MENINNI, Federigo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MENINNI, Federigo

Carlo Alberto Girotto

MENINNI, Federigo. – Nacque a Gravina in Puglia il 14 giugno 1636 da Angelo e da Ruffina Errico, membri della nobiltà locale.

Dopo aver compiuto gli studi di grammatica e di umanità, iniziò quelli giuridici sotto la guida di Antonio Martoro; a seguito dell’incontro con il medico Giustiniano Maiorani, che gli insegnò i rudimenti della filosofia di Aristotele, abbandonò la giurisprudenza a favore della medicina. Nel 1654, dopo la morte del padre, si trasferì a Napoli, dove, dietro raccomandazione di Niccola Antonio Tura, poi vescovo di Sarno, fu accolto in casa di Onofrio Riccio, medico e letterato, accademico Ozioso ed Errante. Riccio morì di peste nel novembre 1656: anche il M. si ammalò, ma riuscì a guarire. La laurea in medicina è posteriore a questa data.

Poche le notizie disponibili sulla maturità del M.: nel 1670 sposò Caterina di Scio, genovese, da cui ebbe Angelo, che diverrà avvocato, e due figlie. Nella professione medica fu seguace della tradizione aristotelica e galenica; fu probabilmente vicino a Carlo Pignataro, protomedico del Viceregno, e rimase estraneo ai fermenti della nuova scuola medica napoletana confluiti nell’Accademia degli Investiganti (come Tommaso Cornelio, Francesco D’Andrea e Leonardo Di Capua).

Significativo, in merito, un episodio avvenuto nel 1663. Alla fine di settembre di quell’anno apparve adespoto e senza luogo né data di stampa un Discorso per difesa dell’arte chimica e de’ professori di essa, di solito assegnato ai citati medici napoletani ma verosimilmente del solo Di Capua. Nell’intento di far venire meno gli ostacoli all’insegnamento della materia presso lo Studio napoletano, Di Capua si proponeva di dimostrare l’utilità degli studi di chimica in relazione a quelli di medicina, soprattutto in zone – come il Napoletano – spesso soggette a epidemie e a febbri pestilenziali. In un Discorso nel quale si dimostra che i medicamenti spargirici sieno per lo più mal sicuri e pericolosi, e da non permettersi senza l’approbazione de’ medici galenisti…, edito lo stesso anno con lo pseudonimo di Moinero di Giarbo, il M. replicò ribadendo la pericolosità della chimica, «insolita, nuova e proibita» e dannosa soprattutto per la credibilità del sapere aristotelico. Tale sfiducia verso i metodi proposti dai moderni fu ribadita due anni più tardi, nel contesto della polemica sulle presunte influenze pestilenziali originatesi dai lini posti a macerare presso il lago di Agnano. Sebastiano Bartoli, medico vicino agli Investiganti, sostenne la non dannosità del processo di macerazione: il M. lo attaccò nell’opuscolo dai toni satirici La morsa domatrice di Testa Libera nelle credenze di Agnano innocente (s.l. né d., ma Napoli 1665), che generò in risposta i Frantumi della morsa di un bruto medico maniscalco… (s.l. né d., ma ibid. 1665), forse dello stesso Bartoli, nel quale, non senza attacchi personali, si ribadiva l’opinione opposta.

Sembra tuttavia che nel corso degli anni il M. avesse mutato opinione, per farsi sostenitore dei nuovi metodi medicali: ne sarebbero prove l’amicizia con Juan Caramuel Lobkowitz e l’ingresso, molto più tardi, nella Società degli Spensierati di Rossano, fondata da O. Gimma nel 1696, della quale facevano parte numerosi Investiganti.

Di maggior rilievo, e senz’altro più conosciuta, è la produzione letteraria del Meninni. Sono documentati rapporti con Giuseppe Battista, capofila della scuola poetica napoletana postmariniana, con Giuseppe Artale, Giovanni Cicinelli, Lorenzo Crasso, Antonio Muscettola. I primi tentativi poetici del M. risalgono al 1658, anno di pubblicazione a Napoli delle odi La fama, indirizzata al predicatore carmelitano Emanuele D’Ambrosio, celebrato per la sua eloquenza, e Ragguagli festivi, scritta per la nascita dell’infante Felipe Prospero figlio di Filippo IV di Spagna. Due anni più tardi, sempre a Napoli, videro la luce le Poesie, con dedica a padre Andrea Cancellieri, generale del Regno. La breve raccolta si compone di sonetti dedicati a personalità rilevanti dell’epoca: tra tutti, spicca il nome dell’agostiniano Angelico Aprosio detto il Ventimiglia.

