FERDINANDO II imperatore

Enciclopedia Italiana (1932)

FERDINANDO II imperatore

Heinrich Kretschmayr

Nato il 9 luglio 1578 a Graz, morto il 15 febbraio 1637 a Vienna; figlio dell'arciduca Carlo dell'Austria Interiore e della principessa Maria di Baviera. Cresciuto prima a Graz sotto l'influenza dei suoi parenti, fu poi educato per cinque anni (1590-1595) a Ingolstadt.

Raffermato nelle sue opinioni da una visita al papa, F., salito al potere dopo la morte del padre (10 luglio 1590), cominciò dal 1596 l'opera della Controriforma cattolica, eseguita senza scrupoli. In lui l'intolleranza religiosa arrivava all'incapacità di comprendere non solo il diritto ma anche le convinzioni altrui. Mentre mostrava poco interesse alle questioni dell'Impero tedesco, teneva molto a cuore, invece, la libertà dell'Adriatico, in contrasto non solo con la repubblica di Venezia, con la quale entrò dal 1615 al 1617 nella cosiddetta guerra degli Uscocchi sull'Isonzo, ma anche col governo imperiale. Il 29 giugno 1617 divenne re di Boemia; il 15 maggio 1618 re d'Ungheria; e il 28 agosto 1619, morto il 20 marzo il cugino Mattia, ebbe, sebbene la sua candidatura fosse quasi una dichiarazione di guerra ai protestanti, la corona imperiale.

Come in quasi tutta l'Europa, anche in Austria pareva che la forte monarchia dovesse cedere all'autorità degli Stati. Il 23 maggio 1618 gli Stati protestanti della Boemia, in aperta ribellione, defenestrarono dal castello reale di Praga i consiglieri sovrani. Gli altri paesi boemi e austriaci si mostrarono decisi ad unirsi ai ribelli. Si poteva temere anche dell'Ungheria, dove comandava Gabriele (Gábor) Bethlen, aspirante alla corona reale. Un'assemblea generale degli Stati boemi e austriaci, convocata nell'estate del 1619, decise d'istituire una confederazione repubblicana sul modello di quelle d'Olanda e di Svizzera.

Fu di gran vantaggio per F. che il più potente principe di Germania, il duca Massimiliano di Baviera, suo cugino, lo sostenesse, inviando l'esercito della Lega dei principi cattolici e un generale come il Tilly. Questi vinse definitivamente alla Montagna Bianca presso Praga l'8 novembre 1620 gli Stati boemi, che avevano proclamato loro re nell'agosto 1619 l'elettore Federico del Palatinato, capo dell'unione fra i principi protestanti. Importanza decisiva ha questo giorno nella storia dell'Austria e dell'Europa. Esso significa la germanizzazione di molta parte della Boemia e la restaurazione del potere sovrano nella Boemia a scapito degli Stati, contro i quali si procedé con esecuzioni e confische, in virtù di un rinnovato ordinamento territoriale del 1627; e, in stretta relazione con ciò, attuazione della Controriforma cattolica e lotta di sterminio contro il protestantesimo nei paesi boemi e austriaci, a prezzo dell'impoverimento materiale e dell'isolamento spirituale. Ma le truppe vittoriose erano solo in minima parte imperiali. Le più dipendevano dal duca Massimiliano di Baviera, come capo della Lega dei principi cattolici; ed era questi che aveva la direzione della guerra. Dopo i successi strepitosi delle armi imperiali in Boemia e in Germania, si fece innanzi minacciosa una forte lega di potenze europee, in difesa dei protestanti contro gli Asburgo: Inghilterra, Paesi Bassi, Danimarca e, nell'ombra, Francia. In questa grave situazione, offrì il suo aiuto a F. il gentiluomo boemo Albrecht von Wallenstein (propriamente Waldstein), proponendogli di creare un esercito schiettamente imperiale. L'imperatore, che voleva liberarsi dell'indisciplinato esercito della Lega, accettò; e il Wallenstein sottomise, col Tilly prima e poi da solo fino al 1629, la Germania alla volontà di F. Contraddittorio nella sua intima natura, cresciuto fra confessioni religiose e nazioni diverse, orgoglioso e insieme debole, il Wallenstein pensava a un dominio mondiale dell'imperatore. Egli voleva che casa d'Austria fosse l'erede della potenza della Hansa e incarnasse l'idea di uno stato tedesco orientale, unito con un nuovo impero bizantino; e voleva anche avviare a una politica assolutista tedesca imperiale, che dominasse tutti i principi. In questo suo sistema vi era ben poco posto per considerazioni confessionali. Andando a messa e compiacendosi della sua parte di fondatore di nuovi vescovadi, egli non si sentiva affatto preso dallo spirito religioso chiesastico dei suoi tempi, pur senza mostrarsi tollerante. Pensando così, egli venne in contrasto con l'imperatore stesso.

