DE ROBERTO, Federico

Enciclopedia Italiana (1931)

DE ROBERTO, Federico

Arnaldo Bocelli

Nacque a Napoli nel 1866 di madre siciliana, e siciliano deve essere considerato per l'ispirazione e il carattere della sua arte. Visse per qualche tempo a Firenze, e intorno al 1890 a Milano, ove frequentò quel cenacolo letterario che accoglieva Verga, Boito, Giacosa, Rovetta, Butti, Pozza e altri, e dove sul Corriere della sera esercitò la critica letteraria. A Milano pubblicò fra l'altro il suo maggiore romanzo, I Vicerè (1894), che consolidò la sua già larga fama e lo fece porre, nell'estimazione della critica e del pubblico, accanto a Verga e Capuana come il degno rappresentante di quella scuola siciliana in cui, negli ultimi decennî del sec. XIX, la nostra letteratura naturalistica trovò le sue più alte affermazioni. Ma ben presto tornò in Sicilia, a Catania; e ivi visse il resto della vita tutto inteso al suo lavoro, alle cure della vecchia mamma, alla venerazione del suo grande maestro, il Verga, alla cui morte provvide anche a riordinare le carte, e di cui aveva iniziato una biografia. Fu soprintendente onorario ai monumenti della provincia di Catania, alla quale aveva già dedicato una monografia artistica (Bergamo 1907). Morì il 26 luglio 1927, lasciando parecchi scritti inediti.

Temperamento piuttosto riflessivo e critico che lirico, incline all'indagine storica, alla ricerca erudita, all'analisi paziente di anime e di eventi, il De R. fu tratto spontaneamente verso la letteratura a fondo sperimentale, sociale e psicologico. La prima raccolta di novelle, Documenti umani (Milano 1888), mostra un De R. studioso, appunto, di "documenti umani" cercati nell'ambito della provincia, fra gli umili, fra i "vinti" e, quanto ad espressione letteraria, sulla grande traccia segnata dal Verga; mentre altri contemporanei volumi di novelle, e un primo romanzo, Ermanno Raeli (Milano 1889), rivelano un De R. indagatore di sottili drammi d'anime e seguace piuttosto degli psicologisti francesi. Ovunque c'è unilateralità di visione, costrizione schematica e quell'animus tra scettico e ironico, proprio della concezione positivistica che il De R. aveva della vita. Con L'illusione (Milano 1891), romanzo d'una Bovary italiana e aristocratica, la visione invece si allarga e, nonostante le reminiscenze flaubertiane, si fa più personale. Finalmente nei Vicerè, in quest'ampia storia d'un'antica famiglia siciliana di origine spagnola, già dominatrice di Catania e dell'isola, e poi, nel periodo del Risorgimento e dell'unità italiana, via via trasformantesi e adattantesi alle nuove esigenze dei tempi e della vita, il De Roberto riesce a trovare il pieno equilibrio fra le sue facoltà di psicologo e di storico, di scienziato e d'artista. La narrazione procede compatta e armonica, in una prosa schietta e vigorosa, che certa patina dialettale rende ancor più aderente alle cose e all'ambiente che ritrae. E se, più che la rappresentazione poetica di un'epoca e d'una famiglia, egli ne dà la descrizione, questa è peraltro condotta con una tale ricchezza e nobiltà d'elementi che non si può non riconoscere ai Vicerè una cospicua importanza sia rispetto al periodo letterario cui appartengono, sia rispetto al periodo storico di cui trattano.

Dopo di essi il De R. difficilmente ritrovò - ad eccezione forse del romanzo Spasimo (Milano 1897) - l'equilibrio che si è detto: delle sue facoltà sembrarono prendere un deciso sopravvento quelle psicologistiche, e per lo più in forma di studî e di saggi, come nel Leopardi (Milano 1898) e in Una pagina della storia dell'amore, ecc. (ivi, 1898). Scrisse anche varî racconti di guerra, da lui sentita soprattutto nei suoi riflessi psicologici (La "cocotte" Milano 1920; ecc.); e qualche breve lavoro per il teatro, fra cui Il rosario (1911), desunto da una novella, e tradotto e rappresentato anche in siciliano.

Bibl.: G. De Frenzi, Candidati all'immortalità, Bologna 1904; R. Serra, Le lettere, ristampa, Roma 1920, pp. 121-22; C. Pettinato, Un secolo in Sicilia. "I vicerè", in I libri del giorno, III (1920), ii, pp. 68-72; L. Russo, I narratori, Roma 1923, pp. 93-97; G. Bellonci, in Giorn. d'It., 28 luglio 1927.

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