DELPINO, Federico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DELPINO, Federico

Maurizia Alippi Cappelletti

Nacque a Chiavari (prov. di Genova) il 27 dic. 1833 da Enrico e da Carlotta Delpino; seguì gli studi classici nella cittadina natale e si iscrisse poi all'università di Genova, in scienze matematiche; abbandonò però presto questi studi - che comunque lasciarono un'impronta evidente nella sua fisionomia di scienziato, come per esempio nei lavori sulla fillotassi - perché più vivamente si sentiva attratto all'esplorazione del mondo vegetale, cui fin da bambino aveva rivolto la sua curiosità. Intanto si imbarcò su un bastimento a vela per un lungo viaggio in Oriente, cogliendo l'occasione favorevole di trovare, raccogliere ed esaminare esemplari della flora esotica.

Al ritorno in patria le condizioni economiche della sua famiglia lo indussero a rinunciare, almeno per il momento, a riprendere gli studi universitari nel campo che avrebbe preferito, quello naturalistico, e intraprese la carriera di impiegato al ministero delle Finanze a Torino. Gli anni trascorsi in questo impegno burocratico - dal 1852 al 1866 - certamente oscuri e tristi, furono tuttavia dal D. utilizzati anche nell'esplorazione naturalistica del territorio circostante, e perciò si rivelarono in seguito importanti per la formazione e la maturazione della sua personalità scientifica, capace non solo di un intenso lavoro sul campo, ma anche di sintesi teoriche originali.

Il D. erborizzò nei dintorni di Torino e di Chiavari, con criterio non tanto di collezionista quanto di morfologo attento alla comparazione delle forme, per annotarne caratteri comuni o differenti: metodo fondamentale per cogliere nei fenomeni naturali quanto vi è di fortuito e accidentale e quanto invece è l'espressione di regole generali e necessarie.

La prima occasione per esordire in letteratura botanica fu l'osservazione dell'impollinazione di Arauya albens (Relazione sull'apparecchio..., 1865) della famiglia delle Asclepiadee, operata da Xilocopa violacea, con un meccanismo complesso e fin'allora ignoto, che mostra il reciproco adattamento della pianta e dell'insetto pronubo. Nel descrivere l'apparato organico e la sua funzione, molto simili a quelli descritti pochi anni prima dal Darwin nelle Orchidee (On the various contrivances by which British and foreign Orchids are fertilized by insects, and on the good effects of intercrossing, London 1862), il D. ne rilevava l'importanza per una riflessione sull'origine e la storia degli organismi in esso coinvolti, ed accennava ad un tema che sarebbe stato dominante nella sua ricerca, quello delle cause finali in natura. Infatti, due anni appena dopo il primo lavoro scientifico, sentiva la necessità di chiarire ed enunciare il suo credo di filosofo e naturalista, che sembra quindi precedere ed impostare la ricerca, si direbbe quasi condizionarla.

Egli si era intanto trasferito da Torino a Firenze, quando questa città era diventata la capitale del Regno, e aveva ottenuto di frequentare il Museo botanico, la Biblioteca Webbiana e l'orto dei semplici. Nel '67, essendo disponibile il posto di aiuto alla cattedra di botanica. tenuta da F. Parlatore, poteva finalmente lasciare il ministero ed iniziare il lavoro cui aveva sempre aspirato.

A Firenze ebbe poi anche l'insegnamento dì botanica, che proseguì all'istituto forestale di Vallombrosa, nel 1871; poi, sempre per concorso, all'università di Genova, dal 1875 all'84, di Bologna, nel 1884, e infine a quella di Napoli, nel 1893, città ove morì il 14 maggio 1905.

Nel '67 pubblicava i Pensieri sulla biologia vegetale..., per proporre l'istituzione di una scienza nuova che recuperasse i lavori di sistematica e di fioristica, puramente descrittivi, per vivificarli all'interno di un'ampia sintesi concettuale. Il morfologo si ferma alla mera descrizione delle forme, il biologo vegetale ne cerca il significato e vede espressa nell'oggetto che studia una causa finale, per la quale esso è irresistibilmente orientato.

L'allievo e poi successore del D. a Vallombrosa, A. Borzì, nella sua Filosofia botanica (Roma 1921) faceva notare come già nel 1830-32 il botanico svedese K. A. Agardh avesse definito contenuti e limiti di una biologia vegetale, la cui impostazione, fortemente teleologica e vitalistica, avrebbe in tal senso influenzato quanti' poi effettivamente si occuparono di quegli studi, e, tra i più eminenti, il Delpino.

