MAGELLANO, Ferdinando

Enciclopedia Italiana (1934)

MAGELLANO, Ferdinando (port. Magalhães, sp. Magallanes)

Alberto Magnaghi,

Nacque di nobile famiglia a Sabrosa, provincia di Trazos-Montes, nel 1480. Per una sorte che è comune agli altri sommi navigatori del tempo, scarse e non di rado malsicure sono le notizie che riguardano la sua vita; e anche intorno allo scopo preciso e ai particolari della sua grande impresa, come in genere per una giusta e adeguata valutazione della figura dell'uomo e dell'esploratore, non pochi sono i punti che attendono ancora di essere chiariti. Ciò dipende, oltre che dalla riserva e dal segreto di cui si cercava allora di circondare ufficialmente i grandi viaggi di scoperta - specie in un momento come quello in cui parvero culminare i contrasti di interessi vitali fra Spagna e Portogallo - dal fatto che gli storici contemporanei delle due nazioni nei loro giudizî su M. non furono sinceri né disinteressati: i Portoghesi videro sempre nella sua impresa un tradimento a vantaggio della potenza rivale, e gli Spagnoli, trattandosi d'uno straniero verso il quale furono animati, oltre che da una continua diffidenza, da rancore per il trattamento severo da lui inflitto ai loro connazionali nel corso della spedizione, non si curarono troppo di difenderne la gloria. E soprattutto la fine miseranda e prematura del grande navigatore sottrasse gli elementi più adatti per una diretta ricostruzione del viaggio da parte di colui che ne era stato l'animatore e il capo.

Desiderio di gloria e di ricchezza lo spinsero, venticinquenne, a imbarcarsi sulla flotta di d'Almeida per le Indie Orientali; egli ebbe occasione di partecipare, segnalandosi per valore e competenza, ai fatti più memorandi della spedizione, fra gli altri alla battaglia di Diu, dove rimase ferito. Sotto l'Albuquerque navigò col Sequeira a Sumatra e a Malacca, e nel 1511 prese parte alla conquista di questa città, ch'era il centro del commercio con l'Oriente. E a Malacca rimase probabilmente durante la spedizione di Antonio de Abreu nel 1512 verso le piccole isole della Sonda, tenendosi in corrispondenza con l'amico Francisco Serrão, che, staccatosi con una nave dalla piccola flotta, doveva più tardi spingersi a Ternate, una delle Molucche. Nel 1513 lo troviamo a Lisbona, ricco certamente di notevole esperienza nelle cose di mare e nella pratica del commercio d'Oriente, e nel 1514 nel Marocco alla presa di Azamor, dove fu di nuovo ferito. Accusato di avere venduto una parte del bottino al nemico, ritornò, senza permesso, a Lisbona per giustificarsi col re; ma questi lo rimandò al Marocco, in attesa che si procedesse a una regolare inchiesta sopra gli addebiti fattigli. Sebbene la sua condotta risultasse monda d'ogni censura, il contegno del re si mantenne verso di lui freddo e ostile, tanto da non aderire alla sua domanda d'un aumento della modesta pensione che gli era stata assegnata. E questo sembra sia stato il motivo che lo indusse a ritirarsi a vita privata e a dedicarsi esclusivamente agli studî di cosmografia e di nautica sotto la guida dell'astronomo Ruy Faleiro. In questo tempo ricevette una lettera da Termate del Serrão, che, oltre a magnificargli la ricchezza delle Molucche, segnalava la grande distanza di queste isole verso Oriente, in modo da fare sorgere in lui, avvalorata dai calcoli del Faleiro, la convinzione che esse rientrassero nell'emisfero che il trattato di Tordesillas assegnava alla Spagna, e che si potesse perciò tentare di raggiungerle da Occidente. Questa è la tradizione comunemente ammessa sull'origine del progetto di Magellano. Ma non si deve dimenticare che l'idea non era nuova. Un tentativo di pervenire al paese delle spezie da SO. era già stato fatto da A. Vespucci, per conto del Portogallo, nel suo memorando viaggio del 1501-1502, in cui costeggiando l'America Meridionale l'audace navigatore s'era spinto sino alla Patagonia, rivelando fra altro che la costa s'infletteva a SO., in modo da far rientrare il tratto a S. del Plata nell'emisfero spagnolo; e l'impresa era stata tentata di nuovo nel 1515 con l'infelice viaggio di J. Diaz de Solis, giunto soltanto al Plata. Il Vespucci stesso, e dopo lui il Solis, aveva anche espresso l'avviso che le Molucche dovessero appartenere alla Spagna. La lettera del Serrão perciò valse a confermare e a suffragare, se mai, con dati nuovi un concetto già noto.

