INNOCENTI, Ferdinando

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

INNOCENTI, Ferdinando

Valentina Fava

Nacque il 1° sett. 1891, da Dante e da Zelinda Chiti, a Pescia, nella Val di Nievole, dove il padre aveva iniziato una modesta attività di fabbro per trasferirsi, con il nuovo secolo, nella vicina Grosseto.

Nella città maremmana Dante aveva aperto due botteghe, nelle quali alla produzione si era ben presto associata la vendita di ferramenta; l'I., nel frattempo, frequentava il triennio della scuola tecnica e, dal 1906, iniziò a collaborare con il padre e il fratellastro, Rosolino, nell'officina di famiglia.

Il suo apprendistato avvenne all'interno dell'attività paterna di cui, tuttavia, l'I., diciottenne, potenziò la dimensione commerciale.

Acquistava rottami di ferro dai cantieri che bonificavano la Maremma e li scambiava con olio lubrificante, dalla vendita del quale ricavava maggior profitto.

Tale attività si rivelò proficua e, negli anni a cavallo della prima guerra mondiale, l'I. riuscì a mettere da parte un piccolo capitale. Desiderando ampliare ulteriormente i propri affari, nei primi anni Venti progettò di trasferirsi a Roma; nel frattempo, tratto in inganno dalla grandeur che circondava l'attività della Banca italiana di sconto, vi aveva ricollocato la maggior parte dei propri guadagni, mezzo milione di lire, perdendoli quindi per la messa in liquidazione della stessa Banca alla fine del 1921. Trasferitosi comunque a Roma nel 1923, dovette ricominciare dal niente con la costituzione di un magazzino per la vendita dei tubi senza saldatura, di tipo Mannesman, prodotti in Italia dalla Dalmine, dedicandosi, in questi anni, ad approfondire lo studio delle possibili modalità di utilizzo dei tubi. Nel 1926 affiancò al deposito un'officina per le lavorazioni successive dei tubi (catramazione, taglio e filettatura) e per la produzione di manufatti ricavati dagli stessi (balaustre, balconate per stadi ed edifici pubblici, portabandiera, grondaie, tubazioni per irrigazione).

Le relazioni di lavoro, ma anche di stima e amicizia, che l'I. seppe intessere in questo periodo con alcuni managers della Dalmine, in particolare A. Rocca, all'epoca a capo dei laminatoi Dalmine, e G. Vignuzzi - ambedue personaggi di rilievo nelle vicende della siderurgia italiana nel dopoguerra -, rimasero di fondamentale importanza per la sua attività futura. Di fatto un incentivo al "rastrellamento" di brevetti per le applicazioni tubolari gli venne proprio da Rocca, il quale, durante un incontro fortuito, manifestò all'I. il suo disappunto per la scarsa considerazione dimostrata dalla direzione della Dalmine riguardo al materiale da lui raccolto, durante un viaggio di studio in America, relativo alle applicazioni tubolari. Grazie a questa sollecitazione l'I. chiese immediatamente alla direzione della Dalmine l'autorizzazione a ricevere quel materiale e, pochi mesi dopo, inviò i suoi ingegneri Oltreoceano.

Nel corso degli anni Venti e Trenta il rapporto della Dalmine con l'I. - scandito da un susseguirsi di convenzioni e accordi commerciali (1926, 1933, 1941) - si rafforzò al punto da diventare di fondamentale importanza. Fino ad allora i tubi d'acciaio erano stati utilizzati per convogliare sostanze liquide o gassose: l'I. fu il primo a impiegarli come struttura portante nei grandi impianti industriali e nell'edilizia.

In tal senso, fu determinante la capacità dell'I. di cogliere e valorizzare il talento degli ingegneri con cui veniva in contatto. Alla fine degli anni Venti, utilizzando tali risorse umane, seppe prevedere le possibilità di sviluppo di un brevetto della Scaffolding inglese, un giunto tubolare di facile montaggio e smontaggio: dopo alcuni tentativi, nel 1933 riuscì ad adattare ai tubi prodotti dalla Dalmine il giunto noto in seguito con il nome di "giunto tubolare Innocenti", dal quale fu poi sviluppato il "ponteggio tubolare Innocenti", destinato a sostituire le precarie impalcature di legno all'epoca ancora in uso nell'edilizia.

Sempre attraverso la Dalmine, l'I. conobbe l'ingegner Franco Ratti, nipote di Pio XI, azionista della società bergamasca nonché responsabile dell'Ufficio tecnico del Vaticano.