La biologia vegetale del D. distingue i processi vitali della nutrizione e riproduzione, caratterizzati da costante uniformità e spiegabili con l'intervento di cause chimiche e fisiche, da quelli della vita di relazione delle piante, tra loro e con il mondo circostante. Tali rapporti sono innumerevoli e variati, impongono problemi di difesa, di collaborazione, di ricerca sessuale e di autopropagazione nel tempo e nello spazio; problemi risolti con tale ricchezza di soluzioni, con un così mirabile adattamento reciproco di forme e di funzioni, che il D. non credeva di poter riferire a sole e semplici cause fisico-chimiche, ma ad un principio vitale plasmatore che sente, regola, coordina e dispone, spazialmente e temporalmente, secondo fini prestabiliti.

È tanto più importante distinguere i fenomeni strettamente fisiologici - quelli appunto della nutrizione e riproduzione - dagli altri, nelle piante superiori, perché queste, fissate al suolo e costrette in una struttura rigida, non denunciano in genere, con reazione immediata, una sensibilità agli stimoli ambientali, come fanno gli animali, dal corpo mobile e più flessibile. Tuttavia la forma della pianta è l'esito di un processo altamente finalizzato, attuatosi quando la struttura dell'organismo nella fase giovanile è ancora plasmabile, processo perseguito da una intelligenza che pervade tutto il mondo dei viventi. 1 gradi dell'intelligenza vanno dall'istinto alla ragione, con differenze che sono solo di consapevolezza o coscienza. Il D. fa così derivare, analogamente a quanto fece Darwin, la ragione da stati inferiori ad essa, una concezione peraltro fortemente criticabile. Ma per il D. il principio intelligente è superiore, spirituale, inconoscibile e trascendente.

Il grande fatto cosmico è un dualismo tra spirito e materia, che domina la vita dell'uomo e di tutta la natura. Di fronte alla concezione dualistica delpiniana c'è il monismo o materialismo che domina gli ambienti scientifici del tempo e in particolare la scuola tedesca; contro il materialismo si leva la protesta del D. in ogni occasione, e si dispiega nel discorso pronunciato per l'inaugurazione dell'anno accademico dell'università di Bologna nell'88; la materia è inerte e non esiste esempio per il quale essa generi alcunché, neppure il moto. Come attribuirle i caratteri di immensità, eternità, intelligenza, libertà? Anche gli atomi, tutti uguali, si legano in aggregati diversi, con un processo che esige la guida di un principio ordinatore.

Nella ricerca e riflessione delpiniana, manca un chiaro riferimento al concetto di struttura, quale entità aggregante e sovrastante la materia. Se il D. avesse impostato la sua biologia vegetale sul concetto di struttura, avrebbe potuto considerare sotto questo aspetto anche la relazione tra viventi e, per esempio, il complesso pianta-insetto pronubo come una unità in grado di chiudere in sé la causa finale. Il concetto di struttura che nell'unità pone il fine dei componenti, troverebbe nell'ecologia generale (e ancor più che nell'etologia e nella più ristretta biologia vegetale) la sua espressione più completa.

Il rilievo storico che assume il pensiero delpiniano con la sua esigenza di costruire una scienza biologica vegetale è anche, e forse soprattutto, quello di aver contribuito al diffondersi e all'approfondirsi di una visione strutturale e qualitativa dei fenomeni biologici. Lo spiritualismo e vitalismo del D., secondo quanto ammette egli stesso, è una delle "teorie" che cercano di spiegare le forze che reggono l'universo, la più probabile, ma non una "dottrina" come è invece quella delle cause finali, dimostrata anche dai fatti.

La biologia vegetale, come è concepita dal D., dovrebbe essere sempre distinta dalla fisiologia, ma l'autore stesso si accorge che in taluni processi vitali i limiti sono sfumati e poco chiari. Il D. propose anche una distinzione in "eso" ed "endobiologia", l'una corrispondente alla biologia, l'altra alla fisiologia. Più ampia dell'etologia, la biologia vegetale si diffuse più tardi come ecologia, con termine creato da E. H. Haeckel.

Il metodo di lavoro del D. è tutto basato sull'osservazione, quella sua personale, e quella di cui ha il resoconto negli scritti altrui, e sull'interpretazione ragionata dell'osservato. Il D. non usò praticamente mai il microscopio, né tecniche istologiche ed anatomiche, non fece sperimentazioni in campo fisiologico. E forse questo può essere considerato il suo limite. Ma seppe affinare e usare con tanta forza di penetrazione lo strumento logico induttivo che riuscì a rendere manifesti e comprensibili fatti ancora poco conosciuti.

Nella biologia vegetale sono fondamentali i processi di impollinazione, disseminazione e difesa individuale; a questi corrispondono tre filoni di ricerca ampiamente rappresentati nella enorme produzione scientifica delpiniana, circa cinquecento pubblicazioni: biologia fiorale, carpologia e mirmecofilia.

