SGRUTTENDIO, Felippo

Enciclopedia Italiana (1936)

SGRUTTENDIO, Felippo

Fausto Nicolini

Nel 1646 il tipografo napoletano Camillo Cavallo pubblicava un canzoniere dialettale prevalentemente burlesco, nel cui frontespizio era scritto: "La tiorba a taccone de Felippo Sgruttendio de Scafato". Chiaro il titolo, che, probabile parodia de La lira di G. B. Marino, deriva dallo strumento musicale popolaresco detto tiorba, e dal taccone, o pezzo di suola, con cui se ne pizzicavano le dieci corde; naturale, pertanto, la divisione per l'appunto in dieci "corde"; ignoto, per contrario, quale personaggio reale si nasconda sotto lo pseudonimo, quasi certamente anagrammatico, di "Felippo Sgruttendio de Scafato".

Tutte le congetture fatte a tale riguardo, e particolarmente quella che lo pseudo Sgruttendio fosse Giulio Cesare Cortese, sono risultate non solo cervellotiche, ma cronologicamente insostenibili. Due sole cose sono sicure. L'una, che, vivo nel 1646, lo pseudo Sgruttendio era già morto da anni nel 1678. L'altra, che laddove nelle parti deteriori (che non sono molte) la Tiorba si rivela opera di chi, pur con non poca padronanza del verso, non sa uscire dall'imitazione intelligente di G. B. Basile e del Cortese, e quindi forse d'un artista ancora giovane e in via di formazione; nelle parti migliori (che non sono poche) essa si mostra, invece, opera d'un provetto, originale, anzi indiavolato poeta, che in taluni movimenti sa persino precorrere in qualche guisa, sebbene con finezza parecchio minore, l'arte di S. Di Giacomo.

Tutti i sonetti della prima e quinta corda, parecchi della seconda e della terza e i tre sciabacchi (lamentele funebri) della decima si riferiscono a Cecca: un tipo che, quale caricatura della Laura petrarchesca, fu, anche nel suo ritratto fisico, abbozzato primamente dal Basile, e che lo Sgruttendio, che si finge innamorato sfortunato di lei, condusse a piena perfezione. Nei sonetti della quarta corda sono parodiati con grande finezza titoli e contenuto delle poesie amorose dei maggiori marinisti del tempo; la sesta, che poeticamente è la più fiacca, contiene, insieme con le risposte dell'autore, sonetti burlescamente e quindi iperbolicamente elogiativi dī quindici immaginarî accademici dai nomi altamente ingiuriosi. Tra i componimenti di vario metro e argomento che materiano le corde settima, ottava e nona, spiccano per perfezione artistica le descrizioni, quanto mai vivaci, di due balli figurati del tempo detti ntrezziata e catubba: la seconda delle quali pare fosse imitata nel Bacco in Toscana di F. Redi, il quale, a ogni modo, non manca di ricordarla.

Ristampata a Napoli nel 1678, nel 1703 e nel 1783, la Tiorba ha avuto nel 1921 (Napoli) una riedizione a cura di F. Russo, che reca nel frontespizio il nome di G. C. Cortese, e nella quale l'ordine delle corde è sconvolto secondo congetture fantasiose dell'editore.

Bibl.: F. Galiani, Del dialetto napoletano (1769), ediz. Nicolini, Napoli 1923, pp. 172-83, 230-34 e 297-98 (e cfr. ivi le note del Nicolini); P. Balzano, Di Filippo Sgruttendio e delle sue poesie, in Atti dell'Acc. pontaniana, III (1855); P. Martorana, Scrittori del dial. nap., Napoli 1874, s.v.; V. Imbriani, Il gran Basile, in Giorn. nap. di fil. e lett., I e II (1875), passim; B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1911; id., Storia dell'età barocca in Italia, ivi 1927; id., Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento, ivi 1931; É. Du Rêve (pseudonimo del rev. Antonio Martini), Un poeta dialettale del Seicento, Napoli 1912; F. Russo, Il gran Cortese, Roma 1913 e Napoli [1921].