FARO

Enciclopedia Italiana (1932)

FARO (dal gr. Φάρος; fr. phare; sp. faro; ted. Leuchtturm; ingl. lighthouse)

Pietro ROMANELLI
Evaristo BRECCIA
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Robaldo MOROZZO della ROCCA
Aristide LURIA

Torre costruita per orientare la navigazione notturna, marittima o aerea, per mezzo di sorgenti luminose.

Fari nell'antichità . - Già in tempi antichissimi dovette esserci l'uso di accendere sull'alto delle colline, in prossimità del lido, dei fuochi perché fossero di guida ai naviganti. Più tardi fuochi consimili furono posti sull'alto di colonne all'ingresso dei porti: alcune rovine, che possono attribuirsi al sec. V a. C., sembrano indicare il punto in cui esse sorgevano all'entrata del Pireo e di Munichia. Una colonna consimile si vede raffigurata nel mosaico barberiniano di Palestrina.

Poiché è semplice ipotesi, nemmeno molto attendibile, che la statua colossale del Sole, all'ingresso del porto di Rodi, avesse la funzione di faro (v. colosso) è da ritenersi che la prima vera e propria torre-faro e, in ogni caso, quella che ha dato a tutte le altre il nome e il modello, sia stata quella d'Alessandria d'Egitto, la cui costruzione, se non fu prevista già nel piano della nuova città, ed è verosimile che lo sia stata, certo era già un fatto compiuto prima che fosse tramontata la prima generazione di abitatori. Architetto ne fu Sostrato di Cnido, figlio di Dexifane, il quale lavorò sotto i due primi Tolomei, e l'inaugurazione ebbe luogo sotto il secondo, Filadelfo (280-79 a. C.). Il faro era consacrato "a favore dei navigatori agli dei salvatori" (ϑεοῖς σωτῆροι ὑπὲρ τῶν πλοιζομένων, come diceva l'epigrafe dedicatoria), nei quali si devono probabilmente riconoscere piuttosto che Tolomeo I e Berenice, i Dioscuri, divinità della luce, splendenti, che i naviganti vedevano, durante la tempesta, posarsi sulla cima dell'albero maestro: la fiamma del faro vista isolata ed alta sull'orizzonte, come una stella, sembrava ad essi l'apparizione della divinità protettrice. Assai presto si diffuse nel mondo antico la fama della torre luminosa sorta sulla spiaggia dell'Egitto, torre che in verità era annoverata tra le più colossali costruzioni dei re greci. Essa non manca quasi mai negli elenchi delle sette meraviglie del mondo. Non si conosce nulla di positivo sull'origine della parola ϕάρος che taluni vorrebbero derivare dall'egiziano p[h] aar "tela" (i Greci avrebbero dato il nome di pharos all'isola in cui venivano a comprare il p[h]aar); ma è ipotesi poco consistente, tanto più che finora manca perfino la prova sicura che la minuscola isola fosse la sede d'un commercio considerevole, prima della fondazione d'Alessandria. Poco sappiamo intorno all'edificio dagli antichi genericamente ammirato e mai sufficientemente descritto, e poiché tutte le innumerevoli torri luminose che lo presero a modello sono andate distrutte, quando si eccettui il piccolo faro di Taposiris Magna, alto 17 metri, ancora superstite a circa quaranta chilometri sulla costa occidente del Delta, per farcene un'idea dobbiamo ricorrere alle monete alessandrine coniate sotto Domiziano, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio e Commodo, a modeste lanterne di terra cotta, ai mosaici, tra i quali recente quello scoperto a Gerasa. Del pari all'oscuro siamo circa la sua organizzazione e amministrazione nell'età tolemaica, sebbene sia indubbio che aveva una grande importanza per la vita economica della città. Durante il dominio romano Iside ebbe, tra gli altri mille, anche l'epiteto di Faria e un tempio di questa dea protettrice della navigazione sorse nell'isola ai piedi della grande torre. Alla guardia e alla manutenzione del faro, nell'età romana, furono preposti liberti imperiali. Il sistema d'illuminazione consisteva nell'accendere fuochi di legno resinoso e grandi torce, oppure nel bruciare olî minerali in vasti recipienti. La potenzialità ed efficacia della luce che gli antichi considerarono stupefacenti, tanta era la distanza, cinquanta chilometri circa, a cui veniva proiettata, erano accresciute da intermittenze e da enormi specchi concavi di metallo, i quali sarebbero stati espressamente inventati da Archimede. La torre, alta 120 metri, sorgeva all'ingresso del μέγας λιμήν, sopra un isolotto riunito alla punta nord-est dell'isola di Faro, proprio nel luogo attualmente occupato dal rovinato forte Qāit Bey (1477-79) che ne copre le fondazioni e le ultime vestigia.

