COPPI, Fausto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

COPPI, Fausto (Angelo Fausto)

Giuseppe Pignatelli

Nacque a Castellania (Alessandria) il 15 sett. 1919, quartogenito (il quinto, Serse, nascerà nel 1923) di Domenico e di Angiolina Boveri, proprietari di un modesto fondo coltivato a granturco e vite, a mala pena sufficiente al sostentamento della famiglia. Il C., frequentate con scarso profitto le elementari, non volle scontare la "condanna. a resistere sulla zolla" come i suoi compaesani, che "mangiavano pane e sputo per comprare altra terra, allargare il proprio mappale, riparare alle troppe nascite" (Brera, 1981, p. 27). Preferendo imparare un mestiere, a tredici anni si trasferì nella vicina Novi Ligure come garzone presso una salumeria, ove contava dì apprendere la lavorazione delle carni suine. Facendo spesso la spola in bicicletta tra Novi e Castellania, sentì crescere la sua passione per il ciclismo, già nata quando sull'aia della casa paterna udiva gli adulti narrare le imprese di Girardengo, il "campionissimo" di Novi.

Proprio a Novi il C. fu segnalato a B. Cavanna, "faccia sgherra, fra il gangster e il capitano di ventura" che "del ciclismo sa tutto, anche i delitti" (ibid., p. 38), il quale teneva una scuola di ciclismo a Pozzolo Formigaro. Il Cavanna, che nel 1938 divenne cieco, intuite subito le enormi possibilità del C., ne rimase per molti anni massaggiatore esperto e consigliere abile e influente.

Vinta nel 1937 una prima corsa a Boffalora come "non tesserato", nel 1938 il C., tesserato come dilettante, vinse il circuito di Castelletto d'Orba. L'anno seguente passò nella categoria degli indipendenti e, dopo aver vinto il Giro del Penice e la Coppa Città di Pavia, si confrontò con i professionisti nel Giro dei Piemonte, in cui - nonostante una caduta e noie al cambio - giunse terzo alle spalle di Bartali e Del Cancia. Fu questo l'esame di maturità per il C., attentamente osservato da E. Pavesi, direttore sportivo della "Legnano". Quell'anno vinse ancora la Coppa Canepa a Genova, il Giro del Casentino, i circuiti di Varese e di Susa, e ottenne - in gare professionistiche - un secondo posto nella Coppa Bernocchi e due terzi posti nel Gran premio "Stampa-Fiat" e nel Giro della provincia di Milano.

Nel 1940, ingaggiato dalla "Legnano" (che aveva come leader  Bartali) e chiamato in primavera sotto le armi, poté continuare a gareggiare grazie a licenze e permessi straordinari. Dopo risultati modesti, al Giro d'Italia, approfittando anche di una serie di incidenti capitati a Bartali, vinse sorprendentemente la corsa (successo di tappa a Modena) con 2'40" di vantaggio su E. Mollo. Qualche settimana dopo conquistò anche il titolo italiano dell'inseguimento, battendo Introzzi, Leoni e Bizzi. Dedicatosi a questa specialità con impegno, batté ancora per due volte ciascuno Bizzi e il tedesco Wengler e una volta lo svizzero Kubler; nei due anni seguenti confermò questa superiorità riconquistando ìl titolo italiano e vincendo tutti gli incontri disputati: tra gli sconfitti figurano Bizzi (4 volte), Wesenberg (2 volte), Bartali, Kubler, F. Magni, Bevilacqua e Cinelli.

Su strada vinse nel 1941 i giri della Toscana, dell'Emilia, del Veneto e la Tre Valli varesine; nel 1942 soltanto il campionato italiano disputato a Roma. Pochi giorni dopo questo successo, cadde sulla pista del Vigorelli, riportando la frattura di una clavicola (29 giugno). Sperando dì stornare una probabile partenza per il fronte. con l'acquisto di eccezionali meriti sportivi, il C. seguì il consiglio del Cavanna che lo spinse a conquistare il record mondiale sull'ora.