Se M. abbia comunicato prima questa sua convinzione al re di Portogallo, non consta; ma in ogni modo è probabile che questi, almeno in un primo tempo, non si sia preoccupato dell'eventualità di un'offerta alla Spagna, prevedendo le immense difficoltà dell'impresa e conoscendo ormai, quasi con certezza, che uno stretto si sarebbe potuto trovare solo a una latitudine di parecchi gradi più a S. del Capo di Buona Speranza. Ed è ingiusta l'accusa di traditore mossa a M. per essere passato al servizio della Spagna; egli non fece che seguire l'esempio d'una quantità di cosmografi e di esploratori che in quel tempo passavano, anche a varie riprese, da una nazione all'altra. M. poi, prima di passare in Spagna, chiese e ottenne regolare licenza di denaturalizzazione.

Lo stato della questione relativa al diritto di possesso delle Molucche, il paese delle spezie, ch'era, in sostanza, la meta finale di tutte le esplorazioni da Colombo in poi, era ancora al punto del trattato di Tordesillas del 1494. Con questo trattato s'era fissata la linea di demarcazione a 370 leghe a O. dalle isole del Capo Verde, in modo che dopo la scoperta del Brasile essa passava approssimativamente lungo una linea fra gli estuarî dell'Amazzone e del Plata. Ma troppi elementi, anche ora che le Molucche erano state raggiunte, facevano difetto per addivenire a una decisione netta e precisa: il valore della lega, diversa in Spagna e in Portogallo; quello del grado di parallelo alla lat. delle isole del Capo Verde, e soprattutto il numero dei gradi di longitudine da calcolarsi fra queste isole e le Molucche dalla parte d'Oriente. Fra l'altro non s'era neppure determinato se per la linea di demarcazione si dovesse procedere dalla più orientale o dalla più occidentale delle isole del C. Verde, e ciò portava già una differenza di 2°30′. Per M. a ogni modo, secondo un memoriale lasciato a Carlo I prima di partire, le Molucche dovevano rientrare nella sfera spagnola per 2°30′-4°. In realtà l'antimeridiano della linea di demarcazione giunge appena all'estremità occidentale della Nuova Guinea, e mancherebbero perciò 4° per raggiungere le Molucche da occidente.

Quando M. e Faleiro arrivarono a Siviglia (ottobre 1517), il loro progetto non incontrò favorevole accoglienza presso la Casa de la Contratación. Oltre ai rischi e ai pericoli dell'impresa e alle preoccupazioni per l'ingente ammontare delle spese, in Spagna erano disposti, da qualche anno, a fare assegnamento sulla possibilità di raggiungere l'Asia per altra via: dopo la scoperta del Mare del Sud, non solo gli Spagnoli intensificavano le ricerche di uno stretto nell'America Centrale, ma attendevano, sotto Pedrarias d'Avila, alla formazione di una base sulla costa occidentale dell'Istmo di Panama, dalla quale il percorso si presentava più breve e sicuro; poiché ben prevedevano anch'essi che uno stretto dalla parte di SO. non si sarebbe trovato che a una latitudine molto meridionale. È poi leggenda che M. fosse sicuro dell'ubicazione di questo; e meno che mai si deve credere ch'egli fosse in possesso d'una carta costruita da Martino Behaim, contenente le necessarie indicazioni: questo cosmografo, il cui valore, del resto, è oggi riconosciuto assai scarso, era morto sin dal 1506, e gli unici elementi positivi di cui M. poteva disporre erano ancora quelli ch'egli poteva avere ricavati dal viaggio del Vespucci (troppo incerti e problematici essendo i viaggi attribuiti ai portoghesi João de Lisbõa e Christobal de Haro, il quale ultimo, secondo le vaghe e oscure indicazioni di una relazione anonima, si sarebbe spinto nel 1514 sino a 40° lat. S.), il che è indiscutibilmente provato dal fatto che M. stesso s'indugiò poi a cercare lo stretto lungo la costa affrettatamente percorsa dal navigatore fiorentino, esplorando fra altri l'estuario del Plata, il Golfo di San Matteo e quello di S. Giuliano. E se le carte del tempo indicano lo stretto, collocandolo a varie latitudini, ciò si deve a pure speculazioni dei cosmografi. La Casa de la Contratación continuò a mostrarsi ostile al progetto di M., anche quando il giovane re Carlo I s'indusse ad accoglierlo soprattutto perché M. e Faleiro si assunsero, col concorso del ricco mercante Christobal de Haro, quasi per intero le spese della spedizione; finalmente il 22 marzo del 1518 furono stabilite le relative capitolazioni, dalle quali emerge un fine esclusivamente commerciale.

