FERDINANDO il Cattolico, II d'Aragona

Enciclopedia Italiana (1932)

FERDINANDO il Cattolico, II (V) d'Aragona (III di Napoli, II di Sicilia): l'ordinale tradizionale (V) si riferisce alla serie di Castiglia e León

Nino Cortese

Da Giovanni II d'Aragona e da Giovanna Henríquez principessa castigliana di sangue reale e figlia di Federico Enríquez ammiraglio di Castiglia, nacque a Sos (Aragona) il 10 marzo 1452. La sua educazione fu tutt'altro che accurata, perché l'attenzione della corte era rivolta unicamente alle guerre intestine che angustiavano il paese e perché il piccolo non sembrava destinato a salire sul trono, come figlio di secondo letto. Ma a foggiare il suo carattere e a dargli profonda esperienza di vita furono sufficienti proprio le dure esperienze della sua travagliata gioventù e l'esempio tanto dell'eroico ardire e della sottile astuzia di governo del vecchio padre, quanto della non comune energia della madre: la quale difese poi con tenace costanza gl'interessi del suo nato; e, acuendo il dissidio tra il re e il primogenito di primo letto Carlo principe di Viana, sino a renderlo insanabile, ed ostacolando il matrimonio di quest'ultimo con Isabella, sorella e presunta erede di Enrico IV di Castiglia, che nella propria mente Giovanna aveva già destinata al suo piccolo figlio, preparò la sua ascesa al trono e gli diede la possibilità di rendere molto più ampî i suoi dominî.