Il 7 nov. 1942 sulla pista del Vigorelli, con una bicicletta speciale da pista del peso (allora esiguo) di 7,5 Kg, fornita di pedivelle di 171 millimetri e di pneumatici da 120 grammi, spingendo un rapporto di 52 x 15 che sviluppava 7,37 m per pedalata, il C. percorse in un'ora km 45,871 (record omologato nel 1947 e rettificato in km 45,798). La Gazzetta dello sport (8 nov. 1942), accanto al bollettino di guerra n. 895 che esaltava i "contrattacchi delle truppe dell'Asse ... nella. regione ad oriente di Marsa Matruh", celebrava l'"impresa luminosa" del C. come prova della "forza e volontà della razza italiana". L'andatura del C. durante la prova fu molto ineguale, lo sforzo compiuto al limite delle possibilità fisiche e nervose costringendolo a far ricorso a sostanze eccitanti (Brera, 1981, p. 75).

II record, che durerà fino al 29 giugno 1956 (battuto da Anquetil con km 46,159), gli fruttò un premio di 25.000 lire ma non gli evitò la partenza per il fronte. Passato dal 38° al 36° reggimento di fanteria, nel marzo 1943 fu inviato in Tunisia, dove il 13 aprile fu fatto prigioniero nella piana tra Mateur e Medjez-el-Bab.

Rientrò in Italia nel febbraio del '45sofferente per lievi forme di malaria e di ulcera gastrica. Riprese lentamente l'attività ciclistica vincendo la Coppa Salvioni, la Coppa Candelotti, i circuiti degli Assi a Milano e di Ospedaletti, il Criterium dì Lugano. Nel novembre sposò Bruna Ciampolini (da cui avrà una figlia), stabilendosì a Sestri Ponente.

Nel 1946, ingaggiato dalla "Bianchi", esordì vincendo la Milano-Sanremo, ma il 5 maggio Bartali lo batteva in volata nel campionato di Zurigo, non rispettando - a quanto pare - un accordo che prevedeva la vittoria del C.: questo episodio segnò l'ìnizio di un'aspra rivalità tra i due campioni, che., ingigantita dalla stampa, divise in due fazioni gli sportivi italiani. Nel 1946 il C. vinse anche il Giro di Romagna, il Grand Prix des nations a cronometro, i Criterium del Trocadéro e di Lugano, il Giro di Lombardia. Nel Giro d'Italia fu , battuto da Bartali per soli 47", dopo aver vinto le tappe di Bologna, Auronzo, Bassano del Grappa e Milano, nonostante una caduta che gli aveva provocato l'incrinatura di una costola.

Nel 1947 bissò il successo nel Giro di Romagna (2° Bartali, vincitore della Milano-Sanremo); vinse il Giro d'Italia (con le tre tappe di Prato, Trento e Napoli), precedendo Bartali, il titolo italiano dell'inseguimento, i giri del Veneto, dell'Emilia e della Lombardia, il Grand Prix des nations, il circuito "à travers Lausanne". Conquistò anche il titolo nazionale su strada e il campionato mondiale dell'inseguimento, in cui superò Lanz, Rioland, Schulte e Bevilacqua. Nell'inverno 1947-48svolse un'intensa attività su pista con forti ingaggi (egli stesso dichiarerà di aver guadagnato in alcuni inverni centinaia di milioni di lire), disputando ventuno gare ad inseguimento, in cui si dimostrò imbattibile, piegando avversari come Van Steembergen, Bevilacqua, Middelkamp, Blanchet, Koblet.

Forse in conseguenza degli sforzi compiuti in questi mesi il '48fu per il C. un anno deludente. Dopo aver vinto la Milano-Sanremo, fu sconfitto da Bartali nel Giro di Toscana; al Giro d'Italia, in forte ritardo dopo le prime tappe, non riuscì a recuperare tutto lo svantaggio accumulato nei confronti di F. Magni nonostante due vittorie, di tappa sulle Dolomiti: a Trento si ritirò per protestare contro la mancata squalifica di Magni, accusato di aver fruito di spinte organizzate dai suoi sostenitori sul passo Pordoi. Fu criticato dalla stampa e squalificato per un mese.

