Favola

Il Libro dell'Anno 2001

Franco Cambi

Favola

C'era una volta… e c'è ancora, il libro per ragazzi

Scrivere per i ragazzi oggi

di Franco Cambi

16 febbraio

Esce in libreria l'attesissima traduzione italiana di Harry Potter e il calice di fuoco, il quarto episodio delle avventure del piccolo mago creato da Joanne Kathleen Rowling. Il travolgente successo ottenuto in tutto il mondo dai romanzi della scrittrice inglese conferma decisamente la vitalità del mercato del libro per ragazzi, nonostante la diffusione di forme di intrattenimento alternativo, come la televisione o i videogiochi.

Il ragazzo-lettore attuale

Il mondo che ci circonda è, diceva Jean Baudrillard, un mondo di simulacri: la realtà è stata doppiata dalle immagini, da figure che 'tengono il posto' delle cose. Il cinema, la televisione, la pubblicità tramano il nostro immaginario e il nostro fare esperienza. Anche l'attività intellettuale si è visualizzata, viene costretta in uno schermo, è irretita nelle videoscritture, con il computer, con Internet. Tutto ciò - va subito sottolineato - rappresenta anche una conquista: di una comunicazione allargata, di una democratizzazione dei saperi, di una cultura che 'va verso la massa'. Ma, nel contempo, conduce anche al trionfo di quell'homo videns che - come ricordava Neil Postman e, più di recente, anche Giovanni Sartori - elementarizza, schematizza, tende a linearizzare le stesse procedure del pensiero, perdendone costruzioni sintattiche elaborate (che sono poi modi complessi per capire e dire il mondo, colto proprio nella sua complessità), capacità di ideazione (immaginativa), tensioni rielaborative personali. La civiltà delle immagini veicola un modello di pensiero (e di immaginario) più povero e più omologato, anche se rafforza e diffonde, come già detto, la comunicazione.

In questo mondo 'visivo', dove va la lettura? L'attività tradizionale di questa, fatta di isolamento, concentrazione, dialogo diretto tra testo e lettore, ma anche di partecipazione del soggetto all'integrazione del testo (con l'immaginario) e alla ricerca dei suoi significati, nonostante sia necessaria proprio per i caratteri intellettuali complessi che, al tempo stesso, ingloba, provoca e reclama, appare tendenzialmente spiazzata. Non è un caso, infatti, che i lettori - almeno in Italia, che si trova in una situazione particolare, a livello europeo e occidentale, per quanto riguarda la diffusione della lettura e del libro - diminuiscano, e proprio in contemporanea con una quasi completa (nella popolazione più giovane) alfabetizzazione di massa. Che ciò accada non sorprende: l'homo videns lascia in ombra, delegittima l'homo legens. Le conseguenze di questo fenomeno devono inquietarci: che ne è di quella capacità di 'interpretare' la realtà, riflessivamente e in modo interiorizzato, che la lettura valorizzava e valorizza, postula e produce come habitus? Tende a indebolirsi. Fin quasi a scomparire? Oggi no. Ma domani? Così il problema della lettura si impone come 'problema d'epoca', che va ben analizzato, ben valutato e accompagnato da 'diagnosi' e 'terapie' non casuali, ma strategiche, e che partano da lontano, ovvero dall'infanzia e dall'adolescenza, poiché è in quelle età che si crea un'abitudine a leggere, a dialogare con il libro, a incontrarlo come uno specchio virtuale di sé e del mondo, a imparare il 'piacere di leggere'.

Il problema della lettura (e della letteratura) infantile è antico. Nasce almeno con l'affermarsi della 'scoperta dell'infanzia' (Philippe Ariès) e con il suo, parallelo, 'disciplinamento' morale. Proprio il Settecento dette corpo, infatti, alla letteratura per l'infanzia, ponendone al centro però l'aspetto di 'racconto morale' (si pensi al padre Francesco Soave, per restare in Italia). È stato però il Novecento a porre in luce il rapporto complesso tra il bambino e il libro, a dar corpo a una ricchissima tipologia di testi per l'infanzia, a riflettere in modo costante e sottile su 'il bambino e la lettura'. Oggi tale problema si è fatto di nuovo attuale e decisivo. Come portare il bambino al 'piacere di leggere', a riconoscerlo e a praticarlo? E perché? Il perché è chiaro: solo attraverso la lettura, la sua pratica interiorizzata e costante, si costruisce quell'identità riflessiva del soggetto, quel suo rapporto più critico con la realtà (vista anche secondo l'ottica dell'immaginario e del virtuale) che è necessario tenere in vita, per non perdere la 'forma' del soggetto moderno (individuo-persona, coscienza critica, interiorità formata e autonoma), con la quale può scomparire una delle più grandi (e delle più fragili) conquiste della storia, come riconosceva Theodor Wiesengrund Adorno. Il come invece è più complesso. Su questo fronte sono chiamate a raccolta la famiglia, la scuola, la stessa società civile. Solo la famiglia può creare un habitus alla lettura, se in famiglia appunto la si pratica e la si valorizza, di essa si parla e la si fa entrare nel circuito del vissuto. Alla scuola spetta il ruolo di formare alla lettura e ai suoi diversi generi, di insegnare ad affrontare i molteplici tipi di testi e a praticare sistematicamente la lettura. Quanto alla società civile, più in basso, cioè nella pratica, sono le associazioni che possono creare occasioni per leggere (gare, tornei, premi) e, più in alto, è l'editoria che deve farsi carico della stimolazione alla lettura con la produzione di testi tipologicamente articolati, di varia complessità e profondità, comunque suggestivi e invitanti. Tutte cose che si stanno facendo: l'editoria infantile è in espansione e, come si dice in gergo giornalistico, 'tira'. I ragazzi in Italia sono, tra l'altro, il gruppo di più forti lettori. Il problema è, se mai, la costruzione di un habitus, che è ancora troppo debole.

Il lavoro da fare su più fronti deve muovere, però, dall'individuazione del 'bisogno' su cui la letteratura si innesta, cresce e si espande. Fissare questo aspetto è importante per gli educatori (genitori, insegnanti, animatori) ma anche, anzi soprattutto, per i produttori, ovvero per gli editori. Attraverso la lettura si compie una triplice esperienza: si fantastica e si evade; si prende coscienza del sé e lo si elabora; si entra nell'esperienza virtuale e quindi nei mondi possibili. Sono tre esperienze-chiave, soprattutto in età evolutiva. Sulla prima ha richiamato l'attenzione con sagacia e costanza Gianni Rodari, il quale assegnava alla fantasia un ruolo irrinunciabile nella formazione della mente e di una mente autonoma e critica. La fantasia porta verso il virtuale, possibile o impossibile che sia; nutre una frontiera della mente che attraverso l'immaginazione si collega al possibile e all'utopico; fa evadere dalla 'sola' realtà immediata e allena a pensarne anche un'altra. La seconda esperienza è poi decisiva: l'io, il puro soggetto potenziale, si fa sé, si dà un'identità, in quanto si nutre dell''oggettività', come esperienza del mondo e come cultura che legge il mondo. Il libro è, così, il veicolo-principe per la costruzione del sé, poiché lì non solo si elaborano significati di esperienze, ma le si offrono, per così dire, al 'circuito interiore dell'io'. Quanto al terzo aspetto, esso ha un duplice volto: come presa di coscienza di altri mondi, di altre esperienze, rispetto a quella propria e vissuta del soggetto, e come potenziamento di un'ottica di ulteriorità, possibilità, alterità rispetto all'esistente.

Alla lettura, quindi, è collegata la soddisfazione di un bisogno fondamentale del soggetto, e del soggetto moderno in particolare, il quale - come accadeva a Montaigne, soggetto emblematico del Moderno - si fa 'anche' attraverso il dialogo con la lettura; si definisce, si sceglie, si conosce attraverso di essa; questa produce quello 'spazio di interiorità' che non è né vuoto né abitato da fantasmi, bensì da idee, da modelli, da esperienze (pur se virtuali). Ma l'abitudine alla lettura non cresce solo dalle motivazioni del soggetto (e dalla loro coltivazione), bensì pure dalle qualità di scrittura del testo, che possono renderlo avvincente o no, ma anche formativo o no, in quanto capace (o no) di incidere sulla soggettività del lettore.