Morto Carlo di Viana il 23 settembre 1461, appena quindici giorni dopo, il 6 ottobre, il decenne F. otteneva con grande facilità quel che sempre si era rifiutato al defunto: ché era designato principe ereditario e la deputazione d'Aragona gli prestava giuramento di fedeltà in Calatayud. Ma, quando sembrava che quella morte avesse posto fine alle lotte interne che già avevano turbato profondamente lo stato, nello stesso anno, allorché F. e sua madre si recarono in Catalogna per riceverne il giuramento di fedeltà, la rivolta scoppiò in Barcellona. Nel primo momento della sommossa, che sorprese proprio nella città ribelle la Corte fiduciosa e priva di forze, la madre salvò il figlio in un forte di Gerona e, con i pochi uomini che aveva a sua disposizione, organizzò la difesa del rifugio con bravura ed eroismo. In seguito, lo stesso F. prese attiva parte alla lotta, ché nel 1464 era a capo della cavalleria aragonese - come cavaliere sarà sempre ritenuto uno dei migliori del regno - e nel 1467 salvò la piazza di Gerona che stava per cadere nelle mani di Giovanni di Lorena. E finalmente, divenuto valido aiuto e consigliere del padre, nel 1468, alla morte della madre, fu nominato re di Sicilia e conreggente. Poi, l'anno dopo, ad aprirgli le porte di tutto un nuovo mondo politico venne il suo matrimonio con Isabella, che il 19 settembre 1468 era stata proclamata erede del regno di Castiglia (trattato di Toros de Guisando). Il contratto matrimoniale fu firmato a Cervera il 7 gennaio 1469; e in esso si stabilì che F. avrebbe giurato di rispettare le leggi e gli usi di Castiglia, avrebbe fissato in questo regno la sua dimora, non avrebbe potuto vendere i dominî della Corona, non avrebbe dato impieghi militari e civili senza il consenso della regina, restando esclusi gli stranieri dalle cariche municipali, avrebbe continuato la guerra contro i Mori, avrebbe rispettato Enrico IV, si sarebbe astenuto da richiedere le terre cedute già da suo padre in Castiglia, e finalmente avrebbe conservato ai nobili tutte le loro cariche e i loro beni: soltanto la regina poteva disporre dei benefici ecclesiastici, e le ordinanze pubbliche per essere valide dovevano portare anche la sua firma. Ma tutte queste restrizioni all'autorità di F., dettate dai Castigliani per garantire l'indipendenza e le libertà della loro terra e accettate dal principe aragonese nella speranza d'impedire una reazione nazionale e di calmare i timori e il malcontento, prima di tutti del re, non valsero a conquistare agli sposi il favore della corte: il sovrano, che avrebbe voluto dare sua sorella ad Alfonso V di Portogallo, non approvò il matrimonio; e, quasi ciò non bastasse, anche il monarca aragonese si trovò nell'impossibilità di aiutare suo figlio in quest'impresa che per altro gli stava molto a cuore, perché tutto preso dalla guerra che ardeva in Catalogna e che lo aveva ridotto in tristi condizioni economiche. Tuttavia, travestito da cameriere e sfuggendo alla sorveglianza dei suoi nemici decisi a catturarlo, F. riuscì a raggiungere Isabella in Valladolid - la principessa per energia e coraggio gli era eguale, se non superiore -, si fece imprestare il denaro necessario per la cerimonia nuziale, e questa celebrò il 19 ottobre dello stesso anno dinnanzi al suo nonno materno e all'arcivescovo di Toledo, che aveva avuto gran parte nelle precedenti trattative: soltanto molto tempo dopo Isabella seppe che falsa era la bolla di dispensa che il fidanzato aveva presentata per superare gl'impedimenti al matrimonio derivanti dalla sua parentela con la sposa. Le seguenti difficoltà temprarono sempre più l'animo dei due giovani principi, privi di mezzi e mal tollerati da Enrico IV che, in odio a Isabella, aveva dichiarato figlia legittima e sua erede Giovanna la Beltraneja, figlia di sua moglie Giovanna di Portogallo, che, come da tutti si affermava, l'aveva avuta da Beltrán de la Cueva: e forse fu allora che essi, provati dal bisogno, si abituarono a quella sobrietà di vita che doveva divenire una delle caratteristiche più appariscenti della loro corte. Inoltre, da lontano, F. doveva tener lo sguardo rivolto all'Aragona; e nel 1473, abbandonata la Castiglia, corse in aiuto di suo padre in lotta con Luigi XI per il possesso della Cerdagna e del Rossiglione, ed entrò trionfalmente in Perpignano. Poi, alla fine di quest'anno, parve che la situazione dovesse migliorare, ché in Segovia Enrico IV e Isabella si rappaciavano e F. era ammesso a corte; ma l'11 dicembre dell'anno dopo il sovrano di Castiglia moriva e contro Isabella, subito proclamatasi regina, prendevano le armi Alfonso V di Portogallo e parte della nobiltà castigliana in difesa dei diritti della Beltraneja. La guerra, che è stata detta di successione, cominciò nel maggio 1475 e trovò impreparati i due legittimi monarchi. Sembra che in un primo momento F. volesse venire a un accordo col Portoghese, e che fosse Isabella ad opporsi ad ogni transazione; certo si è che ben presto tutti e due ripresero animo: nello stesso anno con molta abilità si ottenne oro in abbondanza dal clero e dalla nobiltà (Medina del Campo, agosto 1475); con i nuovi larghi mezzi si compirono vaste opere di fortificazione e si armarono più numerose schiere di soldati; il 1° marzo 1476 le truppe di Alfonso V furono vinte nelle vicinanze di Toro; questo centro della resistenza portoghese si arrese nel seguente settembre; l'una dopo l'altra capitolarono le città dichiaratesi per la Beltraneja; la Francia, ottenuta dalla Castiglia la revoca della sua alleanza con Massimiliano d'Austria, abbandonò l'amico Alfonso V; l'esercito portoghese fu di nuovo vinto ad Albuera (24 febbraio 1479); e finalmente si giunse alla pace, firmata in Alcoçobes il 4 settembre 1479, per la quale il sovrano portoghese rinunciava definitivamente alla Castiglia: F. ebbe la lieta novella in Aragona, ove si era recato per prendere quella corona, essendo morto suo padre il 19 gennaio dello stesso anno.