Mentre Bartali vinceva quell'anno il suo secondo Tour de France, il C. dovette contentarsi dei successi nelle Tre Valli varesine, e nei giri dell'Emilia e di Lombardia. Deludente fu anche la sua partecipazione ai campionati mondiali: in quello su strada si ritirò dopo un reciproco marcamento passivo messo in atto tra lui e Bartali, che costò ad entrambi due mesi di squalifica; in quello ad inseguimento fu battuto in finale da Schulte per soli due metri: era l'unica sconfitta subita quell'anno in tale specialità su 24 gare disputate.

Si rifece l'anno seguente. Vinse la Milano-Sanremo, i giri di Romagna, del Veneto e di Lombardia, il campionato italiano su strada e quello mondiale dell'inseguimento; ma soprattutto - impresa mai riuscita ad alcuno prima di lui - trionfò a distanza di poche settimane nei giri d'Italia (vittorie di tappa a Salerno, Bolzano e Pinerolo) e di Francia (vittorie a La Rochelle, Aosta e Nancy), precedendo Bartali in entrambe le occasioni.

Nacque allora il "fenomeno" C. grazie anche a una campagna giornalistica (stampa e radio), che poteva sbizzarrirsi nella creazione delle immagini più fantasiose, data la carenza di documentazione visiva: il C., definito ormai il "campionissimo" per antonomasia, era un "corridore soprannaturale", "sublime", dalla pedalata "aerea", "perfetta", a volta a volta paragonato a un airone, a un'aquila, a un gabbiano. Ciò che si tardò invece a comprendere e a spiegare era il fatto che il C. aveva rivoluzionato il sistema di preparazione al ciclismo agonistico. Fornito di mezzi atletici non eccezionali in senso assoluto, con un impianto scheletrico deficitario, forse in conseguenza di una forma di rachitismo infantile dovuto a insufficiente alimentazione (causa delle frequenti fratture), il C. aveva in compenso un fisico particolarmente adatto allo sport da lui scelto: una capacità respiratoria di sette litri in condizioni normali, un sistema circolatorio quasi insensibile allo sforzo, un sistema endocrino molto efficiente, masse muscolari modeste ma equilibrate con prevalenza dei muscoli lunghi adatti agli sforzi prolungati. Le gambe lunghe e sottili, il torace ampio dotato di uno sterno sporgente che sembrava carenato come quello degli uccelli, la testa lievemente affondata nelle spalle, la figura del C. dava l'impressione di "una invenzione della natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta" (G. Brera, in Gazzetta dello sport, 27 luglio 1949). Ma le eccezionali prestazioni sportive dei C. non sono spiegabili come il risultato di doti naturali. Egli seppe sfruttarle al massimo valendosi con intelligenza dei progressi della medicina, frequentando il Centro di medicina sportiva di Milano. In campo dietetico si valse della conoscenza dei metodi di Hauser, Chauveau, Benedict, Kintaro-Oshima, Maguers Lévy, Weiss, da cui trasse suggerimenti per un regime a lui adatto. Fece un uso attento, relativamente alle conoscenze di quegli anni, degli ausili farmacologici, energetici e ffisintossicanti. Seguì sistemi razionali di allenamento per raggiungere livelli più elevati di resistenza e di velocità, accoppiandoli con un regime di vita di eccezionale morigeratezza. Studiò innovazioni per adattare il mezzo meccanico e gli accessori (dal telaio della bicicletta al sellino, ai fermapiedi, alle scarpe, agli occhiali, alle maglie, ecc.) alle esigenze fisiologiche e alle caratteristiche di ogni corsa. Furono accorgimenti necessari per poter passare, parallelamente al miglioramento delle strade, da medie orarie di 32 a 40-42 km. Formidabile passista (dominatore quasi incontrastato nelle prove a cronometro a differenza del suo rivale Bartali), il C. eguagliò e spesso superò quest'ultimo anche come scalatore.

Nella primavera del 1950 il C. mostrava una schiacciante superiorità, vincendo il Giro della provincia di Reggio Calabria, la Parigi-Roubaix e la Freccia vallone. Ma nel Giro d'Italia, in seguito a una caduta (2 giugno), riportò una complessa frattura del bacino, che compromise l'intera annata.

