PORNOGRAFICO, film

Enciclopedia del Cinema (2004)

Pornografico, film

Lorenzo Esposito

Pornografia, hard, erotismo

Il termine pornografia indica la trattazione o la rappresentazione (attraverso scritti, disegni, fotografie, film o spettacoli ecc.) di soggetti o immagini ritenuti osceni, fatta con lo scopo di stimolare eroticamente il lettore o lo spettatore. Emerge immediata nel significato stesso la dichiarazione di clandestinità, che ancora per tutto l'Ottocento sottolinea lo scambio e il fiorente commercio di scatti fotografici indecenti, o di illustrazioni erotiche. Mentre con il cinema la parola pornografia assume in via definitiva l'attuale valenza di specifica e perversa attività sessuale vuotamente ripetuta e oscenamente dettagliata.Il cinema pose sin dall'inizio alla pornografia un problema di pubblicità, di incontro e di scontro con il sociale e con il simbolico imporsi del corpo come merce. Da questo punto di vista nello stesso termine confluirono subito sovrastrutture sociali e culturali fuorvianti e inadeguate a dare oggettivamente conto del fenomeno in questione. Per es., la tradizionale opposizione con l'erotismo appare puramente ideologica. Erotico sarebbe soltanto ciò a cui si allude, che si nasconde, si fa intravedere, mentre il porno è l'altra faccia dello specchio, quella banale, sordida, di un tutto visibile a tutti i costi. L'erotismo, dunque, presupporrebbe una pratica formale ed espressiva che manca completamente nel porno. È più opportuno quindi parlare non di pornografico ma di hard, di scrittura hard, di cinema hard-core. Una durezza d'immagine che raggiunge il cuore delle cose, la loro anima più profondamente (e quindi anche oscenamente) denudata. In tal senso nessuna visione cinematografica sarebbe scevra di tensioni feticiste, o di reiterata complicità fisica. In realtà esiste una differenza che è anche l'unica oggettivamente percorribile in via teorica. Il cinema hard mostra gli organi sessuali in azione. Anche se in seguito il montaggio può intervenire ad aumentare il grado di effettiva finzione messa in campo, sull'evidenza assoluta dell'attività genitale non ci devono essere dubbi. Spartiacque utile a non confondere hard-core e soft-core (versione edulcorata del porno), figure di genere praticate dai medesimi registi, che spesso dei loro film approntano anche versioni soft (in cui gli organi sessuali vengono sottratti alla vista con inquadrature ad hoc).

L'erotismo invece rientra nell'hard proprio attraverso questo massimo di realtà fisica messa in gioco. A lungo ‒ almeno per tutti gli anni Settanta e la prima metà degli Ottanta, l'epoca della cosiddetta golden age del porno ‒ i corpi più famosi e amati dei film hard non erano quelli oggettivamente più belli, ma quelli in grado di sprigionare la maggior carica erotica e di reale coinvolgimento durante la performance sessuale (le forme procaci e generose di attrici come Samantha Fox o Georgina Spelvin, ma anche quelle dolci e longilinee di Annette Haven, non corrispondevano di certo all'ideale di bellezza assoluta). Se il concetto di performance, anche nel senso di prestazione, rimane il più adatto a definire il compito scenico di attori e attrici hard, è proprio il grado di realismo aggiuntivo, cioè la soglia visibile di vera partecipazione durante l'atto sessuale, a far slittare l'hard nell'erotismo. Ma l'ambiguità insita in ogni singola immagine cinematografica viene riproposta nell'hard come contraddizione assoluta. L'effettiva presenza di corpi reali che compiono realmente l'azione sessuale convive con le tradizionali mediazioni dell'inquadratura, del tempo del set, del montaggio. La vera scrittura hard sarebbe in tal senso nella ricerca di una qualità fredda, quasi inorganica, della 'cosa sessuale'. Un corpo che si erge sullo schermo senza alcuna identità interpretativa, annullandosi e insieme concentrandosi sulla meccanica dell'azione.

Dalle origini alle sale 'a luci rosse'

Nell'Ottocento il materiale pornografico illustrato che circolava soprattutto in Francia e in Inghilterra risentiva dei relativi atteggiamenti morali tipici dei due Paesi: la prospettiva inglese, già mercificata, spinta a teorizzare sul puro oggetto attraverso l'uso di pratiche sadomasochiste; e quella francese più interessata ai meccanismi del desiderio. Due diverse impostazioni che, tuttavia, neppure con l'avvento dell'immagine in movimento si tradussero subito in un commercio organizzato di filmati hard.In tutta la prima metà del Novecento il pornografico appare confinato nell'ambito della filmografia privata. Nell'epoca del muto brevi pellicole pornografiche venivano commissionate soprattutto negli ambienti dell'alta borghesia e in particolare nella Francia della fine dell'Ottocento. Già al 1897 risalgono titoli perduti nel tempo come En cabinet particulier, o Le coucher de la marie. Mentre fra il 1905 e il 1930 anche molti letterati e artisti si cimentarono nel genere (negli anni Venti Eros e Priapo, il cortometraggio pornografico attribuito a Gabriele D'Annunzio, oppure negli anni Trenta Two women, di incerta datazione, diretto da Man Ray, ambientato, come era tipico di allora, in una casa chiusa). Tuttavia in questi casi non di cinema pornografico si tratta ma di documenti privati. E la parola documento non è usata a caso. Una delle tappe fondamentali per il salto del f. p. verso una fruizione di massa è rappresentata negli anni Cinquanta dai nudies, ambigui documentari che davano conto del fenomeno dei nudisti. Quello che mancava era una struttura mainstream (l'hard era ancora lontano dalla dimensione della sala e del lungometraggio).