L'allestimento della spedizione richiese molto tempo, e fu ostacolato soprattutto dalle proteste e dalle mene del Portogallo, che ora si preoccupava del pericolo spagnolo, nonché dalle palesi o latenti ostilità che permanevano in Spagna, dove sino all'ultimo si diffidò di M. e si cercò di limitare il numero dei Portoghesi che M. avrebbe voluti con sé. Poco prima della partenza, al Faleiro fu sostituito Juan de Cartagena, in qualità di veedor o ispettore generale, con autorità che appariva identica a quella di M. stesso, tanto che era facile prevedere un conflitto di poteri; inoltre, contro il volere di M., il comando delle navi fu affidato a capitani spagnoli. Gli auspici non erano lieti.

Furono armate 5 navi: Trinidad (nave ammiraglia, di 110 tonn.), S. Antonio (140), Concepción (90), Victoria (85), Santiago (75), fornite di provviste per due anni ed equipaggiate da 265 uomini, in grande prevalenza Spagnoli; 23 furono gl'Italiani. Salpata da S. Lucar il 20 settembre 1519, la flotta traversò felicemente l'Atlantico, ma il viaggio fu sino dall'inizio turbato da gravi attriti fra M. e il Cartagena; da Rio de Janeiro, dove fece una breve sosta, proseguì sino al Plata (10 gennaio 1520) e ai primi di febbraio s'inoltrò a SO. procedendo lentamente allo scopo di esplorare le baie e i golfi che incontravano, finché il 31 marzo giunsero a S. Giuliano (49° 3′), dove M., in previsione delle difficoltà e dei pericoli di una navigazione che avrebbe potuto durare a lungo prima di trovare lo stretto, quando già si annuncíava l'inverno australe, decise di svernare. Furono 5 mesi perduti, con conseguenze immensamente gravi, che si sarebbero evitate se M. avesse realmente conosciuto la posizione dello stretto e non si fosse invece indugiato a cercarlo per tanto tempo prima d' essere obbligato a fermarsi a una latitudine così inoltrata. I rigori del freddo, le privazioni e gli stenti d'ogni genere, la ferrea disciplina imposta da M. acuirono talmente il disagio e il rancore, che scoppiò una sedizione di gran parte dell'equipaggio, domata, è vero, con spietata energia da M.; ma col risultato che più profondo che mai rimase il solco dell'intolleranza e dell'odio degli Spagnoli verso il condottiero. Mentre ancora durava il forzato riposo, fu mandata la Santiago col Serrano a esplorare la costa a S.; ma la nave naufragò e l'equipaggio poté a grande stento ritornare per terra a S. Giuliano. Ripreso il viaggio prima ancora dell'inizio della primavera australe (24 agosto), la flotta dovette, in seguito ai danni riportati in una grande tempesta, fermarsi altri due mesi nella baia di S. Cruz. Solo il 21 ottobre fu raggiunta l'imboccatura dello stretto (C. delle Vergini) e la traversata, per le inevitabili soste destinate all'esplorazione del canale, durò sino al 28 novembre. Una delle navi, frattanto, la S. Antonio, sotto il comando di Esteban Gomez, aveva defezionato e s'era avviata verso la Spagna, dove giunse l'8 giugno 1521; cosicché furono tre le navi che uscirono dallo stretto. Questo fu denominato de Todos Santos, ma ebbe in seguito varî nomi, sostituiti poi ufficialmente nel 1525 con quello del suo glorioso scopritore. M. si diresse dapprima a N. senza allontanarsi molto dalla costa sino a circa 37° di lat. S., ma di qui il 15 dicembre si volse bruscamente a NO., conservando questa direzione per tutta la traversata. Questa ebbe i venti e le correnti assai favorevoli (donde il nome di Pacifico dato al Grande Oceano); ma le sofferenze della fame, della sete, delle malattie, così efficacemente descritte dal Pigafetta, furono indicibili. In quasi tre mesi di navigazione furono vedute soltanto due isolette deserte il 24 gennaio e il 4 febbraio 1521, che non offiirono nessuna risorsa all'equipaggio stremato (la prima detta S. Paolo, a 16° lat. S., è forse uno degli isolotti di Fakahina, e la seconda, chiamata di Tiburones, a 11°, è probabilmente l'isola Flint del gruppo delle Manihiki). Il 13 febbraio si tagliò l'Equatore, e il 6 marzo la piccola flotta pervenne all'isola Guam, la maggiore delle Marianne, che gli Spagnoli chiamarono allora de las Velas o dei Ladroni, a 13° di lat. N.