Due anni dopo, a forze riunite, i due sovrani movevano contro i Mori, che avevano conquistato Zahara (1481). A una fortunata sorpresa di Alhama, difesa poi contro le accorse truppe del sultano di Granata, Muley Abū 'l-Ḥasan (marzo 1482), seguì la sconfitta di Loja, ove morì il gran maestro di Calatrava, D. Rodrigo Téllez Giron. Ma in aiuto dei cristiani sopravvennero le discordie intestine scoppiate nello stato di Granata, le quali lo divisero fra Muley Abū 'l-Ḥasan, suo figlio Boabdil (Abū ‛Abdallāh) e suo fratello Zaghal, che poi assunse il potere; e da allora in poi i re cattolici, per vincere il nemico, oltre che delle armi, si servirono di abili maneggi diplomatici: Boabdil, fatto prigioniero mentre assediava Lucena, ottenne la libertà allorché dichiarò di voler essere vassallo di F. e promise denaro e aiuti nella lotta contro il padre; Alora si arrese alla fine di giugno del 1484, Setenil nel settembre, Ronda il 23 maggio 1485, Loja il 29 maggio 1486, Vélez-Málaga nell'aprile 1487 e nel seguente agosto, dopo un tenace assedio, Málaga. Poi tutti gli sforzi furono concentrati contro Baza: Isabella giunse ad impegnare le sue gioie per procurarsi i mezzi necessarî alla lotta, ma, più che le armi, a dar la vittoria ai cristiani valsero accorte trattative: Zaghal cedette Baza, Cadice ed Almería (fine dicembre 1489) e poi abbandonò l'Europa. In mano dei Mori non restava che Granata, ov'era Boabdil, che di nuovo aveva ripreso le armi contro l'antico amico; alla metà del 1491 cominciò l'assedio; ma anche questa volta l'opera dell'esercito fu aiutata dall'astuzia del re, che mediante accordi ebbe la città, nella quale entrò trionfalmente il 6 gennaio 1492 insieme con Isabella.

Così, dopo circa otto secoli di lotta, cadeva l'ultimo baluardo della potenza araba in Spagna, e finiva la guerra di riconquista, che sino allora era stata la maggiore ragione di vita di buona parte della penisola iberica; e in tal modo si rafforzava sempre più la già avvenuta unione delle due corone di Aragona e di Castiglia, che era stata ancor essa avvenimento nuovo e che era destinata ad avere enorme importanza nella storia dell'Europa. Si trattava, è vero, di un'unione ancora personale fra i due monarchi, perché, pur essendosi data a F. maggiore autorità di quella che gli era stata concessa nel contratto di nozze, nella convenzione stipulata tra i due sposi nel 1474, all'atto della loro incoronazione, erano state confermate molte delle limitazioni già stabilite nel precedente atto; ma tuttavia, almeno per il momento, vivendo i due coniugi, si trattava di reciproche limitazioni esistenti più di nome che di fatto: e già nel 1474, a F. che si mostrava malcontento per le riduzioni fatte al suo potere, Isabella, innamorata del marito - e tale rimarrà per tutta la sua vita - aveva risposto che, pur essendo divise le competenze, indivisibili erano gl'interessi dei due sovrani e che le loro volontà avrebbero formato un'unica volonta. Dipoi l'unione, in attesa di divenir definitiva con Carlo I, si conservò anche alla morte di Isabella, avvenuta il 26 novembre 1504; perché, in virtù delle disposizioni testamentarie della defunta regina, F. assunse subito la reggenza di Castiglia, la tenne sino alla fine del giugno 1506, allorché cedette il potere alla figlia Giovanna e a Filippo il Bello d'Austria suo marito, e la riprese dopo la morte di quest'ultimo (25 novembre 1506), in nome del loro figlio Carlo, per serbarla sino alla propria morte, che lo sorprese in Madrigaleio il 23 gennaio del 1516. Ed è per questa ragione che - ove si escluda il breve periodo limitato dalla morte di Isabella e dall'inizio della seconda reggenza di F., quando non mancarono dissensi fra il padre e la figlia, e aspro fu il contrasto con Filippo d'Austria - sembra che un'unica mente abbia sempre regolato la vita della Spagna, completandosi a vicenda pienamente la volontà e le azioni dei due sovrani (in Aragona a significare che l'autorità dei due monarchi aveva egual valore si assunse come divisa il famoso motto: "Tanto monta Isabel como Fernando, tanto monta Fernando como Isabel") e allo stesso scopo lavorando attivamente gli uomini di prim'ordine che essi ebbero la fortuna di avere accanto: come il gran cardinale di Spagna, Pedro González de Mendoza, il conte di Tendilla Inigo López de Mendoza, che si coprì di gloria nella guerra di conquista, Gonzalo Fernández de Cordoba el Gran Capitan, l'abilissimo marinaio conte Pedro Navarro, il viceré di Napoli Ramón de Cardona conde de Albento, il cardinale Jiménez de Cisneros, al quale F. credette di poter affidare il governo della Castiglia alla propria morte, mentre l'arcivescovo di Saragozza reggeva l'Aragona, in attesa della venuta di Carlo.