Per questo tramite, nel 1931 l'I. ottenne la commissione di un impianto completo di irrigazione a pioggia nei giardini della villa papale di Castel Gandolfo e, nel 1932, quella di un impianto per i giardini vaticani. I lavori in Vaticano proseguirono fino al 1934, con la realizzazione della centrale termoelettrica e degli impianti antincendio della cappella Sistina.

Nel 1931, tuttavia, l'I. aveva lasciato Roma trasferendosi a Milano, "miraggio dei suoi sogni giovanili", dove riuscì a realizzare il complesso piano imperniato sull'industria meccanica applicata che fece la sua fortuna.

Fin dal 1931, nonostante la crisi del '29, era stata inaugurata a Milano la prima sede commerciale della Fratelli Innocenti; nel 1933, a Lambrate, l'I. aveva costruito uno stabilimento di produzione per i raccordi tubolari. Finiti, nel 1934, i lavori in Vaticano, iniziò progressivamente un parziale smantellamento degli impianti di Roma e il trasferimento di parte consistente della manodopera a Milano, pur mantenendo stretti contatti con gli ambienti romani e vaticani.

Nel corso degli anni Trenta l'attività dell'I. crebbe ininterrottamente, con due stabilimenti di produzione, a Roma e Milano, e nove tra filiali e uffici commerciali. Per adeguare la forma societaria alle nuove dimensioni, il 3 nov. 1933 l'I. aveva modificato la ragione sociale della Ditta fratelli Innocenti, di cui era titolare con il fratello Rosolino, in Fratelli Innocenti società anonima per applicazioni tubolari acciaio - dotata di un capitale sociale di 5 milioni, con sede a Roma - e contemporaneamente aveva creato la Innocenti - Società generale per l'industria metallurgica e meccanica, con sede a Milano. Nel 1935, l'assemblea degli azionisti (undici, dopo la decisione dell'I. di distribuire quote di azioni ad alcuni stretti collaboratori) valutò il raddoppio del capitale sociale. Tuttavia, il vero salto di qualità avvenne nel 1936 con la Innocenti società anonima per applicazione tubolari acciaio, ai cui vertici erano un consiglio di amministrazione e un collegio sindacale, anche se l'I. manteneva saldamente nelle sue mani le redini del comando. Lo sviluppo economico e industriale dell'impresa fu reso possibile dalla progressiva crescita delle spese militari dello Stato italiano a seguito dell'invasione dell'Etiopia (1935), dell'intervento in Spagna (1936) e dello scoppio della seconda guerra mondiale.

L'I., al solito, previde le possibili applicazioni dei tubi nell'industria bellica e, specificatamente, intuì il ruolo che avrebbero assunto nella costruzione di carpenterie per capannoni d'aeronautica. Tuttavia le maggiori commesse militari riguardarono i proiettili per l'Aviazione e per l'artiglieria e la costruzione dei corpi di granate per la Marina, ottenibili da settori di tubi Dalmine.

Gli utili così ricavati furono altissimi e consentirono all'I. di raddoppiare il capitale sociale e di ampliare gli impianti, adeguandoli alla produzione militare. A questo punto, tuttavia, egli ambiva a divenire produttore di tubi in proprio con una sua fabbrica; ci riuscì, grazie ai buoni rapporti con le gerarchie fasciste, nonostante l'opposizione dei nuovi proprietari della Dalmine - l'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) e la Finsider - che non vedevano di buon occhio la trasformazione del maggiore cliente dell'azienda (l'Innocenti assorbiva oltre il 35% della produzione Dalmine e ne era anche azionista) in un concorrente, e tendevano a evidenziare la valenza politica piuttosto che quella economica della costruzione del nuovo stabilimento. I dissapori con il gruppo dirigente della Dalmine furono infine risolti tramite una convenzione (1941) che affidava la gestione del nuovo impianto alla SAFTA (Società autonoma fabbricazione tubolari acciaio), il cui capitale era detenuto per il 49,98% dalla Finsider e per un'analoga quota dall'I., mentre Rocca, ora direttore generale della Finsider, conservava una funzione arbitrale detenendone lo 0,04%.

Il nuovo stabilimento, ubicato ad Apuania, in un'area che il regime intendeva valorizzare, fu costruito nel 1939 e progettato in modo rivoluzionario - i tubi venivano prodotti da lingotti e non da laminati - dall'ingegner A. Calmes; tuttavia esso funzionò solo per un breve periodo, dal 1942 al 1943, quando venne smontato e trasportato all'estero dall'esercito tedesco.

Dopo l'8 sett. 1943 l'I. si trasferì a Roma, dove contava di riorganizzare i propri contatti in funzione dei nuovi equilibri di potere; a tal fine, nelle ultime fasi della guerra, collaborò attivamente con gli Alleati e finanziò le forze clandestine antifasciste. In questo modo, tornato a Milano alla fine del conflitto, riuscì a mantenere il controllo dei suoi stabilimenti. Per poterli riscattare l'I. concluse un accordo con O. Sinigaglia, presidente della Finsider, di cui la Dalmine era società partecipata.