Qui si presenta, non ancora risoluto, il più grave dei problemi che riguardano il viaggio di M. L'Equatore fu tagliato a 165° O. da Gr., cioè a più di 70° prima delle Molucche. Le isole secondo le informazioni di M. stesso avrebbero dovuto trovarsi - come sono in realtà - sull'Equatore. Ma perché, non avendole qui trovate, il grande navigatore non proseguì nella loro ricerca a O. e continuò invece in direzione di NO. sino al 13° N.? Oggi si ammette comunemente ch'egli si sia reso conto che le isole dovessero trovarsi ancora assai lontane e che fors'anche sia sorto in lui il dubbio che rientrassero nell'emisfero portoghese; onde, mutato bruscamente l'obiettivo del viaggio, si diresse al Catai (che le carte del tempo davano come protendentesi assai più a E.), a ciò autorizzato probabilmente dalle istruzioni segrete ricevute prima di partire. Ma appare sempre strano e inspiegabile un errore così grave di longitudine; e non meno strano è che da nessuna delle relazioni del viaggio risulti il minimo indizio di sorpresa o disappunto per non aver incontrato le Molucche a quella longitudine, né una ragione plausibile della continuazione d'una rotta che doveva condurre a tutt'altra meta. Onde ci si può domandare se il progetto di arrivare alle Molucche non sia invece stato abbandonato molto tempo prima della traversata dell'Equatore, se non addirittura sin dall'ingresso nel Pacifico. Conviene aver presente che le carte immediatamente anteriori al viaggio non dànno le Molucche in mare aperto, ma le conservano ancora entro il Sinus Magnus, che rimane chiuso a E. dalla gigantesca penisola tolemaica protendentesi sino al 33° di lat. S., avanzo della fascia di terra che secondo Tolomeo chiudeva l'Oceano Indiano. Ora la prima carta costruita a circa due mesi di distanza dopo il ritorno della spedizione nel 1522 da Nuño Garcia de Toreno, cartografo della Casa de la Contratación di Siviglia, ci rappresenta le Molucche ancora dentro il Sinus Magnus, aperto, naturalmente, nel punto dove la grande barriera era stata spezzata dalle navi di M. Ma il Toreno stesso aveva preparato le carte per il viaggio; onde è presumibile che, come il golfo viene conservato tuttora, così questo fosse rappresentato, e nella forma tradizionale, nelle carte da lui disegnate precedentemente. E allora non è ammissibile che M., seguendo carte di questo tipo, per raggiungere le Molucche abbia aspettato di toccare il 37° parallelo S. per piegare a NO.; sapendo che la penisola racchiudente le isole entro il Sinus Magnus si spingeva così a S., egli avrebbe dovuto da questo punto seguire una rotta quasi di O. per doppiare l'estremità della presupposta penisola e risalire poi nell'interno del golfo sino a raggiungere l'Equatore. Una direzione a NO. sarebbe stata concepibile solo all'uscita dello stretto, fra i 53° e i 54° S. Quando si diresse a NO. non doveva già più mirare alle Molucche; o in altri termini l'idea di dirigersi al Catai non deve essere sorta in M. solo quando non trovò le Molucche nel punto in cui tagliò l'Equatore, ma molto tempo prima, cioè dal 15 dicembre quando lasciò la costa chilena. Le Molucche dovevano apparirgli enormemente lontane, se all'uscita dallo stretto M. poteva calcolare d'essere appena a una trentina di gradi a O. dalla linea di demarcazione, onde avrebbe dovuto percorrere eirca 150° prima di raggiungerle. Ed era in viaggio da 16 mesi; le provviste erano scarsissime, le navi erano ormai ridotte a tre e i disagi e i pericoli e le incertezze del viaggio dovettero apparirgli in tutta la loro cruda realtà. Probabilmente allorché uscito dallo stretto si diresse al N., egli avrà voluto dirigersi a Panamà (anche le istruzioni al Solis nel 1515 e a S. Caboto nel 1526 stabiliscono esplicitamente questa diversione), e il cambiamento così brusco di rotta poté essere stato determinato dalla preoccupazione di doversi presentare a Pedrarias, il crudele governatore della Castiglia dell'Oro, con un equipaggio ostile e col peso del trattamento spietato da lui stesso inflitto ai capitani spagnoli.