Così il problema della lettura rimanda a quello della scrittura. Come si scrive oggi per i ragazzi? Come si dovrebbe scrivere? Partendo dal lettore, cioè dal ragazzo. Ma 'agganciandone' insieme i caratteri congiunturali (di identità attuale) e i bisogni profondi dell'io/sé infantile e giovanile a cui la lettura deve rispondere o che deve sollecitare. Il racconto deve irretire ed essere folgorante, deve spiazzare e avvolgere, deve 'iniziare' a una presa di coscienza, ma dentro l'intreccio narrativo. Il suo obiettivo è, potremmo dire con Mario Luzi, costruire "un albero intimo che cresce con l'uomo". La metafora è illuminante: sottolinea la crescita che viene determinata dalla lettura, la sua portata e/o struttura polimorfa, il suo collocarsi nell'interiorità del soggetto e lì produrre quel 'più che vita' che Georg Simmel riconosceva come proprio della 'vita spirituale', di cui la lettura produce - anche nel tempo dell'homo videns - la chiave. A tale scopo deve tendere la scrittura, come a proprio obiettivo-massimo. Questo non significa che non ci siano, anche per i ragazzi, diversi tipi di scrittura, da quella informativa a quella del 'passatempo' (tipo fumetti), a quella didascalica, ma, alla fine, tutte queste scritture hanno come loro (o oltre loro) punto di fuga la lettura come esperienza intima di sé e del mondo, a cui lo 'scrivere per i ragazzi' deve costantemente guardare. E lo deve fare - in particolare - proprio oggi: in quel tempo che tende a lasciare in ombra l'interiorità e l''educazione interiore', a risolvere l'apprendimento in competenze, a interpretare il reale attraverso quei media che ce lo rimandano, implacabilmente, 'a una dimensione' e codificato dai soli mezzi della tecnica. Allora 'scrivere per i ragazzi' si fa un compito urgente e primario, in quanto alla scrittura e poi alla lettura viene consegnato qualcosa di altamente significativo per la civiltà, verrebbe da dire in modo un po' pomposo: l'attivazione di quel sé interiore che produce, o quanto meno può produrre, la coscienza del virtuale, dell'ulteriore e del divergente e l'introiezione vissuta di questo orizzonte possibile.

Certo la sfida è alta, ma l'editoria - anche quella italiana - vi ha risposto e sta rispondendo, come prova la qualità dei 'prodotti' esposti negli ultimi anni alle Fiere del libro per ragazzi di Bologna, di cui la stessa stampa e i vari esperti sottolineano la ricchezza di proposte, il sofisticato spessore degli approcci letterari, la creatività delle soluzioni.

La forma della scrittura

Come scrivere, allora, per i ragazzi di oggi? Sono ormai oltrepassate le proposte innovative, e che sembrarono rivoluzionariamente decisive, di alcuni anni fa, tipo il libro-game, nel quale l'intervento del lettore era costantemente stimolato, per dare un corpo ludico - partecipativo, attivo, creativo - alla lettura; sono proposte che hanno fatto il loro tempo e che, forse, nascevano da un equivoco relativo alla lettura dei ragazzi. Questa non vuole essere operativa ma fantastica: vuole che si accenda un processo ideale di immedesimazione e di partecipazione passiva, proprio per essere interiormente attiva. Così oggi vediamo intenzionalmente delinearsi un ritorno alla scrittura più tradizionale nel libro per ragazzi, intorno ai cui 'ingredienti' dobbiamo meglio soffermarci, prima di affrontare anche il problema della forma che tale scrittura deve assumere (o dovrebbe o può assumere). Ma - in via preliminare - diamo qualche segnale di questo 'ritorno all'ordine' (per così dire, ma è espressione inesatta) della narrativa per l'infanzia. Un solo esempio, ma rivelativo. La saga di Harry Potter scritta da Joanne Kathleen Rowling è ormai al suo quarto volume, che ha avuto in brevissimo tempo un successo mondiale, con traduzioni in 35 paesi e vendite da best-seller. Cosa c'è al centro di tanto successo? L'incrocio di temi realistici e fantastici, organizzati sul canovaccio dell'avventura e costruiti secondo un ritmo incalzante, carico di riferimenti alle esperienze comuni dei bambini (famiglia e scuola), ma qui rese estraniate (la famiglia di maghi e la scuola dei maghi), e secondo una scrittura media, ma veloce ed efficace. Certamente la qualità estetica e letteraria, ma anche quella formativa e pedagogica, di tali testi appare assai modesta, forse inesistente. Ma resta il congegno immaginario che essi attivano, che ha colto con buona precisione l'orizzonte attuale (e non solo) della mente infantile. In Harry Potter e la pietra filosofale, per es., lo 'strano' e il 'segreto' si legano al narrativo tradizionale, con echi del mondo fiabico, creando un mélange assai significativo, se pur realizzato in maniera letterariamente sommaria e commerciale. Pur tuttavia il segnale è decisivo: si vuole una narrativa che ai grandi temi dell'inconscio infantile, anche del fiabico classico, congiunga i ritmi del presente, dell'esperienza attuale di vita, con i suoi lessici, le sue tensioni interpersonali, i suoi 'tecnicismi', qui ribaltati addirittura nel magico. Gli ingredienti-chiave della scrittura per i ragazzi sono ancora quelli che il processo di maturazione della letteratura per l'infanzia, nel suo sviluppo moderno - tra Ottocento e Novecento, superato il predominio della 'musa pedagogica', intrisa di moralismo e di precettismo, di familismo e di conservatorismo sociale, e intrapreso il complesso viaggio nell'immaginario e nell'animus infantili, che ha dato luogo a una lunga serie di capolavori irripetibili, da Andersen a Collodi, da Carroll a Twain ecc. -, ha messo esplicitamente in luce: in primo luogo l'avventura, il fantastico e il fiabico; poi il realismo e l'inconscio, che si sono affermati come registri anch'essi centrali nel costruire testi per l'infanzia. Da questa esperienza di scrittura emergono regole a tutt'oggi valide, che i bisogni del giovane lettore contemporaneo ancora reclamano come 'regole auree'.

L'avventura rappresenta già il modo di guardare da parte dei ragazzi al mondo, alla realtà, che è un universo complesso, nel quale si aprono percorsi di esperienza infiniti, che affascina e impaurisce a un tempo, ma che è - insieme - la condizione del farsi-adulto del ragazzo. Attraversare questo mondo, immergersi in esso è il postulato del fare-esperienza da parte del bambino, che quel mondo vuole possedere, comprendere, fare proprio, anche se, nel suo miscuglio di 'bene' e di 'male', lo impaurisce e lo spiazza. L'avventura come viaggio verso ..., che coinvolge l'ignoto, il pericolo e la sfida, la conquista e la prova, è il modo stesso in cui il ragazzo guarda al mondo e che la narrazione deve tenere fermo nel proprio dispositivo regolativo. Tale dispositivo è infatti centrale nella scrittura attuale per i ragazzi, come insegna ancora Harry Potter, ma come dimostrano pure i testi di Bianca Pitzorno, di Marcello Argilli ecc.

Poi c'è il fantastico: ci sono i diritti della fantasia, la capacità di oltrepassare il reale e di 'abitare' (almeno sulla carta) il virtuale, il possibile e, perché no?, anche l'impossibile. La dimensione del fantastico, così legata all'esercizio della fantasia, a sua volta profondamente connaturata alla mente infantile, deve trovare spazio in tali narrazioni; anzi, deve rappresentarne l'ingrediente principale, se pure non esclusivo. Nel fantastico il ragazzo arricchisce la propria esperienza, la integra con ciò che sta oltre e contro di essa, tocca la tensione del virtuale e, insieme, costituisce un processo di liberazione. Che poi il fantastico si disponga secondo i topoi romantici o secondo quelli fantascientifici o fiabici poco importa. L'importante è 'coltivare' attraverso la scrittura l'habitus del fantastico, del possibile-impossibile, del pensare-oltre/contro, come sottolineava appunto Rodari per la fantasia, che è la facoltà del fantastico.

La fiaba stessa, come deposito del folklore e come visione elementare del mondo, gestisce una forma di fantastico, di un fantastico arcaico certamente, ma che nella mente infantile - egocentrica, magica, animistica, come ha sottolineato Jean Piaget (e si pensi, in particolare, al suo La rappresentazione del mondo nel bambino) - resta attuale e viene superato con lentezza, in modo da essere ancora attivo, sia pure in modo depotenziato, proprio nella preadolescenza. La fiaba, allora, anche per i suoi elementi fantastici (oltre che per il suo canovaccio narrativo, che pure è importante), risulta come un ingrediente cruciale del testo per ragazzi, richiamata in modo ora più esplicito, ora più mediato. Si pensi a Saint-Exupéry, ma anche a Tolkien e al suo Signore degli anelli, per cogliere il contatto ora più diretto ora più indiretto con la fiaba.

