Feto

Universo del Corpo (1999)

Feto

Ermelando V. Cosmi
Juan Piazze
Erich Cosmi jr. e Renata Gaddini De Benedetti

Si definisce feto (dal latino fetus, formato dalla stessa radice di fecundus e femina) il prodotto del concepimento dei Mammiferi dalla comparsa dei caratteri propri della specie al momento del parto. Nella specie umana tali caratteri compaiono al 3° mese di gestazione, quando termina la fase embrionale dello sviluppo intrauterino (v. embrione) e inizia il periodo fetale, nel quale gli abbozzi di tutti gli organi e apparati formatisi nel periodo embrionale si accrescono e maturano (v. cap. Dal concepimento alla nascita). Fino a un'epoca abbastanza recente, il feto era considerato intangibile e l'unica preoccupazione degli ostetrici era quella di far nascere un bambino in buone condizioni cliniche, trascurando i fattori che potevano alterarne la funzionalità nell'utero e comprometterne il normale sviluppo extrauterino. Soltanto recentemente ci si è resi conto che il feto può essere studiato direttamente nell'utero, senza che le condizioni di omeostasi vengano alterate; il feto è però un organismo vulnerabile, la cui vitalità può essere seriamente compromessa dalle alterazioni delle condizioni di omeostasi materne e dalle sostanze farmacologiche somministrate alla madre. Delle funzioni del feto si occupa anche la psicologia, rintracciando in esse i presupposti dello sviluppo della mente: tali funzioni possono raggiungere livelli notevoli di affinamento, come negli atteggiamenti motori o nella cosiddetta memoria corporea, e, con la nascita, sono destinate a trasformarsi in vere e proprie funzioni mentali.

Fisiologia e patologia del feto di Ermelando V. Cosmi, Juan Piazze, Erich Cosmi jr.

1.

Fisiologia

a) Circolazione fetale. Praticamente tutte le sostanze necessarie al mantenimento e all'accrescimento arrivano al feto attraverso la placenta e dalla vena ombelicale, che decorre nel cordone ombelicale e porta al feto il sangue ossigenato e ricco di sostanze nutritizie. La circolazione fetale è stata studiata utilizzando varie metodiche sperimentali, come la cineangiografia, l'emogasanalisi, la misurazione del flusso ematico con flussimetri elettromagnetici, l'analisi della distribuzione di microsfere marcate con radioisotopi, la diluizione dei coloranti e, più recentemente, con velocimetria Doppler; una parte dei risultati ottenuti tramite tali esperimenti è stata confermata nell'uomo da studi eseguiti direttamente sul feto umano.

La vena ombelicale entra attraverso l'anello ombelicale e sale lungo la parete addominale anteriore fino a livello del fegato fetale; quindi si divide come segue: alcuni rami forniscono sangue alle vene epatiche, che irrorano principalmente il lobo epatico sinistro; altri rami riforniscono la circolazione intraepatica; il ramo principale è rappresentato dal dotto venoso, che cortocircuita il fegato per gettarsi direttamente nella vena cava inferiore. Nel feto di pecora, in condizioni fisiologiche, è stato osservato che circa il 53% del flusso ombelicale raggiunge il dotto venoso. L'esatta funzione del dotto venoso non è ancora nota; è stato ipotizzato che possa agire come una derivazione a bassa resistenza, diminuendo le resistenze ombelicoplacentari al flusso ematico. Sono comunque stati descritti casi di ridotto sviluppo del dotto venoso senza alcuna alterazione fetale; inoltre, in alcuni animali, come il cavallo e il maiale, il dotto venoso perde la sua funzionalità durante l'ultima parte della gravidanza; pertanto esso giocherebbe un ruolo di scarsa importanza.

Il sangue della vena cava inferiore raggiunge l'atrio destro del cuore fetale; esso è costituito da una miscela di sangue ossigenato, proveniente dal dotto venoso, e di sangue meno ossigenato che è raccolto da alcune vene sovraepatiche a livello sottodiaframmatico. Da ciò consegue che la quantità di ossigeno presente nel sangue portato all'atrio destro del cuore fetale dalla vena cava inferiore è minore rispetto a quella presente nel sangue al momento in cui lascia la placenta, ma è maggiore di quella presente nella vena cava superiore. Nell'atrio destro il forame ovale è un condotto che rappresenta una continuazione della vena cava inferiore e attraverso il quale la maggior parte del sangue della vena cava inferiore stessa è direttamente deviato, dalla crista dividens, nell'atrio sinistro. In condizioni normali, nell'atrio destro passa anche una minima quantità di sangue meno ossigenato proveniente dalla vena cava superiore. Il flusso preferenziale, dunque, passa dalla vena cava inferiore, attraverso il forame ovale, nell'atrio sinistro, cortocircuitando il ventricolo destro e la circolazione polmonare; al ventricolo sinistro giunge così una miscela di sangue dal contenuto in ossigeno superiore a quello che si determinerebbe se il sangue si fosse completamente mescolato nell'atrio destro. Il sangue con maggiore tasso di ossigeno che attraversa il forame ovale è quindi spinto dal ventricolo sinistro per perfondere due organi vitali: il cervello e il cuore. Il sangue proveniente dalla cava superiore, le cui caratteristiche sono tipiche del sangue venoso e che è spinto dal ventricolo destro nella circolazione polmonare, è quindi, per la maggior parte, deviato, con un meccanismo di shunt, attraverso il dotto arterioso nella porzione discendente dell'aorta. Soltanto un terzo circa del sangue circola dal dotto arterioso nei polmoni. Le funzioni del dotto arterioso sono quelle di convogliare il flusso sanguigno verso la placenta, evitando in questo modo le alte resistenze del letto vascolare polmonare e, quindi, riducendo l'entità del lavoro cardiaco, e di stabilire un equilibrio pressorio tra arteria polmonare e aorta.

Le modificazioni emodinamiche determinate dalla presenza del forame ovale e del dotto arterioso fanno sì che i due ventricoli funzionino in parallelo. Circa il 40% della portata cardiaca si distribuisce alla placenta, il 7% ai polmoni. A causa delle estese comunicazioni esistenti tra cuore destro e cuore sinistro, contrariamente a quanto accade in quello dell'adulto, il cuore fetale ha una limitata capacità di incrementare la portata cardiaca con un aumento del volume di eiezione ventricolare in accordo con il principio di Frank-Starling (per il quale, entro certi limiti, la distensione del miocardio da aumentato riempimento ematico, preload, è seguita da una maggiore forza di eiezione, afterload, del muscolo cardiaco); l'incremento della portata cardiaca si realizza principalmente attraverso un aumento della frequenza: una bradicardia, comunque indotta, determina una riduzione della portata cardiaca.

Nel corso della gravidanza aumenta la percentuale della gettata cardiaca fetale destinata al cervello, ai polmoni e al tratto gastrointestinale, e diminuisce la quota percentuale destinata alla placenta. Si osserva inoltre un progressivo aumento della pressione arteriosa sistemica, che raggiunge valori di 75 torr di sistolica e 55 torr di diastolica al termine di gestazione; contemporaneamente si instaura una diminuzione della frequenza cardiaca da una media di 170 battiti al minuto nel primo trimestre di gravidanza a 140 battiti al minuto al termine. L'alta gettata cardiaca fetale, che è per unità di peso tre volte maggiore di quella di un adulto a riposo ed è dovuta alla tachicardia del feto, potrebbe servire a compensare il basso contenuto di ossigeno del sangue fetale. Dopo la nascita, i vasi ombelicali, il dotto arterioso, il forame ovale e il dotto venoso normalmente si chiudono oppure collabiscono e, di conseguenza, nella circolazione fetale si verificano profonde modificazioni.

Il sistema cardiovascolare del feto è sottoposto al controllo diretto del sistema nervoso autonomo per mezzo di chemocettori e barocettori; la più evidente dimostrazione di tale controllo consiste nella bradicardia transitoria associata alle contrazioni uterine, che può essere abolita da somministrazione di atropina alla madre. L'ipossiemia e l'ipercapnia di grado moderato provocano aumento della pressione arteriosa e vasocostrizione nei polmoni e nei tessuti periferici. Le risposte cardiocircolatorie del feto all'asfissia sono caratterizzate dalla ridistribuzione della circolazione sistemica agli organi vitali e costituiscono un meccanismo di difesa che tende a conservare l'apporto di ossigeno a questi organi, mettendoli in grado di tollerare gli effetti di un accumulo di metaboliti acidi, quali anidride carbonica, idrogenioni e acido lattico. Il feto umano reagisce in modo analogo ad altri Mammiferi, tra i quali le balene, quando si immergono temporaneamente sott'acqua.