Sul faro di Alessandria si modellarono le altre torri consimili innalzate in età ellenistica e romana in varî punti del Mediterraneo: esse ebbero in generale un'altezza minore, furono suddivise in un numero maggiore o minore di piani, ma il tipo rimase sempre il medesimo. I fari di cui abbiano ricordo dalle fonti scritte o dai resti monumentali non sono relativamente molto numerosi: d'altronde non tutte le torri di cui conosciamo l'esistenza presso la costa o vicino all'imboccatura di fiumi, dobbiamo credere fossero fari veri e proprî. Questo valga ad es. per la torre alla foce del Tyras (Dnestr), nel Ponto Eusino, per quella nel Bosforo Tracico alla foce del Chrysarrhoas e per le due che sorgevano all'imboccatura dell'Ellesponto, a Sesto e Abido. Di fari erano provvisti in Oriente i porti di Laodicea al mare, di Smirne, di Ege e di Costantinopoli: quivi il faro diede nome al quartiere del Fanàr. In Italia il più antico fu quello di Messina, che vediamo rappresentato in una moneta di Sesto Pompeo e che diede il nome allo stretto; quello di Ostia fu costruito da Claudio, fondandolo sopra una pesante nave da carico fatta affondare sul davanti del porto: come rileviamo dalla riproduzione in un rilievo Torlonia, esso era a quattro piani, tutti di forma quadrangolare. Altri fari erano a Ravenna (due), ad Aquileia, Brindisi, Gaeta, Pozzuoli, Capri. Fuori d'Italia famoso era quello di Gesoriacum (Boulogne) sulla Manica, alto 60 metri, a dodici piani di forma ottagonale; era stato costruito da Caligola nel 41 a. C. per commemorare la progettata spedizione contro i Britanni, e le pretese vittorie riportate; esso restò in piedi fino al sec. XVII: di contro ad esso due fari si elevavano a Portus Dubris (Dover). Notevoli avanzi sussistono ancora di quello di Forum Iulii (Fréjus) nella Gallia Narbonese; in Spagna Q. Servilio Cepione ne costruì uno alla foce del Baetis; un altro, di forma quadrata, alto 40 metri, opera dell'architetto lusitano C. Servio Lupo, sorgeva all'estremità nord-occidentale della penisola, al porto di Brigantium (La Coruña); sono stati riconosciuti resti di quello di Leptis Magna. Il tipo architettonico del faro di Alessandria sembra abbia influenzato quello del minareto arabo.