Quanto al realismo, è anch'esso un fattore essenziale di tale scrittura poiché il ragazzo, attraverso il libro, vuole sentire parlare di sé e del suo mondo - sebbene desideri poi procedere verso l'altrove dell'avventura e del fantastico - anche mediante il fiabico. Tale realismo, in vari modi, è presente nei libri per l'infanzia, dai più grandi ai più 'di consumo'. C'è, potentissimo, in Pinocchio, pur nelle metafore complesse che articolano la narrazione: è il realismo del 'ragazzo di strada', di cui Pinocchio è una variante, ed è un realismo sociale, con i carabinieri, i giudici, i medici, i genitori (qui il padre-come-madre) e poi la scuola e i libri. Il realismo è presente perfino in Alice come preambolo dell'avventura e come sua conclusione. C'è nel Piccolo principe nella condizione del deserto e nella figura (paterno-amicale) dell'aviatore. Ma l'altro grande 'bacino' che alimenta, deve alimentare, lo scrivere-per-i-ragazzi è proprio l'inconscio infantile/puberale; ci si richiama alle ansie del bambino e alle sue paure, ma anche ai suoi bisogni e alle sue attese. I grandi testi per l'infanzia sono permeati di questo elemento, sia della paura dell'abbandono e della morte (in Pinocchio), sia del bisogno di 'entrare in un altro mondo' (in Alice), sia di quello di afferrare il senso del proprio esistere (Il piccolo principe) e riconoscerlo nell'amicizia, che prelude all'amore. Sono tutti elementi cruciali del mondo interiore dei ragazzi, che la letteratura scritta per loro fa emergere, dando a essi voce e imponendoli alla 'presa di coscienza', sia pure intuitiva e, spesso, subliminale, ma così risvegliata.

Ora la letteratura contemporanea ha, nei suoi esiti migliori e meno mercantili, fatto tesoro di questi 'ingredienti', li ha accolti, miscelati, annodati insieme, potenziando la propria capacità espressiva e formativa. Due esempi: Gli antenati di Calvino, che sono sì scritti per gli adulti, ma si attivano su un immaginario giovanile (o, addirittura, postinfantile) che si nutre, a un tempo, di avventura e di fantastico, di fiabico e di realismo, di forti elementi inconsci (di fuga; di essere inesistente, tipica fantasticheria infantile; di regressione, facendosi 'rampante' come il barone; di libertà); Ciao Andrea di Argilli, che muove dal tessuto realistico, ma per toccare corde ben più essenziali e profonde: il rapporto - carico di tensioni inconsce - fra adulto e ragazzo (genitore e figlio, insegnante e allievo ecc.), il bisogno di fuga e di libertà, l'essere 'altro' (nel proprio in-sé) del bambino/ragazzo. E potremmo continuare, con Marcovaldo di Calvino, con L'isola di Arturo di Elsa Morante, con testi della Pitzorno, o di Susanna Tamaro, come pure di altri autori 'di qualità', da Furio Jesi della Casa incantata a Christine Nöstlinger, a Michael Ende, a Roald Dahl, a molti altri.

L'importante è miscelare questi ingredienti in un tracciato autenticamente narrativo, cioè che attivi un esercizio di costruzione di significati attraverso il dipanarsi degli eventi e che, quindi, consegni al lettore un 'esito' e un 'percorso' insieme: esito che non deve essere necessariamente un messaggio, tanto meno un insegnamento, quanto piuttosto un'illuminazione sul fare esperienza o sull'esperienza stessa, che incide sul soggetto, si deposita nel suo circuito interiore (anche a livelli più o meno consci) e lì agisce e continua ad agire. Ciò che conta della lettura non è la quantità, ma la qualità, e tale qualità è costituita anche e in particolare dall'evocazione, dalla capacità di depositarsi - evocativamente - dentro il soggetto, entrando a far parte delle sue esperienze. Quanto al percorso, è necessario che la narrazione si dipani inglobando, sì, i vari registri già ricordati, ma affidandosi a un iter ora più lento ora più rapido, che includa punti di avvio e punti di arrivo, passando attraverso sospensioni e integrazioni, deviazioni e rotture, mimando il processo stesso del fare esperienza. Ma è ciò che la narrativa fa sempre, sia quando narra agli adulti, sia quando parla ai minori, anche se in questo caso deve farlo tenendo fede a un processo che si costruisce in una sua linearità (pur con fratture ecc.) e che guarda a un approdo. Per l'adulto questo iter è meno necessario, può risultare anche sospeso (si pensi alla Recherche di Proust o all'Ulisse di Joyce), mentre per il ragazzo funge da supporto costante e ha bisogno di essere, pur nelle variazioni, riconfermato.

Tutto ciò non significa dare ricette agli scrittori per i ragazzi, tutt'altro. Vale un po' come radiografia del loro operari, dal quale è possibile ricavare una serie di memento per l'attività di scrittura e di lettura, un modello ideale (ma flessibile) di scrittura che può certo avere anche una valenza regolativa, ma ne ha soprattutto una interpretativa, attenta a tenere fisso al nostro sguardo (di lettori, di autori, di critici) il congegno complesso sul quale si edifica la letteratura per ragazzi.

C'è poi il problema della forma, dello stile letterario. Certamente esso appartiene allo scrittore, alla sua personalità culturale, letteraria e comunicativa. Comunque, forse, alcune 'regole' di massima si possono indicare guardando ai 'grandi testi', ma anche al successo di alcune delle produzioni attuali. È verosimile che per l'infanzia valgano al massimo grado proprio quei dispositivi di scrittura che Calvino ha, sagacemente, indicato nelle sue Lezioni americane: queste vanno dalla leggerezza alla rapidità, all'esattezza, alla visibilità, alla molteplicità e poi alla consistenza (non sviluppata però) e manifestano bene il 'senso' che Calvino assegnava al testo narrativo e la scrittura che esso implicava. Una scrittura capace di trattenere in sé i principi dell'estro e della velocità aerea del Mercuzio shakespeariano, l'esattezza di un Montale, la complessità di un Borges, l'immaginazione accesa di un Dante, per rendersi psicologicamente attiva e pregnante, prima ancora che esteticamente forte. A qualunque livello di comunicazione ci si collochi è necessario, per stare come scrittori nel nuovo millennio, seguire questi "valori o qualità o specificità della letteratura" che - per Calvino - sono esplicitamente epocali. Riprendendo e parafrasando i richiami calviniani potremmo indicare qui (per la scrittura rivolta ai ragazzi) quelli della velocità, della freschezza, della pregnanza, dell'evidenza, dell'allusività (forse ce ne sono anche altri, ma questi sono sufficienti). La velocità esige una scrittura agile, densa di parlato, con descrizioni essenziali, con linguaggio non 'frondoso' proprio perché non deve sovrapporsi all'esperienza, alla mimesis dell'esperienza produce il testo. La freschezza sta nel tono, nel lessico, nel giro di frase, che deve essere comprensibile e limpida il più possibile, che deve essere percorsa, con l'occhio e con la mente, senza fatica. La pregnanza significa il dar rilievo ai nodi, ai nuclei, ai fattori essenziali, facendo convergere l'attenzione su di essi (siano figure, eventi o situazioni) e conferendo loro - nella costruzione ideativa e linguistica - il maggiore risalto possibile. L'evidenza deve essere di cose, di ambienti, di figure - reali o irreali che siano -, evocate, descritte, mimate con precisione, con tipicità, in modo che restino fisse e forti nella mimesis della narrazione e vi si depositino come segnali, simboli ecc. L'allusività deve permeare la scrittura narrativa qualificandola oltre sé stessa, verso quel mondo di significati che va fatto trasparire, va reso leggibile ma senza caricarlo di troppa evidenza, di troppa luce, di troppa esplicitazione, per non soffocarlo proprio nel suo essere significato narrativo, e farsi invece significato concettuale. Tale esplicitazione non è propria della narrazione per l'infanzia, che non ha parentele con l'intellettualismo, con il barocchismo, con il formalismo (proprio delle avanguardie), ma reclama un andamento, appunto, più mimetico rispetto al fare esperienza, così come esso si dà nel vissuto stesso del ragazzo. Poiché è lì che la scrittura deve agganciarsi e che il testo deve agire, per poi aprire i suoi spazi.