Non fu certo il D. a fondare la biologia fiorale; precursori furono, nel Settecento, in Italia Filippo Arena, fuori J. Camerarius, J. G. Kólreuter, poi e soprattutto, C. K. Sprengel, superiore forse agli altri per originalità ed acume. Questi nel 1790 enunciò la teoria della dicogamia ma probabilmente non ne comprese il significato. Le sue scoperte non furono favorevolmente accolte dai suoi contemporanei che avrebbero dovuto conciliarle con le radicate opinioni sulla fissità delle specie, ma Darwin, colpito dalla loro importanza, anche a sostegno della sua teoria dell'evoluzione, le riesumò e confermò ampliandole nel lavoro sulle orchidee. Darwin disse che "nessun ermafrodita si autofeconda indefinitamente, essendo questa una legge di natura, anche se non ne capiamo il significato" (ma più tardi avrebbe esposto la sua opinione in proposito).

La dottrina della dicogamia fu studiata nei dettagli, approfondita e sostenuta da F. Hildebrand, H. Müller e dal D., che la chiamò anche della staurogamia. Per essa si sostiene che in natura, generalmente, e più mirabilmente nelle Fanerogame, che sono piante ancorate al suolo, la riproduzione avviene con nozze incrociate tra l'apparato maschile di un individuo e quello femminile di un altro. E ciò, nonostante molti fiori siano ermafroditi.

Nei suoi lavori, a cominciare da quello del '67, Sugli apparecchi... antocarpee, e poi nella serie delle Ulteriori osservazioni..., ilD. espose e tentò di classificare una immensa varietà di caratteri dicogamici di cui aveva scoperto l'esistenza in dieci anni di intenso studio. Descrisse processi di impollinazione adattati al movimento nell'acqua nelle piante idrofile, a quello nell'aria nelle anemofile, e soprattutto quelli relativi all'azione pronuba degli animali. Tra le strutture e i meccanismi finalizzati all'incrocio, fondamentale la deiscenza del fiore, poi la presenza di organi colorati e profumati e di nettari, le torsioni e posizioni particolari, le espansioni, i movimenti, i tempi diversi di maturazione degli organi sessuali in uno stesso fiore. Il D. impostava anche una complessa, precisa classificazione tra i fiori delle varie specie, secondo quelle disposizioni formali e funzionali che aveva annotato, cercando anche di stabilire una rassegna percentuale dei caratteri dicogamici ed omogamici nelle diverse specie.

I risultati di questa paziente e ponderosa ricerca lo convinsero della preponderanza della dicogamia nel regno vegetale e della posizione subordinata, tranne poche eccezioni, della omogamia. Esistono infatti, tra l'altro, fiori che non aprono mai la loro corolla, cleistogami, dunque strettamente autogami; in tale caso, secondo il D., si tratta di una situazione di necessità imposta da condizioni di ambiente difficili. Meglio l'autogamia con i suoi svantaggi, che una eterogamia improbabile. Di questo parere era anche Darwin, con lievi divergenze. Contrasti il D. ne trovò e non pochi: non furono della sua opinione in Italia T. Caruel, N. Pedicino e O. Comes che eseguirono esperimenti, peraltro criticati dal D. perché artificiosi, per provare la perfetta funzionalità della omogamia; e, in Francia, F. Plateau e G. Bornier. A tutti il D. obiettava che al di sopra di qualunque esperimento vale l'osservazione dei fenomeni così come avvengono in natura.

Certo molti suoi presupposti avrebbero avuto bisogno di migliori verifiche, come, ad esempio, la percezione da parte dei pronubi di colori, forme, odori; questioni non affrontate se non di sfuggita dal Delpino. Non si sa, a questo proposito, se abbia tenuto presente il lavoro di un grande entomologo francese del suo tempo, J.-H. Fabre; come lui fervido spiritualista, ma, a differenza di lui, ostinato antievoluzionista.

Le ragioni della grande diffusione della eterogamia in natura, secondo il D., sono analoghe a quelle che Darwin indicava in On the various..., e in The effects of cross and self fertilization in the vegetable kingdom, London 1876. Sulla base di esperienze mirate ad evidenziare eventuali differenze tra le progenie di incroci eterogamici ed omogamici, esperienze controllate statisticamente da F. Galton, Darwin aveva riscontrato una maggiore robustezza nelle prime, che dunque offrono migliori garanzie della persistenza nella specie delle variazioni avvenute nell'organismo dei genitori. Però, mentre Darwin non faceva una sostanziale differenza tra riproduzione agamica e sessuale, ai fini della variazione, il D., pur non comprendendone la causa, intuiva una connessione profonda tra sessualità e variabilità delle forme; e questo perché cercava uno scopo alla sessualità, secondo il suo metodo teleologico.