La politica estera del nuovo stato non può dirsi la semplice continuazione di quella della Castiglia, che, specialmente negli ultimi anni, si era limitata al semplice compito di sistemare le sue relazioni con i paesi circostanti, senza alcun interesse superiore alla contingenza, e che era tutta imperniata su un'alleanza con i re francesi, ai quali la casa di Trastamare doveva la conquista del trono che possedeva; essa fu invece un sempre più profondo e più esteso sviluppo di quella d'Aragona, antifrancese per le antiche discordie con lo stato confinante per il possesso della Navarra, della Cerdagna e del Rossiglione e per secolari tradizioni di espansione nel Mediterraneo, nel quale si affaccia il maggior porto della penisola iberica e dove molto avanzate erano già le posizioni aragonesi, per il diretto dominio che si aveva sulla Sardegna e sulla Sicilia, e per quello indiretto sul regno di Napoli: dominî che, oltre a renderla potenza mediterranea, potevano far divenire l'Aragona più particolarmente potenza italiana. Si potrebbe anche dire che la Castiglia, offrendo il suo aiuto alla meravigliosa impresa di Cristoforo Colombo, che doveva rivelare al mondo un nuovo continente e dare alla Spagna smisurati dominî, non fece che imitare, in un teatro immensamente più vasto e con un condottiero italiano, gli ardimenti dei marinai catalani che nei secoli precedenti, da commercianti e da corsari, avevano soldato il Mediterraneo e dato alla loro terra una precipua ragione di vita. Nei primi tempi, sino alla calata di Carlo VIII in Italia, la politica estera fu dominata quasi unicamente da interessi di politica interna, cioè dalla preoccupazione di assicurare il dominio del monarca sullo stato contro le possibili alleanze tra lo straniero e i nemici interni - già vedemmo che Portogallo e Francia si unirono per togliere la corona di Castiglia a Isabella - e ancora dal desiderio di rivendicare i diritti aragonesi sulle regioni di confine con la Francia. Nel regno di Navarra, dilaniato dalle lotte intestine, l'intervento di F., forte della sua parentela con la sorella di primo letto Eleonora di Foix, in un primo momento prevenì l'invasione francese e portò al trattato di Tudela (4 ottobre 1476), col quale s'iniziava il protettorato spagnolo sul paese; e in un secondo momento, dopo un temporaneo sopravvento francese, perché Caterina di Foix, nipote di Eleonora, sposò Giovanni d'Albret conte di Tartas invece di Giovanni figlio dei re cattolici, con il trattato di Granata (1492), confermato poi da numerosi altri trattati, si rinnovò il protettorato della Spagna, che lentamente preparava la conquista del paese. Quanto al Portogallo, con il quale le competizioni per le colonie avevano aggiunto nuovi argomenti di lite agli antichi, il trattato di Tordesillas, per quanto di nessun valore effettivo, pose tregua ai dissidî scoppiati sulla legittimia dei rispettivi dominî transoceanici; e più volte si tentò di stringere duraturi rapporti di parentela con la dinastia lusitana, allo scopo di dare un'unità politica a tutta la penisola iberica, anche se, essendo portoghese il principe consorte, nell'unione la prevalenza sarebbe toccata proprio al Portogallo; ma morti premature resero inutili tutti gli sforzi. L'inimicizia con la Francia portò a stringere sempre più intimi rapporti con l'Inghilterra, la sua tradizionale rivale, che ancora possedeva Calais sul territorio francese, con la quale si stipulò un trattato di alleanza offensiva e difensiva (1471-74), confermata poi dal matrimonio di Caterina, figlia dei re cattolici, con l'erede al trono inglese, il futuro Enrico VIII; e portò ancora a legarsi a casa d'Austria con doppio vincolo di parentela, e cioè col matrimonio di due figli dei re cattolici, Giovanni principe delle Asturie e Giovanna, rispettivamente con due figli di Massimiliano d'Asburgo, Margherita e Filippo; e inoltre, già nel 1477, per iniziativa di F., si stipulava una grande