L'articolazione dei generi

La scrittura dei testi potrà e dovrà anche disaggregare il 'congegno' narrativo evidenziato per la letteratura per i ragazzi e produrre specificazioni tipologiche di testi, non solo valorizzando il congegno-base medesimo, bensì anche aggiungendo altri registri, che con esso in parte si intersecano e a esso però - in realtà - si sovrappongono. Il fantastico, l'avventuroso, il fiabico, il realistico possono separarsi e specializzarsi, dando vita a vari generi narrativi. E ciò è accaduto: il racconto fantastico e quello avventuroso (si pensi a Calvino o a Salgari) si sono costruiti in modo specifico, anche per i ragazzi, hanno dato corpo a una loro tradizione di genere, che continua. Nell'uno sono gli equilibri più esasperati del fantastico, chiamando in causa altri mondi, altre dimensioni del reale, altre identità (tipo E.T.) che costituiscono percorsi di storie dove l'eccentrico, il paradosso, l'irreale sono ricorrenti ed eccitano la fantasia. Nell'altro è il dispiegarsi dell'avventura, con i suoi possibili (o impossibili) incontri, in altri luoghi e in altri tempi, verso altre mete, che tiene banco e si sviluppa, sia partendo dal quotidiano, sia uscendo da esso. In altri testi è il realistico a guidare la narrazione, aderendo al 'mondo di casa' e costruendo su di esso l'invenzione narrativa, oppure è il fiabico, il canovaccio tradizionale della fiaba di iniziazione e di magia, a impostare il tessuto del racconto. Sono tutti generi che occupano - anche separati - la ricchissima produzione attuale per l'infanzia e che vogliono coltivare diverse dimensioni percettive e proiezioni di esperienza, andando incontro ai bisogni e alle attese del giovane lettore, ormai aperto sul mondo in tutte le sue forme, anche narrative, anche attraverso il mezzo televisivo che, come ricordava Postman, lo ha adultizzato e proiettato un po' verso tutte le esperienze.

Da questo effetto mimetico del mondo adulto nascono pure le riprese più dirette della narrativa adulta, con i richiami al trasgressivo, all'horror, al sentimentale (che è stato il primo sottogenere quasi-adulto che ha trovato spazio nella narrativa per i ragazzi, anzi in particolare per le ragazze: Piccole donne della Alcott è stato in questo un volume antesignano).

Sul terreno più propriamente infantile, si dispongono invece i testi comici e quelli ludici, testi difficili in cui ironia ed eccentricità sono chiamati in causa, insieme al giocare-con-le-parole, con le immagini, le situazioni. Si pensi a Rodari, alle sue Filastrocche o alle sue Favole e al gusto surrealistico che le anima e al tipo di ricezione che esse reclamano: di un lettore ludico-fantastico che entri nel gioco-con-le-parole ecc., si faccia coinvolgere, ne viva lo spaesamento e poi anche si disponga a riprodurlo in proprio, come si progettava nella Grammatica della fantasia.

La scrittura per i ragazzi nel 20° secolo, e ancor più negli ultimi decenni, si è articolata in modo complesso, per rispondere sì al mercato librario, che ha le sue logiche di tipizzazione, di specializzazione ecc., ma anche per far fronte a un lettore-ragazzo sempre meno ingenuo, sempre più precocemente adultizzato, bisognoso di essere sollecitato sotto molti aspetti al gioco della lettura per assimilare quel piacere di leggere che dovrà accompagnarlo poi come un imprinting. Ciò non significa, però, che il congegno-chiave della scrittura per i ragazzi si discosti da quello molteplice e complesso, polivalente e pluristrutturato, che già i grandi classici per l'infanzia ci hanno mostrato all'opera. Solo che, insieme a quel congegno, oggi esistono (e funzionano) anche le sue parti, i suoi ingredienti separatamente presi come generi e sottogeneri che attraverso un décalage sono passati dal mondo adulto a quello infantile, arricchendo ulteriormente lo spettro della tipologia testuale per i ragazzi. Lo scrivere per i ragazzi oggi deve tenere conto di tutto questo orizzonte plurale e dialettico. Lo deve fare per offrire percorsi differenziati per determinare nelle giovani generazioni - come già abbiamo detto, ma giova ripeterlo - un habitus alla lettura e coltivare nelle loro menti uno spazio di riflessione interiorizzata e di gratificazione privata e solitaria che è, sì, legata alla pratica del leggere, ma che viene anche a creare, nell'io, uno spazio intimo capace di crescere in modo arboreo e di proiettarsi come rete di significati sul dipanarsi stesso dell'esperienza vissuta e reale di ogni soggetto. L'universo narrativo può essere, di quel vissuto, a un tempo lo specchio, la chiave e la serratura, per 'impastarlo' di significati e per imparare, appunto, ad arricchire di senso l'esperienza quotidiana e a disporla verso una quota di riflessività, rendendola sempre più personale.

repertorio

Breve storia della letteratura per l'infanzia

La letteratura per l'infanzia, cioè quella che si rivolge esclusivamente ai bambini e ai ragazzi, è in rapporto con lo svolgimento del pensiero pedagogico; ciò spiega, da un lato, perché essa appaia soltanto nell'età moderna, verso la fine del 17° secolo, con l'affermarsi del concetto della personalità autonoma dell'educando e quindi del fine formativo dell'educazione; e dall'altro perché, pur risentendo delle tendenze letterarie e del gusto peculiari dei tempi e dei paesi in cui si viene svolgendo, abbia un carattere tutto particolare, etico-didascalico, anche quando a trattarla siano non pedagogisti o educatori di professione ma, come nella maggior parte dei casi, scrittori propriamente detti. Infatti, anche se spesso fa largo posto all'immaginazione e all'invenzione, la letteratura per l'infanzia ha per scopo dominante quello di insegnare divertendo. Ciò non toglie, naturalmente, che in alcuni casi, quando lo scrittore sente a sé congeniale il mondo fanciullesco e quindi riesce a sciogliere ogni schema precettistico al calore della fantasia, si abbiano autentiche opere d'arte: ma queste, allora, oltre che della letteratura per l'infanzia, fanno parte della letteratura universale, come mostrano gli esempi di Andersen e di Collodi.

In Italia

Il primo testo da ricordare è Lo cunto de li cunte. Trattenemiento de li peccerille di Giambattista Basile, pubblicato, postumo, nel 1634-36 e conosciuto anche come Il Pentamerone perché elenca 50 favole narrate in cinque giorni da dieci vecchie. La raccolta ispirò i favolisti successivi ed ebbe ampia diffusione nel 19° secolo, in concomitanza con l'affermarsi della cultura romantica e del suo interesse per la favolistica, da una parte, e per la letteratura popolare, dall'altra. Tuttavia una vera e propria letteratura per l'infanzia, come genere a sé, nacque solo sullo scorcio del 18° secolo, in pieno fervore di studi e riforme pedagogiche. A lungo perseguì - per es. nelle opere del padre Francesco Soave, e in quelle di Giuseppe Taverna e di Luigi Alessandro Parravicini, autore del Giannetto (1837) - fini strettamente educativi, cui si aggiunsero, durante il Risorgimento, intenti patriottici e in largo senso sociali. Nella stessa epoca cominciava ad apparire anche la stampa periodica per ragazzi: nel 1834 Il Giovedì, nel 1837 le Letture per i fanciulli in appendice alla Guida dell'educatore di Raffaello Lambruschini, al quale si deve la scoperta del maggiore scrittore di questo periodo, Pietro Thouar, nei cui racconti il fine morale e patriottico si armonizza con un'affettuosa tenerezza per il mondo infantile. Thouar ebbe numerosi seguaci e imitatori (Giulio Tarra, Augusto Alfani, Pietro Fanfani, Caterina Percoto), nei quali però le doti del maestro cominciano a decadere nel convenzionale. A fini eminentemente educativi restano fedeli le prime opere di Collodi (Carlo Lorenzini), come Giannettino (1875) o Minuzzolo (1876). Si liberano invece dalle pastoie didattiche le sue Avventure di Pinocchio (1883), che presentano, in un quadro singolarmente vivo e in una prosa rapida e schietta, una felice commistione di realtà e fantasia. Pinocchio rimane il più famoso libro italiano per ragazzi, cui si è rifatta una serie innumerevole di imitatori, fra cui Collodi nipote (Pietro Lorenzini, autore di Sussi e Biribissi, 1902).

Nel 1886 usciva Cuore, di Edmondo De Amicis, che celebra - sebbene con toni talora patetici - la dignità e la poesia della scuola, intesa come fondamento della vita civile e sociale. Né va dimenticata l'opera modesta, ma illuminata da una profonda simpatia umana, di Ida Baccini (Le memorie di un pulcino, 1875). Veniva così formandosi in Italia, tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, quel nuovo clima in cui il fanciullo trovava libera espressione e che poteva suggerire alla pedagogia ancora irrigidita in schemi positivistici e nei catechismi morali, il sospetto del suo errore didattico e della sua scarsa comprensione dell'anima infantile. È questa l'epoca di Vamba (Luigi Bertelli), che aprì alla gioventù italiana le pagine del suo Giornalino della domenica (1906-11, 1918-24) e pubblicò accanto a esso molti libri, tra i quali ebbero particolare successo Il giornalino di Gian Burrasca e Ciondolino. L'opera di Vamba fece scuola: a essa si riallacciano numerosi scrittori, fra cui Fiducia (Ada Cagli Della Pergola), Omero Redi (Ermenegildo Pistelli), Giuseppe Fanciulli e Yambo (Enrico Novelli), fervido assertore del diritto dei ragazzi a una vita libera, creativa, e autore di molti libri di avventure (Due anni in velocipede, Ciuffettino ecc.). Una notevole funzione educativa ebbero anche le storie pubblicate nel Corriere dei piccoli, fondato nel 1908 come supplemento domenicale del Corriere della sera, cui collaborarono scrittori e illustratori di valore. Al senso dell'avventura e dell'ignoto si informa, invece, tra Ottocento e Novecento, la copiosa produzione romanzesca di Emilio Salgari, che ebbe largo successo e trova ancora oggi appassionati lettori.