Fari medievali e moderni. - Tra i fari dell'età moderna va ricordato anzitutto quello di Genova, la cosiddetta "lanterna". Eretto nel 1139 sullo scoglio estremo della punta di s. Benigno, fu riattivato nel 1326 e distrutto nel 1512. La repubblica lo ricostruì nel 1543, non lungi dall'antico, nella sua forma attuale (v. tav. CXXXI). Alto 125 m. s. m. (piano focale a m. 117,50), esso costituisce un elemento tipico nel profilo della città. Nel 1154 i Pisani costrussero alla Meloria un faro che fu più volte riattivato e venne distrutto definitivamente nel 1290. Gli stessi Pisani costruirono (1304) l'attuale faro di Livorno. Tra i più noti fari costruiti anteriormente al secolo XIX vanno ricordati quelli di Falsterbo (1200), di Travemünde (1220) e di Neuwerk (foci dell'Elba, 1286); particolare menzione merita quello di Cordouan alla foce della Gironda (Francia), costruito nel 1611. È questo il primo esempio di faro eretto su rocce. La parte superiore dell'edifizio, in stile Rinascimento, fu rifatta del tutto nel 1788. Il piano focale è a m. 59,80 dal mare. Altro faro famoso del sec. XVIII è quello di Eddystone, costruito da H. Winstanley, su rocce, a 14 miglia da Plymouth, nel 1698. La prima torre crollò nel 1703; nel 1709 il Rudyerd ne costruì un'altra, di legno cerchiato di ferro, che fu distrutta da un incendio nel 1755. Una terza torre fu eretta da J. Smeaton nel 1759; essa era interamente di pietra concia su pianta circolare e con profilo svasato alla base secondo una linea parabolica. Lo Smeaton innestò la costruzione profondamente nello scoglio naturale, costituendo una base massiccia fino all'altezza massima raggiunta dalle onde, e assicurò l'azione di mutua resistenza dei conci mediante innesti a coda di rondine. La parte superiore del faro era costituita da un cilindro cavo eseguito con gli stessi sistemi d'incastro e rinforzato da vòlte frequenti (che limitavano gli alloggi e i magazzini). Questa costruzione fu essenziale nella storia dei fari e costituì il modello della maggior parte di quelli posteriori. La torre di Eddystone venne abbandonata nel 1882 per il logoramento della roccia basamentale, e ne fu costruita una quarta da J. N. Douglass, col piano focale a più di 40 m. s. m. Tra i numerosi fari costruiti nel secolo XVIII meritano speciale menzione quello di Smalls (Pembrokeshire) e i due fari gemelli di La Hève (Havre). Il primo (1777), di pietra, eretto su rocce sommerse all'alta marea, fu ricostruito nel 1861. I secondi (1774) avrebbero sostituito un'antica Tour des Castillans edificata nel 1364, e sussistono ancora oggi, minacciati però dallo sgretolamento delle rocce su cui posano.

Le costruzioni più notevoli si ebbero nel secolo XIX, specie con lo sviluppo della navigazione a vapore. Il faro di Bell Rock (Forfarshire) fu costruito da R. Stevenson e ultimato nel 1811; è collegato con diaframmi di pietra da taglio profondamente innestati nella muratura.

Quello di Skerrivore (presso l'isola Tyree, Argyllshire) fu terminato nel 1884; è alto m. 45,75. Quello di Ar-men (isola di Sein), per la cui costruzione occorsero quindici anni (1867-81), giace su rocce di area assai limitata, ed è interamente di muratura. Va particolarmente menzionato il faro di Roter Sand, situato alla foce del Weser, per cui fu necessario calare un enorme cassone metallico, biconvesso, alla profondità di oltre 22 m. per appoggiarvi sopra la costruzione, che fu iniziata (dopo un primo tentativo fallito) nel 1883 e terminata nel 1885. Molto ardita fu pure la costruzione del faro di Bishop Rock (isole Scilly), compiuta in quegli anni.