Connessa con queste questioni è quella dell'origine dei sessi, su cui il D. tornerà qualche anno più tardi con Questioni di biologia vegetale. Funzione nuziale e origine dei sessi, in Rivista di scienze biologiche, II (1900), fasc. 4-5. È ancora sempre la botanica, in quanto scienza degli organismi più semplici e primitivi, che può offrire le indicazioni più attendibili sulle prime manifestazioni della sessualità. Questa sembra essere stata presente ai primordi sotto la forma dell'unisessualismo. E dunque, concludeva il D., l'unisessualismo ha preceduto nel tempo l'ermafroditismo.

In questo ampio corpo di dottrine, il D. raccolse conoscenze già in gran parte acquisite alla scienza, in parte frutto del suo lavoro, per coordinarle in un quadro personale, da cui scaturivano idee geniali e nuove. Anche se non sempre esente da critiche, alcune delle quali anche facili, la biologia fiorale del D. svolse un'azione molto rilevante sugli studi botanici che ne vennero vivificati e stimolati.

Altri esempi di stretto legame tra ambiente e individuo il D. trovò nei fenomeni di macrobiocarpia, eterocarpia e nelle vicende delle piante formicarie. La macrobiocarpia consiste nella maturazione contemporanea, improvvisa deiscenza e disseminazione che i frutti di una pianta realizzano allorché la pianta o anche il solo ramo cui appartengono si dissecca e muore. In uno studio molto originale del fenomeno, frequente in Australia, una terra soggetta a periodi di forte siccità, il D. mise in evidenza il vantaggio di un accumulo di semi nei momenti di emergenza, per la sopravvivenza della specie. Anche l'eterocarpia rappresenta un adattamento alle diverse possibilità di disseminazione consentite ad una specie.

Alcuni anni prima non era sfuggita al D. una situazione di collaborazione vitale tra animali e ne aveva tratto lo studio del '72 Sui rapporti delle formiche ...; vi riferiva come due specie di Insetti traggano beneficio dal vivere insieme, le formiche perché si nutrono del liquido dolce prodotto dalle Tettigometre e queste perché sono protette dalle formiche nei confronti dei loro parassiti. Un lavoro, questo, che preludeva ad un altro (Funzione mirmecofila) e pubblicato quasi contemporaneamente e indipendentemente da quello di Th. Belt che sullo stesso argomento aveva fatto ricerche in Nicaragua (The naturalist in Nicaragua, London 1874). Le formiche, faceva notare il D., sono insetti battaglieri e intrepidi, per disposizione naturale difensori di altri organismi più deboli e inermi che ne cercano la vicinanza. Le piante esposte all'azione di parassiti fitofagi molto spesso presentano nettari in organi diversi dal fiore e quindi non deputati ad attrarre i promibi, nettari extranuziali che attraggono le formiche, nemiche degli insetti dannosi alla pianta. Il D, descrisse i nettari extranuziali in Paeonia, in Gossypium, in Sterculia, Balsamina, Impatiens, Zanthoxylon, Cassia, nelle Mimosacee e in altre famiglie ancora.

Mentre il D., a conclusione del suo inventario sulle specie di Insetti che vanno ai nettari extranuziali, affermava che questi sono destinati alle sole formiche e raramente ad altri, proprio per la funzione combattiva, Darwin e con lui R. Caspary, che avevano trovato anche altri Imenotteri sulle piante in esame, consideravano il nettare extranuziale nulla più che una sostanza di rifiuto da espellere. È questo un esempio di disaccordo in apparenza insignificante, ma invece importante tra Darwin e Delpino. Era inevitabile che lavorando nel campo comune dell'ecologia, il naturalista inglese e l'italiano avessero, come di fatto ebbero, scambio vivace di corrispondenza, di opinioni, di consigli, di aiuti. In questo rapporto si nota un tentativo del D. di indurre Darwin a riconoscere in qualche modo le cause finali e la garbata resistenza di Darwin che non gradiva di essere coinvolto in posizioni filosofiche specifiche, e non voleva però offendere la sensibilità di uno scienziato del valore e dell'autorità del Delpino. (A proposito dei rapporti intercorsi tra Darwin e il D. cfr. G. Pancaldi, Teleologia e darwinismo. La corrispondenza tra Ch. Darwin e F. D., Bologna 1984 e Darwin in Italia, Bologna 1983, pp. 209-262).

