PESCETTO, Federico Giovanni Battista

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2016)

PESCETTO, Federico Giovanni Battista

Ombretta Freschi

– Nacque a Savona il 13 novembre 1817, primogenito di Niccolò e di Benedetta Colla, discendente di un’illustre famiglia di Celle Ligure.

Il nonno materno, Francesco Anselmo Colla, era stato giureconsulto e magistrato, e i suoi tre figli maschi si distinsero in importanti ruoli pubblici: Federico Giuseppe fu consigliere di Stato (come il fratello Luigi), senatore dal 1848, ministro e presidente della Corte dei conti subalpina e poi unitaria; Giovanni, segretario del governatore di Genova nel 1821 e segretario generale dell'ammiragliato, nonché consigliere e assessore municipale a Genova. Il padre di Pescetto, dopo aver perduto il suo cospicuo patrimonio in sfortunate intraprese, emigrò in America del sud.

Fortemente attratto dalla leggenda napoleonica celebrata in famiglia, dopo essere stato educato al collegio dei padri scolopi, Federico Giovanni (detto anche Giovanni Federico) fu ammesso alla Regia Accademia militare di Torino. Ne uscì nel 1837 con il grado di luogotenente del Genio. Nel 1840 si traferì a Novara e sposò la cugina Annetta Biale, con la quale ebbe tredici figli, quattro dei quali morti prematuramente.

Tre di essi lo seguirono nella carriera militare: Eugenio (nato nel 1850) fu ufficiale del Genio e divenne generale di divisione; Uderico (nato nel 1856) entrò nella Marina assumendo infine il comando militare marittimo della Maddalena; Iginio (nato nel 1858) raggiunse il grado di maggiore generale del Genio dopo avere prestato servizio a Novara, Bologna e Genova.

L’esecuzione dei lavori di costruzione e ristrutturazione di edifici militari come il forte di Vinadio a Cuneo, le caserme S. Leonardo a Genova, Perrone a Novara e di cavalleria a Vercelli e il concepimento dell’opera di restauro del Castello Sforzesco di Vigevano misero in luce le qualità di Pescetto e gli permisero di partecipare alla politica cavouriana di rilancio economico e di sviluppo delle infrastrutture di trasporto del Regno di Sardegna. Nel 1857, a seguito della definitiva approvazione parlamentare del trasferimento dell’Arsenale militare da Genova a La Spezia, deliberato dal conte di Cavour e dal ministro dei Lavori pubblici Pietro Paleocapa nel 1851, Pescetto fu designato all’elaborazione del progetto dello scalo. L’ampiezza e la grandiosità dell’‘impianto’, da lui ideato all’imboccatura del golfo, spinsero il presidente del Consiglio, ufficialmente per ragioni di spesa pubblica e ufficiosamente per le pressioni esercitate dall'ammiraglio Carlo Pellion conte di Persano, ad affidare la complessa operazione al capitano Domenico Chiodo.

La competenza acquisita nel campo dell’ingegneria gli schiuse una brillante carriera nel corpo reale, poi arma, del Genio: colonnello nel 1860, fu promosso maggiore generale nel 1862 e poi tenente generale (1873-1881). Ricoprì le cariche di direttore del Genio di Alessandria (1860), fu membro dei comitati del genio militare (1862) e per le armi di artiglieria e genio (1873); giudice del Tribunale supremo di Guerra e poi di Guerra e Marina (dicembre 1866; novembre 1867-febbraio 1870; dicembre 1874-novembre 1881).

Già preposto alla tutela delle piazzeforti nella prima guerra d’indipendenza, nel 1866 Pescetto fu chiamato a difendere Piacenza. Godette della stima e dell’amicizia di Vittorio Emanuele II, tanto da essere accreditato come potenziale successore di Enrico Morozzo della Rocca in qualità di primo aiutante di campo del sovrano nel 1869, e da ricevere numerose onorificenze da casa Savoia.

Fu cavaliere (1859), ufficiale (1862), commendatore (1864) e grande ufficiale (1867) dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro; ufficiale (1868), commendatore (1869), grande ufficiale (1874) e gran cordone (1881) dell'Ordine della Corona d’Italia. Nel 1867 gli fu conferito anche il titolo di gran cordone dell’Ordine cavalleresco tunisino Nicham Iftikar.

Al culmine del processo di unificazione nazionale, Pescetto maturò la scelta di dedicarsi alla vita politica. Fece il suo ingresso alla Camera dei deputati del Parlamento sardo nella VII legislatura, eletto nel marzo 1860 per il collegio di Varazze come esponente del centro-sinistra e di una classe dirigente ligure autorevole, ma raramente investita da responsabilità ministeriali. Durante il suo mandato si pronunciò a favore della cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, distaccandosi dalle posizioni della sinistra democratica risorgimentale alla quale non aveva mai aderito pienamente. Presentatosi a Savona per le prime elezioni italiane, ottenne la maggioranza dei voti, al ballottaggio, il 3 febbraio 1861. Fu membro di diverse commissioni parlamentari, in particolare di quelle costituite per l’esame delle leggi sulla leva di mare (1861) e per l’istituzione della Corte dei conti (1862). Portavoce dell’establishment e delle sue istanze, si batté per impedire la marginalizzazione economica della città di Savona, denunciando gli effetti prodotti dal suo declassamento da capoluogo di provincia a capoluogo di circondario aggregato a Genova e dalla mancata realizzazione della linea ferroviaria Savona-Torino, possibile foriera di sviluppi commerciali per il tessuto industriale e agricolo del ponente ligure. Tra il 1861 e il 1864 la sua presenza critica alle discussioni sull’andamento dei lavori nell’arsenale spezzino e massime sul bilancio del ministero della Marina gli valse la guida di quel dicastero che assunse, cooptato da Urbano Rattazzi, nell’aprile 1867 insieme all'interim – per due giorni – degli Affari esteri. Dopo la rielezione nella IX (ottobre 1865) e nella X legislatura (marzo 1867), con la sua partecipazione diretta sostenne quindi fino alla fine di ottobre 1867 un gabinetto che programmaticamente doveva rinsaldare l’immagine della monarchia e del Paese, umiliati dalle rotte della terza guerra d’indipendenza.