F. II aveva in comune col re Filippo II l'ideale della vita: la restaurazione dell'unità nell'occidente cristiano-cattolico; ma non aveva la durezza spietata del re spagnolo. Era piccolo di statura, bonario e affabile con tutti, ottimo marito per le sue due mogli (Maria Anna di Baviera, sposata il 30 aprile 1600 e morta l'8 marzo 1616, che gli diede sette figli; ed Eleonora Gonzaga-Mantova, sposata il 4 febbraio 1622) e ottimo padre, sinceramente addolorato del male che egli era costretto ad arrecare ai suoi veri o supposti nemici. Di abitudini semplici, amante della musica e della caccia, si lasciava molto influenzare dall'ambiente che lo circondava. Dando a piene mani, non pagava i suoi debiti, e aveva tollerato che nei grandi cambiamenti avvenuti nel 1620 in Boemia i suoi favoriti si arricchissero in modo favoloso. Ma, con tutta la modestia del suo spirito, era un uomo coraggioso e tenace.

La devozione alla Chiesa e la fede nella potenza e nell'avvenire della casa d'Austria erano una cosa sola con la sua vita. I due sentimenti erano egualmente forti in lui; ma un Impero senza riguardi verso la Chiesa egli lo concepiva ancor meno di una Chiesa che si opponesse allo Stato. E per attuare questa concezione egli agì con un'ostinatezza che lo rese responsabile, insieme con gli altri, delle calamità della grande guerra.

L'imperatore aveva intrapreso la guerra dei Trent'anni spinto dall'idea della maestà offesa, e l'aveva condotta sulle prime come una guerra politica. Vittorioso nella Boemia, nell'Austria e nella Germania, dopo che il suo generale aveva costretto alla pace di Lubecca (1629) il re di Danimarca, campione dei protestanti, egli volle applicare nell'Impero, come già nei paesi della sua casa, i principî della restaurazione. La politica di eguaglianza del suo generale ebbe una stridente risposta nell'Editto di restituzione, promulgato il 6 marzo 1629, il quale escludeva dalla pace religiosa tutti i protestanti non luterani e rimetteva nelle condizioni di prima tutti i territori secolarizzati nel 1552: 14 vescovadi e 500 conventi. Pareva che ai protestanti tedeschi incombesse il destino serbato, mezzo secolo dopo, agli ugonotti francesi. Correva voce nel popolo che Richelieu, cioè il nemico ereditario, avesse istigato l'imperatore a pubblicare questo editto per rovinarlo. Alla dieta di Ratisbona del 13 agosto 1630 F. abbandonò all'odio dei principi tedeschi il grande generale, che aveva voluto elevarlo al disopra di essi e delle confessioni religiose; cioè abbandonò l'idea dell'Impero per attaccarsi al confessionalismo. Quando il Tilly sottomise nel maggio 1631 Magdeburgo, la "Figlia del Vangelo", l'imperatore vide in questo fatto un guadagno per la religione e per la politica, poiché egli intendeva dare a principi asburgici queste terre del nord. Si sollevò allora il protestantesimo; Gustavo Adolfo, re di Svezia, che il Wallenstein cercava di tenere lontano dalla lotta, venne in Germania, sconfisse nel settembre 1631 a Breitenfeld, presso Lipsia, l'esercito della Lega cattolica e irruppe nella Germania meridionale. C'era da temere che s'impadronisse della corona imperiale. Anche la guerra per la successione di Mantova, iniziata nel 1628, nella quale l'imperatore aveva preso le parti della Spagna contro la Francia, finì nel giugno del 1631 con uno scacco per Ferdinando, il quale fu costretto a riconoscere il candidato francese alla successione. Quando le difficoltà del momento obbligarono l'imperatore a rivolgersi di nuovo al Wallenstein, il richiamo avvenne nell'aprile 1632, in forma tale da rendere quasi inevitabile il conflitto fra i due. Il Wallenstein corrispose da principio alle speranze del sovrano, cacciò il re di Svezia dalla Germania meridionale e lo affrontò nella battaglia di Lützen in Sassonia (6 novembre 1632) che, per la morte del suo avversario, fu per lui quasi una vittoria. Ma poi si manifestò il conflitto. Il Wallenstein voleva la pacificazione dell'Impero, passando sopra le questioni religiose e anche sopra lo stesso imperatore; l'imperatore voleva la guerra fino alla vittoria del cattolicesimo. Il Wallenstein mirava a raggiungere il suo scopo anche tradendo e umiliando l'imperatore, se fosse necessario; l'imperatore difendeva i suoi diritti sovrani anche a costo della vita del suo generale. E il 25 febbraio 1634 il Wallenstein cadde a Eger sotto i colpi dei dragoni irlandesi.