Dopo una breve sosta procedette a O. e raggiunse l'arcipelago di S. Lazzaro (Filippine), iniziando subito la presa di possesso di alcune isole in nome del re di Spagna; ma per aver voluto imporre troppo aspramente tributo agli abitanti della piccola isola di Matan, di fronte alla sottomessa Zebù, assalito da forze superiori fu ucciso, dopo aver combattuto con estremo valore, con alcuni compagni il 27 aprile 1521. Fu un colpo mortale anche per la spedizione, aggravato pochi giorni dopo da un nuovo eccidio di altri 24 spagnoli compiuto a tradimento dagl'indigeni di Zebù. I superstiti rimasero disorganizzati e la piccola flotta parve errare per l'arcipelago senza una meta: toccarono Palauan e Borneo e ritornarono a E., finché due navi (la Concepción era stata bruciata per difetto d'equipaggio) soprattutto per merito di Giovanni Battista da Sestri riuscirono a raggiungere Tidor l'8 novembre 1521, due anni e tre mesi dopo la partenza! Caricate le due navi di spezie si accinsero al ritorno; ma la Trinidad per una falla improvvisamente manifestatasi nella chiglia dovette sostare, per prender solo più tardi la via di Panamà; sennonché per i venti contrarî dovette ritornare alle Molucche e arrendersi ai Portoghesi di Ternate. La Victoria, sotto la guida di S. del Cano, lasciò Tidor il 21 dicembre e si diresse a SO.; traversò l'Oceano Indiano evitando i domini portoghesi, passò al largo del Capo di Buona Speranza, e dopo stenti e peripezie infinite (fra altro 13 marinai furono catturati dai Portoghesi nelle isole del Capo Verde) riuscì il 6 settembre 1522 al porto di Sanlúcar, con un equipaggio ridotto a 18 uomini, dopo quasi tre anni dalla partenza. Gli Spagnoli si affrettarono a proclamare che le Molucche appartenevano loro legittimamente; ma sorsero subito aspre contestazioni col Portogallo, invano tentate di appianare nella Junta di Badajoz (1524) per opera d'una commissione di cosmografi e piloti delle due parti; finché Carlo V col trattato di Saragozza (dopo due altre infelici spedizioni per SO., di Loaisa nel 1525 e di S. Caboto nel 1526) riconosceva in seguito a compenso di denaro, ma sempre con riserva, il diritto dei Portoghesi. E, del resto, la nuova via era risultata praticamente inservibile, mentre i rapporti con l'Asia cominciavano a rivelarsi meglio promettenti dalla parte di Panamà.

I risultati del viaggio di M. rimasero perciò quasi esclusivamente d'ordine scientifico: il ritrovamento dello stretto, la rivelazione dell'immensa distesa del nuovo oceano, la scoperta delle Filippine e, risultato inatteso, la soppressione della grande penisola a SE. dell'Asia che sin qui aveva ingombrato le carte, ultimo avanzo della concezione tolemaica nell'assetto delle terre emerse. Quest'ultimo, che sin qui nessuno ha messo in rilievo, è forse, per la scienza, uno dei più importanti fra i risultati dell'impresa di M. Da questa derivò inoltre una prima, sia pure embrionale, visione della reale distribuzione delle terre e dei mari, e soprattutto (sebbene noi non possiamo stabilire se M. avesse intenzione di compiere il giro del globo; ma è probabile che non vi pensasse) dal viaggio della Victoria doveva risultare definitivamente dimostrata la sfericità della Terra e il suo isolamento nello spazio. Uno solo di questi risultati sarebbe bastato per assegnare a M. - sia pure con le illusioni nutrite e con gli errori che poté commettere nell'esecuzione del suo piano; tutti i grandi navigatori di quel tempo ne ebbero e ne commisero - uno dei posti più eminenti fra coloro che fecero progredire la conoscenza del globo; e le sue qualità personali di valore e di ardimento, di forza, di maschia se pur spietata energia, la sua fine da prode lo rendono una delle più grandi figure d'eroe di cui possa onorarsi l'umanità.