Quest'ultima avrebbe rilevato tutta l'attività della Innocenti nel settore tubi; la Ponteggi, pur mantenendo il nome Ponteggi tubolari Dalmine Innocenti spa, diveniva, in cambio delle royalties per i brevetti, al 100% della Dalmine; infine, nel 1948, l'I. cedeva alla Dalmine il proprio pacchetto azionario della SAFTA - nel frattempo ricostruita e attrezzata con moderni laminatoi fabbricati a Lambrate -, ricevendone di converso una quota di azioni della stessa Dalmine, di cui venne nominato amministratore delegato.

Fu, quest'ultima, un'esperienza breve e segnata da tempestose polemiche: dapprima l'I. dovette affrontare l'opposizione del consiglio di gestione, che lo accusava di avere fatto fortuna a spese della Dalmine d'accordo con Rocca, nel frattempo autoesiliatosi in Argentina; quindi il conflitto proseguì in seno al consiglio d'amministrazione, sia riguardo al tentativo di trasferire la sede della Direzione generale della società a Milano sia per la volontà dell'I. di indirizzarne la produzione sui tubi saldati, che sarebbero diventati di fatto, negli anni Cinquanta, quelli con maggior mercato, soprattutto se di grande diametro e destinati al rivestimento e ai pozzi petroliferi.

Nel 1950 l'I. si dimise dalla Dalmine per dedicarsi ai suoi impianti di Lambrate, danneggiati dalla guerra e bisognosi di riconversione. Egli ottenne dalla Camera del lavoro il permesso di licenziare 2000 dei 7000 dipendenti, a condizione di riassumerli entro due anni. Fu l'occasione per una profonda ristrutturazione degli impianti e delle produzioni. L'acuta intuizione - che lo fece paragonare a un "cardinale del Rinascimento" - e la sensibilità alle variazioni del mercato indussero l'I. a puntare prevalentemente su due direttive: da un lato riprendeva l'esperienza dello stabilimento di Apuania per la grande meccanica, ovvero la produzione di macchinari per la laminazione di tubi; dall'altro introduceva la produzione motoristica, in due sezioni: motoveicoli e, in un secondo tempo, per volontà del figlio Luigi, automobili.

La divisione meccanica pesante sviluppò nuovi tipi di laminatoi, a freddo e a caldo, su brevetto Calmes, e torni, presse e macchinari pesanti con licenza americana; mentre, già dal 1948, l'I. aveva fondato la società Calmes spa, con l'obiettivo di studiare e progettare impianti completi per la fabbricazione e la laminazione di tubi, destinati, per lo più, a clientela estera (URSS e paesi satelliti, Austria, USA, Giappone, Germania).

Il segno più evidente del successo internazionale conseguito dall'I. fu, nel 1955, la vittoria ottenuta nella gara internazionale di appalto bandita dal governo venezuelano per la "Planta siderúrgica" dell'Orinoco, il maggiore impianto siderurgico a ciclo integrale dell'America Latina e la più importante operazione economica di esportazione della storia italiana di quegli anni, in termini sia di macchinario sia di manodopera (10.000 operai specializzati italiani). Nel contempo, la stretta contiguità tra la holding pubblica Finsider e la Innocenti, iniziata ai tempi della Dalmine, proseguiva anche nel dopoguerra: i macchinari prodotti a Lambrate furono fondamentali per l'equipaggiamento degli impianti Finsider di Cornegliano e di Taranto; nel 1957-58 lo staff tecnico che aveva seguito lo sviluppo dell'impianto di Cornegliano passò alla Innocenti.

Nel campo motoristico, sin dall'immediato dopoguerra l'I. aveva compreso come fosse giunto il momento della motorizzazione individuale, basata però su di un veicolo a basso costo che permettesse una grande diffusione popolare non consentita all'automobile, ancora troppo cara. Di nuovo l'I. trovò l'ingegnere giusto, P. Torre, colonnello del Centro sperimentale di Guidonia e padre della Lambretta, nata come "un tubo con un motore e due ruote".

Dopo alcune difficoltà iniziali e una campagna pubblicitaria senza precedenti per l'epoca, nel 1952, a Lambrate, in un impianto modernizzato dal punto di vista delle attrezzature produttive e di verniciatura, si producevano 96.000 veicoli modello D con telaio portante in tubo metallico, di cui 16.000 destinati all'esportazione. L'apice fu raggiunto nel 1953, quando fu lanciato il modello E, con una produzione di 70.000 unità annuali cui si associavano 50.000 unità del modello LD.

