COMMANDINO, Federico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COMMANDINO, Federico

Concetta Bianca

Nacque ad Urbino nel 1509 da Battista e Laura Bonaventura.

La sua famiglia, di nobile origine, aveva sempre mantenuto stretti legami con i duchi di Montefeltro: il nonno è ricordato da G.M. Filelfa quale "comes integer" alla corte di Federico I (Bibl. Ap. Vat., ms. Urb. lat. 728, f. 18v), il padre invece aveva guidato come architetto i lavori per fortificare le mura cittadine ed era uomo di una certa cultura poiché manteneva rapporti con Iacopo della Spira e forse con Paolo di Middelburg.

Il C. ricevette una accurata e solida educazione: intorno al 1524-26 studiò latino e greco sotto la guida di Giacomo Torelli da Fano, mentre fu introdotto allo studio della matematica da Gian Pietro de' Grassi, il quale, al seguito degli Orsini, era arrivato ad Urbino nel 1527, dopo aver abbandonato Roma a causa del sacco. Quando nel 1530 il Grassi entrò al servizio del cardinale Niccolò Ridolfi, portò con sé a Roma il giovane discepolo, ed è facile supporre che il C. abbia avuto accesso alla biblioteca del Ridolfi, appassionato bibliofilo, ricercatore di manoscritti greci e anch'egli cultore di studi matematici. A Roma il C., per intercessione del Grassi e del Ridolfi, divenne cameriere segreto di Clemente VII e forse ebbe modo di partecipare alle prime discussioni sul sistema copernicano che in quegli anni si svolgevano presso la Curia pontificia. Quando Clemente VII morì (1534), il C. era ad Urbino per il matrimonio delle sorelle, e non sappiamo se quest'assenza determinò la perdita del suo ufficio.

Egli si recò a Padova a studiare filosofia e medicina, frequentando le lezioni di illustri professori come l'aristotelico Marco Antonio de' Passeri (detto il Genova), il medico Giovanni Battista Montano e il matematico Federico Delfino. Sembra che sia rimasto a Padova per dieci anni, ma nel 1537 è testimoniata la sua presenza a Roma; il 19 ott., infatti, il matematico T. Leonardi da Fano gli scrive una lettera (in Rose, 1971, pp. 407 s.) facendo riferimento a uno del temi più discussi, cioè le due traduzioni latine di Euclide, quella medievale di Campano da Novara e quella umanistica di Bartolomeo Zamberti (il riferimento è all'edizione parigina del 1516).

Se precoci sono gli interessi per Euclide, di cui il C. doveva divenire il traduttore e "restauratore" per eccellenza, non mancano quelli più tradizionali per la matematica astrologica, tanto è vero che il Leonardi afferma di voler ricopiare le "Theoriche" del C., opera a noi non pervenuta, forse semplice esercitazione scolastica.

Dalla Vita Federici Commandini scritta dal Baldi, uno del suoi più famosi discepoli, apprendiamo che il C. da Padova si trasferì nel 1544 a Ferrara per conseguire due anni dopo il dottorato in medicina sotto la guida del famoso medico e botanico Antonio Brasavola: nessuna traccia è però rimasta tra i documenti dell'università ferrarese, e non è escluso che il Baldi volesse suggellare con un titolo accademico una carriera culturale come quella del C. che era rimasta sempre al di fuori dell'insegnamento pubblico.

Ritornato ad Urbino nel 1546 prese in moglie Girolama Buonaventuri, dalla quale ebbe due figlie, Olimpia e Lorrena, e un figlio che morì precocemente. Il Baldi, seguito dai successivi biografi, racconta che a causa della morte del figlio e di quella altrettanto precoce della moglie il C. decise di abbandonare la medicina. Entrò al servizio, forse nel 1546, di Guidobaldo duca di Urbino, che era a quel tempo comandante militare della Repubblica veneta, e lo seguì nei suoi spostamenti, per esempio a Verona (1548-49) dove - racconta il Baldi - egli sarebbe riuscito a guarire il duca da una grave malattia. Al 1549 risale probabilmente l'incontro ad Urbino con il cardinale Ranuccio Farnese, uomo di cultura, amante delle lettere e di studi matematici; il C. entra come familiare al servizio del Farnese, presso cui rimarrà fino alla morte di quest'ultimo nel 1565.