Nel Novecento la letteratura italiana per ragazzi è venuta sempre più arricchendosi di opere nelle quali il reale e il fantastico mostrano la loro intima unità, riducendosi il secondo alla valorizzazione o idealizzazione del primo, e in cui pertanto le esigenze essenziali dello spirito infantile si conciliano con gli intenti in largo senso educativi. Fra gli autori di romanzi, racconti, libri di avventure e di viaggi dedicati ai ragazzi spiccano anche nomi illustri della letteratura per adulti, da Luigi Capuana e Salvatore Gotta (autore del fortunatissimo Il piccolo alpino) a Italo Calvino, Giovanni Arpino, Elsa Morante. Fra i poeti, possono essere ricordati Guido Gozzano, Marino Moretti, Angiolo Silvio Novaro, Diego Valeri, Alfonso Gatto, Toti Scialoja. Un posto a parte deve essere riservato a Gianni Rodari che, a partire da Il libro delle filastrocche (1950) fino a C'era due volte il barone Lamberto (1978), seppe unire, nelle sue numerose raccolte di poesie e di fiabe e nei suoi romanzi, intenti pedagogici e felici invenzioni fantastiche e umoristiche. Altri nomi celebri sono stati quelli di Térésah (Teresa Ubertis Gray), Zia Mariù (Paola Lombroso), Maria Pezzè Pascolato, Anna Vertua Gentile, Milly Dandolo.

Attualmente il settore della letteratura giovanile gode di un ampio successo, come dimostra la fortuna di diverse iniziative editoriali e delle rassegne specializzate, fra le quali la Fiera del libro per ragazzi, che si svolge ogni anno a Bologna. Fra gli scrittori più seguiti si possono ricordare Roberto Piumini, Roberto Denti, Marcello Argilli, Mino Milani, Bianca Pitzorno, Donatella Ziliotto. Va infine notato che, se negli ultimi tempi si è largamente diffusa, sull'esempio americano nonché per influsso del cinema, una pubblicistica per ragazzi a carattere avventuroso o 'giallo', nella quale - con esiti quanto mai problematici sotto il profilo educativo - alla parola si sono quasi del tutto sostituiti l'immagine e il disegno figurato in serie ('fumetto'), si è però anche venuta affermando la tendenza, non soltanto scolastica, a far conoscere ai giovani, attraverso opportune scelte e presentazioni, opere dei più noti scrittori contemporanei, finora riservate a tutt'altro ordine di lettori: da quelle di Nino Savarese, Alberto Moravia, Francesco Jovine, a quelle di Dino Buzzati e di Mario Rigoni Stern.

All'estero

In Francia la letteratura per ragazzi ha il suo primo titolo nel Telemaco di François de Fénelon (1699), vicino al tradizionale romanzo d'avventura ma con un forte impianto pedagogico. La letteratura fiabistica, che rivisita racconti di fate desunti dal patrimonio delle leggende popolari e recanti un'implicita morale, nasce con la pubblicazione, tra il 1682 e il 1690, della raccolta della contessa Marie-Catherine d'Aulnoy; molto più famosa è divenuta quella di Charles Perrault (1697), conosciuta con il nome I racconti di mia madre l'oca, che comprende fra l'altro le favole di Cappuccetto rosso, Barbablù, Il gatto con gli stivali, Pollicino, Cenerentola ecc. Nel secolo successivo, alla tendenza fiabesca reagisce un indirizzo più aderente alla realtà, ma accentuatamente intellettualistico e moraleggiante: nelle opere di Stéphanie-Félicité de Genlis, Arnaud Berquin ecc. comincia ad apparire la figura di quel 'bambino buono', astratto e spesso stucchevole compendio d'ogni dote e virtù, che avrà gran numero di compagni nella letteratura per l'infanzia. Con l'Ottocento questa ha ampi sviluppi: mentre Sophie de Ségur mira a conciliare i motivi fiabeschi con quelli realistici, prevalgono sempre più l'osservazione del vero e l'interesse scientifico, congiunti tuttavia allo spirito d'avventura e al gusto per i viaggi, le esplorazioni, le scoperte. Queste tendenze, che trovano nei romanzi di Jules Verne la più suggestiva armonizzazione, rimangono alla base della letteratura posteriore, ricca di libri pregevoli, varia di tentativi e di esperienze, anche se scarsa di opere esemplari, fra le quali è comunque da ricordare, per l'enorme successo, Senza famiglia (1878) di Hector Malot. Grande fortuna continuano ad avere, oggi, i volumi di Jean de Brunhoff dedicati all'elefantino Babar e pubblicati in tutto il mondo con gli acquerelli originali dell'autore (che era un affermato pittore): Storia di Babar l'elefantino (1931), Il viaggio di Babar (1932), Re Babar (1933) e molti altri. Un classico della letteratura, non solo destinata ai ragazzi, è Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. Fra gli autori contemporanei che si sono dedicati anche ai libri per ragazzi, spicca il nome di Daniel Pennac (Abbaiare stanca, 1982; L'occhio del lupo, 1984).