Con Aprosio intrattenevano rapporti epistolari molti conoscenti napoletani del Meninni. Spinto dal desiderio di farsi conoscere, e probabilmente su suggerimento di Crasso e di Battista, nel gennaio 1661 egli inviò una prima lettera ad Aprosio, con accluso un esemplare delle Poesie. I rapporti tra i due furono cordiali: Aprosio decise di dare adeguato risalto alle Poesie nella sua Grillaia, a quel tempo prossima alla stampa. Innumerevoli intoppi rallentarono però l’impressione del volume, prevista prima a Venezia (1658-60), poi a Piacenza (1661) e, infine, a Napoli. Nella versione preparata per la stampa di Piacenza, concomitante con lo scambio epistolare tra i due letterati, Aprosio dedicò al M. il Grillo XLIX (Genova, Biblioteca universitaria, Mss., E.II.35, p. 461, ora in Carminati, 1996, pp. 218-220). Il nome del M., a quanto sembra, era anche nel brogliaccio approntato per la stampa napoletana, per la quale funsero da intermediari Muscettola e Battista. Tuttavia, nei primi mesi del 1662 si manifestarono vivaci dissensi tra il M. e Battista, destinati a durare nel tempo e Aprosio, su probabile richiesta di Battista, dovette togliere la prevista dedica. Comunicò lui stesso la decisione all’interessato nell’agosto 1662, provocando l’interruzione del carteggio. I successivi tentativi da parte di Aprosio di reintegrare il nome del M. non portarono a nulla e l’edizione finale della Grillaia (Napoli 1668), a causa dei pesanti ritocchi operati sul testo da Muscettola e da Battista, non reca il nome del Meninni.

L’astio con Battista, che non si era trattenuto dal far circolare manoscritte alcune censure sulle liriche del M., è ben visibile nel successivo volume del M., le Lodi varie d’illustrissimi ingegni italiani in diverse occasioni dirizzate all’autore (Napoli 1666). Nella dedica al principe G.B. Spinelli, il M. polemizzava con le scelte poetiche di Battista, peraltro mai menzionato, colpevole di essersi allontanato dall’esempio di G.B. Marino per dirigersi verso «parole ventose» e «voci oscure»; una più ampia trattazione, prometteva il M., sarebbe apparsa in uno scritto intitolato l’Uomo di tre lettere, che tuttavia non fu mai pubblicato e di cui non esiste notizia. Nel 1669 il M. pubblicò invece a Napoli una nuova raccolta di Poesie, ben più ampia della precedente, corredata da un’importante prefazione del più giovane amico Baldassarre Pisani.

Divisa in due sezioni di Sonetti e madrigali e di Canzoni, questa edizione mostra un notevole ampliamento del registro poetico del M. e, soprattutto, una esibita vicinanza alle esperienze poetiche di Marino, indicato già dalla prima edizione come modello insuperato per la poesia lirica (significativa, in tal senso, è la presenza di composizioni di argomento boschereccio, sul modello mariniano). Tale scelta, oltre a ribadire la propria ortodossia poetica, comporta in più punti un allontanamento da quanto prospettato da Battista. Una ristampa delle Poesie uscì a Venezia nel 1676, con ritocchi testuali che tengono conto dell’intercorsa polemica con Battista.

A sostegno militante del M. si schierò Pisani, che nell’introdurre la propria raccolta di Poesie liriche (Napoli 1669) ribadì la comunanza di ideali poetici con il M., destinatario di numerosi componimenti. L’amicizia tra Pisani e il M. si rafforzò negli anni: comune bersaglio degli scritti di entrambi divenne Battista, cui viene contrapposto Marino, eletto a modello supremo della lirica moderna.

