Ferdinando II d'Aragona re di Napoli, detto Ferrandino

Enciclopedia machiavelliana (2014)

Ferdinando II d’Aragona re di Napoli, detto Ferrandino

Elena Valeri

Nacque a Napoli il 26 giugno 1467, primogenito di Alfonso d’Aragona, duca di Calabria, e di Ippolita Maria Sforza. Da appena due anni si era concluso il conflitto per la successione al trono di Napoli, scoppiato nel 1458 – alla morte di Alfonso I – e proseguito nella guerra aperta contro il pretendente, Giovanni II duca di Lorena. La giovane dinastia aragonese, indebolita da ostilità interne e da problemi di legittimità, aveva bisogno di assicurarsi una discendenza.

F. ebbe come precettori, ma anche come consiglieri e segretari, Gabriele Altilio e Benedetto Gareth (il Cariteo), che seguirono con dedizione e lealtà il loro allievo anche quando questi, ancora adolescente, negli anni 1482-84 fu chiamato a cimentarsi nell’arte della guerra durante il conflitto apertosi tra Venezia e Ferrara, alleata del Regno di Napoli. A F. venne affidata la difesa delle coste adriatiche dagli assalti della flotta veneziana, che nel maggio 1484 conquistò Gallipoli.

Nonostante il felice esito della guerra, che si concluse il 7 agosto 1484 con il ritiro della Serenissima da tutti i territori del Regno, l’anno successivo il re di Napoli Ferdinando I (nonno di F.) si trovò ad affrontare una grave crisi politica interna, determinata dalla ribellione di una parte della nobiltà feudale e destinata a rivelarsi decisiva anche per i successivi e drammatici destini della dinastia aragonese sul trono di Napoli. Dopo lo scoppio della congiura, con la rivolta dell’Aquila e il pronunciamento del papa Innocenzo VIII a favore dei ribelli, F. partecipò – agli ordini del padre Alfonso e insieme agli zii Federico e Francesco – a tutte le fasi della guerra, fino all’epilogo, che vide gli arresti, le confische e le condanne a morte dei congiurati. Tra questi, il segretario del re, Antonello Petrucci, al quale uno dei due tutori di F., il Cariteo, succedette nel ruolo di percettore delle entrate del regio sigillo. Nominato nell’aprile 1487 viceré di Puglia, F. assistette nel 1492, a Roma, alla firma del trattato che – anche grazie all’azione diplomatica del signore di Firenze, Lorenzo de’ Medici – prevedeva da parte del papa il riconoscimento del diritto alla successione al trono di Napoli per i discendenti di Ferdinando I. Quando, il 25 gennaio 1494, Ferdinando morì e gli succedette il figlio Alfonso (con il titolo di Alfonso II), F. assunse il titolo di duca di Calabria. Intanto gli Stati italiani erano in agitazione perché al di là delle Alpi il re di Francia Carlo VIII preparava una spedizione militare nel Regno di Napoli, su cui avanzava pretese dinastiche. Nei primi mesi del 1494 F. risiedette con il suo esercito in Abruzzo; all’inizio dell’estate partecipò a un incontro tra suo padre e il nuovo papa, Alessandro VI, durante il quale venne deciso che il fratello del re, Federico, avrebbe guidato la flotta aragonese alla volta di Genova e che F. avrebbe diretto una spedizione in Lombardia per cercare di precedere e contrastare l’avanzata di Carlo VIII e del suo alleato, il duca di Milano Ludovico Sforza detto il Moro. Per questo, a metà agosto, mentre era in marcia con le sue truppe verso la Romagna, tra Città di Castello e Borgo San Sepolcro, F. incontrò il successore di Lorenzo il Magnifico, Piero de’ Medici, e tentò di convincerlo a dare al Regno di Napoli un sostegno più incisivo. Ma i movimenti delle truppe aragonesi erano tardivi e l’esercito francese entrò indisturbato in Savoia, si inoltrò in Lombardia, attraversò la Toscana (dove Piero de’ Medici gli cedette Sarzana, Pietrasanta, Pisa e Livorno, provocando così la fine della sua signoria su Firenze) e il 31 dicembre giunse a Roma. F. aveva lasciato la città pochi giorni prima, dopo avere tentato inutilmente di assicurare alla causa aragonese il suo ultimo alleato, il pontefice.

