ROCCI, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROCCI, Filippo

Francesco Franco

– Nacque a Fara in Sabina (oggi in provincia di Rieti) il 15 giugno 1881 da Domenico e da Eustochio Corradini. Fratello di Lorenzo (grecista e autore del famoso vocabolario greco-italiano), trascorse l’infanzia nel paese natale e poi, nella seconda metà degli anni Novanta, si trasferì a Perugia, dove cominciò la sua attività di fotografo. A partire dal 1900 e fino al 1911 realizzò gli scatti fotografici più significativi della sua carriera.

Rocci aderì al genere della cartolina di reportage fotografico, già diffuso da alcuni anni a Perugia, ritraendo la partecipazione della popolazione agli eventi mondani (Miraglia, in Filippo Rocci, 1987, p. 8; Bonetti, ibid., pp. 247-250).

Nel 1904 ottenne una medaglia d’oro all’Esposizione campionaria nazionale di Perugia (Miraglia, in Filippo Rocci, 1987, pp. 7, 13 nota 2). Nello stesso anno sposò Anna Frezzini, e dal matrimonio nacquero Domenico, nel 1905, e Maria, l’anno seguente (Osti, ibid., p. 259). Nel 1907 gli fu assegnata una seconda medaglia d’oro, all’Esposizione campionaria internazionale di Perugia, per la sua abilità nella fotografia di opere d’arte, testimoniata da vari negativi e stampe originali.

In quegli anni si avvicinò alla cosiddetta ‘fotografia pittorica’ o ‘pittorialista’, ispirata alle vedute paesistiche della pittura dell’Ottocento, con uno sguardo maggiormente soggettivo verso la natura e la sua contemplazione.

Fotografie come Fara Sabina. Passeggiata (1907 circa, Fara in Sabina, collezione Amici; Bonetti - Miraglia, in Filippo Rocci, 1987, ripr. a p. 234 n. 88) sono evidentemente ispirate alla sensibilità cromatica e al taglio compositivo della pittura dei macchiaioli. Negli scatti come Fara in Sabina. Nella passeggiata (1907 ca., Fara in Sabina, collezione Amici; ripr. a p. 235 n. 90), invece di cercare l’esatta rappresentazione della fisionomia dei personaggi Rocci preferì concentrarsi sui valori chiaroscurali e sul contorno dei volti, che si stagliano contro il cielo di un bianco assoluto.

Questi controluce spinti rappresentano egregiamente il desiderio di una fotografia che ha accantonato il reportage realistico di vita cittadina per diventare mezzo espressivo di sentimenti personali, scanditi, come scrive Marina Miraglia (in Filippo Rocci, 1987, p. 9), da ritmi fiabeschi, dal ciclo del Sole e delle stagioni.

Le poche decine di stampe rimaste, tratte dalle sue centinaia di lastre negative, mostrano la predilezione per tecniche quali la stampa all’albumina o al platino, che permettevano una buona esattezza dei particolari (pp. 10, 263 s.).

Sempre intorno al 1907 Rocci realizzò la fotografia Donna che fila con il fuso a rocca sulle sponde di un torrente (Roma, Istituto centrale per la grafica, inv. cat. 119), scegliendo con cura il punto di osservazione in cui gli alberi e i loro riflessi si intersecavano in eleganti linee protese nell’acqua e nel cielo. Fra il 1908 e il 1909 fu collaboratore della rivista Tribuna illustrata.

Nel 1909 nacque il suo terzogenito, Giampaolo. Nel 1910 ottenne la medaglia d’oro, insieme a Gerolamo Tilli, in occasione della mostra fotografica di Spoleto nell’ambito dell’Esposizione per il cinquantesimo anniversario della liberazione. Nello stesso anno ricevette un premio dalla rivista Il Progresso fotografico per l’eccellente profilo artistico e tecnico delle sue fotografie (Osti, in Filippo Rocci, 1987, p. 259). Sempre al 1910 circa è databile Bambini che giocano alla cavallina in un viale (Istituto centrale per la grafica, inv. cat. 123), un’istantanea di vita nella quale i rapporti formali sono studiati esteticamente nei minimi dettagli, come se fosse una fotografia in posa.

In quegli anni tornò a vivere a Fara in Sabina, dove lavorò come direttore di banca e continuò a svolgere parallelamente l’attività di fotografo, ritraendo soprattutto la popolazione contadina e la borghesia del luogo.