Gli anni Sessanta costituiscono invece l'epoca d'oro dell'8 mm, ossia del fiorente commercio di brevissime riprese in bianco e nero (massimo cinque minuti), limitato all'acquirente in possesso di un proiettore. Che l'hard stesse provando a organizzare la propria fuoriuscita dal circuito clandestino è dimostrato anche dal successo delle macchinette a gettone che contenevano i cosiddetti loops, piccoli anelli di pellicola che potevano essere visionati in appositi negozi, sui quali erano impressionati veloci rapporti sessuali. La commercializzazione di questi prodotti, di riviste pornografiche, o anche solo di letteratura erotica, si rivelò una redditizia attività finanziaria. L'italiano Lasse Braun (nome d'arte di Alberto Ferro), lo svedese Berth Milton Sr e il francese Marc Dorcel furono alcuni dei pionieri di quel periodo. Se l'attività di questi ultimi fu prevalentemente imprenditoriale, Braun girò da solo i suoi cortometraggi vendendoli per posta (secondo molte fonti soprattutto in Italia). Anche se il suo esordio nel lungometraggio avvenne solo nel 1974 con French blue (Penetration), film rimasto famoso come primo hard a essere proiettato al Festival di Cannes, già nel 1967 Braun aveva firmato il suo primo corto, Golden butterfly.

C'era tuttavia da portare a termine un inevitabile passaggio simbolico: quello dalle cantine, dai retrobottega, dal chiuso di ville isolate e di club privati alla sala cinematografica vera e propria. Nel 1969 Jim e Artie Mitchell (futuri paladini del cinema hard), fondarono nel centro di San Francisco il teatro O'Farrell, un locale, poi divenuto leggendario, nel quale vennero proiettati pubblicamente i cortometraggi porno che già da tempo i Mitchell giravano e vendevano all'ingrosso. Da questo momento in poi furono spalancate all'hard le porte della fruizione di massa.Nel 1970 uno sconosciuto e poi dimenticato Bill Osco girò Mona, il primo lungometraggio porno della storia. Poi nel 1972 fu la volta di Gerard Damiano e del suo cult movie Deep throat (Gola profonda), ancora oggi uno dei film più visti di tutta la storia del cinema, autentico fenomeno di costume fondato sulla leggendaria presenza scenica di Linda Lovelace, che trasformò una particolare tecnica di fellatio, in seguito caratteristica del gergo hard, in metafora di uso comune. Sempre al 1972 risale Behind the green door dei Mitchell, che lanciò nell'immaginario collettivo la figura della dolce e disinibita Marylin Chambers, fino a quel momento insospettabile volto acqua e sapone delle pubblicità del detersivo Ivory Snow. Ancora Damiano rincarò la dose realizzando nel 1973 The devil in Miss Jones, interpretato dall'ex attrice di teatro Giorgina Spelvin.

Nel suo primo decennio di vita la storia del cinema a luci rosse fu quella di un'ambigua corsa a emulare la cinematografia ufficiale. Se ne ricalcavano modalità produttive e narrative, si creò uno star system, si giocò di continuo a fare la parodia di film famosi o di generi specifici. I performers divennero sempre più famosi. Si misero in luce registi specializzati in un genere poco ortodosso, ma in grado o comunque convinti di poter trovare nell'hard una possibilità visiva in cui innestare le proprie ossessioni. Come nel caso dei f. p. di Damiano, cupi e tutti giocati sul senso di colpa (esemplari The story of Joanna, 1975; Odyssex, 1977; The satisfiers of Alpha Blue, 1982), oppure di quelli comici di Henry Pachard (The devil in Miss Jones 2, 1983), o scenograficamente complessi di Robert McCallum (Coed fever, 1980), Gérard Kikoine (Indecences 1930/Parties fines, 1977) e Anthony Spinelli (High school memories, 1981), o infine metafilmici di Armand Weston (Take off, 1978), Jean-François Davy (Exhibition, 1975) e Radley Metzger (The opening of misty Beethoven, 1976).

L'hard cominciava a funzionare come autentica fabbrica della manipolazione della fisicità, in cui si presupponeva la scomparsa e il decadimento dei corpi in essa consumati. Divenne così un vorticoso ciclo di nomi, tito-li, pseudonimi, nomi d'arte, identità incerte, spezzoni, tagli, inserti, passaggi repentini, falsi e falsificazioni, dimenticanze, immagini rubate, giochi di riconoscimento, sparizioni, malattie, scandali, difficilmente ricostruibili (per questo spesso titoli dei film, date, nomi e pseudonimi dei registi risultano così incerti). Costituendo un linguaggio a parte, un territorio per iniziati, complici di un autentico glossario di neologismi che descrivono nel dettaglio ogni singola azione sessuale, oggetto, sottogenere.