lega europea contro la Francia per costringerla ad abbandonare l'alleato Portogallo, della quale fecero parte appunto l'Inghilterra e casa d'Austria: primo esempio delle future leghe promosse dalla Spagna contro Carlo VIII e Luigi XII. Con la Francia si venne ad un accordo soltanto allorché Carlo VIII, in procinto di tentare l'impresa italiana, desiderando di essere in pace con il suo vicino pericoloso rivale, cedette all'Aragona la Cerdagna e il Rossiglione (trattato di Barcellona, 1492-3); ma fu accordo di breve durata, distrutto appunto dagli avvenimenti italiani e diede benefici soltanto all'Aragona, che non restituì le terre ottenute in cambio di promesse non mantenute. Poi, dopo l'avventura di Carlo VIII, la politica estera spagnola divenne sempre più ardimentosa, e s'interessò a tutti i problemi internazionali, e da difensiva che era si trasformò in offensiva: ché, se pure apparentemente continuò ad essere difensiva, in effetto proteggeva ormai confini nuovi, molto più ampî e più minacciati dei precedenti, perché finirono col comprendere buona parte dell'Italia continentale. In questo periodo la diplomazia di F. affinò i suoi mezzi, si arricchì di uomini di acuta mente, seppe in poco tempo da novizia inesperta divenire abile rivale della sino allora imbattuta diplomazia italiana e di quella sottilmente accorta della Francia: per farne la storia occorrerebbe ricostruire quella di tutta l'Europa. Il punto di partenza fu sempre lo stesso: ostilità alla Francia. La lega del 1495 tra la Spagna, l'Austria, il Papa, lo Sforza, la Repubblica di Venezia, l'Aragonese di Napoli, e ancora le armi di Gonzalo Fernández de Córdoba, restituirono a Ferdinando II di Napoli lo stato toltogli dal re francese. E se qualche anno dopo, l'11 novembre 1500, con il trattato segreto di Granata, F. accettò di mettersi d'accordo con il nemico Luigi XII, successore di Carlo VIII, per dividersi il mezzogiorno d'Italia, togliendolo a Federico d'Aragona, l'accordo non doveva essere che motivo per futuri conflitti. Si trattava, è vero, di un obbrobrioso tradimento ai danni di un re pacifico, per di più fedele e fiducioso congiunto; ma, come già l'intervento in favore di Ferdinando II, anche questo contro Federico era determinato dall'assoluta volontà d'impedire che la Francia s'impadronisse dello stato napoletano, e in tal modo minacciasse l'opposta Sicilia ed estendesse la sua potenza sul Mediterraneo, dove l'Aragona aveva da difendere tutto un passato, un presente e uno sperato e desiderato avvenire: tanto è vero che F. non si ritenne sicuro se non quando ebbe cacciato il già alleato esercito francese dal suo ultimo baluardo, la fortezza di Gaeta (1° gennaio 1504). Dipoi, dopo un breve periodo di amicizia con il nemico, imposta a F. dai suoi dissensi con il genero Filippo d'Austria e rafforzata dal trattato di Blois del 12 ottobre 1505 e dal matrimonio del vedovo sovrano aragonese con Germana di Foix, e dopo avere aderito alla Lega di Cambrai (dicembre 1508) e partecipato alla guerra contro Venezia, che, oltre ad essere rivale potente nel Mediterraneo, dal tempo della calata di Carlo VIII teneva ancora occupate alcune città pugliesi, F. riprese la sua politica antifrancese, aderendo alla Lega santa contro Luigi XII e insistendo nella sua opposizione anche quando salì sul trono del vicino regno Francesco I vittorioso a Marignano, e Carlo d'Asburgo iniziò una politica indipendente da quella del nonno. E non è a dire che non ne ricavasse vantaggi: ché, dalla guerra che si risolse sui campi di Ravenna con la morte del vincitore Gastone di Foix, egli ottenne il possesso della Navarra spagnola, la cui capitale gli aprì le porte il 24 luglio 1512. E tutto ciò mentre fortunate spedizioni, dirette dal Cisneros e da Pedro Navarro, rafforzavano il dominio spagnolo nel Mediterraneo occidentale, ché Orano era conquistata nel 1509, Bugia nel 1510, Tripoli nel 1511, e si sottomettevano Algeri e Tunisi.