In Inghilterra i libri per l'infanzia appaiono verso la metà del 18° secolo. Quelli concepiti appositamente per il pubblico giovanile, nel Settecento e nei primi dell'Ottocento, sono caratterizzati da un prevalente fine pedagogico e didattico, con netto predominio dei racconti morali. Contemporaneamente si affermano, tuttavia, le nursery rhymes, rielaborazione letteraria di quelle storielle in rima che le bambinaie solevano cantare ai bambini, e soprattutto le 'edizioni a buon mercato', raccolta di leggende eroiche di carattere popolare, nelle quali l'elemento fantastico è pervaso di uno spirito di positiva fattività. Attraverso le 'edizioni a buon mercato' i ragazzi conobbero due opere già famose presso gli adulti: Robinson Crusoe di Daniel De Foe e i Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Nella seconda metà del 19° secolo comincia a essere concesso maggiore spazio alla fantasia, come mostrano i numerosi libri per l'infanzia di Charles e Mary Lamb (ai quali si devono anche i Racconti da Shakespeare che, oltre a essere una felice esposizione ai fanciulli del mondo del grande drammaturgo, diedero grande impulso alla rinascita dell'interesse critico per il teatro elisabettiano). Le opere più famose del nuovo genere, che trovò presto molti seguaci, sono Alice nel paese delle meraviglie (1865) di Lewis Carroll (Charles Lutwidge Dogson) e Peter Pan nei giardini di Kensington (1906) di James Matthew Barrie, dove all'elemento fantastico si accompagna una vena di umorismo che le ha rese celebri anche tra gli adulti. Nel romanzo Il piccolo lord Fauntleroy (1886) di Frances Eliza Burnett (autrice anche del celebre Il giardino segreto, 1909), invece, è già manifesta quella tendenza a umanizzare il fiabesco che nella Casa dei melograni (1891) e in altre novelle di Oscar Wilde giunge a una raffinatezza decadente. Molte altre opere inglesi di quel periodo sono divenute classici della letteratura per l'infanzia: basti pensare a Incompreso (1869) di Florence Montgomery, tradotto e ristampato ininterrottamente, nonostante fin dalla sua pubblicazione la critica abbia espresso molte riserve sul suo valore, a motivo dei toni eccessivamente patetici, oppure ai romanzi di Kenneth Grahame L'età d'oro (1895), Giorni di sogno (1898), Il vento tra i salici (1908), popolarissimi tra il pubblico giovanile ma apprezzati anche da adulti illustri come il presidente americano Theodore Roosvelt. Enorme successo riscossero anche i romanzi di Robert Louis Stevenson: soprattutto L'isola del tesoro (1883), ma anche Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886) e La freccia nera (1888). Inoltre sono entrate a far parte del patrimonio di letture dei ragazzi, sebbene non destinate inizialmente a loro, alcune opere di Charles Dickens (Oliver Twist, 1838; La canzone di Natale, 1843; Davide Copperfield, 1850; Grandi speranze, 1860-61) e ancor più Il libro della giungla (1894), Il secondo libro della giungla (1895), Capitani coraggiosi (1897) e Kim (1901) di Joseph Rudyard Kipling. A cavallo fra Ottocento e primi del Novecento, devono essere ricordate Edith Nesbit, che diede alle stampe una fortunata trilogia dedicata alle avventure della famiglia Bastables (I cercatori di tesori, 1899; I fortunati, 1901; Nuovi cercatori di tesori, 1904) e altri famosi romanzi per bambini, e la scrittrice di origine ungherese Emmuska Orczy, autrice, a partire dal 1905, di una serie di romanzi ambientati nell'epoca della Rivoluzione Francese, con protagonista il personaggio della Primula Rossa. Un successo straordinario hanno avuto, e hanno ancora, i libri di Beatrix Potter che, tradotti in 25 lingue, hanno venduto 35 milioni di copie soltanto in inglese: al suo apparire, nel 1901, La storia di Peter Coniglio (poi seguita da una lunga serie di libri dedicati al coniglietto e ad altri personaggi) rappresentò una novità assoluta nella letteratura per l'infanzia: costava solo uno scellino, era maneggevole e poteva entrare in una tasca, mentre i libri per bambini erano allora ingombranti, pesanti, costosi. Gli autori inglesi che nel 20° secolo hanno scritto opere per ragazzi divenute celebri in tutto il mondo sono numerosi. Alan Alexander Milne, autore di commedie di grande successo, pubblicò per l'infanzia i volumi sull'orsetto Winnie Puh (Winnie Puh, 1926; Nel cantuccio di Puh, 1928). A Pamela Travers Lyndon, si devono le avventure dell'estrosa governante Mary Poppins (1934), tuttora fra i best-seller. John Ronald Reuel Tolkien, grande studioso di letteratura inglese medievale, scrisse per i ragazzi Lo Hobbit (1936), che costituisce il nucleo intorno al quale si sviluppò poi la trilogia del Signore degli anelli (1954-55), una saga cavalleresca destinata agli adulti ma letta da grandi e piccoli; Tolkien è anche l'autore delle Avventure di Tom Bombadil (1962). Mary Norton è la creatrice degli Sgraffignoli, creature fantastiche protagoniste di romanzi di successo (Sotto il pavimento, 1952; Ai piedi dell'erba, 1952; In teiera sull'acqua, 1955), e di Pomi d'ottone e manici di scopa (1957). Margery Sharp è da almeno due generazioni fra gli autori preferiti dai ragazzi britannici; sono suoi Bianca e Bernie nel castello nero (1959) e Nuove avventure di Miss Bianca (1962). Tra i romanzi per ragazzi di Roald Dahl, tradotti in tutto il mondo, ricordiamo Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (1964), Il grande ascensore di cristallo (1972), Gli sporcelli (1980), Il GGG, il grande gigante gentile (1982), Le streghe (1983), Matilde (1988). Infine, Anne Fine è diventata famosa per romanzi che affrontano un tema classico della letteratura per ragazzi: il maternage, cioè il prendersi cura dei più piccoli (Bambini di farina, 1992; Mrs. Doubtfire, 1988).

Dalla letteratura inglese per l'infanzia ha tratto impulso, nel 19° secolo, quella americana. Molti classici per ragazzi vengono dagli Stati Uniti, a partire da La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe (1851). Basti pensare ai celeberrimi romanzi Le avventure di Tom Sawyer (1867) e Le avventure di Huckleberry Finn (1884) di Mark Twain, caratterizzati da una vivace vena umoristica; alle storie di Louisa May Alcott (Piccole donne, 1868, Piccole donne crescono, 1869, Piccoli uomini, 1871, I ragazzi di Jo, 1886), con la loro visione della vita ispirata a un ottimismo puritano; ai libri di Lyman Frank Baum Mamma Oca in prosa (1887), Il libro di Papà Oca (1898) e soprattutto Il Mago di Oz (1900), in cui predomina l'invenzione fantastica. Enorme seguito, in verità più in Europa che in madrepatria, hanno avuto, e hanno tuttora, i romanzi di Jack London: Il richiamo della foresta (1903), Il lupo di mare (1904), Zanna Bianca (1906), La strada (1907), Martin Eden (1909). Di grande successo anche le storie di Tarzan (a partire da Tarzan delle scimmie, 1914) e gli altri romanzi di avventura e di fantascienza di Edgar Rice Burroughs. Si deve pure menzionare, in quanto anticipatore di una tematica - la solidarietà con gli animali - venuta di moda negli ultimi anni, Hugh Lofting, la cui opera più famosa è La storia del dottor Dolittle (1920). In tempi più recenti, le opere di Richard Scarry, autore di oltre 250 libri tradotti in più di 30 lingue e che solo negli Stati Uniti hanno venduto un numero di copie superiore a 100 milioni, guidano i bambini alla scoperta del mondo attraverso le vicende di un gruppo di animaletti personificati, narrate sul filo dell'ironia, come nel Libro delle parole (1963), In giro per il mondo (1965), Primo dizionario (1966), Il libro dei numeri (1975), Il secondo libro delle parole (1980).

Per quanto riguarda la letteratura canadese, Lucy Maud Montgomery pubblicò una fortunatissima serie che ha per protagonista l'orfanella Anna (Anna dai Tetti Verdi, 1908; L'età meravigliosa, 1909; Il baule dei sogni, 1915; Anna e la casa dei suoi sogni, 1917; Anna dai Salici Ventosi, 1936). I suoi lavori migliori sono, tuttavia, Emily della Luna Nuova (1923), di ispirazione autobiografica, e soprattutto il classico romanzo di formazione Marigold (1929).

In Germania il primo libro stampato e illustrato appositamente per bambini e ragazzi fu l'Universo figurato delle cose sensibili di Comenio, pubblicato a Norimberga nel 1654. La letteratura per l'infanzia si diffuse, però, verso la metà del 18° secolo. Dopo un iniziale influsso di quella francese e inglese, acquistò presto un carattere proprio, conforme alle dottrine pedagogiche dominanti: si hanno così, più che racconti morali, racconti educativi e in largo senso scientifici, scritti perlopiù da pedagogisti (Johann Bernhard Basedow, Joachim Heinrich Campe ecc.). A questa tendenza fece seguito, come altrove, con l'avvento del romanticismo, quella fiabesco-fantastica. Un primo passo in questo senso è costituito da rielaborazioni dei vari canzonieri popolari a opera di poeti e letterati: notevoli specialmente quelle di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann. Ma la decisiva affermazione della narrazione fantastica viene segnata dalle novelle di Jakob e Wilhelm Grimm, leggende e racconti popolari raccolti a scopo filologico, ma che piacquero e piacciono molto anche ai bambini, vivificati come sono da un alacre senso di umanità. Altri autori trassero temi per i loro libri dal mito dei Nibelunghi o dal repertorio mitologico-leggendario dell'età classica; altri ancora si rivolsero alla storia contemporanea. Alla vita infantile qual è nella realtà, perché il piccolo lettore apprenda a orientarsi, si ispirano i racconti in versi di Pierino Porcospino (1847) di Heinrich Hoffmann, uno dei libri più popolari, non soltanto in Germania. Tra il primo e il secondo dopoguerra, lo scrittore e poeta Erich Kästner, esponente del movimento della Neue Sachlichkeit, pubblica alcune opere per ragazzi di grande successo: Emilio e i detectives (1929), Antonio e Virgoletta (1930), La classe volante (1930), Emilio e i tre gemelli (1934), Carlotta e Carlotta (1949) e La conferenza degli animali (1949). Nella seconda metà del 20° secolo hanno avuto diffusione e successo internazionali i libri di Michael Ende: Le avventure di Jim Bottone (1960), La terribile banda dei 13 pirati (1962), Momo (1971) e soprattutto La storia infinita (1979). Fra i più importanti scrittori contemporanei per ragazzi è l'austriaca Christine Nöstlinger, autrice del Bambino sottovuoto (1975), di Due settimane a maggio (1985), del Nuovo Pinocchio (1988). Da ricordare infine, fra i libri proposti ai ragazzi di tutto il mondo, anche se esula, ovviamente, dal genere della letteratura a essi dedicata, il Diario di Anne Frank, la ragazza ebrea tedesca morta nel campo di concentramento nazista di Bergen-Belsen, pubblicato per la prima volta nel 1947 e poi, in edizione integrale, nel 1991.