Il mercato del video

Fra il 1981 e il 1985, mentre molte sale normali si riconvertivano in sale a luci rosse, il mondo hard promosse il cosiddetto crossover, un ancora più deciso inserimento dell'hard nel sistema dei generi classici. Vennero dunque girati polizieschi (Amanda by night, 1981, di McCallum), film a episodi alla maniera di Robert Altman (Platinum Paradise, 1980, di Cecil Howard), film di fantascienza (il già citato The satisfiers of Alpha Blue di Damiano), commedie (Talk dirty to me, 1980, di Spinelli), melodrammi (The dancers, 1981, ancora per la regia di Spinelli). In pratica si mescolò l'hard con tutto ciò che dovrebbe essergli costitutivamente precluso: recitazione, narrazione, fotografia, scenografia, approfondimento psicologico.

Tuttavia la pretesa regolarizzazione del f. p., il tentativo di dare sempre maggiore spazio alle sequenze narrative ne determinò anche la crisi. Inoltre la diffusione dei formati video provocò importanti mutamenti che risolvevano ingenti problemi economici moltiplicando il numero di film e abbassando i costi. Ma l'hard era ancora definibile come un genere del cinema di fiction, anche se molto specifico e sempre legato all'idea di ghetto. Costringendolo invece a sfruttare sue strutture più specifiche piuttosto che a emulare sistemi visivi esterni, è stato il supporto video a salvare il genere. Anzitutto ponendo il f. p. nelle condizioni di accettare come vitali le sue soglie più dure e rischiose (anche le zone più estreme vicine allo snuff movie, tipologia di f. p. che prevede violenze reali sui corpi dei protagonisti, fino ad arrivare alla morte). Tanto che si sono moltiplicate da parte delle star porno gli sconfinamenti nella scena mainstream (l'entrata in politica di attrici-dive del porno come Cicciolina e Moana Pozzi; l'insistita presenza nei talk show e nei format televisivi di 'star' del genere come Selen, Eva Henger, Jessica Rizzo, quella di un attore celebre nel genere, Rocco Siffredi, in film non pornografici come Romance, 1998, di Catherine Breillat e Amorestremo, 2001, di Maria Martinelli).

Così negli anni Novanta l'hard è tornato a 'bruciare' e a dimenticare corpi, trasformandosi in un ulteriore magma di sottotesti, filoni, specificità e anonimato. L'uso delle tecniche video si è fatto sempre più sofisticato e curato, e in certi casi vi è stato un ritorno alla trama, ma è stato proprio il fatto di accettare di costituire un universo a parte ad aver precisato la natura del cinema hard. Un genere in grado prima di altri di dar conto in maniera diretta dell'odierna moltiplicazione di figure e oggetti hard nei processi mediali più diversi, dal cartellone pubblicitario più spinto al sito Internet più osceno. Perché è la poetica del frammento, dell'incerto, del vietato a fare del pornografico il genere più vulnerabilmente metaforico e con più insistenza trasversale rispetto al sistema massmediatico. L'attuale modalità fruitiva dello spettatore è il segno principale di ciò. Il totale trasferimento del pornografico dalle sale alle case, permette con le diffuse tecnologie di registrazione una radicale operazione di 'ri-taglio', attraverso cui produrre e aggiungere i propri dettagli, i propri fermo-immagine, i propri montaggi. Tale pratica finisce per riprodurre la dicotomia fondante e insieme maggiormente complessa del cinema hard-core: l'essere in finzione di corpi assolutamente reali.

Bibliografia

A. Abruzzese, L. Barbiani, Pornograffiti, Roma 1981.

Pornofilm: hard e soft. La non-scrittura dell'eros, in "Filmcritica", 1982, 326-327, pp. 322-447.

R. J. Stoller, Porn. Miths for the Twentieth Century, New Haven (CT) 1991 (trad. it. Milano 1993).

L. Williams, L'hard core sugli schermi americani, in Innamorati e lecca e lecca. Indipendenti americani anni '60, a cura di E. Martini, Torino 1991.

D. McCumber, X-rated: the Mitchell brothers. A true story of sex, money, and death, New York 1992 (trad. it. Vietato ai minori, Milano 1994).

M. Gregoretti, Porno star system, Milano 1995.

P. Baudry, La pornographie et ses images, Paris 1997.

P. D'Agostino, Rocco Siffredi. Il mito di un uomo italiano, Roma 1998.

Pornografia, in "Passaggi", 1998, 3, nr. monografico.

J. Holmes, Re del porno. L'autobiografia del più grande attore hard di tutti i tempi, Roma 1999.

B. Di Marino, Porno. Corpi, sesso, sguardi, in Fino all'ultimo film, a cura di G. Frezza, Roma 2001, pp. 359-72.

CATEGORIE
TAG

Immaginario collettivo

Poetica del frammento

Immagine in movimento

Film di fantascienza

Letteratura erotica