Egualmente sfortunato fu l'anno seguente. L'11 marzo cadde nella MilanoTorino, fratturandosi la clavicola. Appena ripresa l'attività vinse due tappe al Giro d'Italia piazzandosi quarto nella classifica finale. Il 29 giugno, all'arrivo del Giro del Piemonte, il fratello del C., Serse, suo gregario nella "Bianchi", cadde battendo violentemente la testa e morì poche ore dopo per emorragia cerebrale. Il C. risenti fortemente di questa perdita, meditando dapprima di abbandonare il ciclismo; ma già il 4 luglio - benché in condizioni fisiche e psicologiche precarie - era alla partenza del Tour, in cui arrivò soltanto decimo vincendo la tappa di Briangon. Nei finale di stagione riportò la vittoria nel Grand Prix des nations a cronometro.

Nel 1952, dopo un secondo posto nella Parigi-Roubaix, ripeté l'impresa del '49 vincendo nello stesso anno il Giro d'Italia (vittorie di tappa a Rocca di Papa, Bolzano e Como) e il Tour (vinse a Nancy, Alpe d'Huez, Sestriere, Pau, Puy-deDóme). Il 7 agosto, però, cadde sulla pista di Perpignano, fratturandosi la scapola e la clavicola sinistre. Guarito, vinse il Gran Premio del Mediterraneo (vittorie a Foggia, Bari e Siracusa), il Gran Premio di Lugano e alcuni circuiti in Francia.

Nel 1953 vinse per la quinta e ultima volta il Giro d'Italia. (successi di tappa a Roccaraso, Modena, Bolzano e Bormio), rovesciando con una spettacolare ascesa dello Stelvio una situazione che sembrava decisa in favore di Koblet. Quindi si preparò puntigliosamente per il campionato mondiale su strada, che vinse (l'ultimo successo italiano risaliva al 1932) con 6'16" di vantaggio sul belga Derijke.

Si trovò al centro di insinuazioni e polemiche. Si disse che l'allenatore Cavanna gli avesse fatto ingerire sostanze eccitanti e che il C. dovesse sottoporsi nelle settimane seguenti a cure disintossicanti (cfr. Ollivier, p. 225); probabilmente si servi in quella, come in altre occasioni, di aiuti farmacologici sotto controllo medico (in quel periodo non erano ancora in uso controlli "antidoping"; Brera, 1981, p. 137, a proposito di quella vittoria, parla di "borraceetta del miracolo per l'ultima rampa"). Si insinuò anche che avesse pagato la collaborazione di un gruppo di concorrenti olandesi e belgi. Ma più che per questi fatti, connessi con l'attività agonistica, lo scandalo scoppiò per la presenza vicino al C., sul palco della premiazione, di una donna sposata, Giulia Occhini, già notata in sua compagnia: iniziò un crescendo di pettegolezzi e di censure moralistiche che le ulteriori vittorie (contro il campione mondiale di inseguimento Patterson, il 4 settembre al Vigorelli, alla eccezionale media oraria di km 49,153 e nel Trofeo Baracchi in coppia con Filippi), non riuscirono a far dimenticare.

Nel 1954 vinse una tappa della PangiNizza e il Giro della Campania. Poi al Giro d'Italia (successi di tappa. a Palermo e Bolzano) una forte crisi nella seconda tappa e un comportamento stranamente passivo compromisero il risultato finale.

Al termine del Giro, il C. lasciò la moglie e andò a vivere insieme con la Occhini (ormai nota al pubblico come la "dama bianca", dal colore di un soprabito con cui era stata fotografata) in una villa presso Novi. Fu un grosso scandalo per l'Italia di quegli anni provinciale e bigotta, appena scossa dall'"affare Montesi": le denunce per adulterio, abbandono del tetto coniugale e mancata assistenza familiare, l'irruzione dei carabinieri nella villa di Novi, nella ricerca della fiagranza di adulterio, l'arresto e la breve detenzione nel carcere di Alessandria della Occhini, poi rilasciata a condizione di un suo allontanamento da Novi (domicilio coatto nelle Marche), l'ammonizione delle autorità ecclesiastiche di Loreto ai pellegrini perché si guardassero dal frequentare un albergo ove soggiornavano i due amanti, divisero l'opinione pubblica: "parteggiando per lei e Fausto si ha la curiosa impressione di combattere l'oscurantismo secolare del nostro paese torpido e sciocco" (Brera, 1981, p. 146).

