GATTINARA, Filiberto Mercurino Arborio marchese di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GATTINARA, Filiberto Mercurino Arborio marchese di

Andrea Merlotti

Figlio maggiore del conte Carlo Mercurino (morto nel 1582) e della nobildonna pavese Eleonora Beccaria (morta il 4 sett. 1617), nacque intorno al 1545.

Nel 1562, alla morte del padre (Giovan Giorgio Mercurino, nipote ex fratre del gran cancelliere Mercurino di Gattinara, e di Giovanna Costa di Polonghera) Carlo Mercurino aveva dovuto fronteggiare una situazione finanziaria assai critica (tanto che due anni dopo non era ancora riuscito a pagare il funerale). Nonostante i numerosi incarichi ricoperti dal padre del G. - fra cui, nel 1565, quello di podestà di Vercelli -, le finanze familiari erano rimaste dissestate, cosicché per diversi anni il G. e sua madre dovettero affidarsi all'aiuto dei parenti. Nel 1580, per esempio, il G. accompagnò a Venezia lo zio Aureliano Beccaria, inviato nella città lagunare dal duca di Savoia Carlo Emanuele I come ambasciatore pro tempore al posto di Domenico Belli. Per tale missione, durata undici mesi (giugno 1580 - 7 maggio 1581), Beccaria fu pagato 1200 scudi che, nel 1584, ottenne fossero versati alla sorella Eleonora per dotare la figlia Lucrezia (la quale, sebbene A. Manno la consideri monaca clarissa, secondo altri genealogisti sposò i nobili vercellesi Giuseppe Alciati prima e Agostino Mella poi).

Nel 1584 il G. cercò, senza successo, di entrare in possesso dei feudi novaresi di Biandrate, Vicolongo e Casalbertramo (la cosiddetta "Biandrina") e ciò fu, probabilmente, causa del suo progressivo allontanamento dalla fazione filospagnola cui, sino ad allora, gli Arborio di Gattinara erano stati legati.

Le condizioni finanziarie furono felicemente condizionate dallo stretto rapporto che il G. seppe creare con il duca Carlo Emanuele I, di cui divenne amico e ascoltato consigliere (nel 1585 lo accompagnò in occasione delle nozze con l'infanta Caterina, figlia di Filippo II). Entrato a corte, il G. sposò Margherita Cacherano d'Osasco, figlia del gran cancelliere di Savoia Ottaviano; si rinnovava, così, l'alleanza fra le due famiglie, iniziata col matrimonio di Giovanni Francesco Cacherano d'Osasco, fratello minore d'Ottaviano, con Adriana Lignana-Gattinara, figlia di Elisa, unica figlia del cancelliere Mercurino.

Nel 1599 il G. accompagnò il duca in Francia per i colloqui con Enrico IV che avrebbero portato, di lì a poco, al trattato di Lione (17 genn. 1601). Guadagnatosi la simpatia del Borbone, da allora il G. fu più volte inviato dal duca presso il sovrano e secondo l'abate V. Siri egli avrebbe svolto tali missioni "con buon nome". Ormai a corte era considerato filofrancese, tanto che lo stesso Carlo Emanuele I, nel suo testamento politico, redatto nel 1605, mentre consigliava di dare il governo di Nizza a "persone… diffidenti de' Spagnoli", indicava fra i possibili candidati proprio il Gattinara. Questi, peraltro, non sembra esser mai stato chiamato a ricoprire incarichi militari di rilievo (anche se, almeno fra il 1607 e il 1610, risulta al comando d'una compagnia d'armi) e negli anni successivi gli furono affidate diverse missioni diplomatiche, la più importante delle quali fu quella svolta a Parigi dall'ottobre al dicembre 1607.

