FEBBRE GIALLA o tifo itterode

Enciclopedia Italiana (1932)

FEBBRE GIALLA o tifo itterode (fr. fièvre jaune; sp. fievre amarilla; ted. Gelbfieber; ingl. yellow fever)

Aldo CASTELLANI
Filippo RHO

Malattia originaria delle coste del golfo del Messico e delle Antille, causata da un virus ultramicroscopico, filtrabile, ancora ignoto.

In quelle regioni fu sempre endemica e di là venne portata per via di mare in altre parti del mondo facendovi scoppiare epidemie (soprattutto nei porti americani) e stabilendo anche focolai permanenti in Brasile, Colombia, Ecuador, ecc. Fin dal sec. XVI un focolaio secondario d'endemicità fu acceso sulle coste occidentali d'Africa nel golfo di Benin, Sierra Leone e Costa d'oro. Quanto all'Europa, ripetute invasioni si ebbero nella Penisola iberica fra il 1770 e il 1821 e l'ultima (1878) toccò anche Madrid. In Italia si ricorda soltanto l'epidemia livornese del 1804 importata da Cadice, descritta da G. Tommasini (2000 casi con 700 decessi). In altri porti il morbo non varcò che eccezionalmente e con pochi casi i confini di qualche nave e di qualche lazzaretto, come a Brest (1856), Saint-Nazaire (1861), Swangea (1864). Negli altri continenti non è mai arrivata. Dopo le scoperte riguardanti la sua eziologia, questo morbo risultò suscettibile di radicali misure profilattiche, riducendosi nei primitivi focolai a pochi casi sporadici; il focolaio africano s'è molto ristretto e del resto non diede mai manifestazioni gravi.

Una commissione nord-americana, nel 1901 a Cuba, dimostrò: 1. che la febbre gialla può essere inoculata a persone sane ma non immuni, mercé iniezione sottocutanea di sangue infetto; 2. che non è contagiosa; 3. che è propagata dalle punture d'una zanzara domestica, la Stegomyia calopus (Aedes Aegypti). Ulteriori ricerche accertarono che il sangue dei pazienti è infettante solo nei primi 3-4 giorni di malattia, ma che la Stegomyia calopus, cibatasi di sangue infetto, solo dopo almeno 14 giorni diventa a sua volta infettante e rimane tale fino alla morte (2-3 mesi) potendo anche trasmettere i germi alla sua prole, la quale deve però aver succhiato sangue per diventare anch'essa infettante.

Da recenti studî sperimentali risulta che certe scimmie, come i macachi, sono ricettive e principalmente l'asiatico Macacus rhesus. Il virus si mantiene in vita e attivo nel fegato congelato di scimmie morte di febbre gialla. Infezioni di laboratorio si verificarono in investigatori che lavoravano su questo materiale ed è risultata la possibilità che la trasmissione avvenga anche attraverso la pelle intatta.

Dopo un'incubazione di 3-6 giorni, la febbre gialla scoppia per lo più senza prodromi e nei casi tipici compie il suo breve corso febbrile attraverso due parossismi, separati da una remissione o intermissione. Il primo stadio comincia con sensazione di freddo, oppure con forte brivido, cefalea, dolore ai lombi e alle estremità. Il volto si fa congesto, gli occhi iniettati, lucenti. La temperatura raggiunge 40° e più, con polso a 100-120. Inappetenza, vomiti, dolore all'epigastrio, costipazione, indicano che l'apparato digerente è subito compromesso; lo stesso si dica dei reni, essendo l'albuminuria già presente al 1°, 2° giorno. Verso il 3° o 4° giorno, la febbre scende o cessa, ogni sintomo pare dileguarsi e nei casi lievi s'inizia la convalescenza. Per solito però, dopo poche ore, la febbre si riaccende e sale magari a 40° o più senza corrispondente acceleramento del polso, che nei casi più gravi scende a 70-60 battiti. Nei casi tipici la curva febbrile assume quindi una caratteristica forma a sella; col rialzo febbrile nel secondo stadio tutti gli altri sintomi riprendono anche con maggiore intensitb, mentre il rossore è sostituito da un ittero con speciale tinta fosca; la lingua è arida, screpolata e il vomito può diventar nero; la nefropatia degenerativa è ormai grave e produce talora completa cessazione della secrezione urinaria. Grande è la prostrazione dell'infermo, oppure esso è agitato e delirante. Da questo grave stato egli può uscire dopo 3-4 giorni per favorevole crisi; ma viceversa può peggiorare ancora con crescenti sintomi d'adinamia fino al coma e alla morte. A prescindere dalle forme fulminanti e dalle abortive il decorso può essere vario per intensità di sintomi e durata (da 4 a 14 giorni). Secondo il prevalere di certi gruppi sintomatici, la casistica descrive forme acoliche, anuriche, emorragiche, cardioasteniche, atassiche. Quest'ultima forma è più frequente negli alcoolisti, nei nevropatici e nei bambini. Per i bimbi la diagnosi è difficile perché convulsioni, delirio, insonnia, sono sintomi comuni ad altri morbi, mentre mancano quelli più spiccati che la rendono possibile negli adulti; in compenso sono frequenti i casi benigni, leggieri o abortivi, che passano per lo più come infezioni gastrointestinali, ma che lasciano una certa immunità.

Le alterazioni anatomiche rivestono carattere più degenerativo che infiammatorio; esse interessano specialmente gli endotelî dei capillari delle mucose (causa della gastrite emorragica - vomito nero - e d'altre emorragie) e i parenchimi del fegato e dei reni, per cui si stabilisce un'epatonefrosi acuta. Infatti di regola si trova all'autopsia una pronunciata steatosi del fegato, che assume il colore di foglia morta o di pelle di camoscio; questa degenerazione grassa nella massima parte delle cellule è però limitata al protoplasma, mentre il loro nucleo apparisce integro, onde è possibile la rigenerazione del tessuto; il che spiega nei casi di guarigione il rapido ristabilimento e l'ordinaria mancanza di sequele ed esiti morbosi tardivi. Analoghe alterazioni cellulari si trovano nei reni, che spiegano la precoce e grave albuminuria e la possibile anuria. Fatto più caratteristico, oltre alla grave degenerazione parenchimale, è in molti casi la presenza di cilindri calcarei nei tuboli renali; peculiarità che non si riscontra in altre malattie, salvo che negli avvelenamenti mercuriali e in quelli da tetracloruro di carbonio. La mortalità varia molto secondo le epidemie e secondo la provenienza o meno dai paesi dove la malattia è endemica. Quelli del luogo sono meno suscettibili all'infezione e presentano forme più lievi. La mortalità media è di 25-30%, ma può salire fino al 70-90%. Chi supera l'attacco rimane per molti anni immunizzato e l'immunità assoluta o relativa acquistano di solito gl'indigeni per forme generalmente lievi nell'età infantile.

La cura, prima puramente sintomatica, può essere oggi anche specifica, essendo alcuni batteriologi riusciti a preparare dei sieri curativi e preventivi efficaci. La profilassi si basa sull'isolamento degl'infermi e sull'eliminazione o chiusura ermetica d'ogni raccolta d'acqua (anche piccolissime come scatole di conserve, noci di cocco, pozzanghere, ecc.), per impedire la riproduzione delle zanzare casalinghe, quali sono le Stegomie.

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