È stato suggerito che il dotto arterioso e la circolazione polmonare svolgano un ruolo importante, durante gli episodi di asfissia fetale, nella ridistribuzione del sangue agli organi vitali, grazie all'azione del sistema nervoso autonomo e dei chemocettori aortici e carotidei. Questo meccanismo di difesa ha comunque un'efficacia limitata poiché, rimanendo pressoché costante la portata cardiaca, l'aumento del volume di sangue ridistribuito agli organi vitali tende a deviare il flusso ematico ombelicoplacentare, compromettendo così l'ossigenazione del feto. Il feto possiede dunque la capacità di modificare il flusso ematico ai vari organi, ridistribuendolo in risposta a sollecitazioni diverse, come lo stress e l'ipossia. Questo controllo sembra esercitarsi sia per via nervosa sia mediante la liberazione di ormoni e si esplica tempestivamente in risposta alle modificazioni circolatorie che si realizzano alla nascita.

b) Giunzione neuromuscolare, muscoli scheletrici e riflessi spinali. L'attività riflessa spinale e le risposte alla stimolazione corticale dipendono, oltre che dalla maturazione dei centri cerebrali, dall'adeguato sviluppo dei nervi periferici e dei muscoli. I nervi sono eccitabili prima che cominci la mielinizzazione delle fibre, ma la loro velocità di conduzione è inizialmente molto bassa. Nell'uomo la mielinizzazione si realizza con un ritmo assai lento a partire dalla 12a settimana di gestazione, mentre in altre specie animali essa avviene più rapidamente. Il normale sviluppo dei muscoli scheletrici dipende dalla loro innervazione. Dopo la sezione del nervo, i fusi neuromuscolari non si formano (probabilmente a causa dell'assenza di fibre nervose sensitive), la placca neuromuscolare non si sviluppa e l'intera fibra muscolare, invece che le sole giunzioni neuromuscolari, rimane sensibile all'azione dell'acetilcolina. La differenziazione tra muscoli lenti e rapidi, con una progressiva riduzione del tempo di contrazione di questi ultimi, si determina soltanto dopo la nascita. Negli animali da esperimento, trasferendo reciprocamente le rispettive innervazioni dei due tipi muscolari, è stato possibile invertire la loro risposta funzionale. Ciò dimostra che i neuroni motori sono differenziati prima dei muscoli che li innervano, per cui è l'organizzazione centrale dei neuroni a determinare la differenza fra i muscoli scheletrici rapidi e lenti. Questo processo influenza naturalmente lo sviluppo dei riflessi da stiramento (per es. nel polmone), della rigidità da decerebrazione dei movimenti coordinati e dei movimenti fini; come può essere messo in evidenza con registrazioni intracellulari di neuroni spinali, soltanto all'età di 3 settimane si realizza un quadro simile all'innervazione dell'adulto.

La comparsa di differenti meccanismi riflessi si correla con la maturazione dei nervi periferici, in particolare con il progredire della loro mielinizzazione e delle loro connessioni centrali. La presenza nei muscoli intercostali di una notevole quantità di fusi neuromuscolari dimostra l'importanza di queste strutture nella regolazione del respiro. Il meccanismo γ-efferente controlla, infatti, la coordinazione dei muscoli intercostali come nei movimenti respiratori dell'adulto, e l'alterazione della sua maturazione può avere un significato clinico importante, in particolare nel neonato pretermine. All'8a settimana di gestazione, l'attività sinaptica è sufficientemente sviluppata da permettere la flessione del collo e del tronco. Alla 10ª settimana, stimoli localizzati possono provocare movimenti dei bulbi oculari, apertura delle labbra, una parziale chiusura delle dita della mano e flessione delle dita dei piedi. La capacità di chiudere completamente il pugno viene acquisita al 4° mese. Sempre al 4° mese di gravidanza si evidenziano i movimenti di deglutizione e di respirazione; il riflesso della suzione tuttavia non è presente prima del 6° mese. Lo sviluppo di questi fenomeni è ben osservabile con l'indagine ecografica bi- e tridimensionale e con l'impiego della velocimetria Doppler. Nel corso del 3° trimestre di gravidanza, l'integrazione tra funzione nervosa e muscolare procede rapidamente, cosicché la maggior parte dei feti nati dopo la 32ª settimana di gestazione sarebbe in grado di sopravvivere, in quanto capace di respirare.

Dal 7° mese di gestazione l'occhio è sensibile alla luce, ma la capacità di percepire le forme e i colori non è completa fino a circa un anno dopo la nascita. L'orecchio interno, medio ed esterno appaiono sviluppati a metà della gravidanza. Probabilmente, il feto è in grado di udire alcuni suoni già a paritre dalla 24ª settimana di gestazione. Al 3° mese lunare sono istologicamente evidenziabili le papille gustative; dal 7° mese il feto è sensibile a variazioni di gusto delle sostanze ingerite.

c) Corteccia cerebrale. Nella prima parte della gravidanza è particolarmente evidente nel feto l'accrescimento del cervello, che è più veloce dell'accrescimento corporeo. Il cervello fetale a 10, 12 e 14 settimane pesa rispettivamente lo 0,75, il 4,8 e il 6,9% del peso a termine, mentre il resto del corpo pesa lo 0,14, l'1,99 e il 3%. È significativo che in questo periodo si definisca il completamento neuronale, che è ritenuto un importante determinante delle caratteristiche funzionali del cervello adulto. Nella seconda metà della gravidanza, in particolare nelle ultime 10 settimane, sia il cervello sia il corpo raddoppiano di peso. Questi notevoli gradienti ponderali non riflettono uniformemente la maturità dei costituenti cerebrali e corporei.

In molte specie animali il periodo critico per lo sviluppo del cervello si colloca in fasi avanzate della gravidanza. La differenziazione dei neuroblasti in neuroni è stata esaminata con particolare dettaglio nella corteccia cerebrale del feto di cavia. In questo animale il periodo critico è quello compreso tra il 41° e il 45° giorno di gravidanza (circa due terzi dell'intera gestazione); in tale periodo cominciano ad apparire per la prima volta processi extracellulari, probabilmente dendriti e corpi di Nissl, il nucleo cessa di aumentare di volume e si realizza un rapido incremento nell'attività di molti enzimi, come l'adenosintrifosfatasi, la citocromossidasi, la deidrogenasi succinica (l'attività dell'acetilcolinesterasi inizia ad aumentare con alcuni giorni di anticipo). Tutte queste modificazioni citologiche e chimiche sono accompagnate dalle prime manifestazioni di un'attività elettrica; ciò è documentato dalle risposte muscolari alla stimolazione corticale e dalla comparsa di potenziali elettrici spontanei d'origine corticale. Un'attività elettroencefalografica spontanea appare per la prima volta nel feto di cavia dopo 46 giorni, ovvero in un periodo corrispondente a circa i due terzi della gestazione, e diventa continua dopo 55 giorni. Per quanto riguarda l'uomo, alcuni studi istologici effettuati sulla corteccia sembrano suggerire che il periodo corrispondente si colloca più precocemente e può essere compreso tra la 12a e la 16 a settimana di gravidanza.

Nonostante il precoce sviluppo corticale, la funzione cerebrale dell'uomo si presenta alla nascita notevolmente immatura rispetto a quella di altre specie animali. In particolare, la comparsa di alcune risposte motorie riflesse a determinati stimoli avviene nell'arco di diversi mesi prima e dopo la nascita. Alcuni riflessi sembrano essere unicamente dipendenti dall'età gestazionale, mentre lo sviluppo di altri si realizza con l'apprendimento, e quindi soltanto dopo la nascita. In genere, meno differenziato è il tessuto nervoso, minore quantità di ossigeno viene consumata e, conseguentemente, il cervello è meno vulnerabile all'ipossia. Nelle ultime 10 settimane, il notevole accrescimento del cervello, cui abbiamo accennato precedentemente, la differenziazione citoarchitettonica e lo sviluppo concorrente delle funzioni sono fattori che aumentano le richieste di ossigeno e, quindi, la vulnerabilità all'ipossia. La popolazione cellulare proliferativa del cervello non ha ancora raggiunto il pieno completamento cellulare, sebbene la mancata differenziazione suggerisca una minore sensibilità a un deficit relativo di ossigeno. Le conseguenze dell'ipossia in questo stadio non possono essere determinate con sicurezza; tuttavia, esse possono essere responsabili di deficit cognitivi in feti con ritardi di accrescimento (IUGR; v. oltre).

d) Rene. La funzione escretrice del rene fetale inizia nell'uomo intorno alla 18a settimana e, verso il termine della gestazione, viene prodotta una quantità tale di urina da modificare in modo significativo la composizione del liquido amniotico. Nelle fasi iniziali della gravidanza la composizione del liquido amniotico può essere comparata a quella di un ultrafiltrato del plasma fetale, mentre con il progredire della stessa si riduce la concentrazione degli elettroliti e aumenta quella dell'urea e della creatinina. Alla fine del primo trimestre, i nefroni hanno una certa capacità di escrezione grazie alla filtrazione glomerulare; ma dal punto di vista funzionale i reni sono immaturi per tutta la vita fetale. La capacità di concentrazione e di modificazioni del pH urinario sono abbastanza limitate anche nel feto maturo. L'urina fetale è ipotonica, se paragonata al plasma fetale, per la bassa concentrazione di elettroliti. Nel feto umano, la frazione della gettata cardiaca che perfonde i reni è bassa e le resistenze vascolari renali sono alte, se confrontate con i valori rilevati nella vita extrauterina. Normalmente si trova una certa quantità di urina anche nella vescica di feti abbastanza piccoli. La produzione media è di 10 ml/ora alla 30a settimana di gestazione con un aumento al termine a 27 ml/ora o 650 ml/giorno. Diure- tici somministrati alla madre (furosemide, amino- fillina) incrementano la produzione di urina fetale. Dopo ostruzione dell'uretra, la vescica, gli ureteri e la pelvi renale possono dilatarsi notevolmente; la vescica può distendersi a tal punto da causare difficoltà nel parto. I reni, in queste circostanze, sembrano capaci di espellere fino a che la pressione a monte finisce per distruggere il parenchima renale. I reni non sono indispensabili per la sopravvivenza nella vita intrauterina, ma hanno un ruolo nel controllo della composizione e del volume del liquido amniotico e nella secrezione di fosfolipidi tensioattivi polmonari. Le anomalie che determinano anuria cronica spesso si associano a oligoidramnios. Alla nascita, la funzione renale del feto non ha ancora raggiunto una completa maturazione, com'è dimostrato dalla ridotta capacità di regolare il pH e dalla bassa osmolarità delle urine; è, tuttavia, generalmente adeguata alla sopravvivenza del neonato, a meno che non siano presenti gravi anomalie delle vie escretrici.