Nella politica interna, il regno al quale si rivolsero maggiori cure fu la Castiglia, non solo perché era quello che più ne aveva bisogno per le condizioni ancora molto arretrate della sua vita etico-politica, ma anche perché fu scelto come il vero centro di tutto il nuovo organismo statale, tanto dalla castigliana Isabella, quanto da F., trattovi, oltre che dalla sua sfiducia contro la malfida Catalogna e la debole Aragona, anche dall'affetto verso quella che egli considerava come sua terra: ché castigliana era sua madre e castigliana la casa d'Aragona cui apparteneva, sì che la sua ascesa a quel trono era sembrata a Giovanni II, suo padre, come un ritorno in patria della dinastia aragonese. Quale sarebbe stato il nuovo sistema di governo, apparve subito dalle deliberazioni che furono prese nelle Cortes di Toledo sin dal 1480: l'accentramento dei poteri nelle mani del monarea, il rafforzamento della sua autorità contro tutte le forze disgregatrici dell'unità di governo, la piena autonomia del sovrano nella sua opera di amministratore dello stato. Il "re cattolico" difese sempre i diritti ecclesiastici appartenenti alla corona contro le usurpazioni papali. Consentì all'introduzione nello stato dell'Inquisizione per combattervi energicamente le eresie; ma tale permesso fu concesso anche perché si pensava che, rendendo unica religione permessa la cattolica, attraverso di essa si sarebbe dato al paese una salda unità morale e politica, e quel tribunale sarebbe divenuto uno dei più saldi e potenti mezzi di un governo assoluto e accentratore. Il prevalere dell'alta nobiltà finì non solamente perché furono distrutte molte delle sue fortezze, proibito di costruirne delle altre, ridotte le sostanze dei signori obbligandoli a restituire i benefici ottenuti nel passato, e imposto ad essi di vivere o come cortigiani a corte o come tranquilli sudditi nelle loro terre; ma anche perché il monarca si fece nominare gran maestro dei tre ordini cavallereschi della Spagna: di Calatrava (1487), di Alcántara (1494), di S. Giacomo (1499); perché, contrappostesi agli alti feudatarî le città e la borghesia, furono protette e accresciute le libertà dei comuni e le cariche e gl'impieghi lurono affidati a borghesi, gli uni e gli altri fedeli amici e intelligenti collaboratori del sovrano; e perché fu del tutto rinnovata l'amministrazione della giustizia, specialmente con la creazione della Santa Hermandad, ordinata nelle Cortes di Madrigal del 1476: terribile istituzione, con la quale si represse con spaventosa ferocia il brigantaggio, rovina del paese e mezzo di dominio per i grandi, e che fu modificata nel 1498, allorché, per la bontà dei risultati ottenuti, non si ebbe più bisogno di essa. Riordinando il sistema monetario, migliorando le comunicazioni con la costruzione di strade e ponti, sopprimendo gli ostacoli al libero commercio tra l'Aragona e la Castiglia, riordinando il sistema tributario, proteggendo le industrie, oltre a dare nuove possibilità di sviluppo alle attività degli Spagnoli, si accrebbero enormemente i gettiti delle imposte - in pochi anni, dal 1477 al 1482, le entrate si sestuplicano - e fu data allo stato una qualche autonomia economica, che accrebbe la fiducia dei banchieri nel monarca e rese possibili forti aperture di crediti presso di essi, sì che egli ebbe sempre a sua disposizione i mezzi per svolgere la sua dispendiosa politica internazionale.

Più che ai talenti del sovrano, il Machiavelli attribuì alla fortuna il grande potere acquistato da F.; e senza dubbio alcuno la fortuna ebbe la sua parte. Ma merito di F. fu l'aver dato un'organizzazione modema a un paese che ne era ancora privo in gran parte, e di avere iniziato la sua trasformazione morale in grande potenza: anche se talvolta si lasciò trasportare dall'intolleranza, forse propria della Castiglia, o, come per l'espulsione degli ebrei, volle tentare errate speculazioni economiche, nascondendole sotto parvenze di vere crociate.

Bibl.: W. H. Prescott; History of the Reign of Ferdinand and Isabella, Londra 1838, voll. 3; v. anche J. H. Mariéjol, L'Espagne sous Ferdinand et Isabelle, Parigi 1892; per la vasta bibl. cfr. A. Ballesteros y Beretta, Hist. de España, Barcellona 1922, III; B. Sánchez Alonso, Fuentes de la hist. española, Madrid 1927.

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