L’ultimo atto del conflitto poetico con Battista ebbe luogo poco più tardi. Nel 1672 fu pubblicato a Napoli, con il nome di Giovanni Cicinelli, un libello dal titolo Censura del poetar moderno, in cui l’autore si fermava con sguardo severo sulla lirica contemporanea e suggeriva un ritorno verso forme più sobrie. Obiettivo polemico, in particolare, era la poesia di Battista, tacciata, tra l’altro, di una pesante propensione al plagio. Battista pensò di scorgere dietro il nome dell’autore un intervento diretto del M.: divulgò un opuscolo anonimo, gli Affetti caritativi, manoscritto che pubblicò a Napoli attorno al 1674, sempre anonimo, con il falso luogo di Padova. In esso si sarebbe vendicato del M., mettendone in risalto la scarsa vena poetica, le debolezze di scrittura e gli errori nell’interpretazione degli autori. Stando a Gimma, il M. ebbe grande difficoltà nel procurarsi un esemplare dell’operetta, che risulta del resto ancora oggi introvabile. Procuratosene uno, replicò prima con alcuni «sonetti berneschi» (Gimma, p. 126), e dopo qualche tempo con due livorosi volumi, pubblicati uno a brevissima distanza dall’altro (s.l. né d., ma probabilmente a Venezia attorno al 1676: si fa cenno all’edizione veneziana delle Poesie del M. di quell’anno). Nel primo, la Risposta a gli Affetti caritativi del petulante ludimagistro G. Battista, il M. rispondeva punto per punto alle accuse del rivale; nel secondo, i Furti svelati nelle poesie meliche e negli epigrammi di G. Battista, procedeva a un puntuale regesto delle fonti cui aveva attinto Battista, individuando di volta in volta i testi da lui usati nella scrittura delle sue Poesie meliche. In entrambi i volumi abbondano rilievi insistiti sugli «scoverti ladronecci» di Battista, a partire dalla vicinanza tra la Poetica battistiana (Venezia 1676, postuma) e i Proginnasmi poetici di Udeno Nisiely (Benedetto Fioretti), da lui ampiamente saccheggiati. L’acre polemica tra i due sembra finire con le pagine del M.: Battista era già morto agli inizi del marzo 1675, prima dunque della stampa dei due volumi, e pare che nessuno dei suoi sodali ne abbia preso le difese postume.

Attorno ai primi anni Settanta si colloca la proposta fatta al M. dall’amico Caramuel, presente a Napoli dal 1657 al 1673 e vicino agli Investiganti, di una cattedra di filosofia e poi di una di medicina nell’Università di Padova. Il M. rifiutò entrambe le offerte per non allontanarsi da Napoli e dalla sua famiglia.

Nel 1678 riprese il carteggio con Aprosio (un anticipo di questo mutato sentire in una canzone del M. indirizzata appunto ad Aprosio, pubblicata nella sezione delle Canzoni delle sue Poesie del 1676, pp. 179-183). Come peraltro è dato vedere dalle menzioni reperibili nella Biblioteca Aprosiana edita (Bologna 1672, p. 27) e nelle due redazioni inedite (Genova, Biblioteca Durazzo, Mss., 23-24: cfr. Carminati, 1996, pp. 220-223), Aprosio aveva mantenuto verso il M. una buona disposizione d’animo. Lo scambio epistolare, che continuò sino agli ultimi mesi del 1680, a ridosso della morte di Aprosio (23 febbr. 1681), fornisce indicazioni non trascurabili sulle opere del M. (vi si nomina un’opera, il Ritratto de’ componimenti giocosi e gioco serii, rimasta inedita).

Nel 1677 il M. pubblicò a Napoli il Ritratto del sonetto e della canzone, ristampato a Venezia nell’anno successivo con correzione dei refusi della prima edizione e numerose aggiunte.