Giunse a corte l'8 ottobre, ufficialmente per presentare al sovrano le congratulazioni per la nascita del duca d'Orleans; in realtà Carlo Emanuele I l'aveva incaricato di proporre a Enrico IV la creazione d'una lega antispagnola con Venezia. Le armate della lega avrebbero dovuto attaccare le Fiandre e la Lombardia: le prime sarebbero passate alla Francia, mentre la seconda sarebbe stata divisa fra Savoia e Venezia, lungo la riva dell'Adda. La Francia avrebbe restituito al duca Bresse, Bugey e Gex (che nel 1601 erano state scambiate con il Marchesato di Saluzzo). L'alleanza sarebbe stata suggellata dal matrimonio del principe di Piemonte, il futuro Vittorio Amedeo I, con Elisabetta di Borbone. Enrico IV fu cortese con il G., ma si mostrò piuttosto freddo verso tali progetti e tanto più verso le ambizioni di conquista del Regno di Cipro da attuarsi fomentando una rivolta in Macedonia, come il G. gli aveva riferito. Altrettanto non soddisfacente si rivelò l'incontro con il segretario di Stato N. de Neufville, signore di Villeroi, il quale, pur rassicurandolo che la Francia non aveva ambizioni su Ginevra, gli confermò che, sulla base di quanto concertato col trattato di Vervins, avrebbe dovuto difenderla in caso di attacco sabaudo. Il risultato più importante della missione fu, quindi, l'inizio delle trattative per un matrimonio francese del principe Vittorio Amedeo. Secondo quanto raccontava il G., era stato lo stesso Enrico IV a sollevare la questione, esprimendo la propria preoccupazione per l'orientamento politico del principe di Piemonte e del principe di Carignano Tomaso (che in Francia venivano considerati "tutti spagnoli"). Si trattava d'uno dei primi passi delle trattative che, condotte prima dal marchese Nicolò San Martino d'Aglié e poi dal conte Filiberto Gherardo Scaglia di Verrua, avrebbero portato, dieci anni più tardi, al matrimonio fra Vittorio Amedeo e Maria Cristina di Francia.

Rientrato a Torino nel gennaio 1608, da allora la carriera del G. si svolse a corte, dove ebbe incarichi di primo piano. Nel luglio 1609, fu chiamato a sostituire il borgognone Marc-Claude de la Rye, marchese di Dogliani, nella carica di gran scudiere di corte, per la quale gli fu concesso uno stipendio annuo di 2590 lire. Fu creato cavaliere della Ss. Annunziata nel 1618 e l'anno successivo, morto a Parigi il maggiordomo maggiore del duca, conte Filiberto Scaglia di Verrua, ne prese il posto, ricoprendo quella carica sino alla morte. In occasione della guerra di successione del Monferrato, quando gli Spagnoli occuparono i suoi feudi di Lenta e Gattinara (di cui rasero al suolo il castello), il G. agì d'intesa col fratello minore Giovanni Aurelio (che stava costruendo una brillante carriera militare al servizio sabaudo), al fine di darsi un compatto possedimento feudale nel Biellese.

Il G. morì nel 1622; poiché non aveva avuto figli, lasciò eredi del proprio ingente patrimonio il fratello Giovanni Aurelio e il nipote Carlo Antonio Mercurino, figlio del fratello Alessandro, morto nel 1591, che aveva avuto dallo zio Aurelio Beccaria il feudo di Mondondone, e di Margherita Corbetta. Fra gli altri fratelli del G., Signorino, divenuto cavaliere di Malta, fu prima ambasciatore residente a Roma per l'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro e poi, nel 1567, generale delle galee di Malta.

