei tributi locali, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1963; A. Pianese, Situazione della finanza locale e le sue cause, in Civitas, 1966; E. Gerelli, La finanza locale nella politica di statalizzazione, in Atti IV convegno di studi della Società per lo studio dei problemi fiscali, 1967; A. Berliri, Il problema della finanza locale in relazione al progetto di legge delega, in Giur. imp., 1967; C. Cosciani, La finanza locale nel quadro della riforma tributaria, in Riv. dottori commercialisti, 1967; M. Morelli, Finanza locale, in Enc. del diritto, XVII, 1968; G. A. Micheli, Autonomia e finanza degli enti locali, in Studi in onore di Giuseppe Grosso, 1972.

TAG

Imposta locale sui redditi

Rifiuti solidi urbani

Bilancio dello stato

Camere di commercio

Aziende speciali