Il 23 gennaio 1495, dopo nemmeno un anno di regno, Alfonso II, rimasto solo a lottare contro il re di Francia, abdicò a favore di F. e si ritirò in Sicilia, nell’estremo tentativo di guadagnare alla dinastia un po’ di consenso interno. Alcuni giorni dopo, il 9 febbraio, Giovanni Pontano inviò a F. – che lo aveva riconfermato nella carica di segretario regio – un memoriale in cui la risoluzione di Alfonso era aspramente giudicata («Vostro Padre ha facto ad sé et alle cose Vostre maior mancamento») e l’invasione francese del Regno veniva messa in diretta relazione con «li avari et violenti loro [Ferdinando I e Alfonso II] portamenti» (Lettere di Giovanni Pontano a principi ed amici, a cura di E. Percopo, 1907, p. 56). Intanto le città della Campania – Gaeta, Capua, Aversa – aprivano una dopo l’altra le porte a Carlo VIII, che entrò vittoriosamente a Napoli il 22 febbraio, mentre F. si diresse a Procida, poi a Ischia e infine in Sicilia, sperando di ricevere aiuti dalla Spagna. Prima di salpare liberò i baroni imprigionati dal nonno e dal padre e lasciati per anni nelle carceri: un gesto di clemenza tardivo quanto inefficace, perché i grandi del Regno avevano ormai abbandonato da tempo la dinastia aragonese al suo destino. Anche a questa vicenda si riferiva con ogni probabilità M. quando, interrogandosi «per quale cagione li principi di Italia hanno perso li stati loro», osservava che nessuno Stato si regge se non ha «el populo amico» o «non si sarà saputo assicurare de’ grandi» (Principe xxiv 5).

Intanto il successo della spedizione di Carlo VIII riuniva in un’alleanza tutte le potenze che in Italia e in Europa temevano un eccessivo rafforzamento francese: Venezia, Milano, il papa, l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo e i sovrani spagnoli (Ferdinando d’Aragona detto il Cattolico e Isabella di Castiglia). Faceva eccezione la Firenze di Girolamo Savonarola, come sottolinea M.: «e voi sol soli / rimanesti in Italia per aguglia, / e per esser di Francia buon figliuoli / non vi curasti, e seguitar suo stella, / sostener mille affanni e mille duoli» (Decennale I, vv. 104-08).

Il 24 maggio 1495 Carlo VIII si convinse a lasciare Napoli, mentre F., potendo ormai contare su un contingente spagnolo – guidato da Gonzalo Fernández de Córdoba –, avviò dalla Calabria la riconquista del Regno e, nonostante la sconfitta inflittagli dai francesi presso Seminara, rientrò nella capitale il 7 luglio: «et tanto era lo pianto per allegreza delli homini et delle donne et lo basare della mano» (Cronica di Napoli di Notar Giacomo, a cura di P. Garzilli, 1845, p. 193). A questo avvenimento si riferisce l’unica citazione di F. – «saltò Ferrando nel suo dolce nido» (Decennale I, v. 99) – nell’opera di M., il quale ricorda anche come il re di Napoli avesse ceduto a Venezia «più che mezza Puglia» (v. 101), in cambio del sostegno ricevuto contro Carlo VIII. Al fianco di F. era sempre il fedele maestro, il Cariteo, che lo aveva seguito in esilio e che F. nominò segretario regio, al posto di Pontano. Ma F. dovette lottare ancora – sino alla metà di febbraio del 1496 – per vedere la città completamente liberata dai francesi, mentre nel resto del Regno si combatté fino all’assedio di Atella, iniziato alla fine di giugno e terminato il 23 luglio con la resa francese; un evento ricordato anche da M. nel Decennale I (v. 111). Grazie all’alleanza con la Spagna, F. aveva quasi completato la sua opera, che era stata suggellata alla fine di febbraio dalle sue nozze con Giovanna d’Aragona, figlia di secondo letto di suo nonno, Ferdinando I, e nipote di Ferdinando il Cattolico. Tuttavia, mentre era impegnato a trattare con gli ultimi baroni ribelli e a guidare personalmente la riconquista di Gaeta, si ammalò, e il 5 ottobre rientrò a Napoli già in gravi condizioni. Due giorni dopo venne dato l’annuncio della sua morte,

lasciato, per la vittoria acquistata, e per la nobiltà dell’animo e per molte virtù regie le quali in lui non mediocremente risplendevano, non solo in tutto il suo regno ma eziandio per tutta Italia, grandissima opinione del suo valore (F. Guicciardini, Storia d’Italia, III vii).