Si tratta dell’opera più nota e impegnata del M. critico. Annunciato dall’amico Pisani nella premessa delle sue Poesie liriche (Napoli 1669), il Ritratto è un trattato a carattere prescrittivo, dedicato alle forme poetiche del sonetto e della canzone. Come traspare dall’Introduzione, firmata dallo stesso Pisani, si affrontano questioni di immediata attualità nel quadro della poetica secentesca: per esempio, se sia lecito apporre un argomento al sonetto, se si possano usare forestierismi o parole desuete, fino a che punto sia lecito ricorrere a concetti e arguzie o, più in generale, a figure retoriche. Oltre a trovare ampio riscontro nelle discussioni teoriche coeve (erano ben noti al M. gli scritti di A. Tassoni, di S. Pallavicino, di Fioretti), le osservazioni del M. tendono a sottolineare la bontà della produzione poetica moderna, fortemente emancipatasi dalla lirica più antica. Di tale indirizzo militante il Ritratto offre eloquente testimonianza nel profilo della tradizione letteraria italiana che viene tracciato (capp. XI-XIII del Sonetto e cap. XVII della Canzone). Il M. propone una scansione della lirica italiana in tre ere: la prima sintetizzata dalla produzione di F. Petrarca, la seconda da rimatori cinquecenteschi quali L. Tansillo e A. Di Costanzo, la terza dalla musa versatile di Marino. Il generico sfavore verso la poesia più antica, «priva quasi di spirito» (cap. X del Sonetto) a confronto con quella più recente, coinvolge anche Petrarca: in linea con altri episodi coevi (si veda il Cannocchiale aristotelico di E. Tesauro ), se ne riduce la rilevanza (ben più importanti appaiono al M. gli esperimenti nel genere della canzone operati da G. Chiabrera e F. Testi, che avevano superato i limiti del petrarchismo cinquecentesco recuperando Omero e Pindaro) e si mettono in luce i soli aspetti concettosi e l’influenza di essi sulla produzione di età barocca.

Rimarcabile, per la seconda era, è la scelta di figure non di primissimo piano, tra le quali spicca Tansillo, considerato a posteriori diretto antecedente della poetica di Marino. Alla produzione di quest’ultimo è accordato nel disegno del M. un sostanziale privilegio, tale da considerare Marino quale punto di arrivo insuperato della lirica italiana. Un simile risalto implica, di contro, un ridimensionamento dello stile «insipido o affettato» del tardo marinismo: l’obiettivo polemico, sempre taciuto, è riconoscibile ancora una volta nel nome e nell’opera di Battista. Non è un caso, a questo proposito, che la parte del Ritratto dedicata al sonetto termini con cinque capitoli (LIV-LVIII) dedicati all’«imitazione», da intendere come prassi dell’emulazione e del furto testuale, con immediato riferimento a quelli messi in atto da Battista. L’eco delle riflessioni teoriche di Battista, tuttavia, è tangibile in più punti, soprattutto per quel che riguarda gli stilemi della scrittura poetica concettosa e l’invito all’innalzamento della lirica verso un tono sostenuto. Più in generale, il tono sperimentale suggerito dalle premesse sembra smentito nei fatti dall’individuazione di un canone poetico limitato sostanzialmente al solo Marino, portando a una sostanziale cristallizzazione del modello.

Rappresentativo anche per questo di una stagione culturale in bilico tra vecchie e nuove istanze, del Ritratto si serbò memoria entro la più tarda trattatistica arcadica: notevole, in merito, è la sopravvivenza di alcuni giudizi poetici negli scritti di G.M. Crescimbeni (Istoria della volgar poesia, Roma 1698, p. 329). Non sono trascurabili, in ultimo, le testimonianze che il Ritratto fornisce su autografi mariniani ora perduti (Fulco, Russo), che vanno a integrare quanto si legge nell’epistolario con Aprosio (cfr. Carminati, 2008, pp. 83-86).

Intorno al 1687 il M. fu ammesso con il nome di Confuso nell’Accademia dei Concordi di Ravenna; contribuì con trenta sonetti nella Miscellanea poetica pubblicata dagli Accademici (Bologna 1687, pp. 155-185; a pp. 23-30 liriche di Pisani, anche lui dei Concordi). Attorno agli ultimi anni del secolo, probabilmente nel momento stesso della fondazione nel 1696, entrò a far parte anche della Società degli Spensierati di Rossano, circolo nel quale, oltre a Pisani e a Crescimbeni, figuravano numerosi Investiganti: in essa ricoprì le cariche di censore e di «consigliere promotoriale».

