ASCENSIONE, Festa dell'

Enciclopedia Italiana (1929)

ASCENSIONE, Festa dell'

Antonino SANTANGELO
Leone MATTEI CERASOLI
Luigi Volta

Nel Vangelo (Luca, XXIV 50-53) e negli Atti degli Apostoli I,1, segg.) si legge che Gesù Cristo, 40 giorni dopo la sua resurrezione, dal Monte degli olivi, dove aveva iniziato la sua passione, alla presenza dei suoi discepoli, si staccò da loro e "fu rapito" (ἀνελήϕϑη) in alto, finché una nube non lo nascose alla vista degli apostoli. I simboli di fede allusero al fatto ben presto, con fomule tra loro non molto dissimili ("ascese al cielo, siede alla destra del Padre"). Con la pace costantiniana, il luogo nel quale avvenne l'Ascensione fu oggetto di venerazione. La festa, celebrata in origine a Gerusalemme il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua, cioè unita con la Pentecoste, mentre a Betlemme il quarantesimo, si diffuse rapidamente nel corso del sec. IV e del V, e fu poi definitivamente fissata, secondo il Vangelo, al quarantesimo giorno dopo la Pasqua. I greci la chiamarono 'Ανάληψις o assunzione, mentre i latini preferirono Ascensio, Ascensa, per indicare che Gesù Cristo ascese al cielo per virtù propria, riserbando Assumptio per Maria Vergine a significare che essa fu portata in cielo pel ministero degli angeli.

Alla festa dell'Ascensione si riannodano parecchie antiche usanze liturgiche, cioè la benedizione dei nuovi frutti, specie delle fave, fatta durante la Messa, processioni solenni di sera a lume di torce, la pioggia di rose dall'alto della chiesa, e la cerimoma ancora in vigore, dell'estinzione del cero pasquale, fatta dal diacono dopo la lettura del Vangelo: nel rito ambrosiano il cero pasquale è elevato fino alla vòlta della chiesa, immagine dell'Ascensione di Gesù.

Bibl.: H. Leclercq e F. Cabrol, in Dict. d'archéol. chrét., I, col.2926 segg.; L. Duchesne, Les origines du culte chrétien, 5ª ed., Parigi 1920.

L'iconografia dell'Ascensione. - L'Ascensione ebbe sempre posto naturalmente fra gli episodî evangelici illustrati dalla decorazione chiesastica. I monumenti più antichi ci presentano il Cristo, per lo più sbarbato, in atto d'incedere su un monte porgendo la destra alla mano divina che appare nei cieli: mentre due discepoli, attoniti o prostrati con la faccia in terra, assistono al miracolo. La scena è congiunta con quella delle Marie alla tomba in un avorio di Monaco del sec. IV; isolata invece in sarcofagi provenzali e nella porta di S. Sabina a Roma, ove il Cristo, barbato, presenti quattro apostoli, viene assunto al cielo da tre angeli. Questo tipo venne presto sopraffatto, e al sec. VI era già scomparso, per il prevalere d'un altro, più realistico, tendente verso una concezione più aderente al racconto dei Vangeli. Il Cristo nei cieli in una mandorla sollevata da angeli siede in trono benedicendo con la destra e mostrando con la sinistra il libro aperto, quale apparirà nella sua seconda venuta; nella zona inferiore il collegio apostolico diviso dalla Vergine orante e da due angeli accennanti all'alto in due gruppi agitati. Le più antiche opere a noi pervenute esemplate su questo schema appartengono o all'arte siriaca, come l'evangeliario del monaco Rabbūlā e le colonne del ciborio di S. Marco, o alla palestinense, come le ampolle di Monza (v. ampolla), o, come negli affreschi di āl-Bawīt, alla copta. Esse si distinguono fra loro solo per lievi varianti, e pertanto è da supporre che siano tutte derivate da qualche esemplare celebre come sarà stata la rappresentazione nella basilica del Monte degli olivi.

L'arte bizantina accolse e sviluppò questo tipo, e lo diffuse ovunque. In Italia la più antica rappresentazione pervenutaci è un affresco dell'età di Leone IV nella basilica inferiore di S. Clemente a Roma, dove forse la Palestina era ricordata da una pietra del luogo dell'Ascensione. Riappare poi nelle grandi decorazioni pittoriche di Roma, di S. Angelo in Formis, di Monreale, della cappella palatina di Palermo, come in molti avorî e in altre opere delle arti minori. Ebbe posto anche al vertice della croce in molti crocifissi romanici come i due pisani, uno nella galleria, l'altro nel S. Pierino di Pisa. Nella basilica di S. Marco a Venezia e in quella di S. Sofia a Salonicco la scena riveste, come già al sec. VI nella distrutta chiesa dei Ss. Apostoli di Costantinopoli, una delle cupole, conservando gli elementi essenziali della composizione.