Nel 1911 ottenne la medaglia di bronzo nella sezione Fotografia artistica all’Esposizione internazionale di fotografia artistica e scientifica, nell’ambito delle mostre celebrative svoltesi a Roma per il cinquantenario dell’Unità d’Italia (Miraglia, in Filippo Rocci, 1987, pp. 7, 11-13 nota 2).

La domenica era solito aprire la sua abitazione a coloro che volevano una fotografia, ma non potevano permettersi di rivolgersi a un grande studio di Roma (Osti, ibid., p. 260). Era il fotografo locale per tutti gli avvenimenti importanti della popolazione (feste, battesimi, matrimoni e funerali). Allestiva il cortile di casa come uno studio fotografico, con drappi e coperte, ma in fase di stampa talvolta interveniva ulteriormente su quegli elementi che avrebbero potuto tradire la natura agreste dello studio improvvisato all’aperto.

Nel 1913 nacque la figlia Guglielmina. Nel 1919, dopo la morte della moglie, sposò in seconde nozze Adelaide Ripanti. Da questo matrimonio nel 1920 nacque la figlia Eustochio (detta Tochina), che prese il nome dalla nonna paterna. Nel 1921 realizzò la documentazione, attraverso varie fotografie, della costruzione della centrale idroelettrica sul fiume Farfa. Nel 1922 nacque la figlia Wanda. Sempre del 1922 è il Ritratto della figlia Tochina (Istituto centrale per la grafica, inv. cat. 379), che raffigura la bambina nuda sul vasino, sorpresa dal fotografo mentre è intenta a mangiare da una scodella. L’attenzione è rivolta alle due ceramiche, simili per forma e colore ma di uso diametralmente opposto.

In questa istantanea di vita Rocci, con un’ironia ricorrente nei suoi scatti domestici, si divertì a ritrarre la figlia, impegnata a compiere simultaneamente due attività che crescendo, in una famiglia alto-borghese, avrebbe dovuto tenere ben distinte.

Nel 1923-24 collaborò al periodico Terra Sabina con varie fotografie ritraenti la vita locale. Nel 1936 lasciò l’incarico di direttore di banca per dedicarsi all’amministrazione delle proprie terre. In seguito alla morte, giovanissima, della figlia Wanda, Rocci perse interesse per le frequentazioni sociali e iniziò una vita ritirata (Osti, in Filippo Rocci, 1987, pp. 260 s.). Al 1940 circa è databile Fara Sabina ripresa dal casale di Santo Pietro (Istituto centrale per la grafica, inv. cat. 436).

Nella parte sinistra dell’immagine lo sguardo del fotografo-osservatore viene attratto verso l’orizzonte, al punto d’incontro di due colline, guidato da un tronco d’albero perfettamente dritto, vicino a due donne di spalle. Al contrario, nella parte destra il movimento è diametralmente opposto: dal fondo della strada arriva un carro trainato da buoi, diretto verso la realtà dell’osservatore, dietro la macchina fotografica. L’opera testimonia come Rocci, per nulla aggiornato sul linguaggio della fotografia internazionale coeva, fosse però sempre attento alla ricerca dei ritmi e delle corrispondenze formali nella sua ‘fotografia pittorica’.

Morì a Fara in Sabina il 15 dicembre 1965 (Osti, in Filippo Rocci, 1987, p. 259).

Fonti e Bibl.: Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, Archivio bioiconografico, R. F. (vari articoli di stampa); Istituto centrale per la grafica, Archivio fotografico, Fondo F. R. (oltre settecento negativi originali su lastra alla gelatina bromuro d’argento, ristampati alla metà degli anni Ottanta, e alcune decine di stampe positive dell’autore).

D. Mormorio - E.E. Toccaceli, Immagini e fotografi dell’Umbria 1855-1945, Roma 1984, pp. 16 , 94, 110, 113 s., 131, 205 (con bibliografia); F. R. e la fotografia pittorica: ritratto di gentiluomo con camera (catal.), a cura di M. Miraglia, Roma 1987 (in partic. M. Miraglia, pp. 7-14, 263-266; M.F. Bonetti - M. Miraglia, pp. 196-246; M.F. Bonetti, pp. 247-250; S. Osti, pp. 251-255, 259-263; con bibliografia); F. R. fotografo. Immagini della Sabina… (catal., Fara in Sabina), Roma 2000 (ristampa del precedente con pochissimi aggiornamenti, essenzialmente bibliografici); Familia. Fotografie e filmini di famiglia nella Regione Lazio (catal.), a cura di G. D’Autilia - L. Cusano - M. Pacella, Roma 2009, pp. 45, 50 s., 53, 59, 64, 136, 141, 143-145, 197, 201 s.

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