Il ritorno a Roma, sotto il patronato di Ranuccio, significa per il C. il contatto con un ambiente dove la ricerca e la circolazione di manoscritti greci di matematica, a partire dal Colocci e dallo stesso Paolo III, acquistava un sempre maggiore rilievo: ad esempio, Angelo Caiano proprio a Roma nel 1545 aveva pubblicato gli Elementa di Euclide con il testo greco e la versione italiana; Fulvio Orsini, anche egli tra i familiari del cardinale Farnese, acquistava un manoscritto greco di Euclide (Vat. gr. 1295) e frammenti di Archimede (Vat. gr. 1316 e 1347), autori di cui il C. curerà le traduzioni. A Roma il C. entra in contatto con Annibal Caro, che era al servizio di Ranuccio Farnese, e forse da tale incontro ha origine l'interesse del Caro per gli studi matematici. Il C. segue il cardinale Farnese nei suoi viaggi: a Venezia ha modo di conoscere il Tartaglia e il Benedetti, del quali disapprova l'adesione a Jordanus a proposito del teorema del piano inclinato, mentre egli si dichiara seguace della tradizione di Pappo. A Venezia nel 1553 (dal 22 febbraio al 7 agosto) il cardinale Ranuccio prende in prestito - ma l'intermediario è il C. - alcuni codici della biblioteca del Bessarione ("quem tulit Federicus Commandinus familiaris": C. Castellani, Il prestito del codici manoscritti della Biblioteca di S. Marco..., in Atti dell'Ist. veneto..., LV [1896-1897], pp. 350-351), e cioè il Marc. gr. Z. 305 (contenente Archimede con il commento di Eutocio) e il Marc. gr. Z.518 (che comprende anche Apollonio e Sereno): testi di cui il C. sarà editore e traduttore. In questi anni si rivela fondamentale la conoscenza con il card. Marcello Cervini, che possedeva una ricchissima biblioteca di testi greci di matematica ed era egli stesso traduttore del Pneumatica di Erone. Anzi il Cervini spinge il C. a rivedere, in mancanza dell'originale greco, la versione latina di Moerbeke del De iis quae in aqua vehuntur di Archimede, tanto che gli regala una copia di quest'opera insieme con il De analemmate di Tolomeo (il Rose, 1975, p. 193, avanza l'ipotesi che possa trattarsi dello Ottob. lat. 1850). Divenuto papa, col nome di Marcello II, il Cervini ordina al Sirleto di chiamare il C. al suo servizio, ma la morte a poche settimane di distanza interrompe il nuovo incarico del Commandino.

Nel 1556 è ad Urbino, come è anche testimoniato da una lettera (in Rose, 1973, pp. 408 s.) del 24 marzo del matematico Leonardi, che viveva a Parma presso la corte del duca Ottavio Farnese. Nel 1557-58 ad Urbino ha come discepoli Torquato Tasso e Guidobaldo Dal Monte, uno del più famosi matematici della seconda metà del sec. XVI. In questi anni, forse su mediazione del gesuita Baldassarre Torres, entra in contatto con il matematico messinese Maurolico, con il quale discute sul problema delle coniche, a quanto risulta da una sua lettera allo stesso Maurolico (Urbino, Bibl. univ., busta 120, ff. 185r-188v) ed anche da una lettera dell'8 ott. 1557 del matematico messinese (in Bibl. Ap. Vat., ms. Barb. lat. 304, f. 284r, codice appartenuto al Torres).

