Montefeltro, Federico da

Enciclopedia Dantesca (1970)

Montefeltro, Federico da

Giorgio Baruffini

Figlio di Guido e fratello di Bonconte, succedette al padre e allo zio Galasso come guida del ghibellinismo marchigiano, senza peraltro rinnovarne i successi.

Dopo essere stato cacciato da Cesena di cui era capitano del popolo (1301), svolse di preferenza la sua azione nella zona umbro-marchigiana, dominandone la scena politica per circa un ventennio: al tempo della missione di Napoleone Orsini (1306-07) fu a capo della societas ghibellinorum della Marca, poi capitano di Osimo e Iesi (1309) e podestà di Pisa (1310). Tra i più fedeli sostenitori di Enrico VII, che accolse in Pisa (1312) e col quale fu all'assedio di Firenze, fu certo presente alla sua morte, dal momento che nel settembre del 1313 scriveva al cardinale Niccolò da Prato in difesa di fra' Bernardino da Montepulciano, accusato di aver avvelenato l'imperatore. Tornato nella Marca, riprese la sua azione antiguelfa, occupando Recanati e spingendo Osimo e Spoleto a sollevarsi contro il vicario papale: per cui Giovanni XXII, dopo averlo scomunicato insieme con altri rettori di città marchigiane, " trovandoli, in più articoli di resia, e tali in idolatria " (Villani IX 141), bandì contro di loro una crociata (1322). Mentre F. stava in Urbino per raccogliere uomini, i cittadini insorsero, a causa di " una grande taglia, ovvero imposta di moneta " (ibid.), e lo uccisero insieme con un figlio (25 aprile 1322).

È difficile dire se siano esistiti dei rapporti diretti tra D. e F.; se D. fu nel Montefeltro, è probabile che fosse ospitato alla corte di F.; l'ipotesi di un incontro sarebbe indubbiamente sostenibile con maggior decisione, se fosse sicura la presenza del poeta in Pisa nel 1312, secondo quanto si ricava dal noto passo petrarchesco (Fam. XXI XV 7). Ma di questa ipotetica conoscenza l'unica prova rintracciabile nell'opera dantesca è l'affermazione di Bonconte, d'altra parte assai generica, Giovanna o altri non ha di me cura (Pg V 89), ove si è visto in quell'altri un'allusione alla figlia Manentessa e al fratello F.: identificazione senz'altro plausibile, ma che, per quanto riguarda F., riesce difficile accettare, tenendo presente la sua lealtà a Enrico VII e la sua strenua opposizione alla Chiesa: elementi questi che non avrebbero certo dovuto attirargli il biasimo di Dante.

Secondo il Fumi, che però non giustifica l'affermazione, " se il veltro potesse essere mai un soggetto non indeterminato, Federico sarebbe il più vicino, fra tutti i capi di parte ghibellina, a raccogliere e rappresentare in sé l'allusione ".

Bibl. - L. Fumi, Eretici e ribelli nell'Umbria, Todi s.d., 25-54; G. Franceschini, La signoria dei conti di M. a Cesena (1275-1301), in " Studi Romagnoli " V (1954) 279-327; M. Rossi, I M. nel periodo feudale della loro signoria (1181-1375), Urbania 1957, 79-111; M. Natalucci, D. e le Marche, Bologna 1967, 14-17.