e) Apparato digerente. Già alla 19a settimana di gestazione nell'intestino tenue sono evidenziabili l'attività peristaltica e la capacità di trasporto attivo del glucosio. Al 4° mese di gravidanza, il tratto gastrointestinale è sviluppato al punto di permettere al feto di deglutire liquido amniotico, di assorbire buona parte dell'acqua in esso contenuta, di fare avanzare la parte non assorbita fino al tratto distale del colon. Durante il primo periodo dello sviluppo fetale sono evidenziabili acido cloridrico e alcuni enzimi digestivi caratteristici dell'apparato digerente dell'adulto, sebbene in quantità molto basse se messe a confronto con quelle presenti durante la vita postnatale. Nelle prime fasi della gravidanza la deglutizione del feto ha un modesto effetto sul volume del liquido amniotico, dal momento che l'entità della deglutizione stessa è bassa se paragonata al volume totale di liquido amniotico presente. Nelle fasi più avanzate della gravidanza sembra, peraltro, che il volume del liquido amniotico che circonda il feto sia regolato in maniera significativa dall'attività di deglutizione fetale: se quest'ultima è inibita, non è infrequente il polidramnios. L'attività di deglutizione può favorire l'accrescimento e lo sviluppo del tratto digestivo e risultare una funzione essenziale per l'alimentazione dopo la nascita; tuttavia, alcuni feti anencefali, che normalmente presentano un'attività di deglutizione ridotta, hanno un tratto gastrointestinale che appare, macroscopicamente, normale.

A gravidanza avanzata, la deglutizione serve a rimuovere i detriti insolubili che normalmente si riversano nel sacco amniotico e, in taluni casi, vengono in esso escreti in maniera anomala. La quantità di detriti insolubili deglutiti può essere identificata nel meconio raccolto alla nascita. Probabilmente la quantità di liquido amniotico deglutita contribuisce in misura modesta alla richiesta calorica fetale, ma può fornire sostanze nutritizie essenziali. Il meconio è costituito non solo da frammenti indigeriti presenti nel liquido amniotico deglutito, ma anche da vari prodotti di secrezione, escrezione e desquamazione del tratto gastrointestinale. Il colore verde scuro è dovuto alla presenza di alcuni pigmenti, in particolare la biliverdina. In genere un'ipossia marcata determina una scarica di meconio dal crasso-sigma nel liquido amniotico.

f) Fegato e pancreas. La funzionalità epatica del feto differisce per alcuni aspetti da quella dell'adulto. Alcuni enzimi sono presenti nel fegato in quantità considerevolmente ridotte rispetto alla vita postnatale. Il fegato ha una scarsa capacità di trasformare la bilirubina libera in bilirubina diglucuronoside. Maggiore è il grado di immaturità del feto, minore è la capacità di coniugare la bilirubina. Soltanto una piccola quantità di bilirubina viene coniugata ed escreta attraverso le vie biliari direttamente nell'intestino, mentre per la maggior parte è trasformata in biliverdina. La bilirubina non coniugata è rapidamente rimossa dalla placenta a opera del circolo fetale per essere coniugata dal fegato della madre ed escreta attraverso le sue vie biliari. Il trasferimento di bilirubina non coniugata attraverso la placenta è bidirezionale. Questa considerazione è motivata dai rari casi di iperbilirubinemia, in conseguenza di alti tassi di bilirubina non coniugata nella madre e nel feto. Il glicogeno è presente in basse concentrazioni nel fegato fetale nel secondo trimestre di gravidanza; in prossimità del parto, però, il suo contenuto subisce un aumento tale da determinare tassi più elevati di due o tre volte rispetto a quelli riscontrabili nell'adulto. Dopo il parto il contenuto di glicogeno decresce in modo molto rapido.

L'attività esocrina del pancreas fetale appare limitata, ma non assente. Si possono identificare nel pancreas acini contenenti insulina alla 9ª settimana di gestazione; l'insulina plasmatica è presente alla 12ª settimana. Il pancreas fetale risponde all'iperglicemia aumentando l'insulina plasmatica. Per quanto il ruolo preciso dell'insulina di origine fetale non sia chiaro, l'accrescimento del feto è determinato in notevole misura dalla grande quantità di sostanze nutritizie fondamentali che giungono dalla madre, grazie all'azione dell'insulina e all'attività anabolica operata dal feto stesso su queste sostanze. La quantità di insulina è alta non soltanto nel siero di nati da madre diabetica, ma anche in nati di dimensioni eccessive per l'età gestazionale, mentre è bassa in nati piccoli per l'età gestazionale; anche la placenta è in grado di produrre questa somatomedina. Mancano attualmente prove che l'insulina di origine fetale contribuisca alle richieste della madre diabetica. Il glucagone è stato identificato nel pancreas a 8 settimane di gestazione. Un'ipoglicemia indotta e l'infusione di alanina aumentano i livelli di glucagone nella scimmia Macacus rhesus, ma non nel suo feto. La mancanza di risposta delle cellule α all'ipoglicemia e all'infusione di alanina sono conseguenti alla carenza di rilascio di glucagone piuttosto che all'inadeguata produzione dell'ormone.

g) Ghiandole endocrine. L'ipofisi è in grado di sintetizzare e di immagazzinare ormoni prima della fine del primo trimestre. Nell'ipofisi di feti umani di 10 settimane di gestazione sono stati identificati GH (Growth hormone, ormone della crescita), ACTH (Adenocorticotropic hormone, ormone adrenocorticotropo), prolattina, LH (Luteinizing hormone, ormone luteinizzante) e FSH (Follicle stimulating hormone, ormone follicolostimolante). Dalla 12ª settimana i tassi di ACTH sono elevati nel plasma fetale e rimangono tali fino a gravidanza avanzata, quando la loro concentrazione plasmatica si riduce sensibilmente. L'ipofisi fetale produce anche ormoni oppioidi, quali le endorfine, le encefaline e altri. Con il procedere della gravidanza, la prolattina aumenta in maniera considerevole nel plasma fetale, tanto da raggiungere, dalla 35ª alla 42ª settimana, valori medi sei volte superiori a quelli presenti alla 16ª e alla 19a settimana. Va tuttavia sottolineato che questi ormoni sono secreti anche dalla placenta. I livelli di GH dell'ipofisi sono piuttosto elevati nel sangue del cordone, ma il ruolo di questo ormone nell'accrescimento e nello sviluppo del feto non è chiaro.

Dal momento che la placenta umana concentra attivamente iodio durante il secondo e il terzo trimestre, la tiroide fetale concentra iodio con intensità maggiore rispetto alla tiroide materna. I rischi per il feto connessi con la somministrazione alla madre di iodio marcato o di notevoli quantità di iodio normale sono ovvi. Molti fatti indicano che gli ormoni tiroidei di origine materna passano la placenta in quantità molto limitata o nulla; la tirotropina, invece, attraversa facilmente la placenta e viene impiegata per indurre la maturazione del polmone fetale. Il feto, probabilmente, dipende soprattutto dagli ormoni prodotti dalla propria tiroide. Il fatto che i figli affetti da cretinismo tireoprivo abbiano in genere madri eutiroidee può indicare che un tasso normale di secrezione tiroidea materna non può compensare completamente una sintesi inefficace da parte delle ghiandole fetali. Esistono prove convincenti che le paratiroidi fetali elaborano paratormone a partire dalla fine del primo trimestre e sembrano rispondere in utero a stimoli regolatori; per es., il neonato da madre affetta da iperparatiroidismo può soffrire di tetania ipocalcemica.

L'incapacità, da parte del neonato, di concentrare le urine suggerisce che il feto non produce ormone antidiuretico. Tuttavia, alcuni ricercatori hanno dimostrato che i livelli di arginina-vasopressina nel plasma del funicolo sono notevolmente aumentati rispetto ai valori nel plasma materno. La surrenale di un feto umano è, in rapporto alle sue dimensioni corporee, superiore a quella dell'adulto; la massa di tessuto che rende così grande la surrenale è costituita dalla zona centrale, definita zona fetale della surrenale. Dopo la nascita, la zona fetale subisce un rapido processo di involuzione. In alcuni rari casi, quando è assente l'ipofisi del feto, essa può essere molto ridotta o mancare. Il surrene fetale sintetizza aldosterone. È stato possibile dimostrare che i tassi di aldosterone nel plasma del cordone a termine superano quelli nel plasma materno, così come quella della renina e della prorenina. I tubuli renali del neonato, e probabilmente del feto, appaiono relativamente insensibili all'aldosterone. Le catecolamine sono presenti nella midollare surrenale fin da stadi molto precoci della vita fetale; esse rivestono un ruolo essenziale nella risposta fetale a situazioni stressanti, all'ipossia e all'asfissia.