Il D. fu praticamente il più importante interlocutore italiano di Darwin del quale aveva accolto entusiasticamente la tesi evoluzionista, ma in una forma che manteneva valida la concezione finalistica della natura. La biologia fiorale che evidenzia l'immensa plasticità degli organismi è la scienza più adatta a conoscere le leggi evolutive; ma le variazioni piccole, continue, all'interno di una gamma ampia ma definita, sulle quali agirebbe la selezione naturale per trattenere solo i caratteri utili alla sopravvivenza nell'ambiente che va mutando, sono per Darwin del tutto casuali; per il D. invece, le variazioni sono più marcate e in una gamma indefinita, come dimostrano i fatti teratologici, ma sempre orientate, come espressione della libera volontà di quel principio vitale interno che prevede e sente le necessità dell'organismo. Quando parla di "un piano di creazione o almeno di evoluzione", di "creazione oppure di evoluzione" (in Pensieri..., Pisa 1867, pp. 13, 15), il D. dimostra di credere all'evoluzione, non all'evoluzionismo, e cioè semplicemente ad un tipo di, sviluppo degli organismi che comunque presuppone un supremo motore.

Anche nella teoria sulla genesi degli individui, parallela a quella sulla genesi delle specie, ossia la "pangenesi" di Darwin (in The variation of animals and plants under domestication London 1868, cap. XXVII: Provisional hypothesis of pangenesis), ilD. vedeva l'espressione di quel monismo che voleva combattere nella seconda. "La pangenesi riduce ad un semplice atto di necessità l'evoluzione dell'organismo ed attribuisce ogni variazione a cause esterne che agirebbero sulle cellule". Darwin aveva immaginato l'esistenza di un numero enorme di entità materiali, le gemmule, distribuite e moltiplicantesi nell'organismo secondo regole complesse e non sempre chiare. La critica del D., minuziosa ed analitica, fu riconosciuta dal Darwin stesso come una delle più acute e la migliore fatta alla sua pangenesi (cfr. Variazioni degli animali e delle piante allo stato domestico, trad. ital. di G. Canestrini, Torino s.d., p. 668). In particolare il D. imputava a Darwin di aver finito con l'attribuire alle sue gemmule quelle caratteristiche vitali che proprio esse avrebbero dovuto eliminare dal concetto di vivente. Anche il D. riconosceva come fondamentale il problema dell'ereditarietà ma preferiva proporre una spiegazione "dinamica" piuttosto che corpuscolare.

Ne parlò in Pensieri sulla metamorfosi..., riesumando il tema goethiano della metamorfosi e mostrando come, pur avendo aperto una strada adatta a riflessioni di grande sintesi, esso si riveli inadeguato a spiegare la grande varietà di espressioni morfologiche nelle piante. Alla metamorfosi sostituì la idiomorfosi, secondo la quale ogni organo parte da una matrice uguale, provvista di tutti i caratteri allo stato potenziale, i quali si svolgerebbero durante lo sviluppo di ciascuna parte.

Nel 1870 il D., durante l'insegnamento a Vallombrosa, si imbatté in un altro tema toccato dalla filosofia idealistica, quello della disposizione delle foglie intorno al fusto, e lo adattò alle circostanze concrete. Cercò in prima istanza le cause meccaniche, poi quelle biologiche e ambientali della fillotassi e ripropose la dottrina della spirale generatrice, enunciata da A. F. W. Schimper e ripresa, con connotazione spiccatamente idealistica, da A. Braun; secondo questa dottrina le foglie e le gemme ascellari si svilupperebbero sull'asse seguendo una linea spirale e i punti di inserzione delle foglie avrebbero l'uno dall'altro distanze angolari misurabili in frazioni di angolo giro, e disponibili secondo una serie matematica coincidente con quella detta di Fibonacci. Grazie a questa teoria i botanici che ripresero gli studi fillotassici introdussero ordine e chiarezza geometrica negli studi di morfologia vegetale esterna. Il lavoro dei fratelli S. e A. Bravais, ricorda il D. nella prefazione al poderoso Teoria generale della fillotassi (in Atti d. R. Univ. di Genova, IV [1883], pp. 1-345), non segnò un progresso reale rispetto a quelli di Schimper e Braun; per trovare uno studio originale si deve giungere a W. Hofmeister, che cercò le cause della tassia fogliare nella meccanica e nella genetica, rifiutando le spiegazioni puramente formali. Il difetto di Hofmeister per il D. è quello di negare la realtà della spirale e di non aver chiarito, come altri autori, ivi compresi E. Naumann e S. Schwendener, la formazione e generalizzazione del sistema principale: quello appunto della serie di Fibonacci, e la multiforme modificazione di questo in una quantità di fillotassi secondarie e derivate.