Negli anni Sessanta, però, l'ascesa dei veicoli a quattro ruote divenuti nel frattempo convenienti nei prezzi e nei consumi, e in particolare della Fiat 500, finì con il condizionare il successo dello scooter, le cui vendite erano stagnanti. L'I., ormai anziano e malato, si apprestava a lasciare il posto di comando, saldamente conservato fino ad allora, al figlio Luigi, vicepresidente della società dal 1958. Fu quest'ultimo a suggerire il reinvestimento degli utili derivati dall'affare venezuelano nella produzione automobilistica e a decidere di puntare, con convinzione e a scapito della Lambretta, sulle quattro ruote. L'I. cercò fino alla fine, senza però l'energia di una volta, di contrastare questa scelta, temendo la reazione della Fiat alla concorrenza nel campo delle utilitarie, e supportando, quindi, attivamente la messa in produzione nel 1966 di un nuovo ciclomotore, il Lambrettino.

A questa piccola autovettura, che doveva rappresentare una riserva rispetto alla produzione di motocicli, l'I. pensava da tempo. Dopo un primo tentativo, nel 1957, di affidare il nuovo progetto all'ingegner Torre, l'I. si era infine orientato verso l'ipotesi della produzione su licenza. L'esperienza motoristica sviluppata con gli scooter nel campo del motore a due tempi gli fece considerare inizialmente come possibile partner la tedesca Hans Glas, che aveva iniziato la produzione della vetturetta Goggomobil.

Naufragata quest'ipotesi, nel 1959 l'I. trovò un accordo con la British Motor Corporation per produrre un'automobile più tradizionale, la Austin A40; l'accordo, settennale, prevedeva il montaggio, il sotto assemblaggio su linee a terra, e la verniciatura dei pezzi provenienti dalla Gran Bretagna. In seguito fu introdotto il modello IM3, rielaborato con carrozzeria Pininfarina, che permise l'inserimento della Innocenti nel settore delle 1100 con un veicolo di qualità. Tuttavia, nonostante il successo commerciale della versione italiana della Mini Cooper, lanciata nel 1966, tutti i tentativi di progettazione autonoma di una vettura da parte della Innocenti fallirono. La produzione procedette per tutti gli anni Sessanta con i modelli inglesi leggermente modificati e con livelli produttivi abbastanza alti (50.000 vetture nel 1968).

L'I. morì a Varese il 21 giugno 1966.

Il figlio Luigi cedette dapprima la sezione meccanica pesante e in seguito, nel 1972, anche la sezione automobili dell'azienda; nello stesso anno, tutti gli impianti e i macchinari di Lambrate per la produzione della Lambretta furono acquistati dalla Scooters India Ltd.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. della Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, f. Innocenti; Dalmine, Arch. della Fondazione Dalmine, Arch. Agostino Rocca, ff. 2, 23, 60, 21; Fondo Dalmine, D.Lcda.3; Dd.11.8; D.Lc.4; Fondo Zerbato; Fondo Vignuzzi; Fondo Innocenti SAFTA; Fondo SPAIM; Milano, Arch. della Camera di commercio, dell'artigianato e dell'industria, f. Soc. Innocenti Lambretta spa, RD.807329; f. Soc. Innocenti meccanica spa, RD.829030; M. Gamba, Innocenti. Imprenditore, fabbrica e classe operaia in cinquantott'anni di vita italiana, Milano 1976; G.L. Osti, L'industria di Stato dall'ascesa al degrado. Trent'anni nel gruppo Finsider, Bologna 1993, pp. 155, 157-159, 161 s.; F. Amatori - A. Colli, Impresa e industria in Italia dall'Unità a oggi, Venezia 1999, p. 197; A.T. Anselmi, L'automobile. Produzione e design a Milano, 1879-1949, Milano 1990, ad ind.; C. Lussana, 1946: la prima frontiera. Dalla corrispondenza argentina di A. Rocca, in Quaderni della Fondazione Dalmine, I (1999), pp. 32 s., 106; F. Ricciardi, Lavoro, conflitto, istituzioni. La FIOM di Bergamo dal dopoguerra all'autunno caldo, Bergamo 2001, pp. 59-64; L. Galantini, Dai tubi alla Mini. Storia dell'Innocenti, tesi di laurea, Milano, Università commerciale L. Bocconi, a.a. 2001-02; M. Tonolini, Le relazioni industriali alla Dalmine dalla liberazione alla metà degli anni Cinquanta, tesi di laurea, Università degli studi di Milano, a.a. 2001-02.

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