Nel corso della gravidanza, la placenta produce quantità di progestinici ed estrogeni in concentrazioni progressivamente crescenti. Questi ormoni hanno effetti importanti, quali la regolazione dell'accrescimento fetale, dello sviluppo e della differenziazione sessuale, della crescita e contrattilità uterina, dell'inizio del travaglio di parto e del flusso ematico uteroplacentare. La produzione di estrogeni non è il risultato della sola attività della placenta, ma dell'integrazione tra madre, placenta e feto, che agiscono come una singola unità, per cui si parla di unità fetomaternoplacentare. Ciò è dovuto al fatto che nella madre e nel feto sono presenti soltanto alcuni precursori degli estrogeni e che gli enzimi necessari per la conversione, quali l'aromatasi e le sulfatasi, si trovano unicamente nella placenta. La mancanza di tali enzimi determina una scarsa o assente produzione di estriolo ed è seguita dalla comparsa di una forma di ittiosi alla nascita che si verifica solo nel bambino di sesso maschile, per cui si parla di malattia diaginico-oloandrica (trasmessa dalla madre e che colpisce il feto di sesso maschile).

La sintesi di testosterone dal testicolo fetale a partire dal progesterone e dal pregnenolone inizia dalla 10ª settimana di gestazione. La possibilità della steroidogenesi da parte dell'ovaio è limitata prima dello sviluppo del follicolo primario e del follicolo del Graaf nella seconda parte della gravidanza. I costituenti del sistema endocrino fetoplacentare, molto probabilmente, giocano un ruolo di notevole rilievo nell'inizio del travaglio spontaneo.

h) Il sistema emopoietico. È stato dimostrato che la prima sede di eritropoiesi è il sacco vitellino dell'embrione in fase iniziale. Successivamente, le sedi di maggiore importanza diventano il fegato e, infine, il midollo. I primi globuli rossi formati sono provvisti di nucleo, ma con il progredire dello sviluppo fetale, un numero via via crescente di globuli rossi è privo di nucleo. Con l'accrescersi del feto aumentano sia la volemia sia il numero delle emazie nella circolazione fetale, e quindi si osserva un considerevole incremento della concentrazione di emoglobina (Hb). L'emoglobina fetale (HbF) raggiunge livelli di oltre 17,0 g/dl a metà della gravidanza. È quindi caratteristica del sangue fetale, presso il termine o a termine della gravidanza, la presenza di una concentrazione di HbF che appare alta rispetto ai valori medi dell'HbA materna.

Verso l'8° mese di gestazione compare HbA che raggiunge valori del 20%. La conta dei reticolociti diminuisce da livelli molto alti, quali sono quelli che si possono riscontrare nei primi stadi della vita fetale, fino a 55‰ nel feto a termine. I globuli rossi del feto differiscono, da un punto di vista metabolico, da quelli di un adulto; per es., alcuni enzimi hanno attività apprezzabilmente diversa.

L'HbF (che pure è emoglobina alcaliresistente) contiene una coppia di catene polipeptidiche α e una coppia di catene γ per molecola, le quali fanno sì che la curva di dissociazione dell'HbF sia spostata normalmente a sinistra rispetto a quella materna, anche perché non lega molecole di 2,3-difosfoglicerato e di ATP. Questo è molto importante per gli scambi di ossigeno e di anidride carbonica tra madre e feto (effetti Bohr e Haldane). Alla nascita le concentrazioni di alcuni fattori della coagulazione sono considerevolmente inferiori rispetto ai livelli raggiunti alcune settimane dopo il parto. I fattori dei quali esistono bassi livelli nel sangue del cordone sono: il II, il VII, il IX, il X, l'XI, il XII, il XIII e il fibrinogeno. Se non viene utilizzata la vitamina K a scopo profilattico, la maggior parte di questi fattori della coagulazione diminuisce ancora nei primi giorni dopo la nascita e può provocare emorragie nel neonato. La conta delle piastrine nel sangue del cordone risulta entro valori normali, simili a quelli della donna adulta non gravida, mentre i livelli di fibrinogeno fetale risultano al di sotto dei valori medi presenti in donne al di fuori della gravidanza.

2.

Valutazione della maturità fetale

La valutazione della maturità fetale è essenziale per conoscere la possibilità di sopravvivenza del feto al di fuori dell'ambiente uterino. Essa si fonda sull'esame ecografico (v. cap. Le immagini della vita intrauterina) e sui test di maturità polmonare del feto, basati sull'analisi della composizione del liquido amniotico relativa a quei fattori che riflettono lo stato di maturazione dei polmoni del feto. Questi sono ripieni di liquido polmonare fetale, che a sua volta contiene il surfattante prodotto dai pneumociti di tipo II a livello degli alveoli. L'efflusso di liquido polmonare fetale dal polmone è episodico ed è regolato dalla laringe fetale che funziona come uno sfintere. Benché la sintesi e la secrezione dei componenti attivi del surfattante siano un fenomeno complesso e modificabile a opera di fattori fisiopatologici o farmacologici, è certo che esiste un interscambio tra liquido polmonare fetale e liquido amniotico, nel corso del quale vengono escrete anche le urine fetali contenenti fosfolipidi tensioattivi, come documentato nei feti di pecora. L. Gluck e i suoi collaboratori (1973) furono i primi a dimostrare la validità clinica del rapporto tra concentrazioni di lecitina (L) e sfingomielina (S) nel liquido amniotico (ipotesi suggerita per la prima volta da E.M. Scarpelli).

La determinazione del rapporto L/S è il test più utilizzato e lo standard di riferimento per tutti gli altri. Il test sfrutta il fatto che la sfingomielina, un fosfolipide della membrana cellulare, la cui concentrazione nel liquido amniotico non riflette fenomeni maturativi del polmone fetale, ha una concentrazione per ml di liquido amniotico che rimane relativamente costante per tutto l'arco della gravidanza, anche se tende a decrescere a partire dalla 32ª settimana, e pertanto rappresenta un valore standard interno di riferimento. Al contrario, la concentrazione della lecitina (fosfatidilcolina), e in particolare della sua frazione disatura tensioattiva, diventa progressivamente maggiore a partire dalla 30ª settimana. Il rapporto L/S è minore di 0,5 fino a 20 settimane di gravidanza, aumenta fino a 1,0 a 28-30 settimane; un valore più elevato di 2,0 viene in genere raggiunto dopo la 34ª settimana di gravidanza. Un valore di L/S superiore a 2,0 è predittivo di un basso rischio di RDS (Respiratory distress syndrome) prima della 35ª settimana. Valori minori di 1,0 indicano un rischio elevatissimo di RDS, valori compresi fra 1,0 e 1,5 un rischio relativamente elevato, mentre il rischio è modesto per valori intermedi, compresi fra 1,5 e 2,0. Dal momento che il surfattante alveolare (surface active) possiede caratteristiche particolari, queste possono essere utilizzate per documentare la sua presenza nel liquido amniotico. Le proprietà tensioattive sono concentrazione-dipendenti e risentono molto della presenza di sostanze interferenti; la loro funzionalità, e quindi la loro valutazione, tende a essere qualitativa.

Le determinazioni accurate delle proprietà tensioattive del liquido amniotico richiedono una strumentazione particolare e tecniche lunghe e laboriose (come l'uso di bilancia di Betlehem, il surfattometro a bolle pulsanti e altre), per cui non sono di pratica applicazione clinica. J.A. Clements e i suoi collaboratori, nel 1972, hanno tuttavia introdotto un test di semplice esecuzione, denominato test alla schiuma (shake test, bubble stability test, foam test), il cui uso è ormai invalso nella pratica ostetrica. Esso consiste nel valutare, in diluizioni seriate di liquido amniotico con etanolo al 95%, dopo vigorosa agitazione per 15 minuti, l'anello di schiuma che si forma nella provetta a livello dell'interfaccia aria-liquido. La presenza di tale schiuma a diluizioni 1:2 o maggiori è indicativa di maturità polmonare fetale, in quanto espressione dell'attività di un'abbondante quantità di surfattante presente nel liquido amniotico. Il test è gravato da un numero elevato di falsi negativi (ovvero di risultati falsi immaturi). Peraltro, uno shake test positivo esclude virtualmente la presenza di RDS, mentre un test negativo può verificarsi anche in presenza di polmoni normali (falso positivo). Il test alla schiuma può essere quindi considerato uno dei test principali per la valu- tazione iniziale della maturazione polmonare fetale. Il metodo della determinazione dei corpi lamellari amniotici si fonda sulla presenza nel liquido amniotico dei cosiddetti corpi lamellari, particelle prodotte dai pneumociti di tipo II, e contenenti quasi esclusivamente fosfolipidi tensioattivi con una composizione che riflette fedelmente il sistema surfattante alveolare. In altre parole, i corpi lamellari rappresentano la forma fisica in cui il surfattante polmonare rimane in sospensione in una soluzione acquosa come il liquido amniotico. Il diametro di queste particelle è compreso fra 1 e 5 µm e come tale rientra nei valori del volume delle piastrine circolanti; pertanto, la presenza di un numero di corpi lamellari superiore a 20.000/µl è indicativa di maturità polmonare fetale.

3.

Sofferenza fetale

Il concetto di sofferenza fetale è legato essenzialmente a un alterato trasporto di O₂ e di substrati dalla madre al feto, che può essere causato da molteplici fattori. La perfusione a livello uterino, infatti, può ridursi in caso di ipotensione, ipertensione, marcata ipovolemia, aumentata viscosità, iperattività uterina, nonché in presenza di vasocostrittori, endogeni ed esogeni, e progestinici sintetici.