Il mondo fanciullesco appare rivissuto in piena libertà fantastica in due scrittori nordici: nel danese Hans Christian Andersen, autore di delicatissime Fiabe (1835-72); e nella svedese Selma Lagerlöf, di cui va ricordato soprattutto il Viaggio meraviglioso di Nils Holgersson attraverso la Svezia (1906-07). Astrid Lindgren acquisì fama mondiale con Pippi Calzelunghe (1945), seguito dalla serie di gialli di Kalle Blomkvist (1946-53), da Mio piccolo Mio (1954), Karlsson sul tetto (1955), Rasmus il vagabondo (1956), Vacanze nell'Isola dei Gabbiani (1964), I fratelli Cuordileone (1973) e Ronja (1981). La saga dei Mumin, piccoli troll dal pelo candido che vivono in una valle paradisiaca, ha reso celebre la finlandese Tove Jannsson, autrice di Magia di mezz'estate (1954), Magia d'inverno (1957), Il cappello del gran Baum (1968).

In Russia la prima rivista per fanciulli iniziò le pubblicazioni nel 1785. Nel 19° secolo furono numerose le raccolte di racconti e di favole: ricordiamo soltanto le fiabe di Aleksandr Sergeevic Puskin e i racconti di Anton Pavlovic Cechov e Lev Nikolaevic Tolstoj (fra l'altro i Quattro libri di lettura). Al principio del Novecento assai attivo per la creazione di una letteratura per l'infanzia fu Maksim Gor'kij. Lo scrittore ungherese Ferenc Molnár pubblicò nel 1907 il romanzo I ragazzi della via Paal, che ebbe un'enorme diffusione. Tradotto in tutto il mondo, il libro narra la storia della lotta fra due bande di ragazzi per la conquista di uno spazio libero per i giochi: antesignano in tal senso del tema del diritto al gioco dei bambini, soffocati dal cemento delle città.

repertorio

Le riduzioni in forma di spettacolo

Assai spesso storie della letteratura per l'infanzia sono divenute il soggetto di opere musicali, teatrali e cinematografiche, di produzioni televisive, di cartoni animati. Non di rado è stato proprio il successo di questi spettacoli che ha promosso e incrementato la diffusione del libro d'origine.

Non necessariamente queste trasposizioni sono a loro volta indirizzate al mondo giovanile, anzi talora sono rivolte decisamente al pubblico adulto. È questo, per es., il caso delle opere liriche il cui libretto è tratto dal repertorio classico della favolistica - come la Cenerentola di G. Rossini, rappresentata per la prima volta al Teatro Valle di Roma nel 1817, o Hänsel e Gretel di E. Humperdinck, rappresentata per la prima volta a Weimar nel 1893 - o di spettacoli del tipo della Gatta Cenerentola, da G. Basile, messo in scena negli anni Ottanta da Roberto De Simone con la sua Nuova compagnia di canto popolare.

Lo stesso discorso può valere anche per molti musical, a partire dal Mago di Oz, che fu presentato sotto forma di commedia musicale, prima a Chicago nel 1902 poi a Broadway l'anno successivo, dall'autore del romanzo, L.F. Baum. In anni più recenti lo stesso soggetto è stato usato per un altro musical di grande successo, The Wiz, messo in scena nel 1975 a Broadway con musiche rock e l'interpretazione di attori di colore. È da notare peraltro che il Mago di Oz è stato un testo ripetutamente utilizzato dal mondo dello spettacolo. Le trasposizioni cinematografiche cominciarono già ai tempi del muto, per iniziativa dello stesso Baum, che fondò una sua casa di produzione e realizzò dieci film tratti dalla sua opera. Sia Ridolini sia Oliver Hardy impersonarono il Boscaiolo di Latta. La versione cinematografica più famosa rimane quella di Victor Fleming del 1939, con una giovanissima Judy Garland.

Le opere che sono state presentate più volte in forma di spettacolo, godendo sempre di grande successo, sono numerose. Così, per es., da Peter Pan e Wendy di J.M. Barrie sono stati tratti un film muto nel 1924 e una versione televisiva prodotta dalla ATW e dalla NBC nel 1978, mentre nel 1992 Steven Spielberg ne ha dato una rilettura personale nel film Hook. Ugualmente Il piccolo lord Fauntleroy di F. Burnett ha avuto tre versioni cinematografiche: una muta nel 1921, una nel 1936 diretta da John Cromwell, con Mickey Rooney e Freddy Bartholomew, e una nel 1980 con Alec Guinness e Ricky Schroeder. Il giardino segreto è diventato film nel 1949 per la regia di Fred McLeod Wilcox, con Margaret O'Brien, e nel 1993 per la regia di Agnieska Holland; inoltre ne sono stati ricavati anche due musical e tre versioni televisive. Sfruttatissimi dal grande e piccolo schermo i romanzi di Ch. Dickens: per David Copperfield sono da ricordare il film del 1934, con la regia di George Cukor e Freddie Bartholomew protagonista, e lo sceneggiato televisivo italiano diretto da Anton Giulio Majano per la RAI, nel 1966, con Giancarlo Giannini e Anna Maria Guarnieri; la più celebre riduzione cinematografica di Oliver Twist è quella del 1947, diretta da David Lean, con Alec Guinness, mentre Oliver! di Carol Reed (1988) si ispira a un musical che ha avuto grande successo a teatro; tra i diversi film tratti da Grandi speranze, c'è quello diretto da David Lean nel 1947, con Alec Guinness e Jean Simmons. I romanzi di Mark Twain sono stati più volte trasposti sullo schermo: Tom Sawyer nel 1938, Il principe e il povero nel 1937 e nel 1977, Huck Finn nel 1960.

Un'altra autrice molto utilizzata dal cinema è la Alcott: Piccole donne è diventato un film nel 1935 con la regia di George Cukor e Katharine Hepburn nei panni di Jo, nel 1949 con la regia di Mervyn LeRoy ed Elizabeth Taylor come Amy, e nel 1994, con la regia di G. Armstrong, con Susan Sarandon e Wynona Ryder, mentre uno sceneggiato televisivo diretto da Anton Giulio Majano, con Lea Padovani, Arnoldo Foà, Emma Danieli e Alberto Lupo, è stato realizzato in Italia nel 1955; il film tratto da Piccoli uomini è stato diretto nel 1938 da Phil Rosen. Per continuare tale tipo di esemplificazione, si possono citare le opere di E. Kästner: Emilio e i detectives ebbe due trasposizioni cinematografiche negli anni Trenta, la prima con la sceneggiatura, tra gli altri, di Billy Wilder, e un altro film ne trasse nel 1964 la Disney; enorme successo ebbe anche la versione disneyana (1961) di Carlotta e Carlotta (Il cow boy col velo da sposa).

Ma sono stati soprattutto i romanzi di avventura a ispirare un gran numero di film e di sceneggiati televisivi. Anche a questo riguardo è sufficiente fare qualche esempio. Robinson Crusoe di D. De Foe ha avuto moltissime riduzioni cinematografiche, da quella, alla fine del 19° secolo, di Georges Méliès, a Robinson Crusoe. La storia vera (1988) di Caleb Dechanel, con Anthony Quinn. Anche Jules Verne è un autore molto amato dal cinema: da ricordare Il giro del mondo in ottanta giorni (1956), con David Niven, Shirley McLaine e Charles Boyer; L'isola misteriosa (1929 e 1972), Michele Strogoff (1956 e 1970), Dalla Terra alla Luna (1958); Disney trasse da Ventimila leghe sotto i mari (1954) e da I figli del capitano Grant (1962) due lungometraggi interpretati rispettivamente da James Mason e Kirk Douglas, e da Maurice Chevalier. Da Michele Strogoff è stato tratto anche uno sceneggiato per la televisione di coproduzione europea (1976). Il personaggio di Tarzan, creato da Burroughs, è stato portato sullo schermo in oltre 100 film, 8 dei quali muti; fra tutti, rimangono più famosi i 12 interpretati da Johnny Weissmüller fra il 1932 e il 1948. Per quanto riguarda i libri di Robert Louis Stevenson, L'isola del tesoro ha avuto una versione cinematografica nel 1934, Dr. Jekyll and Mr. Hyde nel 1941 (con la regia di Victor Fleming, protagonisti Spencer Tracy e Ingrid Bergman) e nel 1957 (con la regia di René Clair), mentre La freccia nera è stato uno dei primi sceneggiati prodotti dalla RAI (nel 1968, con la regia di A.G. Majano). Tra i film salgariani, da Cartagine in fiamme è stato tratto nel 1914 Cabiria, con le musiche di Ildebrando Pizzetti e le didascalie di Gabriele D'Annunzio, e un lungometraggio dallo stesso titolo del romanzo, con la regia di Carmine Gallone, nel 1960; a partire dagli anni Trenta, e fino a oggi, anche gli altri più famosi romanzi di Salgari hanno avuto diverse versioni cinematografiche e televisive. Dalle opere di Rudyard Kipling sono stati tratti numerosi film: Capitani coraggiosi (1937), con la regia di Victor Fleming e Spencer Tracy fra i protagonisti; Kim (1952, con la regia di Victor Saville ed Errol Flynn protagonista; 1984, con la regia di John Davies e Peter O'Toole fra gli attori); Il libro della giungla (1942), diretto da Zoltan Korda. Anche i romanzi di Jack London sono stati più volte portati sul grande schermo: Il richiamo della foresta nel 1935, con la regia di William Wellman, protagonisti Clark Gable e Loretta Young, e nel 1972, regista Ken Annakin, con Charlton Heston e Michèle Mercier; Zanna Bianca nel 1991 per la Disney, nell'edizione finora più notevole. Martin Eden di Jack London è stato trasposto nel 1979 in uno sceneggiato televisivo prodotto dalla RAI in cinque puntate per la regia di Giacomo Battiato.