Con il 1558 inizia la produzione a stampa del C.: sarebbe però riduttivo legare la sua fama all'attività di esperto filologo ed accurato traduttore. La scelta di restaurare e riportare alla luce i testi del matematici antichi significa di per sé una svolta nel modo di intendere e diffondere le "mathematicae disciplinae". Al C. non manca la coscienza e il senso storico della propria operazione culturale, come apertamente dichiara nelle sue dediche; i commenti con cui accompagna sempre tali versioni costituiscono anzi la prova di una elaborazione originale, tanto è vero che i suoi contemporanei e discepoli ne apprezzarono in pieno le soluzioni e le teorie. La prima pubblicazione, su istanza del Torres, è il Ptolemaei Planisphaerium. Iordani Planisferium (Venetiis, Aldus, 1558), a cui segue il Commentarius a Tolomeo dello stesso C. con dedica al cardinale Ranuccio: in assenza di un originale greco egli cerca di restaurare i passi corrotti rispetto alla translatio tolosana del 1144, con la ferma convinzione dell'utilità dell'opera anche ai fini della "scenographia", ovvero della scienza usata dagli architetti, non ultimo Giacomo Barozzi che a Bologna costruiva il palazzo del cardinale Ranuccio. Nello stesso 1558 il C. pubblica la versione dal greco di Archimedis opera nonnulla (Venetiis, apud Paulum Manutium), che comprende cinque trattati (Circuli dimensio, De lineis spiralibus, Quadratura paraboles, De conoidibus et sphaeroidibus, De arenae numero), con dedica al protettore Ranuccio Farnese, a cui seguono i Commentarii del C. e quelli di Eutocio al De circuli dimensione, con altra dedica ad Ottavio Farnese, duca di Parma e Piacenza. In queste dediche il C. elogia Archimede, il più grande del matematici, non estraneo all'astrologia, aritmetica e geometria, anche se di lui rimangono pochi ed "obscurissima scripta"; ne avverte la riscoperta operata dal Regiomontano e dal Maurolico e soprattutto proclama la superiorità delle "disciplinae mathematicae" sulle altre scienze, anche da un punto di vista di utilità pubblica e privata. E proprio ad Ottavio Farnese il C. si rivolge nel 1560 (lettera del 3 novembre) per ottenere sovvenzioni per la stampa delle sue opere.

Legato alla Curia romana, il C. mantiene rapporti con il cardinale Alessandro Farnese che lo invita a Viterbo (12 giugno 1559) insieme con Fulvio Orsini (P. de Nolhac, La bibliothèque de Fulvio Orsini, Paris 1887, p. 9), nonché segue Ranuccio Farnese a Capranica, come testimonia lo stesso Annibal Caro (Lettere familiari, a cura di A. Greco, III, Firenze 1961, p. 81). A Roma nel 1562 pubblica presso Paolo Manuzio, con la spesa di 38 scudi, il Ptolemaei liber de analemmate instauratus et commentariis illustratus, vera opera di restauro, condotta, in mancanza dell'originale greco, sulla base del codice donatogli dal Cervini, così come scrive nella dedica a Ranuccio Farnese. Al De analemmate il C., sensibile ad uno del temi più discussi in vista della riforma del calendario, aggiunge il suo Liber de horologiorum descriprione, nel quale, in contrasto alle tesi del Maurolico sugli gnomoni, descrive i vari tipi di orologi (verticali, equinoziali, astronomici, ecc.), tenendo sempre presente però l'orizzonte di Roma, cioè il 42° grado.

Nel 1563 il C. torna ad Urbino, dove riceve la visita del matematico inglese John Dee, il quale gli consegna un manoscritto da lui copiato, il De superficierum divisionibus di Machometus Bagdedinus (l'attuale Ambr, P. 236 sup., che reca anche glosse del C.) al fine di poterlo pubblicare. Nel 1565 segue il cardinale Ranuccio a Bologna: lì pubblica il De iis quae in aqua vehuntur di Archimede (ex off. Alex. Benacii, 1565; rist., 1569), edizione davvero eccellente rispetto a quelle veneziane del 1543 e 1565 del Tartaglia, in quanto, nonostante egli sia in possesso di un codice "corruptus et mancus" (èla traduzione latina di Moerbeke donatogli dal Cervini), riesce ad emendare il testo, convinto dell'importanza di Archimede (il matematico che non studia Archimede - egli sostiene - non è un vero matematico) e dell'utilità della matematica troppo spesso trascurata a vantaggio della filosofia. Ancora nel 1565 il C. pubblica, con qualche ritardo perché attendeva l'opera del Maurolico sullo stesso argomento, il suo Liber de centro gravitatis solidorum (Bononiae, ex off. Alex. Benacii) con dedica al cardinale Alessandro Farnese: nel tentativo di applicare ai solidi i metodi usati da Archimede per le figure piane, il C. elabora il concetto di gravità come "punctus aequaliurn momentorum", che sarà ripreso dal suo discepolo Guidobaldo Dal Monte e poi criticato da Galileo. Con la morte del cardinale Ranuccio (ottobre 1565) il C. torna ad Urbino sotto la protezione del duca Guidobaldo II: a lui dedica la traduzione dal greco degli Apollonii conicorum libri quattuor una cum Pappi Alex. lemmatibus et commentariis Eutocii Ascal. ... (Bononiae, ex off. Alex. Benatii, 1566) insieme con Sereni Antinsensis libri duo dedicati a Francesco Maria, figlio di Guidobaldo, di cui era precettore (il codice utilizzato per la stampa, con correzioni autografe del C. è l'Ambr. A. 230 inf.).