La prima torre fu costruita dal Douglass, su rocce, dal 1847 al 1850, ma un tremendo uragano la distrusse prima della sua inaugurazione; la seconda torre, di granito, terminata nel 1858, sembrò a più riprese non sufficientemente robusta, cosicché fu rinforzata, con travi d'acciaio, nel 1874; e nel 1881 la base venne racchiusa da blocchi di granito uniti congiunti a coda di rondine tra loro e con l'edificio. Il lavoro terminò nel 1887; anche l'altezza della torre venne notevolmente aumentata (piano focale a 44,53 m. s. m.). Il faro di Fastnet (Irlanda), eretto nel 1854, in ghisa, apparve malsicuro nel 1895, dopo un esame del basamento, e venne edificata (1904) una nuova torre di granito, massiccia fino a 16 metri d'altezza, e innalzantesi poi con un muro dello spessore di 7 m. (raggio esterno m. 20). Il piano focale è a 48 m. s. m. (v. tav. CXXXII). Tra i più famosi fari dei varî paesi si notano ancora: Inghilterra: Wolf Rock, Haulbowline Rock, Maplin, Smalls, Carlingford, Spurn Point, Lundy Island, Pendeen, Souter Point, South Foreland, Lizard, Kinnaird's Head, Tarbet Ness, Isle of May e parecchi altri; Francia: Héaut de Bréhat, Jument d'Ouessant, Les Triagoz, Planier, Eckmühl, Morbihan, Pondichéry, Chassiron, Cap d'Antifer, Île de Batz, Villefranche, Calais, Dunkerque, Cap de La Hève, ecc.; Germania: Helgoland, Arkona, Brüsterort, Nidden, Rixhöft, Kiel (monumento alla marina germanica), ecc.; Stati Uniti: statua della Libertà (New York), Minots' Ledge, St. George's Reef, American Shoal, Fowey Rocks, The Graves, Rock of Ages, Boston, Tillamook Rock, Sombrero Key, Fourteen-Foot Bank, Pecks Ledge, ecc. Particolarmente noti in Spagna sono i fari di Punta Galea, Capo Villano, Castillo de San Sebastián; in Argentina quello di Punta Mogotes, in Australia quelli di Point Cloates e di Macquarie, in India quello di Kennery Island, ecc.

Tra i fari italiani citiamo i seguenti:

Faro della Punta Caprara (o Punta Scorno), al N. della Sardegna: eretto nel 1859; altezza del piano focale sul livello del mare m. 80; ottica di 1° ordine; sorgente luminosa acetilenica; intermittenza a gruppi di due luci bianche ogni 15″; portata luminosa circa miglia 22,5.

Faro del Tino, sulla parte più elevata dell'isola, situata dal lato occidentale del Golfo della Spezia: 1885; altezza sul livello del mare m. 117,50; incandescenza a vapore di petrolio; gruppi di 3 splendori bianchi ogni 30″; portata media miglia 26,5.

Faro di Livorno, all'imboccatura S. dell'avamporto (v. sopra); m. 47 s. m.; ottica di 2° ordine; incandescenza a vapore di petrolio; lampi bianchi singoli ogni 10″; portata circa miglia 26,5.

Faro di Civitavecchia, sul primo braccio del molo esterno: 1840; m. 37 s. m., ottica di 2° ordine; incandescenza a vapore di petrolio; gruppi di 2 lampi bianchi ogni 15″; portata circa miglia 25,5.

Faro di Napoli, sull'angolo dei due moli Angioino e S. Gennaro: 1843; altezza sul mare m. 48,40; ottica catottrica; incandescenza a vapore di petrolio; lampi bianchi singoli ogni 5″; portata circa miglia 24.

Faro sul Capo di S. Maria di Leuca: 1886; altezza sul mare m. 102; ottica di 1° ordine; incandescenza a vapori di petrolio; gruppi di 3 lampi bianchi ogni 20″; portata miglia 26,5.

Faro di Bari sulla Punta S. Cataldo: 1871; altezza s. m., m. 66,40; ottica di 1° ordine; incandescenza a vapore di petrolio; splendori bianchi ogni 15″; portata miglia 26,5.

Faro di Punta Penna (presso Nasto): 1912; altezza s. m., m. 84,90; ottica di 3° ordine grande modello; incandescenza a vapore di petrolio; splendori bianchi singoli ogni 30″; portata miglia 32.

Per quello che riguarda in particolare il Faro della vittoria (Trieste) v. appresso.