Il D. trovò che la causa principale è di natura affatto meccanica, e lo provò con una costruzione di sferette poste l'una accanto all'altra e poi l'una sopra all'altra nello spazio prima lasciato libero, che in tal modo delimiterebbero un cilindro, quello dell'asse caulinare. Da qui nacque un'altra teoria del D. ardita e originale, quella del fillopodio. L'asse caulinare, cioè il fusto, non avrebbe una sua esistenza indipendente, ma sarebbe semplicemente costituito dal confluire delle basi fogliari e dei vasi fogliari che ad esse affluiscono. La foglia non sarebbe dunque un organo appendicolare, ma un costituente fondamentale dell'organismo vegetale. Non esisterebbe un organo assiale ma solo un "fillopodio". In alto vi sarebbe la zona generatrice, l'apice vegetativo. Secondo un critico dell'opera delpiniana, il Geremicca, ammettere questo apice significa ammettere in altro modo l'esistenza di un fusto come organo a sé stante. Al Geremicca si può obiettare che, senza considerarlo necessariamente un organo specifico, basterebbe pensare l'apice come la zona di riproduzione di una matrice primordiale. Il D., del resto, trovò a contrastarlo la teoria delle "stele" di K. van Tieghem e non seppe a sua volta dar prove anatomiche alla sua; le prove, almeno in parte, furono trovate da altri autori tra cui lo stesso H. De Vries (Over verdubbeling van phyllopodien, in Botanisch Jaarboek ... Genootschep Dodonaea te Gent, 1893, pp. 108-131). A. Borzì fece uno studio organogenetico sull'apice vegetativo e poté confermare l'intuizione del D. sul fondamento geometrico meccanico della legge della fillotassi alternifolia (in Filosofia botanica, Roma s.d., p. 46) e lasciò cadere, come quasi tutti gli altri fitomorfologi, la teoria del fillopodio. Il lavoro sulla fillotassi non fu in genere capito né condiviso; resta in ogni modo un documento del metodo e del pensiero delpiniano sintetico e costruttivo.

L'entusiastica e profonda adesione del D. alla teoria darwiniana dell'evoluzione è. dimostrata dalla costanza con cui ne introdusse i principi e li usò nei campi più vari delle scienze biologiche. Già nel 1869, col lavoro sulle relazioni biologiche e genealogiche delle Marantacee, aveva trattato la filogenesi di questa e di famiglie vicine, sulla base di considerazioni morfologiche e biologiche. Dall'88 al '96 pubblicò sulle Memorie dell'Accademia bolognese una serie di note sull'applicazione di nuovi criteri per la classificazione delle piante. La pura morfologia, disse, non potrà mai offrire quel sistema naturale di classificazione che da sempre e ora più che mai i vari naturalisti si prefiggono di costruire, perché questa scienza non ha criteri validi per preferire o escludere l'una o l'altra formula tassonomica. Il metodo filogenetico invece procede per esclusione, mantenendo solo quelle formule che rispondono ad uno schema genealogico razionale e plausibile costruito con l'ausilio di considerazioni biologiche. In questo modo si può sceverare il semplice dal semplificato e quindi talora riferire ad un periodo di sviluppo posteriore specie viventi ritenute primitive. Si tratta dunque di una revisione più che di una rivoluzione nella tassonomia vegetale. Tuttavia, nelle lunghe ricche memorie sull'organismo, il D. propone la modifica delle formule classificatorie, non di tutti i gruppi ma di alcune tribù, famiglie e classi, offrendo un esempio esauriente del nuovo triplice criterio: morfologico, biologico, filogenetico. In particolare, diversamente dagli autori a lui contemporanei, sostenitori di una evoluzione monofiletica, il D. propose come più razionale (anche se più tardi si mostrò meno sicuro della sua tesi) uno svolgimento polifiletico triseriale, i cui capostipiti sarebbero le Tallofite, le Briofite e le Pteridofite; solo da queste ultime deriverebbero, nell'ordine, le Gimnosperme, poi le Angiosperme dicotiledoni, e infine le Angiosperme monocotiledoni. Il D., come si nota, separava dalle Pteridofite (e dalle Tallofite) le Briofite, attribuendo ad esse origine e sviluppo proprio, come fecero in seguito anche altri botanici, mentre faceva derivare le Monocotiledoni, distaccandole dalle Gimnosperme, dalle Dicotiledoni, con criterio audace ma ponderato. Delle Monocotiledoni poi mutò quasi completamente la classificazione rispetto a quella in voga presso i contemporanei; come pure fu nuova l'ipotesi sull'origine delle Angiosperme, più tardi condivisa da altri ricercatori. La ricerca di un metodo naturale, rinnovato sulla base degli studi filogenetici e biologici, in quanto raffigura il cammino evolutivo degli organismi vegetali sulla Terra, può influenzare, secondo il D., con particolare efficacia e potenza critica, anche le scienze geologiche, legate alla paleontologia ed offrire al contempo un aiuto alla geografia botanica che, per avere valore scientifico, deve riferirsi a gruppi naturali. La geobotanica investiga i luoghi di origine e sviluppo per poter fissare nello spazio le forme vegetali che ebbero nel tempo la loro origine ed evoluzione.