La sua attività, spesa in pochi mesi, si prestò a giudizi contrastanti. Inviato in missione alla Cittadella di Alessandria per convincere Giuseppe Garibaldi, lì tradotto dopo l’arresto a Sinalunga, a fermare l’iniziativa del partito d'azione verso l'Italia meridionale e a ritirarsi a Caprera, Pescetto, ammiratore del generale come patriota e come presidente del supremo consiglio del Grande Oriente d’Italia sedente in Palermo, ne consentì la liberazione senza condizioni, contravvenendo agli ordini di Urbano Rattazzi e violando la Convenzione di settembre, siglata con la Francia di Napoleone III. Forti critiche furono mosse al ministro della Marina anche a proposito della sentenza emessa dall’Alta Corte di Giustizia sul conte di Persano per la sconfitta di Lissa (20 luglio 1866): venne accusato di aver contribuito alla condanna dell’ammiraglio, in quanto animato da ostilità per la sottrazione del progetto dello scalo militare e, d’altra parte, di aver contrastato gli oppositori di Persano.

La campagna elettorale del novembre 1870, caratterizzata dalle rivelazioni pubbliche sui presunti rapporti dei candidati con le società segrete savonesi, decretò, con la vittoria dello sfidante, l’avvocato Paolo Boselli, la fine del suo cursus honorum alla Camera. Pescetto, tenace sostenitore della formula separatista di ispirazione cavouriana e della necessità di annettere Roma come capitale del Regno, fu peraltro cattolico e massone. Iniziato alla loggia Trionfo Ligure di Genova e membro onorario della savonese Sabazia, manifestò la propria appartenenza alla massoneria nell’agosto del 1869 e si adoperò per il riconoscimento dell’associazione come ‘ente morale’ da parte del governo. Amico di Lodovico Frapolli, ne sposò la causa progressista, affiliandosi all’officina Universo fondata a Firenze nel 1867 e aperta a deputati di spicco della sinistra liberale e radicale. Nel 1871 fu proclamato gran maestro aggiunto del Grande Oriente d’Italia.

Dopo la nomina a senatore nel marzo 1879, si ritirò a Celle, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita in compagnia della moglie e dei figli.

Morì a Savona il 15 settembre 1882.

Scritti e discorsi. Discorsi del deputato F. P. maggior generale del genio mlitare pronunziati nelle tornate del Parlamento italiano del 29 e 31 luglio 1870 sulla discussione delle convenzioni ferroviarie per la linea da Savona - Bra, Cairo - Acqui e per l’esercizio della ferrovia ligure, s.n.t. [1870]; Agli Elettori del Collegio di Savona, s.n.t. [1870].

Fonti e Bibl.: Documenti relativi all'attività parlamentare e ministeriale di Pescetto sono conservati in Roma, Archivio storico della Camera dei deputati, Disegni e proposte di legge e incarti delle commissioni (1848-1943); necr., Il Cittadino, 17 settembre 1882.

Inoltre C. Arrighi, I 450 deputati del presente e i deputati dell'avvenire, III, Milano 1865, pp. 61-64; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, pp. 772 s.; G.L. Bruzzone, Giovanni Federico P. (1817-1882), in Il Risorgimento, XXXIX (1987), 1, pp. 31-48; M. Begozzi, «… questo stupendo edificio, che formerà tra breve uno de' più belli ornamenti di questa nostra città»: intorno alla Caserma Perrone di Novara, in Passato futuro. I luoghi dell'Università degli Studi del Piemonte Orientale ‘Amedeo Avogadro’, a cura di G. Bona - G. Cantino Wataghin, Alessandria - Novara - Vercelli 2002, pp. 103-110; Id., Giovanni Federico P. (1817-1882), ibid., pp. 117 s.; L. Polo Friz - G. Anania, Rispettabile Madre Loggia Capitolare Trionfo Ligure all'Oriente di Genova. Uno sguardo alla Massoneria ligure dall'Unità ad oggi, Genova 2004, ad ind.; G.L. Bruzzone, Lettere di Giuseppe Garibaldi a Giacomo Galleano Rosciano, in Rassegna storica del Risorgimento, XCIII (2006), 2, pp. 263-270; M.E. Tonizzi, Dall’Unità alla Grande guerra, in Storia della Liguria, a cura di G. Assereto - M. Doria, Roma-Bari 2007, pp. 229-246; G. Milazzo, L'Ottocento a Savona, in Quaderni Savonesi, 2012, vol. 28, p. 10; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/deputato/federico-giovanni-pescetto-18171113 (10 marzo 2015); Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/P_l2?OpenPage (10 marzo 2015).

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