Una compressione della vena cava inferiore e dell'aorta da parte dell'utero gravido (compressione aortocavale) si verifica nel 15% delle gestanti in decubito supino, a partire dalla 28ª settimana fino al termine della gestazione. Durante la compressione della vena cava inferiore la perfusione uterina, e quindi l'ossigenazione fetale, possono decrescere sostanzialmente come risultato di un ridotto ritorno venoso al cuore materno. In presenza di una compressione dei vasi aortoiliaci materni la pressione brachiale può rimanere normale, ma la perfusione nel distretto uterino è molto diminuita. Studi su animali hanno dimostrato che la perfusione uterina può ridursi approssimativamente della metà rispetto ai valori normali prima che si verifichino ipossiemia e acidosi fetale gravi. Tuttavia, la tolleranza a tali episodi di ridotta perfusione diminuisce nel caso in cui le condizioni del feto siano compromesse, come per es. in presenza di ipossiemia. La vasocostrizione generalizzata, in risposta a emorragia materna o a ipovolemia, coinvolge la perfusione uterina, determinandone una riduzione come esito sia di un decremento della perfusione sistemica sia di una vasocostrizione. Il benessere fetale risulta dunque compromesso in presenza di un'emorragia materna, a seguito di una ridotta capacità del trasporto di ossigeno da parte del sangue della madre.

Causa di diminuita ossigenazione fetale possono essere l'anemia fetale (come nell'eritroblastosi) ed emoglobinopatie materne o fetali. La capacità materna di trasporto di ossigeno può variare in presenza sia di anemia sia di policitemia. Nel primo caso, si verifica, infatti, un'alterazione dell'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno, poiché la concentrazione intraeritrocitaria del 2,3-difosfoglicerato varia in maniera inversa rispetto alla concentrazione dell'HbA. Nel secondo caso, la circolazione uterina può ridursi come conseguenza di un incremento della viscosità ematica; l'ipertensione materna altera la perfusione uterina a seguito di un aumento delle resistenze vascolari e della viscosità ematica, dovuto a modificazioni della membrana eritrocitaria (aumento del rapporto colesterolo/fosfolipidi); anche la funzione placentare risulta compromessa in presenza di ipovolemia materna, ipoproteinemia, anemia relativa e a causa di alterazioni ultrastrutturali della placenta.

La compressione del cordone ombelicale, e più precisamente dell'arteria ombelicale, può determinare un aumento della pressione a livello dell'arco aortico; tale evenienza può causare una bradicardia fetale riflessa per stimolazione dei barocettori e, quindi, una riduzione della circolazione placentare. Anche il verificarsi di un'anomala inserzione del cordone ombelicale può direttamente alterare la circolazione ombelicale e pregiudicare seriamente l'ossigenazione fetale. Altre situazioni cliniche nelle quali si presenta un'alterazione dell'ossigenazione fetale risultano essere il distacco intempestivo di placenta e il prolasso di funicolo.

L'impatto dell'ipossia materna sull'ossigenazione fetale dipende dal grado, dalla durata e dal meccanismo d'azione, nonché dalle condizioni fetali e dai meccanismi di compenso; è stato calcolato che l'ossigenazione fetale è normalmente ridotta a livelli di pO₂ arteriosa materna di 50 torr o meno. I fattori in grado di determinare una riduzione del trasporto di ossigeno al feto in presenza di ipossia materna sono due: il primo è la diminuzione del contenuto e della tensione parziale dell'ossigeno nel sangue materno; il secondo è la riduzione del flusso ematico nel distretto uteroplacentofetale. Un'altra causa, spesso sottovalutata, della riduzione della circolazione uterina e dell'ossigenazione fetale è l'iperventilazione materna forzata durante l'anestesia generale: essa presenta diversi effetti negativi sulla circolazione fetale, che si manifestano nell'ostacolato ritorno venoso al cuore e nello spostamento della curva di dissociazione dell'HbA a sinistra. L'apporto di ossigeno al feto è gravemente alterato in caso di intossicazione da monossido di carbonio (CO), o metaemoglobinemia. Gli effetti avversi del CO derivano dalla riduzione nel rilascio dell'ossigeno al feto e ai tessuti, poiché l'affinità dell'emoglobina adulta per il CO è 230 volte maggiore dell'affinità per l'O₂, e perché la curva di dissociazione dell'HbA si sposta a sinistra. Il CO si combina anche con la mioglobina, la pseudoemoglobina di Barkans e con i citocromi.

L'intossicazione da CO interessa le donne in gravidanza esposte all'inquinamento atmosferico e le forti fumatrici. La paO₂ fetale si riduce proporzionalmente alla concentrazione di carbossiemoglobina nel sangue materno e in quello fetale, così da procurare ipossia e anossia fetale. Il CO e la metaemoglobina riducono anche la capacità del trasporto dell'ossigeno nel sangue e determinano così un ridotto rilascio dell'ossigeno ai tessuti, a causa dello spostamento a sinistra della curva di dissociazione dell'Hb materna. Quest'alterazione potrebbe essere ereditaria, indotta da un deficit della citocromo b5 riduttasi, oppure potrebbe essere causata dall'azione di un anestetico locale, la prilocaina. Diversi studi indicano che con l'incremento della concentrazione materna dell'O₂ inspirato si verifica un progressivo, ma non proporzionale, aumento della paO₂ fetale, che migliorerebbe le condizioni del neonato alla nascita. Peraltro è stato dimostrato, in vari studi, che con l'incremento della paO₂ arteriosa materna da 100 torr a 600 torr si verifica un aumento della concentrazione di paO₂ di 1,5 ml/dl/min, da 16 a 17 ml/dl/min. La somministrazione di elevate concentrazioni di O₂ alla madre, per garantirne l'apporto al feto, non dovrebbe essere tuttavia considerata una panacea per il trattamento dell'ipossiemia fetale; le opinioni riguardo tale pratica sono infatti discordanti, essendo stato osservato che la paO₂ fetale aumenta, ma non in maniera proporzionale rispetto a quella materna. Ciò nonostante, la somministrazione di elevate concentrazioni di O₂ alla madre potrebbe rappresentare una temporanea misura di supporto per il trattamento dell'ipossiemia fetale.

Altre condizioni patologiche, quali il diabete gestazionale, la preeclampsia, le infezioni intrauterine, l'oligoidramnios, l'alloimmunizzazione Rh, possono determinare alterazioni strutturali a livello placentare, producendo uno stato di insufficienza placentare. Alcune di queste condizioni rappresentano un fattore di rischio per un ritardo di crescita intrauterino del feto (IUGR; v. oltre).

a) Diabete gestazionale. È una complicazione che interessa circa il 3% delle gestanti. Queste presentano un test di tolleranza al glucosio anormale, ma non richiedono il trattamento con insulina. Nelle gravidanze complicate da diabete gestazionale la mortalità perinatale risulta duplicata e la morbosità neonatale è notevolmente accresciuta. Poiché il glucosio attraversa rapidamente la placenta, ogni aumento della glicemia materna comporta un aumento della glicemia fetale, al quale il pancreas del feto risponde con un incremento della produzione e del rilascio di insulina; l'iperinsulinemia stimola la crescita fetale, causando macrosomia (approssimativamente la metà dei neonati di donne con diabete gestazionale ha un peso che si situa intorno al 75° percentile); inoltre, risulta anche responsabile di una ipoglicemia neonatale e probabilmente di un incremento dell'incidenza della RDS. Il feto macrosoma può andare incontro a un parto difficoltoso e in alcuni casi può richiedere un taglio cesareo.

b) Preeclampsia. L'ipertensione complica dal 7 al 10% delle gravidanze; di queste il 30% è dovuto a un'ipertensione essenziale cronica e il 70% a preeclampsia. La preeclampsia raramente si sviluppa prima della 20ª settimana; in epoche precoci insorge soltanto nelle gestanti affette da malattia renale. L'eziologia di questa patologia, che viene normalmente identificata in presenza della triade sintomatologica ipertensione, proteinuria ed edema, non è ancora chiarita. Le alterazioni fisiopatologiche includono un'inadeguata risposta vascolare materna alla placentazione, a disfunzioni endoteliali, vasospasmo generalizzato, attivazione piastrinica e anomalie nell'emostasi. Queste alterazioni interessano i vasi periferici e il circolo uteroplacentare, così come tutti gli organi e i sistemi quali il rene, i polmoni, il fegato e il sistema nervoso centrale. Le conseguenze materno-fetali della preeclampsia possono essere molto gravi e addirittura mortali; nella madre possono verificarsi convulsioni (il cosiddetto attacco eclamptico, che può evolvere in coma) e complicazioni della coagulazione fino a un quadro conclamato di coagulazione intravascolare disseminata. Per il feto, l'ipertensione materna può comportare gravi conseguenze, come il distacco di placenta, il ritardo di crescita intrauterino e la morte intrauterina.