Il C. sarebbe anche l'inventore del compasso polimetrico: infatti nel 1568 l'anatomista Bartolomeo Eustachio, legato al circolo di Fulvio Orsini, chiede al C., a quanto risulta dalla testimonianza di Muzio Oddi, di costruire tale compasso, che sarà poi alla base di quello geometrico e militare, su cui si accese la polemica tra il Galilei e il Capra. Ad Urbino il C. mantiene i contatti con diversi matematici e medici, tra i quali Giambattista Teofilo, traduttore di Teone (rimangono due lettere autografe del C. a Teofilo: Parigi, Bibl. nat., ms. Paris. lat. 7263), impartisce lezioni al figlio del duca e ai suoi discepoli, come il Dal Monte e il Baldi, e soprattutto continua il suo attento lavoro di edizione di testi.

Nel 1570 pubblica a Pesaro il De superficierum divisionibus liber Machometo Bagdedino ascriptus (apud Hier. Concordiam), l'opera consegnatagli alcuni anni prima dal Dee, che la riteneva di Euclide. In quell'anno viene pubblicata la traduzione italiana Libro del modo di dividere le superficie eseguita da Fulvio Viani de' Malatesti, con dedica al futuro duca Francesco Maria II, che andava sempre più assumendo il ruolo di mecenate della cosiddetta "scuola matematica di Urbino". Nel 1572, sumandato del duca, il C. pubblica gli Euclidis Elementorum libri XV una cum scholiis antiquis commentariisque illustrati (Pisauri, apud Camillum Francischinum), traduzione dal greco con relativo commento che segna una svolta per la diffusione delle dottrine euclidee: pur dolendosi delle pessime condizioni in cui versa la matematica, il C. individua proprio attraverso l'interesse per Euclide, "geometrarum omnium facile princeps", finalmente "restaurato" e corredato di adeguate figure, il segno di una ripresa; nei Prolegomena ad Euclide egli ripercorre, inoltre, la storia della matematica e utilizza il commento di Proclo per distinguere l'Euclide matematico dall'omonimo filosofo di Megara. Ancora a Pesaro nel 1572 pubblica la traduzione di un "libellum aureum ac vetustissimum", cioè l'Aristarchi de magnitudinibus et distantiis solis et lunae liber cum Pappi Alex. explicationibus, con dedica ad Alderano Cibo Malaspina marchese di Carrara. Mentre il Clavius pubblicava a Roma un'altra versione latina di Euclide, il C. si accingeva alla versione italiana, con la collaborazione di alcuni suoi discepoli che, come il Baldi, si occupavano in particolar modo dei diagrammi. Il C., anzi, ottenne dal duca il permesso di allestire la tipografia in casa sua, tanto che il 13 nov. 1574 stipulò un contratto con Melchiorre Silvestri da Fermignano e maestro Pietro Bramante per una fornitura di carta "pro usu stampae". In questo periodo il C. lavorava sulla traduzione di Pappo e di Erone ed aveva anche interizione, a quanto racconta il Baldi, di stampare la Practica Geometriae di Fibonacci (forse sulla base dell'attuale ms. Urb. lat. 292 della Bibl. Ap. Vat.) e la Summa diLuca Pacioli, ma non riuscì a portare a termine questi progetti.

Morì nella città natale il 3 settembre del 1575.