Nel '97 il D. pubblicò i suoi Studi di geografia botanica, che svolse secondo un indirizzo morfobiologico e paleofitologico. Considerata la grande variabilità e la lunga storia di ogni specie, il D. sosteneva una tesi monogenica: pochi individui si trovarono per un tempo limitato in uno spazio limitato, e fu questo il centro di formazione da cui per mezzo di semi si formarono altri centri di sviluppo, là dove le condizioni sono ottimali. Dall'equilibrio tra la tendenza all'espansione delle specie ed i fattori di contenimento e di limitazione ad essa, ebbero origine le "stazioni", quei complessi di condizioni locali cui si sono ambientate alcune particolari specie, generi, famiglie. La formazione di queste stazioni può ripetersi in altre zone della Terra e costituire un'indicazione per la divisione della superficie terrestre in "regioni" botaniche. Il D. non si limitò a determinare le regioni botaniche secondo il suo criterio ma condusse anche uno studio di fitogeografia comparata tra la flora artica e quella antartica, quale esauriente esempio della sua proposta.

Il D. fu scienziato di fama internazionale, interlocutore dei più grandi biologi dell'epoca; a lui furono tributati onori in vita - in occasione del sessantesimo compleanno - e dopo la morte, quando a cent'anni dalla nascita gli rese solenni onoranze la città di Chiavari.

Un elenco completo delle opere del D. è in M. Geremicca, L'opera botanica...; ricordiamo i lavori più significativi: Relazione sull'apparecchio della fecondazione delle Asclepiadee..., in Gazzetta medica di Torino, s. 2, XV (1865), pp. 372 ss., 382 ss., 390 s., 398 ss.; Sugli apparecchi della fecondazione nelle piante antocarpee, Firenze 1867; Pensieri sulla Biologia vegetale, sulla Tassonomia, sul valore tassonomico dei caratteri biologici, e proposta di un genere nuovo della famiglia delle Labiate, in Nuovo Cimento, XXV (1867), pp. 284-304, 321-398; Ulteriori osservazioni e considerazioni sulla dicogamia nel regno vegetale, I, in Atti d. Soc. it. di sc. nat., XI (1868), pp. 265-382; Ulteriori osservazioni..., II, ibid., XII (1869), pp. 21-141; Ulteriori osservazioni..., III, ibid., pp. 179-233; ... Parte seconda, ibid., XVI (1873), pp. 151-349; Sulla darwiniana teoria della Pangenesi, in Riv. contemp. naz. ital., t. LVI (1869), pp. 196-204; t. LVII (1869), pp. 25-35; Una recente parola di Carlo Darwin sulla Pangenesi. Lettera al prof. De Gubernatis, Torino 1869; Studi sopra un lignaggio anemofilo delle Composite ossia sopra il gruppo della Artemisiacee..., Firenze 1871; Sui rapporti delle Formiche colle Tettigometre e sulla genealogia degli Afidi e dei Coccidi, in Boll. d. Soc. entom. ital., IV (1872), pp. 343-351; Il materialismo nella scienza. Discorso..., Genova 1880; Le spiritualisme dans la science, in Revue internat., I (1882), fasc. 1, Contribuzione alla storia dello sviluppo del regno vegetale, I, Smilacee, in Atti d. R. Univ. di Genova, IV (1883), 1, pp. 1-89; Funzione mirmecofila nel regno vegetale. Prodromo di una monografia delle piante formicarie, I, Rassegna delle piante fornite di nettari extranuziali, in Mem. d. R. Acc. d. sc. d. Ist. di Bologna, s. 4, VII (1886), pp. 215-324; II, ibid., VIII (1887), pp. 601-650; III, ibid., X (1889), pp. 115-48; Il passato, il presente e l'avvenire della psicologia. Discorso..., Bologna 1888; Applicazione di nuovi criteri per la classificazione delle piante. Prima memoria, in Mem. d. R. Accad. d. sc. d. Ist. di Bologna, IX (1888), pp. 221-243; Secondamemoria, ibid., X (1889), pp. 43-76; Terza memoria, ibid., pp.565-596; Quarta memoria, ibid., s. 5, I (1890), pp. 253-278, Quinta memoria, ibid., III (1893), pp. 217-244; Contribuzione alla teoria della Pseudanzia, in Malpighia, IV (1890), pp. 302-312; Pensieri sulla metamorfosi e la idiomorfosi presso le piante vascolari, in Mem. d. R. Accad. d. sc. d. Ist. di Bologna, s. 5, II (1891), pp. 101-117, Studi di geografia botanica secondo un nuovo indirizzo. Preliminari, ibid., s. 5, VII (1898), pp.329-358; Rapporti tra la evoluzione e la distribuzione geografica delle Ranuncolacee, ibid., pp. 17-66; Questioni di biologia vegetale. Definizioni e limiti della Biologia, in Riv. di sc. biol., I (1899), pp. 13-23; Sul fenomeno della macrobiocarpia in alcune piante, in Rend. d. R. Acc. d. sc. fis. e mat. (Napoli), XLII (1903), pp. 48-57; Sulla funzione vessillare presso i fiori delle Angiosperme, in Mem. d. R. Acc. d. sc. d. Ist. di Bologna, s. 6, I (1904), pp. 107-138; Botanica conforme alle lezioni del prof. F. D. redatte da G. E. Mattei, Bologna 1890; Pagine di biologia vegetale. Antologia delpiniana a cura di F. Nicolosi Roncati, Milano 1919.