Una prova sicura della colpevolezza o dell'innocenza del Wallestein manca ancora. Certo, egli lasciò all'imperatore una preziosa eredità, un esercito di "disciplina meravigliosa" da lui formato. È una delle tante anomalie della storia d'Austria, che il grande esercito imperiale, il futuro "k. u. k. Heer" sia stato creato dall'uomo che passò come grande traditore della casa d'Austria. La storia e la leggenda parlano piuttosto in favore del generale, il quale aveva voluto la pace dell'Impero, la riconciliazione fra le credenze religiose, l'allontanamento degli stranieri, che non dell'imperatore, di cui la politica provocò l'attacco della Francia e 14 anni di guerre e di calamità. Quando, dopo le vittorie del suo nuovo esercito presso Nördlingen il 6 settembre 1634, F. concluse a Praga (30 maggio 1635) la pace con la Sassonia, che era a capo dei protestanti tedeschi, e portò l'Editto di restituzione dalla forma del 1552 a quella del 1627, allora si può dire che egli agisse, bene o male, secondo le idee del morto condottiero. Una pace completa non si poté raggiungere. F. continuò a tenere esclusi dalla pace religiosa alcuni gruppi di protestanti; nel 1636, sotto il governo di Richelieu, capo di tutte le macchinazioni anti-imperiali, entrò apertamente in guerra la Francia, che già nel novembre del 1634 aveva comprato dai principi tedeschi l'Alsazia con Strasburgo e altri territorî ancora, e nell'ottobre del 1635 e nel marzo del 1636 aveva concluso alleanze con Tedeschi e Svedesi. Sempre la politica e la religione si compenetravano fra loro; e quella veniva sopraffatta da questa. L'imperatore, con la Baviera e la Spagna, la Sassonia e il Brandeburgo, contro la Francia e la Svezia e molti principi tedeschi, questo era il quadro sconsolante. Così, negli ultimi anni della sua vita, F. ebbe a soffrire una sconfitta presso Wittstock (novembre 1636) ma fu rallegrato dall'elezione di suo figlio a re dei Romani. Egli fu esaltato nelle apologie dei gesuiti come un principe cattolico ideale e nello stesso tempo il suo nome fu maledetto come quello di un fanatico senza cuore: tra questi due opposti giudizî non c'è una via di mezzo, e nella storia la sua figura rimane incerta.

Bibl.: F. Hurter, Geschichte Kaiser Ferdinands des Zweiten, voll. II, Sciaffusa 1864; A. Huber, Geschichte Österreichs, V, Gotha 1896; K. M. Uhlirz, Handbuch der Geschichte Österreichs, I, 1927, con ricca bibliografia; v. anche, per altre opere generali, la bibliografia della voce wallenstein.

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