Giovanni Aurelio, gentiluomo di camera e capitano "di cinquanta lanze di ordinanze", il 28 ott. 1614 acquistò per 4000 ducatoni il feudo di Viverone con titolo comitale. Brillante militare, nel 1616 fu inviato contro il principe Francesco Filiberto Ferrero Fieschi di Masserano, che s'era ribellato al duca passando dalla parte degli Spagnoli; conquistato il castello, il conte di Viverone ne venne nominato governatore. Il 29 giugno 1617 s'impegnò a fornire al duca una compagnia "di quaranta corazza et quaranta carabine", ricevendone in cambio una pensione annua di 175 fiorini. Fatto prigioniero dagli Spagnoli pochi giorni dopo, senza aver potuto consegnare gli uomini per cui era stato pagato, egli s'era comunque conquistato la stima del duca, che lo ricompensò non solo cedendogli il feudo di Occhieppo superiore (smembrato da Biella) e il tasso dello stesso, ammontante a 170 scudi d'oro (10 giugno 1619), ma confermandogli anche la cessione di 175 scudi d'oro annui ordinata due anni prima, nonostante non avesse adempiuto al contratto (20 ag. 1619). Promosso colonnello di cavalleria, il 30 sett. 1619 Giovanni Aurelio acquistò per 1500 ducatoni i feudi di Viancino, Gifflenga e Motta Alciata (smembrati da Vercelli) e, il 16 marzo 1620, quelli di Mussano e Camburzano (smembrati da Biella) per 100 doppie di Spagna. Nel 1621, era il G. a far erigere Gattinara in marchesato, acquistando, inoltre, due feudi minori. Nel 1622, poi, Giovanni Aurelio (divenuto nel frattempo "commissario generale della cavalleria") ottenne dal duca la cessione di tutti i beni allodiali posseduti in Piemonte dal principe di Masserano, insieme con l'"usufrutto de' feudi, luoghi et giurisdizioni di Rovasco et Candelo" (il principe era stato condannato a morte l'anno precedente per l'omicidio di alcuni sudditi sabaudi). Nel 1622 fu nominato governatore di Vercelli; tra il 1625 e il 1626 fu chiamato a ricoprire la carica di gran scudiere, che deteneva ancora alla morte di Carlo Emanuele I. Creato cavaliere della Ss. Annunziata nel 1630, il 10 genn. 1633 fu nominato da Vittorio Amedeo I governatore di Biella con una pensione annua di 1000 scudi d'oro, carica che mantenne sino al 13 ott. 1637, quando Maria Cristina lo giubilò (confermandogli la pensione). Dal suo matrimonio con Girolama Morozzo, figlia del presidente Ludovico, ebbe cinque figli: Caterina - che nel 1625 sposò il conte Troilo Avogadro portandogli in dote i feudi di Motta Alciata e Gifflenga -, Giovanna, Leonora, Filiberto, cavaliere di Malta, e Carlo Luigi. Quest'ultimo il 28 febbr. 1637 sposò Claudia Ferrero Fieschi, figlia del principe di Masserano, la quale portò in dote i "focaggi" di Candelo e Gaglianico: tali nozze sancivano la ricomposizione dello scontro, iniziato un ventennio prima, tra le due famiglie. Giovanni Aurelio morì il 15 sett. 1641 seguito, il 6 dicembre, dal figlio Carlo Luigi. Erede dei beni di Giovanni Aurelio fu, quindi, la figlia di Carlo Luigi, Leonora, la quale, sposando nel 1655 Alfonso Mercurino Arborio di Gattinara, nipote di Carlo Antonio Mercurino, permise la ricomposizione del patrimonio familiare.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Lettere di particolari, "G", m. 13; Ibid., Materie politiche per rapporto all'estero, Lettere ministri, Francia, m. 11, f. 7; Ibid., Negoziazioni, Francia, m. 7, ff. 32-33; Paesi, Piemonte, Vercelli città e provincia, m. 21: Gattinara, f. 9; Paesi di nuovo acquisto, Novarese, m. 2: Biandrate, f. 1; Ibid., Archivio Ferrero Fieschi di Masserano, m. 21, f. 15; m. 138 bis, ff. 67, 68, 72, 79, 80, 81; Ibid., Camera dei conti, Patenti Piemonte, regg. 6, cc. 253v-255r; 9, cc. 185v-186r; 18, cc. 210r-210v; 32, cc. 199r-200r; 33, cc. 255v-256r; 34, cc. 219v-221r; 35, cc. 266r-266v; 36, cc. 102v-104v, 121v-123v; 38, cc. 117v-118v, 410r; 40, cc. 161v-162v; Ibid., Patenti controllo finanze, regg. 1610 in 1611, c. 155r; Ibid., Regi biglietti, 1620 in 1624, c. 60 (2°); 1563 in 1629, c. 106; V. Siri, Memorie recondite. Dall'anno 1601 a 1641, II, Parigi 1627, pp. 540 s.; V.A. Cigna-Santi, Serie cronologica de' cavalieri dell'ordine supremo di Savoia, detto prima del Collare, indi della Ss. Nunziata, Torino 1786, pp. 121 s., 135; E. Ricotti, Storia della monarchia piemontese, III, Firenze 1865, pp. 375 s.; V. Barale, Il principato di Masserano e il marchesato di Crevacuore, Biella 1966, pp. 248, 293; P.P. Merlin, Tra guerre e tornei. La corte sabauda nell'età di Carlo Emanuele I, Torino 1991, pp. 68, 74, 112, 143; A. Manno, Il patriziato subalpino, II, Firenze 1903, pp. 68 s.

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