Fonti: Tra le fonti sincrone prevalgono, naturalmente, per importanza le relazioni dei compagni di viaggio; e fra queste occupa il primissimo posto quella del vicentino Antonio Pigafetta, la più ampia e la più ricca di particolari. Di essa furono fatte, specie negli ultimi deeenni, varie edizioni (v.), ma la più importante sia per originalità e ampiezza di ricerche per la critica del testo, sia per ricchezza di note illustrative rimane sempre quella pubblicata da Andrea da Mosto nel vol. III, v, della Raccolta colombiana (1894). Seguono: il Diario o Derrotero del viaje de Magallanes desde el cabo de San Augustín en el Brasil hasta el regreso de la nao Victoria, del pilota Francisco Albo, pubblicato nell'opera sotto cit. del Navarreta (relazione povera di particolari sui luoghi veduti, ma preziosa per la segnalazione delle rotte e delle distanze giornaliere); la Navegaçam e vyagem que fez Fernam de Magallanes de Sevilla pero Maluco no uno de 1519, attribuita al savonese Leon Pancaldo: breve e conciso racconto, prezioso soprattutto per i cenni offerti sul viaggio di ritorno tentato dalla Trinidad. Su questa nave erano probabilmente i diarî ufficiali e più completi - fra i quali forse quello di M. - e le osservazioni astronomiche di Andrea de S. Martin, l'astronomo della spedizione, ma furono sequestrati dai Portoghesi e per la maggior parte andarono dispersi o distrutti. Notevole la prima relazione a stampa, pubblicata nel 1523, di Massimiliano Transilvano: De Moluccis insulis, dedicata al cardinale di Salisburgo. Notizie ampie si hanno nelle Decadi di Pietro Martire e nelle opere di storici spagnoli e portoghesi, Gómara, Las Casas, Herrera, Barros, Castanheda, ecc.; ma non di rado inesatte e parziali. Molti documenti intorno a M. furono pubblicati da M. Fernández de Navarrete nel vol. V della sua: Colección de los viages, ecc. (1825), e altri in parecchie opere pubblicate di recente, specie nella: Colección general de docum. relat. a las islas Filipinas, a cura della Compagnia generale dei tabacchi delle Filippine, Barcellona 1918-22, e nell'opera di P. Pastells, El Descubrimiento del Estrecho de Magallanes, Madrid 1920.

Bibl.: Numerosissimi sono stati in questi ultimi decennî i lavori dedicati a M., non pochi dei quali però consistono in edizioni della relazione del Pigafetta. Sono da ricordarsi: F. H. H. Guillemar, The Life of F. Magellan and the first circumnavigation of the Globe, Londra 1890; O. Koelliker, Die erste Umsegelung der Erde durch F. de Magellanes und G. Seb. del Cano, Monaco e Lipsia 1908. Ma per ampiezza e varietà di ricerche e ricchezza di documentazione valgono soprattutto le opere di J. Denucé: Magellan. La question des Moluques et la première circumnavigation du Globe, in Académie Royale de Belgique, clsase d. lettres, ecc., IV (1908-1911), e di G. Toribio de Medina, El descubrimiento del Océano Pacífico. F. de Magallanes, Santiago de Chile 1920. Per la storia della cartografia riguardante l'impresa di M., cfr. E. Heawood, The World Map before and after Magellan's voyage, in The Geogr. Journal, giugno 1921; A. Magnaghi, La prima rappresentazione delle Filippine e delle Molucche dopo il ritorno della spedizione di M., in Atti del X Congr. geogr. it., Milano 1927; id., Il Planisfero del 1523 della Biblioteca del re in Torino, Firenze 1920.

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