c) Infezioni intrauterine. Con il termine amnionite si definisce la presenza di un processo infettivo delle membrane fetali, associato a una o più manifestazioni cliniche: febbre (38 °C), tachicardia materna (oltre 100 battiti al minuto), tachicardia fetale (oltre 160 battiti al minuto), dolorabilità uterina, leucocitosi (maggiore di 18.000 globuli bianchi) e perdite vaginali di odore sui generis. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, l'infezione intrauterina non mostra alcun segno o sintomo clinico (infezione occulta). I batteri più comunemente coinvolti sono quelli presenti nella normale flora vaginale (Escherichia coli, Bacteroides fragilis, diverse specie di streptococchi e lattobacilli ecc.). Poiché dipende dal tipo e grado di infezione e dall'epoca gestazionale in cui compare, l'amnionite può condurre a diverse complicazioni, quali l'aborto spontaneo, il parto pretermine, la sepsi e lo shock. Più frequentemente la mortalità perinatale è determinata dal parto pretermine, che in più della metà dei casi si verifica a seguito della rottura prematura delle membrane. Si ritiene che circa il 15-20% delle nascite pretermine sia dovuto a infezioni intrauterine.

d) Oligoidramnios. Un adeguato volume di liquido amniotico risulta necessario per uno sviluppo fetale ottimale. Un oligoidramnios (anomalia caratterizzata dalla presenza di poco liquido amniotico) di lunga durata può compromettere lo sviluppo polmonare e promuovere la comparsa di difetti di postura degli arti. Nelle gravidanze a termine e post-termine, l'oligoidramnios è spesso associato con liquido amniotico fortemente tinto di meconio, accelerazioni nel tracciato cardiotocografico e IUGR (v. oltre). Si osserva un incremento di 13 volte della mortalità perinatale quando il volume di liquido amniotico risulta ecograficamente marginale, e un incremento di 47 volte se è presente un oligoidramnios in forma grave. Se il liquido amniotico è assente (anidramnios), la gravidanza ha un'evoluzione negativa nell'88% dei casi. Il metodo migliore per una valutazione del volume del liquido amniotico e i criteri attraverso i quali definire una condizione di ridotta quantità di liquido amniotico non sono ancora chiaramente stabiliti. Tra le tecniche utilizzate, l'indice di liquido amniotico, calcolato sommando la tasca verticale più lunga in ognuno dei quattro quadranti dell'utero, permette una valutazione quantitativa che risulta proporzionale all'effettivo volume e maggiormente predittiva rispetto agli altri metodi.

e) Alloimmunizzazione Rh. L'eritroblastosi fetale può determinare una serie di rischi per il feto e per il neonato. La madre va incontro a un'alloimmunizzazione al fattore Rh degli eritrociti fetali attraverso il passaggio transplacentare di globuli rossi verificatosi durante la gravidanza in corso o in quella precedente, a seguito di un aborto o per una gravidanza extrauterina; risulta invece rara l'eventualità che l'immunizzazione si verifichi in conseguenza di una trasfusione di sangue incompatibile. Le immunoglobuline G (IgG) materne attraversano liberamente la placenta e attaccano gli eritrociti fetali Rh-positivi. Mentre l'alloimmunizzazione Rh normalmente non si manifesta dal punto di vista sintomatologico nella madre, la malattia nel feto può determinare un'anemia emolitica fino anche a idrope e morte fetale. Nelle pazienti che sviluppano anticorpi il feto è dunque a rischio: il riscontro degli anticorpi circolanti materni indirizza a un'iniziale diagnosi ed è poi necessario quantificarne la presenza per la valutazione delle condizioni fetali. In alcuni casi, l'anemia fetale è così grave da rendere necessaria una trasfusione fetale (v. oltre), mentre il trattamento del neonato include la correzione dell'anemia e dell'iperbilirubinemia con exsanguinotrasfusione. Un'attenzione speciale viene rivolta ai problemi della prematurità nel caso in cui risulti necessario il parto pretermine.

f) Ritardo di crescita intrauterino del feto (IUGR, Intrauterine growth retardation). Una percentuale compresa fra il 3% e il 7% di tutte le gravidanze risulta complicata da un ritardo di crescita intrauterino, corrispondente a un peso alla nascita inferiore al 10° percentile. Il ritardo di crescita determina una mortalità perinatale 8 volte maggiore e aumenta il rischio di asfissia perinatale di 5 volte. I neonati con ritardo di crescita sono soggetti a fenomeni di ipotermia e ipoglicemia, poiché risultano inadeguate le riserve di trigliceridi nel tessuto sottocutaneo e di glicogeno a livello epatico. Attraverso una diagnosi tempestiva e un adeguato trattamento, tramite un incremento dell'apporto ematico nel distretto uterino e l'espletamento del parto al momento opportuno, si possono prevenire alcune complicazioni. Circa il 75% delle pazienti che partoriscono un neonato con ritardo di crescita intrauterino presenta già fattori di rischio, tra i quali si includono una precedente esperienza di gravidanza con ritardo di crescita fetale, situazioni che rendono difficile la gravidanza, come ipertensione cronica, preeclampsia grave, diabete in stato avanzato, fumo di sigaretta, infezioni virali (citomegalovirus, parvovirus).

4.

Terapia fetale medica o chirurgica

L'applicazione di terapie mediche direttamente sul feto, in presenza di alcune patologie fetali che necessitino di sostanze non in grado di attraversare la placenta, è stata principalmente utilizzata come terapia sostitutiva, soprattutto nella patologia ematologica. In particolare, le trasfusioni di emazie concentrate direttamente nella circolazione fetale rappresentano lo standard terapeutico per il trattamento dell'anemia fetale secondaria ad alloimmunizzazione da fattore Rh o ad altre cause (per es. infezioni). Gli schemi terapeutici sono ormai standardizzati e le possibilità di sopravvivenza fetale superano l'80% nel caso di alloimmunizzazione Rh. Il trattamento perinatale della madre e del feto coinvolge molti specialisti, tra cui il perinatologo, l'ecografista, il neonatologo, il chirurgo. L'indagine prenatale e lo studio ecografico sequenziale del feto con lesioni anatomiche permettono di definirne la storia naturale. I feti con malformazioni gravi spesso muoiono nell'utero o subito dopo la nascita, prima ancora che sia possibile porre una diagnosi accurata.

Pertanto, un'alterazione riscontrata nel periodo prenatale può avere una prognosi peggiore rispetto a una condizione analoga diagnosticata dopo il parto. Per le alterazioni prenatali diagnosticate nell'utero sono stati tentati vari trattamenti. Il primo applicato con successo è stato quello di alcuni deficit fetali; un esempio è rappresentato dal trattamento dell'ipotiroidismo congenito con l'uso intramniotico dell'ormone tiroideo. Inoltre, altri deficit a carico delle cellule staminali emopoietiche o di enzimi epatici possono essere trattati con il trapianto in utero di cellule staminali midollari e di epatociti, che rendono possibile sostituire linee cellulari patologiche con cellule normali; per es. nel trattamento delle immunodeficienze acquisite si utilizza il trapianto di cellule staminali emopoietiche, nella sostituzione di un deficit enzimatico o di un fattore deficitario si ricorre al trapianto di cellule normali o modificate geneticamente, nel trattamento di deficit congeniti del metabolismo si ricorre al trapianto di cellule staminali del sistema nervoso centrale, infine nei casi di emofilia si attua il trapianto di cellule epatiche fetali. Il fatto che esista una tolleranza immunologica del feto facilita il trapianto di queste cellule. In caso di immaturità del polmone o di parto pretermine imminente o di ipoplasia polmonare può essere somministrato surfattante naturale nel liquido amniotico, dopo aver indotto movimenti respiratori fetali con la somministrazione alla madre di aminofillina. Nei restanti casi il trattamento più usato è la somministrazione di corticosteroidi alla madre per almeno 2 giorni.

La chirurgia fetale ha esordito intorno alla metà degli anni Sessanta del 20° secolo. All'inizio veniva attuata con isterotomia ed esposizione parziale del feto, principalmente per eseguire l'exanguinotrasfusione endouterina al feto colpito da grave alloimmunizzazione Rh o per correggere un'ernia diaframmatica. L'alta invasività di questa procedura ne limitò la diffusione, specialmente perché, in mancanza di farmaci uteroinibitori, l'intervento chirurgico veniva complicato dal parto pretermine. Attualmente l'importanza della chirurgia fetale risiede nella prevenzione di un danno degli organi che potrebbe evolvere verso un esito fatale o debilitante dopo la nascita. Alcune malformazioni anatomiche, diagnosticate nel periodo prenatale con ecografia tridimensionale, vengono trattate tramite apposizione di un drenaggio in utero in grado di decomprimere accumuli di liquido in organi come i reni, gli ureteri, la vescica, che si dilatano in seguito a ostruzione completa o parziale delle basse vie urinarie. La possibilità di intervento sul feto rappresen-ta, tuttavia, una soluzione soltanto in alcuni casi; infat- ti questo approccio è giustificabile unicamente se la storia naturale e la fisiopatologia della malattia sono ben conosciuti, se la correzione in utero si è rivelata efficace nei modelli animali e se il rischio materno è risultato sufficientemente basso.

Recentemente si è investigata la possibilità d'intervento in utero per alcune anomalie fetali, quali malformazioni di tipo cistico, sequestro polmonare, chilotorace, mielomeningocele, trasfusione gemello-gemello. L'avvento di strumenti endoscopici flessibili e di piccolo calibro, abbinato all'affinamento delle tecniche chirurgiche (per es., utilizzo del laser e di nuovi sistemi di legatura vasale), ha permesso di impiegare queste metodiche nella diagnostica e nella terapia di alcune patologie fetali. I dati in letteratura si riferiscono ancora a casistiche limitate, che rendono difficile una definizione esatta delle problematiche. Le potenzialità di questi nuovi approcci sono comunque in aumento; accanto agli interventi già eseguiti (per es., coagulazione con laser di un vaso anastomotico in caso di trasfusione gemello-gemello o legatura dei vasi ombelicali nella gravidanza gemellare complicata da gemello acardico) si può facilmente prevedere un continuo ampliamento delle indicazioni di chirurgia fetale.