Costruzione degli edifici dei fari. - Le parti essenziali di un faro sono la lanterna, la galleria esterna per la manutenzione della lanterna, la camera di guardia, i magazzini di combustibile, la cisterna, i depositi, l'alloggio dei fanalisti e dell'ispettore. La muratura è uno dei migliori materiali per queste costruzioni, perché resistente agli agenti atmosferici e al logorio delle onde. Nei riguardi delle fondazioni è sempre necessario tenere basso il carico unitario, e se si è vicini al mare, ove il regime delle acque filtranti varia con le maree, bisogna prevedere una cinta protettrice intorno alle fondazioni. Se il fondo è sabbioso, deve essere palificato per trasmettere le sollecitazioni agli strati inferiori. È controverso se si possa tener conto, nel calcolo statico dei fari, anche della coesione, o se si debba tener conto soltanto della gravità; lo Stevenson si pronuncia in favore di quest'ultima teoria, e sin verso il 1900 le torri furono calcolate in modo che il momento di stabilità superasse il momento di rovesciamento; ora invece si è portati piuttosto a considerarle come solidi incastrati alle fondazioni, tenendo conto delle sollecitazioni interne cui è soggetta la muratura. Nel calcolo la pressione del vento è generalmente supposta di 275 kg. al mq. su superficie piana, e a ⅔ su superficie cilindrica, assumendo per coefficiente di stabilità un valore non inferiore a 5. L'azione delle onde, non meno pericolosa di quella del vento, viene misurata con speciali dinamometri e varia notevolmente secondo la posizione in cui si trova il faro; per resistervi, il basamento delle torri è quasi sempre massiccio. I fari molto alti sono soggetti a oscillazioni assai forti che vengono accuratamente registrate da apparecchi appositi per fornire un indizio sullo stato di stabilità della costruzione. Le buone malte di cemento hanno dato prova di resistere perfettamente e rendono superflua la lavorazione a incastro dei conci di pietra.

Dove la muratura è inadoperabile per ragioni di spazio o di trasporto, si usa il ferro, che deve essere soggetto ad accurata manutenzione: l'acciaio al cromo è quello che meglio resiste alla corrosione. I sostegni della lanterna sono costruiti a traliccio e qualche volta rivestiti di lamiere allo scopo di ricavarne ambienti utili, che devono però essere foderati di materiale coibente; la base dei montanti è infissa con pali a vite nella roccia o in un blocco di calcestruzzo sufficiente ad assicurarne la stabilità. Per lo più gli alloggi e i magazzini sono costruiti a parte, in muratura oppure in legname.

In Italia sono notevoli le torri a traliccio sull'estremità del molo S. Vincenzo a Napoli e del molo delle Casse a Savona. Il cemento armato ha dimostrato di servire ottimamente alla costruzione dei fari e richiede poca manutenzione. Nel 1910 è stato costruito in cemento armato il faro di Westhoofd in Olanda, alto complessivamente m. 50,48; la torre sorge su pianta ottagonale con otto piloni agli spigoli ed è calcolata per una pressione del vento di 300 kg. per mq.; i pilastri sono stati supposti incastrati alla fondazione. In Francia è stato costruito in cemento armato il faro di Rochebonne; esso è fondato a 5 metri sotto il livello di bassa marea su di un masso artificiale di 20 m. di diametro, sul quale è stato collocato un cassone in cemento armato costruito fuori opera, che ha permesso l'ulteriore costruzione della torre.

Apparati ottici. - Per lungo tempo nulla fu fatto per circoscrivere o rafforzare l'emissione luminosa dei fari. Il primo tentativo, in ordine di data, consisté nel porre, accanto alla sorgente luminosa, comuni riflettori parabolici, fatti di cristallo argentato (W. Hutchinson, 1763) o di metallo polito (Teulère, Borda, 1784), in modo che i raggi venissero riflessi in una determinata direzione. Facendo ruotare il riflettore, si otteneva una corrispondente rivoluzione del fascio luminoso. Questo sistema, detto catottrico, è ancora adottato in certi impianti minori (p. es.; battelli-faro), ma è da considerarsi in massima superato.

Sono usati universalmente, invece, i sistemi lenticolari, diottrici e catadiottrici. Già il Buffon (1748), il Condorcet (1773) e il Brewster (1811) avevano escogitato (allo scopo di limitarne lo spessore) delle lenti d'un sol pezzo, formate da fasce concentriche di cristallo. Il Fresnel (1822) ebbe il merito di fondare su questo tipo di lente i nuovi apparati ottici dei fari.