Più interessante per il maggior fermento d'idee è lo sviluppo che l'iconografia della scena ebbe a subire in Occidente. L'arte carolingia, nel sacramentario di Drogone e nella bibbia di S. Paolo, riprese il più antico tema ellenistico: soltanto, il Cristo ha come attributo una croce e, nella parte inferiore, il gruppo degli apostoli, della Vergine, degli angeli, si dispone come nei monumenti siropalestinesi. Questo tipo di rappresentazione si trasmise ai monumenti più antichi dell'arte ottoniana, la quale nondimeno lo modificò sempre più verso il tipo bizantino che finì col prevalere: nel codex Egberti della fine del sec. X, il Cristo, in piedi e di profilo, circondato dalla mandorla, tende verso la mano divina; in altri come l'evangeliario di Bamberga, il Cristo è in posizione frontale posando su un banco di nubi e viene accolto da due angeli; alla fine del sec. XI e durante il XII lo schema siro-palestinese tornò a prevalere. Nelle chiese romaniche d'oltralpe l'Ascensione, occupò qualche volta la lunetta del portale maggiore, invece che il Giudizio o il Cristo in maestà. Alla fine del sec. XII cominciò a divenire frequente un altro tipo, destinato a permanere nell'arte gotica, già accolto nelle miniature pur bizantineggianti dell'epistolario del duomo di Padova (1253) e poi destinato a riapparire, a tratti, nell'arte italiana fino al Quattrocento, specie nelle miniature: il Cristo ascende al cielo nascosto dalle nubi, non mostrando che i piedi e la parte inferiore del corpo.

Durante la Rinascenza il tema seguitò a ispirare capolavori agli artisti, traendo ormai valore da intime ragioni di stile eppure conservando sempre, in tutto o in parte, le precedenti tradizioni iconografiche. Nell'Arena di Padova, Giotto, preoccupato sopra tutto dalla rappresentazione del movimento, fuse insieme lo schema palestinese e l'ellenistico; mostrò il Cristo ascendere al cielo per impulso interno, mentre gli apostoli e la Vergine sono genuflessi in adorazione, e gli angeli lo seguono. Ma codesta rappresentazione non ebbe seguito tra i suoi seguaci, dato che tutte le opere del '300 fiorentino, o l'affresco del camposanto di Pisa o quello della cappella degli Spagnoli di S. Maria Novella o uno scomparto della pala di Agnolo Gaddi in S. Miniato, riassumono gli schemi più antichi. Nel '400 all'accresciuto individualismo della visione artistica corrisposero violente diversità nella rappresentazione, dall'immota monumentalità del Mantegna nel trittico degli Uffizî al vorticoso tumulto dell'affresco del Correggio nella cupola del S. Giovanni di Parma, dai bagliori del Tintoretto nella Scuola di S. Rocco alla lunetta di Luca della Robbia nella sacrestia del duomo di Firenze; mentre il Perugino nella pala ora a Lione tornava alla simmetria e alla maestà delle grandi linee dell'antico schema orientale-bizantino. Poi questo soggetto fu quasi del tutto tralasciato.

(V. Tavv. CXLV-CXLVI; e Tavv. a colori).

Bibl.: A. Haseloff, Eine thüringisch-sächsische Malerschule des 13. Jahrh., Strasburgo 1897; E. T. Deval, in American Journal of Archaeology, XIX (1915), p. 277 segg.; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Il Medioevo, Torino 1927; L. Bréhier, L'art chrétien, 2ª ed., Parigi 1928. - Per ulteriore bibl., v. C. Künstle, Ikonogr. der christlichen Kunst, Friburgo in B. 1928, pp. 524 segg.

Astronomia. - Si dice ascensione retta l'angolo, contato in senso diretto (sinistrorso per l'emisfero boreale della Terra) e da 0° a 360° (o da 0 a 24 ore), fra il circolo orario di un astro e il semicoluro degli equinozî passante per l'equinozio di primavera; ossia la distanza in arco, rapportata sull'equatore celeste, fra il punto γ (equinozio di primavera) e l'astro. L'ascensione retta di un astro è misurata, in tempo, dallo stesso numero che dà l'ora siderale locale del passaggio in meridiano dell'astro stesso. Essa è una delle coordinate del terzo sistema sferico celeste (v. astronomia sferica).

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