Passò in secondo piano l'attività agonistica del C. che, vittima di altri incidenti (caduta in allenamento il 7 luglio con lesione a un legamento dei ginocchio sinistro, frattura del parietale e incrinatura della scatola cranica e caduta al campionato mondiale di Solingen con una ferita alla spalla sinistra), vinse una tappa al Giro della Svizzera, il Giro di Lombardia e il Trofeo Baracchi ancora in coppia con Filippi.

Fece più scalpore la condanna con sospensione condizionale della pena, comminata dal tribunale di Alessandria (14 marzo 1955), di due mesi di reclusione al C. e di tre mesi alla Occhini per violazione degli obblighi di assistenza familiare. Tra un'udienza del processo e l'altra il C. giunse quarto nella Milano-Torino (13 marzo); il 4 aprile vinse il Giro della Campania; l'11 aprile, riavuto il passaporto che gli era stato ritirato nell'agosto del 1954., fu secondo alla ParigiRoubaix. Mentre partecipava al Giro d'Italia (vittoria di tappa a San Pellegrino; secondo nella classifica finale), da Buenos Aires, ove la Occhini si era trasferita per poterlo denunciare allo stato civile con il cognome Coppi, glì giunse la notizia della nascita del figlio Angelo Fausto. Nel '55 vinse ancora il Giro dell'Appennino, la Tre Valli varesine e il Trofeo Baracchi sempre in coppia con Filippi.

All'inizio del '56 soffrì lungamente per febbri tifoidee; poi al Girod'Italia una caduta gli procurò una distorsione a una caviglia e lo spostamento di una vertebra. Fu costretto a due mesi di immobilità, interrompendo un'attività agonistica frenetica fatta soprattutto di circuiti e riunioni in pista ben remuneratil secondo alcuni è possibile che allora "certe fratture l'abbiano salvato dalla morte per avvelenamento da fatica" (Brera, 1981, p. 148).

L'insistenza a continuare una carriera ormai in declino (l'ultima vittoria individuale di rilievo fu quella nel Gran Premio di Lugano a cronometro nell'ottobre 1956, cui seguì, soltanto, nel novembre 1957, quella nel Trofeo Baracchi in coppia con Baldini, che ne fu il vero artefice) si spiega in parte con le esigenze di guadagno determinate da un tenore di vita divenuto per lui molto più dispendioso che in passato (inoltre molto forti furono le spese che dovette affrontare per le vicende giudiziarie e per il mantenimento della moglie e della figlia, cui si aggiunsero nel 1958 quelle per il matrimonio con la Occhini celebrato in Argentina e non valido in Italia), in parte con la volontà di rimanere ancora nell'ambiente che gli aveva elargito gloria e prestigio. Entravano in quegli anni nel mondo del ciclismo mezzi finanziari nuovi, portati da industrie che a scopo pubblicitario desideravano abbinare il proprio nome a quello dei più popolari campioni: la fama, l'età ormai avanzata (dal punto di vista sportivo), le tempestose vicende personali, perfino le frequenti fratture e le malattie del C. trovarono un prezzo come ottimo veicolo pubblicitario.

Il 1° marzo 1957 (Circuito di Sassari) il C. cadde ancora riportando una lesione al collo del femore che lo costrinse a cinque mesi di inattività. Al Giro d'Italia del 1958 si piazzò 32° a quasi 59' dal vincitore Baldini e anche l'anno successivo disputò senza successo moltissime gare, tra cui un faticosissimo Giro di Spagna. Il 15 nov. 1959, ormai ultraquarantenne, annunciò il suo ingaggio per l'anno successivo da parte della "S. Pellegrino", diretta dal suo ex rivale Bartali.