Infatti la lente L (fig. 7), costruita in base alle indicazioni dei predecessori, concentra i raggi luminosi che partono da F, e ha, in confronto a una lente comune di uguale circonferenza, sensibili vantaggi (acromatismo, leggerezza, minor costo, ecc.); d'altra parte gli anelli (a sezione approssimativamente triangolare) ABCD, ABCD′, aventi i centri di curvatura progressivamente allontanantisi sull'asse LF ma ugual fuoco rispetto alla sorgente luminosa, funzionano come prismi a riflessione totale e rimandano i raggi che passano al di fuori della lente L; questa costituisce la parte diottrica del sistema; le corone circolari prendono il nome di anelli catadiottrici. Se la sezione indicata nella fig. 7 vien fatta ruotare secondo l'asse verticale xy, si ottiene una lente cilindrica, che rifletterà uniformemente i raggi luminosi su tutto l'orizzonte; se invece si fa ruotare la sezione L secondo l'asse orizzontale FL, si ottiene una lente anulare del tipo anzi descritto. Giustapponendo un certo numero di lenti anulari a sezioni di lenti cilindriche si otterranno delle ottiche (figura 8) per fari a un certo numero di pannelli; facendo girare l'ottica intorno al proprio asse verticale, si avranno in un giro tante concentrazioni luminose successive per quanti sono i pannelli dell'ottica. Gli anelli catadiottrici furono introdotti dal Fresnel nel 1827, ma già nel 1823 il faro di Cordouan era stato munito di un sistema diottrico, completato con riflettori metallici. Il sistema catadiottrico, che costituisce la base di tutta l'illuminazione dei fari, comprende anche talvolta uno o più specchi sferici (T. Stevenson, 1849) o diottrici (inventati da J. T. Chance nel 1862), che riflettono in fasci paralleli i raggi che partono dalla sorgente luminosa e che verrebbero altrimenti dispersi; lo specchio sostituisce spesso, ma non sempre, i riflettori metallici o di cristallo argentato.

Sulla base della invenzione del Fresnel, molti perfezionamenti, dovuti soprattutto agli Stevenson, furono poi introdotti nel sistema lenticolare dei fari: alcuni furono vere innovazioni, come i prismi azimutali introdotti da T. Stevenson (1850) per rafforzare l'intensità di singole porzioni del fascio luminoso (adoperati nei fari a luci policrome). Ma i progressi si realizzarono soprattutto nella costruzione e nella disposizione delle singole parti delle ottiche, fermo restando il principio fondamentale.

L'intermittenza del fascio luminoso fu oggetto di numerose ricerche, e i sistemi adottati in proposito furono varî. Già il Fresnel aveva escogitato un apparecchio a luce fissa la quale veniva rinforzata a dati intervalli mediante il passaggio di pannelli a prismi rifrangenti.

Successivamente si adottarono tre sistemi principali di occultamento: a) uno schermo cilindrico alzato e abbassato intorno alla sorgente luminosa; b) uno schermo girevole; c) estinzione periodica della stessa sorgente luminosa. L'occultamento non è tuttavia che un caso particolare dell'intermittenza, la quale può essere prodotta mediante congegni di tre categorie diverse, ossia: quelli per apparati lenticolari con sorgente luminosa a petrolio: quelli per sorgente luminosa a gas; infine quelli per sorgente luminosa a incandescenza elettrica (vedi appresso quanto concerne le sorgenti luminose).

Appartengono alla prima categoria i sistemi di oscuratori a ventola, mossi da congegni d'orologeria; alla seconda i congegni a macchina di rotazione e i cosiddetti lampeggiatori automatici, a membrana, azionati dalla pressione del gas; alla terza categoria quei congegni mediante i quali si ottiene l'intermittenza con l'aprire e chiudere il circuito elettrico. Questi ultimi possono funzionare per mezzo di un congegno d'orologeria, o di un motorino elettrico, o di un sistema pendolare a contatti di mercurio.

A seconda delle necessità, le luci dei fari vengono adoperate in base ai tipi seguenti: a) fisse (luce ferma continua); b) a lampo (luce ruotante con un lampo a intervalli regolari); c) fisse e a lampo (luce fissa rinforzata da un lampo a intervalli regolari); d) a più lampi (combinazioni di lampi, succedentisi a intervalli regolari); e) a più eclissi (luce fissa occultata periodicamente da un gruppo di eclissi).