Psicologia del feto e del neonato

di Renata Gaddini De Benedetti


1.

L'inizio della vita mentale

In nessun'altra fase del suo sviluppo l'individuo conosce una spinta alla crescita e alla maturazione simile a quella che si verifica nel periodo embriofetale. Ancor più della crescita, sono rilevanti nel feto il suo sviluppo e la rapida evoluzione degli organi e apparati sensoriali. Non è ancora del tutto chiaro in quale misura la vita intrauterina e lo stesso concepimento siano condizionati dallo stato psichico della madre, o di entrambi i componenti della coppia genitoriale, e se questa eventuale influenza abbia analogie con quanto si può osservare dopo la nascita. Generalmente accettati sono, invece, dati recenti che mostrano come i primi movimenti fetali influenzino particolarmente il passaggio dalla nozione di avere dentro di sé un bambino a quella di avere un figlio o una figlia, così come l'intero stato psichico della madre. Allora il feto diviene oggetto di quella che è stata indicata da D.W. Winnicott (1956) come la 'preoccupazione materna primaria', ovvero uno stato molto particolare della madre che si sviluppa a poco a poco, amplificandosi durante la gravidanza, specialmente verso la fine; esso perdura alcune settimane dopo la nascita del bambino e, se non vi fosse la condizione di gravidanza e di puerperio, potrebbe far pensare a uno stato di ritiro, di dissociazione, a una fuga e, a volte, anche a un disturbo più profondo. Il sentimento materno, che ha accompagnato il feto fin dai suoi primi segni di vita, si traduce, dopo la nascita, in funzioni e cure verso il bambino neonato, estendendosi in un modo che può essere paragonato al succedersi di cerchi nell'acqua di uno stagno in cui sia stata gettata una pietra. L'immagine della successione di cerchi concentrici riesce a esprimere bene l'idea di continuità che sottende il processo di crescita, dal concepimento in poi.

Quanto del sentimento di assoluta priorità che la madre 'sufficientemente buona' attribuisce al feto (Winnicott 1948) sia da questo registrato e trasferito nella vita affettiva futura e quali siano le reali capacità mentali del feto stesso è tuttora oggetto di ricerca e i punti di vista degli studiosi non concordano del tutto. Alcuni autori (Milani Comparetti 1981) tendono a individuare tracce di pensiero nel feto fin dai primi segni della sua esistenza, mentre altri, più cauti, sono alla ricerca di criteri più definiti per riconoscergli la capacità di pensare, nonché di svolgere funzioni mentali vere e proprie.

Secondo E. Gaddini (1984), durante la vita fetale non esiste memoria, se non in una forma biologica o fisiologica; i feedback, che continuamente mettono in opera l'apparato sensomotorio, si verificano in virtù di una sorta di memoria biologica che porta ai centri sensazioni periferiche e alla periferia impulsi dai centri. In tal modo viene consentita all'organismo in crescita l'acquisizione di quei comportamenti che oggi si possono seguire molto bene con l'ecografia e che ci danno della vita fetale un'idea più precisa di quanto non sia stato possibile in passato. Le tecniche di cui si dispone attualmente sembrano confermare soprattutto il fatto che un organismo in crescita ha bisogno di avere funzioni mentali, in quanto esso è già un tutto organizzato.

La memoria del feto è difficile da concepire. Ci sono molte cose che anche dopo la nascita e nella vita adulta si vivono senza che di esse resti necessariamente memoria. Questa interviene nel momento in cui si pensa a quello che si vive, e non abbiamo prove che il feto sia portato a fare ciò. È a partire dal momento della nascita che si può cominciare a pensare a ciò che manca, piuttosto che a ciò che c'era; fino a quando tutto c'è, pensare non è necessario. La mente entra in funzione non appena qualcosa di importante, di essenziale, muta; con uno scopo, quindi, che può essere definito di sopravvivenza. Questa spinta alla sopravvivenza è certamente la forza più potente che mette in moto l'attività mentale: è come se la mente dovesse far fronte a un rischio che riguarda l'organismo intero.

L'idea della vita mentale che diventa attuale alla nascita trova analogie in numerosi altri funzionamenti fisiologici, anch'essi potenziali prima della nascita. Si pensi alla respirazione e alla circolazione cuore-polmoni, tutte funzioni differenziate inattive finché il feto è nell'utero, ma che sono messe in opera al momento stesso della nascita. Questo periodo della vita cessa improvvisamente, in maniera abbastanza sconvolgente, non appena il bambino comincia a percepire, e non soltanto a sentire, qualcosa, quando passa, cioè, dalla sensazione, che rende tutto uguale a sé, alla percezione, che riguarda invece qualcosa al di là di sé, che non fa parte di sé, che è non-sé.

Nella vita postnatale, durante i mesi che precedono la separazione, la memoria va segnando tappe abbastanza importanti. Le sensazioni parziali di sé, corrispondenti a funzioni importantissime e ritmiche (come, per es., l'alimentazione), erano andate organizzandosi in quelli che sono stati indicati come 'frammenti' (Gaddini 1984); ciascuno di tali frammenti, mentre viene vissuto e ripetuto, corrisponde a un senso mentale di 'totalità di sé': la mente non sa, allora, cosa sia un 'frammento' e cosa sia un 'tutto'. Ogni frammento può essere rappresentativo del tutto e, a sua volta, il tutto può essere rappresentativo di un frammento. Per quanto riguarda la memoria, la riattivazione mnemonica delle sensazioni legate a un certo funzionamento corporeo (per mantenere l'esempio centrale, quello dell'alimentazione) viene vissuta nella mente come un produrre da sé, di nuovo, quell'esperienza. Quando qualche cosa è nella mente, essa è vera, è reale; non c'è distinzione tra fantasia e realtà, e quindi non c'è distinzione tra la memoria di un vissuto e il vissuto reale. Poiché allora la memoria esiste nel senso che la mente infantile può riattivare in termini di fantasia ciò che ha vissuto, dobbiamo concludere che questa memoria non ha ancora una funzione temporale, non produce un ricordo in questo senso, ma è una memoria che serve ad attualizzare il senso di sé connesso a determinati vissuti corporei e che interviene allorquando questa presenza del senso di sé, per qualche ragione, viene a mancare.

A. Milani Comparetti (1982) tende invece a far risalire la differenziazione mente-corpo a tempi più precoci della vita intrauterina, fin da quando i modelli motori funzionali cedono agli automatismi primari. Attraverso lo studio dei movimenti fetali mediante l'ecografia, Milani Comparetti ha costruito il suo modello teorico dello sviluppo intrauterino con una procedura, per così dire, retrograda che partendo dal primo anno del bambino arriva al feto. Per Milani Comparetti già intorno alla 20ª settimana o anche prima si potrebbe cominciare a parlare per il feto di memoria fisiologica, basata cioè su modelli di apprendimento fisiologico o funzionale. Concordano con questa opinione M. Mancia (1981, 1989) e A. Piontelli (1992): secondo questi autori i primi modelli paralleli di un apprendimento mentale basato sulla memoria possono essere fondati, in questo periodo intrauterino, sui modelli di un preesistente apprendimento fisiologico e di una conseguente memoria fisiologica. Alla memoria spetterebbe la funzione essenziale di mediatore nel passaggio iniziale dal biologico al fisiologico. Il processo della nascita attiverebbe poi in maniera decisiva la funzione della memoria e la orienterebbe in senso mentale.

Vi è tra i ricercatori un accordo maggiore sulle modalità con le quali la memoria si attiva alla nascita. La mancanza del continuum intrauterino - mancanza intervenuta in maniera massiva e improvvisa, in particolar modo se il parto è stato rapido e violento - è determinante in questo senso: essa urge sul feto, fino allora contenuto nell'utero in maniera stabile e coesa, e lo spinge nel suo cammino verso il mentale. Con la nascita la memoria fisiologica (funzionale) del feto si trasforma, mano a mano che le strutture neurofisiologiche maturano, in memoria mentale, che all'inizio è ancora in parte sensoriale e costituisce per il bambino che viene al mondo una sorta di secondo utero, ma che presto diventa funzione psichica. In certo modo i comportamenti funzionali prenatali, compresa la memoria fisiologica, possono essere visti come organizzatori biologici, presupposti o prodromi della funzione mentale che si svilupperà, per gradi, dopo la nascita.

È probabile che il concetto di Sé, introdotto negli ultimi decenni del 20° secolo dalla teoria psicoanalitica, in quanto rivolto da una parte alla vita prenatale, dalla quale attinge istinti e potenziali innati, e dall'altra al mentale, che si innesterà su questi ultimi soltanto nei primi mesi di vita, costituisca l'elemento che ha la funzione di tramite tra lo psichismo fetale e quello dei mesi successivi. Si tratta comunque di un processo che richiede mesi, nel corso dei quali nel bambino si attua gradualmente il passaggio dalle sensazioni alle percezioni, e dalle percezioni agli affetti e al pensiero.

2.