Il 10 dicembre il C. partì per Ougadougou nell'Alto Volta, ove partecipò a un criterium insieme con alcuni corridori francesi (Anquetil, Rivière, Geminiani) e ad alcune partite di caccia. Rientrato in Italia, il 27 dicembre si manifestarono i sintomi di una malattia malarica, diagnosticata come una forma influenzale. Il 31 dicembre, peggiorando le sue condizioni, fu ricoverato all'ospedale di Tortona, ove morì il 2 genn. 1960, prima che i medici capissero la natura del male.

Ai funerali, celebrati a Castellania il 4 gennaio, partecipò una folla imponente, incredula per quella morte banale tanto poco in sintonia con l'immagine di eroe popolare creata dai mezzi di comunicazione e profondamente radicata nelle masse: poté così nascere, di questa fine immatura, una suggestiva interpretazione: "Troppo intensamente aveva vissuto per poter reggere alla vita. In quarant'anni ha letteralmente bruciato se stesso. Ha sofferto l'esistenza dei poveri e le si è ribellato con sacrifici di epica imponenza. Ha inventato il ciclismo moderno e al suo stesso epos si è immolato con la precisa coscienza di immolarsi ... Quando ha capito che sopravvivere a se stesso non era impossibile ma certo sconveniente, per uno come lui, con infinita tristezza ha deciso di abdicare e di lasciarci" (Brera, 1981, p. 176).

Le imprese sportive dei C. furono senza dubbio utilizzate frequentemente in chiave politica oltre che in campo commerciale e ciò contribuisce a spiegare le finalità che portarono a ingigantire il "mito" C.; ma occorre pur sempre indicare quali fossero le caratteristic' he personali in grado di suscitare quella immensa popolarità che ha rappresentato un episodio importante nella storia del costume italiano dei secondo dopoguerra: "Forse tra qualche decennio potrà sembrare strano che centinaia di migliaia di persone abbiano pianto al principio del 1960 un corridore ciclista che si chiamava Coppi. Ma allora si dovrà ricordare che Fausto Coppi fu negli anni amari, difficili del dopoguerra uno dei pochi semidei possibili. In un mondo di scienziati ermetici e irresponsabili, di uomini politici schiacciati dalle macchine dei partiti, di industriali superati dalla mole dei grandi trust, di pittori e di musicisti incomprensibili al grosso pubblico questo Fausto Coppi fu un eroe possibile e accessibile a tutti. Correva sulla bicicletta, la macchina che anche i poveri potevano acquistare. Correva e vinceva con la forza dei suoi garretti d'acciaio, dei suoi muscoli lisci, del suo respiro calmo e lungo; vinceva per meriti suoi senza rubare niente a nessuno ... La gente capisce che è un uomo sensibile, dolente, che appartiene alla razza dei semidei lugubri e malinconici alla Manolete, alla razza dei contadini che diventano toreri o ciclisti o pugili famosi ma senza mai riuscire a liberarsi da quel loro peccato originale, dai secoli di miseria e di umiliazione" (G. Bocca, Un melancortico eroe popolare, in Eroi dei nostri tempi, Milano 1963, ora premesso a Ollivier, pp. 10 e 12).

Fonti e Bibl.: Oltre alla consultazione dei quotidiani tra il 1939 e il 1960, in particolare di quelli sportivi (Gazzetta dello sport, Corriere dello sport - fino al 1943 denominato Il Littoriale -, L'Equipe), per la ricostruzione della biografia del C. ci si è valsi delle opere seguenti: G. Giardini, F. C., Milano - Pavia s.d. 119491; G. Goggioli, F. C., Firenze 1949; A. Camoriano, Vita di C., Firenze 1958; G. Brera, Io, Coppi, Milano 1960; S. Neri, C. vivo, Roma 1966 (2 ediz. Roma 1979); J.-P. Ollivier, F. C. La tragedia della gloria, Milano 1980 (con l'ulter. bibl. ivi citata); G. Brera, C. e il diavolo, Milano 1981.

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