Nel 1575 usciva postuma, a cura del genero Valerio Spaccioli, la traduzione italiana Degli Elementi di Euclide (Urbino, appresso Dom. Frisolino; il colophon precisa "in casa di Federico Commandino"), anch'essa dedicata a Francesco Maria II. Ancora nel 1575 loSpaccioli curava la versione dal greco di Heronis Alex. Spiritalium liber, dedicandolo al cardinale Giulio Della Rovere, opera questa ricca di figure e di istruzioni per costruire oggetti vari (sifoni, vasi, lucerne) strumenti idraulici ed organi (altra edizione Parisiis 1589). L'eredità della tipografia passò alle figlie del C., Olimpia sposata con lo Spaccioli e Lorrena con Girolamo Santucci: infatti il Tartarino il 31gen. 1585 prese in affitto la tipografia per tre anni. Ma le figlie conservarono anche i diritti sulle opere del padre, tanto che Francesco Maria dovette ottenere il loro consenso per pubblicare la versione di Pappo, che era però priva del libri I e II. II duca inviò anzi il manoscritto del C. a Francesco Barozzi, che in quegli anni cercava presso il Clavius un testo completo di Pappo; fu poi Guidobaldo Dal Monte, il quale tra l'altro fin dal 1580 chiedeva al Contarini un codice di Pappo, a curare materialmente l'edizione di Pappi Alex. Mathematicae Collectiones (Pisauri, apud Hier. Concordiam, 1588, con dedica dello Spaccioli a Francesco Maria), come confermano le glosse di Dal Monte al manoscritto della Bibl. nat. di Parigi, Nouv. acq. lat. 1144, autografo del C., che contiene il libro III di Pappo. Una seconda ediz. fu pubblicata a Venezia nel 1589, mentre un'altra a Bologna nel 1660 da parte di Carlo Manolessius.

Tranne Apollonio (Pistorii 1696) ed Euclide (Londini 1620 e Pesaro 1619 in italiano), le opere del C. non ebbero grande diffusione nel sec. XVII, perché soppiantate dalla matematica e dalla fisica galileiana, a cui però avevano ampiamente aperto la strada con la riscoperta di testi e la proposta di nuove teorie.

Bibl.:B. Baldi, Cronica de matematici…, Urbino 1707, pp. 137-138; Id., Vita Federici Commandini, in Giornale de' letterati d'Italia, XIX (1714), pp. 140-185, e poi in Versi e prose di B. Baldi, Firenze 1859, pp. 513-537; C. Grossi, Degli uomini ill. di Urbino Commentario, Urbino 1819, pp. 53-57; G. Mamiani, Elogi stor. di F. C. ..., Pesaro 1828; M. Cantor, Vorlesungen über Gesch. der Mathematik, IV, Leipzig-Berlin 1924, pp. 581-583; F. Barberi, Paolo Manuzio e la stamperia del popolo romano (1561-1570), Roma 1942, pp. 118-119; A. P. Treweek, Pappus of Alexandria. The Manuscript Tradition of the Collectic Mathematica, in Scriptorium, XI (1957), pp. 228-233; N. W Gilbert, Renaissance Concepts of Method, New York-London 1963, pp. 34, 82, 89; M. Clagett, Archimedes in the Middle Ages, I, Madison 1964, p. 13; Id., Archimedes in the Late Middle Ages, in Perspectives in the Hist. of Science and Technol., a cura di D. H. D. Roller, Norman. Okla. 1971, pp. 253-256; Id., The Works of Francesco Maurolico, in Physis, XVI (1974), p. 164; L. Moranti, L'arte tipografica in Urbino, Firenze 1967, pp. 11-14, 190-191; P.L. Rose, The Origins of the proportional Compass from Mordente to Galileo, in Physis, X (1968), pp. 53-69; Id, Plusieurs manuscrits autographes de F.C. à la Bibl. nat. de Paris, in Revue d'Hist. des Sciences, XXIV (1971), pp. 299-307; Id., C., John Dee and the De Superficierum Divisionibus of Machometus Badgedinus, in Isis, LXIII (1972), pp. 88-93; Id., Letters illustrating the Career of F. C. (1509-75), in Physis, XV (1973), pp. 401-410; Id., The Italian Renaissance of Mathematics, Genève 1975, ad Indicem; E. Rosen, The Invention of the Reduction Compass, in Physis, X (1968), pp. 306-308; Id., John Dee and C., in Scripta mathematica, XXVIII (1970), pp. 321-326; Id., F. C., in Dict. of Scientific Biography, III, New-York 1971, pp. 363-365; S. Drake-I. E. Drabkin, Mechanics in Sixteenth-Century Italy, Madison-London 1969, pp. 11, 13, 20, 41-49, 245; G. Crapulli, Mathesis universalis. Genesi di una idea nel XVI sec., Roma 1969, pp. 18-19, 230; P. Galluzzi, Momento. Studi galileiani, Roma 1979, pp. 53, 58-62, 160-163, 206; Enc. Ital., X, pp. 933-934; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 280; II, pp. 177, 213, 553.

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