L’«erede di Ferrandin» (Decennale I, v. 111) fu Federico, lo zio paterno, perché F. era morto senza figli. Sotto il suo regno si consumò la fine della dinastia aragonese sul trono di Napoli, conteso da Francia e Spagna. Nel gennaio del 1504 Fernández de Córdoba fece il suo ingresso a Napoli, ponendo fine all’impresa avviata nel 1494 da Carlo VIII e, nello stesso tempo, alla partecipazione del Meridione alle guerre d’Italia, che sarebbero durate ancora per cinquant’anni. A partire da questa data, nell’analisi di M. il Regno di Napoli scompare come entità politica. M. avrebbe guardato al Sud della penisola italiana sostanzialmente come a una parte della nuova compagine spagnola, e nel Principe avrebbe menzionato il Regno di Napoli – in realtà viceregno ormai da dieci anni – come esempio di principato aggiunto «allo stato ereditario del principe che gli acquista, come è el regno di Napoli al re di Spagna» (Principe i). Il nuovo assetto dell’Italia meridionale, tuttavia, che M. ritraeva con lo sguardo lucido e asciutto del politico, avrebbe comportato ancora un lungo e arduo processo politico e culturale di legittimazione della conquista, da compiersi dentro e fuori i confini della ormai provincia spagnola di Napoli.

Bibliografia: Fonti: Lettere, istruzioni ed altre memorie de’ re Aragonesi [...], in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’istoria generale del Regno di Napoli, a cura di G. Gravier, 5° vol., Napoli 1769, pp. 77-78, 150; G. Passaro, Storie in forma di Giornali [...], Napoli 1785, passim; Cronica di Napoli di Notar Giacomo, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845, passim; M. Sanuto, Diarii, 1° vol., Venezia 1879, ad indicem; J. Leostello, Introduzione alle effemeridi delle cose fatte per il duca di Calabria (1484-91), a cura di G. Filangieri, Napoli 1883, ad indicem; Le Rime di Benedetto Gareth detto il Chariteo secondo le due stampe originali, 2 voll., a cura di E. Percopo, Napoli 1892; Lettere di Giovanni Pontano a principi ed amici, a cura di E. Percopo, Napoli 1907; Epistolario di Bernardo Dovizi da Bibbiena, a cura di G.L. Moncallero, 1° vol., Firenze 1955, ad indicem; [M. Ferraiolo], Una cronaca napoletana del Quattrocento, a cura di R. Filangeri, s.d. [Napoli 1957], poi, con il nome dell’autore e il titolo Cronaca, in ed. critica a cura di R. Coluccia, Firenze 1987, ad indicem.

Per gli studi critici si vedano: F. Torraca, Discussioni e ricerche letterarie, Livorno 1888, p. 153; E. Gothein, Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Firenze 1915, pp. 47, 76, 253, 282; B. Croce, Re Ferrandino (1918), poi in Id., Storie e leggende napoletane, Bari 1919, 19484, pp. 157-79; N. Minervini, Re Ferrandino. Saggio storico, Canosa 1923; A. Cutolo, La nascita di Ferrandino d’Aragona, «Archivio storico per le province napoletane», 19421945, pp. 99-108; Prima del Machiavelli. Una difesa di re Ferrante I di Napoli per il violato trattato di pace del 1486 col papa, a cura di B. Croce, Bari 1944, rist. anast. Bologna 2000; J.H. Bentley, Politics and culture in Renaissance Naples, Princeton (N.J.) 1987 (trad. it. Napoli 1995); D. Abulafia, The French descent into Renaissance Italy, 1494-95. Antecedents and effects, Aldershot 1995 (trad. it. Napoli 2005); G. Brunelli, Ferdinando II (Ferrandino) d’Aragona, re di Napoli, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 46° vol., Roma 1996, ad vocem; A. Aubert, La crisi degli antichi stati italiani (1492-1521), Firenze 2003; C. De Frede, La crisi del Regno di Napoli nella riflessione politica di Machiavelli e Guicciardini, Napoli 2006.

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