Venire al mondo

L'aspetto che più attrae l'attenzione di chi osserva un bambino che viene al mondo è il suo 'cercare qualcosa da poter toccare'. Le mani del neonato sembrano annaspare nell'aria alla ricerca di qualcosa che non trovano più, e che verosimilmente gli valeva in precedenza come confine naturale di sé. "...Ciò che viene a mancare, nel nascere, è proprio il limite di sé, e non quello di un ambiente intorno a sé, perché il neonato non ha nessun senso dei propri effettivi limiti corporei; il suo confine è il confine che tocca [...]. Per quello che sappiamo della prima mentalizzazione, il toccare rappresenta una modalità di rapporto con l'ambiente circostante che persiste a lungo ed è indispensabile finché la mente non sia in grado di raggiungere una esatta conoscenza dei confini di sé, della propria pelle, per così dire (cosa che accade tra i cinque e i sette mesi di vita). Il contatto è quindi, per sua natura, all'origine del senso di sé, in quanto dà il senso del confine di sé; e poiché viene [dal neonato] immediatamente associato alla funzione alimentare, accade che si fonda e confonda con le sensazioni prodotte dal vissuto con il seno" (Gaddini 1984, p. 593). Nel momento in cui alla nascita cominciano queste vicende, come l'associazione del 'contatto' con la funzione alimentare e con il nutrimento, si può affermare che inizia a funzionare la memoria. Molti tendono infatti a individuare nel periodo perinatale il passaggio dall'equilibrio instabile di pura fisicità all'iniziale organizzazione del pensiero che si realizzerà in seguito.

Per nove mesi un individuo in fieri ha diviso la propria vita con quella della madre, partecipando al suo tipo di vita e alle sue esperienze, non solo materiali ma anche emozionali. Se, per es., la madre è una persona attiva e forse anche agitata, è probabile che il bambino si sarà abituato a questo modus vivendi durante i nove mesi che ha passato dentro di lei e, una volta nato, forse si aspetti di essere di continuo 'bamboleggiato' e fatto passeggiare o fatto saltare sulle ginocchia. Se la madre è invece una persona quieta e serena, forse egli è preparato a vivere in un ambiente tranquillo, e si aspetta di essere tenuto in un grembo accogliente e fermo e di giacere in una carrozzella non in movimento. In un certo senso si può dire che, fino al momento della nascita, il bambino sa più cose sulla propria madre di quante ne sappia la madre su di lui; si può dire che egli conosca la propria madre meglio di sé stesso. La nascita costituisce probabilmente il primo evento traumatico che il bambino esperimenti in proprio. O. Rank (1924) e altri studiosi, appartenenti soprattutto alla scuola psicoanalitica, hanno attribuito all'angoscia che caratterizza la separazione fisica del bambino dalla madre all'atto della nascita il valore di prototipo dell'angoscia che accompagna la vita di ciascun individuo. Il pianto del neonato sarebbe, secondo tale visione, l'espressione di questa prima desolazione. Altri autori, e tra questi anche Winnicott, non sembrano invece attribuire altrettanta importanza alla separazione che avviene tra madre e bambino, alla recisione del cordone ombelicale, per il fatto che, a loro avviso, all'atto della nascita non si verifica una vera separazione: l'unità madre e figlio si converte soltanto in dualità, in maniera tale che, dal punto di vista fisiologico, vengono a esistere due individui invece di uno.

3.

Il neonato

Il termine neonato è usato per definire il bambino di età compresa tra zero e trenta giorni. Per esprimere il vincolo 'bipersonale' madre-figlio neonato, si può mutuare dalla lingua greca il concetto di duale, estraneo alla nostra, che rappresenta una categoria intermedia tra l'unità e il plurale, una tappa tra l'individuo singolo e la collettività. Si tratta di una pluralità che in un certo senso è ancora unità: la coppia madre-figlio è, nella sua fase iniziale, un'unità psicologica da cui il neonato andrà distinguendosi solo per identificarsi ancora con la madre.

Nel primo mese il neonato vive ancora prevalentemente di sensazioni, non diversamente dal feto negli ultimi mesi di vita intrauterina, ma, secondo alcuni ricercatori, compaiono in questa fase attimi di consapevolezza che vanno a integrarsi con le sue competenze. La dipendenza del neonato dalla madre è comunque totale. Si parla anche di fusione bambino-madre, ma si deve riconoscere che la differenza tra madre e neonato è notevole, dal momento che la madre, quando è adeguata, ha la capacità di identificarsi totalmente con il proprio figlio e pertanto di adattarsi attivamente ai suoi bisogni, mentre il neonato non è in grado di identificarsi con la madre, trattandosi di un processo complesso non applicabile ai primi tempi della vita. A proposito di questo primitivo stadio di sviluppo, Winnicott ha osservato, in alcuni suoi studi, che il lattante di poche settimane gioca con il seno materno, oltre a succhiarlo per nutrirsi, al fine di scoprire la madre e comunicare con lei in maniera da predisporla ad agire positivamente nei suoi confronti. Senza l'occasione del gioco, madre e bambino rimarrebbero estranei l'uno all'altro. È probabile che la transizione da essere dentro a essere fuori del corpo materno sia per il bambino graduale: sensazioni di essere in un ambiente di acqua sembrano protrarsi nelle prime esperienze del mondo esterno. È merito della psicologia dinamica avere promosso lo studio del rapporto interpersonale e delle relazioni reciproche tra individuo e ambiente. S. Freud non condivise l'opinione di Rank, secondo la quale il distacco alla nascita sarebbe la matrice di tutte le angosce. Le cure materne costituiscono per Freud il tramite tra vita prenatale e ingresso nel mondo e conducono al processo di identificazione e alla costruzione del senso di sè.

Se è vero dunque, come ammette anche la psicologia tradizionale, che alla base di qualsiasi relazione umana vi è la comunicazione, è evidente che per sopravvivere il neonato deve inserirsi in un sistema di comunicazioni che implica anzitutto la possibilità di identificazione con altri. Il tipo di comunicazione che si stabilisce tra madre e neonato, come pure le reazioni che il neonato suscita nella madre, sono in gran parte determinanti riguardo ai sistemi di comunicazione in seguito utilizzati dal bambino. A ogni stimolo del bambino si verifica una reazione che alimenta il circuito che si va stabilendo tra bambino e madre, e grazie al quale al bambino è consentito conoscere l'effetto del messaggio da lui trasmesso: si incidono così le prime risposte fondamentali e si formano le matrici su cui si plasmerà il suo comportamento futuro. Abbiamo visto che il neonato viene al mondo in stato di 'grande sensibilità', per via del cambiamento di ambiente, ed è molto probabile che quest'ansia possa essere alleviata da un'adeguata assistenza affettiva e psichica, se si permettono i primi contatti fisici tra madre e bambino (Harlow 1962). Negli ultimi decenni del Novecento numerose osservazioni sono state raccolte sugli stati neonatali, ma pochi sono i dati che permettono una comprensione soddisfacente dell'integrazione madre-bambino, tale da fornire elementi utili per trattare bambino e ambiente come un unico sistema psicobiologico. L'osservazione clinica consente di rilevare che il bambino appena nato succhia possibilmente dal seno o altrimenti succhia il proprio pollice o altri sostituti che gli vengano propinati. È attraverso la sensazione del succhiare e dell'essere 'tutt'uno-con' che egli ricrea la situazione di unità che è venuta a mancare. Le fantasie inconsce precoci - dapprima fantasie nel corpo e in seguito processi intrapsichici - attingono ai sensi del vissuto delle prime cure e svolgono una parte fondamentale nel modellare la natura e il destino dei legami originari.

4.

Conclusioni

Riassumendo brevemente ciò che è stato sin qui argomentato, emerge quanto segue. Funzioni mentali vere e proprie cominciano con la nascita. Sembra accertato che una determinata mancanza, improvvisa e massiva, sia l'elemento decisivo per l'inizio dell'organizzazione mentale. Tale mancanza riguarda la perdita del confine definito, stabile e coeso, nel cui ambito il feto si è venuto formando, in cui ha vissuto per mesi e dove hanno avuto inizio espressioni vitali, quali quelle del muoversi e dell'orientarsi. La separazione alla nascita, intesa come rottura di un limite continuo che dà al feto stabilità e coesione, è quindi l'evento per eccellenza. In natura, d'altra parte, tale separazione è subito lenita dalla successiva riunione con la madre, dove si ritrovano le sensazioni di base che entrano nell'organizzazione del mentale (per es., i ritmi e la cenestesi materna). In questo ambito familiare hanno luogo, in modo facilitato, i processi primari della psiche e la sua organizzazione di base, che vanno emergendo in contesti non integrati in cui il primato delle diverse funzioni corporee è via via privilegiato. Tra i concetti relativi ai meccanismi dello sviluppo nei primi stadi devono essere considerati, in particolare, quelli di mancanza, di memoria e di tempo. La mancanza, che si viene a determinare nel feto con la nascita, e la relativa perdita dell'ambiente protetto nel quale aveva vissuto per mesi, sono elementi essenziali della formazione di una mente che pensa, in quanto appaiono decisive nel promuovere lo sviluppo della memoria, punto cardine di ogni funzionamento mentale. Quando la condizione di protezione totale che il feto aveva in utero viene meno e, con essa, vengono a mancare anche i vissuti corporei che preludono alla formazione del senso di sé, allora la memoria di quei vissuti ha inizio, e con la memoria il pensiero. Non a caso Hegel parla dell'immane potenza del negativo.

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