Fonti e Bibl.: Necr. in Rend. d. R. Acc. dei Lincei, cl. di sc. mat., fis. e nat., s.5, XIV (1905), pp. 464-478; N. Giorn. bot. it., n. s., XII (1905), pp. 417-439; Atti d. Soc. lig. di sc. nat. e geogr, XVI (1905), pp. 161-178; Annuario d. R. Univ. di Genova, 1905-06, pp. 123-127; Rend. d. Acc. d. sc. fis. e mat. (Napoli), s. 3, XI (1905), pp. 202 s.; Rend. d. R. Acc. d. sc. d. Ist. di Bologna, s. 5, IX (1904-05), pp. 113-45; Science, n.s., 1905, p. 996; Annuario d. R. Univ. di Napoli, 1905-06, pp. 467-474; La Nuova Notarisia, XVI (1905), pp. 125 s.; Atti d. Ist. bot. di Pavia, s. 2, X (1907), pp. V-XXI; Boll. d. Orto bot. di Napoli, II (1910), pp. III-VIII; F.Hildebrand, F.D.s Beobachtungen über die Bestäubungsvorrichtungen den Phanerogamen, in Botanische Zeitung, XXV (1867), 34, pp. 263-270; A. De Gubematis, Diz. biogr. d. scrittori cont., Firenze 1879, pp.366, 1153; F. Ludwig, D. und die Pflanzen Biologie, in Greizer neuesten Nachrichten, Beilage, 23 dic. 1903; M. Geremicca, L'opera botan. di F. D., Napoli 1908 (estr. del Boll. d. Soc. dei natur. in Napoli, XXI [1907], pp. 111-310); E. Migliorato, Un precursore del D. per la teoria della pseudanzia ed alcune notizie sulla medesima, in Annali di bot., VII (1908), 1, pp. 179-182; J.R. Green, History of botany (1860-1900), Oxford 1909, p. 105, G. B. Grassi, I progressi della biologia e delle sue applicazioni pratiche conseguite in Italia nell'ultimo cinquantennio, in Cinquant'anni di storia italiana, Milano 1911, III, pp. 91-95; F. Balsamo, Botanici e botanofili napoletani, in Boll. d. Orto bot. di Napoli, III (1913), pp. 55 ss.; A. Anile, F. D. e gli Orti botanici, in Nuova Antol., 1º genn. 1927, pp. 64-69; A. Baldacci, Comm. di F. D. nel I centenario della nascita, in Mem. d. R. Acc. d. sc. d. Ist. di Bologna, s. 9, I (1933-34), pp. 33-58; Città di Chiavari, Onoranze rese a F. D. nel primo centenario della nascita, Chiavari 1934; Un secolo di progresso scientifico, Pisa 1939, IV, pp. 111, 125, 135; G. Catalano, La biologia vegetale del nostro tempo, in Rend. d. Acc. di sc. fis. e mat. d. Soc. naz. di sc. lett. e arti in Napoli, s. 4, XXII (1955), pp. 102-122; Id., Storia dell'Orto botanico di Napoli, Napoli 1958; G. Landucci, Darwinismo a Firenze, Firenze 1977, ad Indicem; Enc. Ital., XXIII, pp. 431 s., sub voce Mimercofile; Lexicon der Geschichte der Naturwissenschaften begründet von J. Mayerhöfer, I, Wien 1959, pp. 751 s.

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