Alcuni libri si sono prestati a una versione cinematografica particolarmente spettacolare, ricchissima di effetti scenici. A questo proposito può essere ricordato il film La storia infinita ricavato dalla prima parte del romanzo di M. Ende nel 1983, per la regia di Wolfgang Petersen; il seguito, La storia infinita 2, del 1990 fu diretto dall'australiano George Miller, ma ebbe minor successo. Allo stesso genere kolossal può essere ascritta la trilogia tratta dal Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien, per la regia di Peter Jackson: la prima parte, La compagnia dell'anello, è uscita nel 2001; le altre due usciranno, con i titoli Le due torri e Il ritorno del re, rispettivamente nel 2002 e nel 2003. Grandi aspettative nel 2001 ha suscitato anche l'uscita del primo film tratto dalla saga di Harry Potter, di J.K. Rowling.

Il libro italiano per ragazzi che ha avuto maggior successo nel mondo dello spettacolo è stato senz'altro Pinocchio, portato sul grande schermo per la prima volta nel 1912 dal comico francese Polydor, e soggetto poi di diverse versioni in cartone animato e di vari film: il primo realizzato in Italia risale al 1940 ed ebbe un giovanissimo Vittorio Gassman tra i protagonisti, l'ultimo è stato girato nel 2001 da Roberto Benigni. Nel 1971, Luigi Comencini firmò il Pinocchio televisivo, con Nino Manfredi (Geppetto), Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (il Gatto e la Volpe), Gina Lollobrigida (la Fata). Di grande effetto scenico il Pinocchio di Carmelo Bene (1982). Un altro testo più volte utilizzato è stato Cuore di E. De Amicis, da cui in particolare fu ricavato, negli anni Ottanta, uno sceneggiato televisivo anch'esso per la regia di Comencini, mentre numerosi film sono stati tratti soprattutto dal 'racconto mensile' Dagli Appennini alle Ande. Da Gian Burrasca di Vamba è stato tratto un film, sceneggiato e diretto da Sergio Tofano, nel 1942, e un musical per la TV, di enorme successo, nel 1964, per la regia di Lina Wertmüller. Un'altra riduzione televisiva da ricordare per il suo ottimo livello è stata quella del Marcovaldo di Italo Calvino, diretto nel 1970 da Giuseppe Bennati, con Nanni Loy, Arnoldo Foà, Didi Perego, Cinzia de Carolis e Daniela Goggi; in teatro, Marcovaldo è arrivato negli anni Settanta a opera del Teatro Popolare La Contrada di Trieste.

repertorio

I cartoni animati

Come è naturale, alle storie tratte dai libri per ragazzi si è rifatto soprattutto il cinema di animazione, che ha nei bambini e nei ragazzi il suo pubblico d'elezione.

In tale ambito l'indiscusso maestro rimane Walt Disney. A lui - e poi alla casa di produzione da lui fondata e che ne ha continuato l'opera dopo la morte - si devono le più fortunate trasposizioni in cartone animato dei testi della letteratura per l'infanzia. La favola di Biancaneve e i sette nani dei fratelli Grimm fornì a Disney il soggetto del suo primo lungometraggio a cartoni animati, che ebbe un successo strepitoso e ottenne un Oscar speciale (la statuetta di rito, ma circondata da sette nani). Altre fiabe dei Grimm ispirarono poi numerosi cortometraggi con protagonista Mickey Mouse, come Il prode piccolo sarto e Il fagiolo magico, mentre quelle di Perrault hanno fornito il soggetto a due classici dell'animazione disneyana (Cenerentola, 1950; La bella addormentata nel bosco, 1959) e alla più recente produzione La bella e la bestia (1991); da una fiaba di Andersen è stata ricavata La sirenetta, diretta per la Disney nel 1990 da Ron Clements e John Musker, cui sono stati attribuiti due Oscar, per la colonna sonora e la miglior canzone; è da notare che nel film il lieto fine sostituisce il finale tragico dell'originale. Fra gli altri lungometraggi disneyani con soggetto di provenienza letteraria si possono ricordare: Pinocchio, del 1940; Peter Pan, del 1953; Il libro della giungla, del 1967; Bianca e Bernie, del 1977, e Bianca e Bernie nella terra dei canguri, del 1990, ambedue ispirati ai romanzi di M. Sharp; Tarzan, del 1999. Una menzione a parte merita Alice nel paese delle meraviglie, dal romanzo di L. Carroll: già nel 1922 Disney fece di Alice una bambina in carne e ossa che si muoveva fra personaggi animati, nel film incompiuto Alice in cartoonland; il soggetto fu poi ripreso in una serie di short e nelle Alice's comedies, ma solo nel 1951 Disney riuscì a realizzare il lungometraggio a cartoni animati; accolto con diffidenza e bistrattato da critica e censura (per la scena del bruco che fuma il narghilè), il film ebbe costi altissimi (oltre un milione di dollari) ma non altrettanti incassi e venne rivalutato solo a partire dagli anni Sessanta. Molto apprezzati sono stati due film di Disney in cui alle riprese con attori si mescolano i cartoni animati: Mary Poppins (1964) e Pomi d'ottone e manici di scopa (1971), rispettivamente tratti dalle opere di P. Travers Lyndon e di M. Norton; il primo, in particolare, vinse ben cinque Oscar (per la migliore attrice protagonista, Julie Andrews; per la colonna sonora originale; per la migliore canzone, Chim-chim-cheree; per gli effetti speciali; e per il montaggio). Da ricordare ancora che uno dei personaggi disneyani più famosi, zio Paperone (in inglese Uncle Scrooge), trae diretta ispirazione dall'Ebenezer Scrooge, protagonista della Canzone di Natale di Dickens; così pure da Long John Silver, il pirata zoppo dell'Isola del tesoro di Stevenson, deriva l'acerrimo nemico di Topolino, Gambadilegno. Anche uno dei protagonisti di un recente successo della Disney, il film T come Tigro (2000), l'orsetto Winnie the Pooh - che già compariva in alcuni cortometraggi usciti fra il 1947 e il 1983, uno dei quali premiato con l'Oscar - è tratto dalla letteratura, specificamente dalle opere di A.A. Milne.

In confronto a quella disneyana, impallidisce il resto della cinematografia d'animazione. Vale la pena di ricordare tuttavia il lungometraggio di produzione tedesca La capanna dello zio Tom, tratto nel 1965 dal romanzo di H. Beecher Stowe, che mescola personaggi animati e attori. L'elefantino Babar di J. de Brunhoff è diventato nel 1969 un pupazzo animato per la TV francese e un cartone animato di produzione americana, di limitata circolazione, mentre nel 1989 la canadese Nelvana Production ha dato vita a una serie TV e a un lungometraggio di grande successo.

Alcuni classici della letteratura giovanile occidentale sono diventati cartoni animati in Giappone. Anzi il cartone animato giapponese è nato, nel 1929, proprio con uno di essi: Pinocchio. Della produzione giapponese possono essere ricordate le due serie televisive in animazione dei Mumin di Tove Jannsson (1969 e 1972), i cartoni animati tratti negli anni Settanta dal deamicisiano Dagli Appennini alle Ande e da Senza famiglia di H. Malot (quest'ultima intitolata Remi dal nome del protagonista). Anche Anna dai Tetti Verdi della Montgomery (in Italia diventata Anna dai capelli rossi) ha avuto una fortunata versione giapponese a cartoni animati per la televisione, così come Tom Sawyer e Huck Finn di Mark Twain.

Da ultimo può essere segnalato un caso opposto: Susanna e il soldato di Pinin Carpi nasce nel 1977 come fiaba televisiva, con i pupazzi animati di Velia Mantegazza per Raidue, e solo in seguito diviene romanzo.

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