Ultimo prodotto poetico del M. sono le Maraviglie poetiche e le poesie varie (Venezia 1705), introdotte da alcune pagine di Pisani. Nella prima parte del volume vengono recuperati i sonetti pubblicati nella Miscellanea dei Concordi; inedito il resto, che esibisce una marcata ortodossia con i dettami del sempre riverito Marino, «Proteo facondo» (p. 381). Anche in questa sede, in polemica contro quanti rubano concetti ed erudizione, il M. rivendica orgogliosamente la ricerca di elocuzione nuova, atta alla meraviglia, e l’originalità dei propri risultati poetici.

Il M. morì a Napoli nel 1712.

Gimma ricorda alcuni scritti che risultano introvabili: un volume a stampa intitolato Ambidestro (nel quale il M. avrebbe mostrato che il termine non è sinonimo di mancino) e un’opera dedicata al mestiere poetico, Della buona e della mala imitazione, che doveva essere pronta per le stampe nel 1703. Non rintracciabili sono anche due scritti di carattere medico, il De sternutatione e una Vita di Aristide orator greco dedicata, a quanto è dato intendere, all’ipocondria.

Il Ritratto del sonetto e della canzone è edito a cura di C. Carminati (Lecce 2002, cfr. le recensioni di U. Motta, in Rassegna della letteratura italiana, CVIII [2004], pp. 201-205, e di M. Marti, in Giornale storico della letteratura italiana, CLXXX [2003], 590, pp. 290-293). A Carminati si deve anche l’edizione delle lettere ad Aprosio, conservate a Genova, Biblioteca universitaria, Mss., E.VI.7: Lettere di Federico Meninni al padre Angelico Aprosio, in Studi secenteschi, XXXVII (1996), pp. 183-223.

Fonti e Bibl.: N. Toppi, Biblioteca napoletana…, Napoli 1678, pp. 81, 315; G. Gimma, Elogi accademici della Società degli Spensierati di Rossano, Napoli 1703, I, pp. 121-132, 352; B. Croce, Nuovi saggi sulla letteratura italiana del ’600, Bari 1931, pp. 334 s.; M.H. Fisch, L’Accademia degli Investiganti (1953), in De homine, 1968, nn. 27-28, pp. 23, 34, 50; G. Malcangi, La «Censura del poetar moderno» del duca delle Grottaglie, Roma 1956, pp. 17-21, 29 s.; A. Quondam, Dal barocco all’Arcadia, in Storia di Napoli, VI, 2, Napoli 1970, pp. 818-820, 905-909; M. Torrini, Un episodio della polemica tra «antichi» e «moderni»: la disputa sulla macerazione dei lini nel lago d’Agnano, in Bollettino del Centro di studi vichiani, V (1975), pp. 56 s.; G. Parenti, Vicende napoletane del sonetto tra manierismo e marinismo, in Metrica, I (1978), pp. 238 s.; G. Rizzo, Introduzione, in G. Battista, Opere, a cura di G. Rizzo, Galatina 1991, pp. 39 s., 52 s., 80; E. Raimondi, Il petrarchismo nell’Italia meridionale, in Id., I sentieri del lettore, I, Bologna 1994, pp. 315-318; G. Rizzo, Polemiche tardo-barocche a Napoli: G. Battista, G. Cicinelli e F. M., in Critica letteraria, XXIII (1995), pp. 88 s., 143-152; R. D’Agostino, Impegno intellettuale e pratico della poesia in Onofrio Riccio, Napoli 2000, pp. 47 s.; G. Fulco, La «maravigliosa» passione. Studi sul barocco tra letteratura e arte, Roma 2001, p. 74; A. Martini, Le nuove forme del canzoniere, in I capricci di Proteo. Percorsi e linguaggi del barocco. Atti del Convegno internazionale, Lecce… 2000, Roma 2002, pp. 200-202; G. Rizzo, Ancora su una polemica tardo-secentesca a Napoli: Baldassarre Pisani tra F. M. e G. Battista, in Critica letteraria, XXX (2002), pp. 453-463; C. Carminati, Petrarca nel «Ritratto del sonetto e della canzone» di F. M., in Petrarca in barocco: cantieri petrarchistici. Due seminari romani, a cura di A. Quondam, Roma 2004, pp. 289-312; E. Russo, Studi su Tasso e Marino, Roma-Padova 2005, pp. 81 s. n. 49; C. Carminati, Giovan Battista Marino tra inquisizione e censura, Roma-Padova 2008, pp. 83-86.

C.A. Girotto

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