A varie altre combinazioni dànno luogo le luci colorate, ottenute per mezzo di schermi o di cristalli appositi. Oggi la preferenza viene data, in linea di massima, ai tipi b, c e d.

Le distanze focali e le altezze utili dei principali apparecchi lenticolari attualmente in uso risultano dalla tabella seguente.

Armature e mezzi di rotazione delle ottiche girevoli. Durata dei lampi. - Le prime armature di rotazione delle ottiche poggiavano sopra carrelli a rotelle. Più tardi, con le aumentate dimensioni delle ottiche stesse e con la necessità di ottenere maggiore rapidità nella rotazione, essi vennero sostituiti con apparati su cuscinetti a sfere o, meglio ancora, con galleggianti su vasca di mercurio. Quest'ultima invenzione è dovuta a O. Bourdelles (1890), e il sistema riduce l'attrito assolutamente al minimo. Le moderne macchine di rotazione (congegni d'orologeria), a peso motore, sono molto perfezionate nel complesso e in ogni particolare (fig. 12). In qualche grande faro sono stati applicati alle ottiche rotatorie dei motori ad aria calda; in altri, con sorgente luminosa elettrica, motorini elettrici adatti; in altri ancora, alimentati da gas sotto pressione, speciali motori a gas.

Il problema della durata dei lampi si pose sino da quando vennero adottate le ottiche girevoli. Negli apparecchi del Fresnel essa non era mai minore di 8″; poi fu diminuita, ma non si giunse mai al di sotto di 1″. Le ricerche del Bourdelles avevano fatto ritenere, per un certo tempo, che 1/10 di secondo, con intervallo di 5″ tra i lampi, fosse sufficiente, e furono perciò adottati per parecchi fari francesi i cosiddetti feux-éclairs, che ottenevano appunto, mediante appositi sistemi ottici, luci di tale durata. Più tardi si accertò invece che erano necessarî almeno 3/10 di secondo, da aumentarsi in caso di luci colorate.

Sorgenti luminose. - Quasi contemporaneamente agli apparati ottici, si perfezionarono le sorgenti luminose. Fino a tutto il secolo XVIII i combustibili usati per i fari furono quasi esclusivamente la legna e il carbone. Nel secondo faro di Eddystone si adottarono - e parve grande progresso - delle candele di sego. L'olio si cominciò a usare soprattutto sul finire del '700, e varî tipi di lucignoli, sino a quello cilindrico di Argand (1783), vennero ideati in conseguenza.

Ma né gli spermaceti, né l'olio di colza o di lardo, successivamente sperimentati, diedero risultati soddisfacenti, e vennero tutti immediatamente sostituiti dagli olî minerali, non appena questi subentrarono. Anche il gas di carbone fu presto abbandonato, e si sfruttò il petrolio mediante lucignoli, sinché l'introduzione dei sistemi a incandescenza non orientò in questo senso i costruttori. Moltissimi fari, a partire dalla fine del secolo XIX, furono provvisti di lampade a incandescenza a vapore di petrolio: in queste il petrolio liquido viene spinto a pressione in un vaporizzatore, ove viene riscaldato e vaporizzato; quindi passa nella parte superiore della lampada, dove si forma la miscela combustibile. La sostituzione di queste lampade a quelle precedenti a lucignoli aumentò di circa sei volte la potenza luminosa dei fari in cui venne effettuata. Varî gas di olio furono sperimentati come combustibili per i fari, con vario esito. I migliori risultati sembrano sinora essersi ottenuti col Blaugas, col B. B. T., e col Daléngas. Anche l'acetilene, sperimentato quasi contemporaneamente a lampade a incandescenza a petrolio, ha dato buoni risultati. Gli acetilenogeni sono generalmente a caduta d'acqua sul carburo nei fuochi sorvegliati da fanalisti, mentre in quelli permanenti (v. appresso) sono in genere del tipo a contatto di acqua col carburo. Nei fuochi permanenti è spesso adoperato l'acetilene disciolto nell'acetone trasportato in robuste bombole d'acciaio ripiene di materia porosa speciale, per evitare ogni possibilità di esplosione. La luce elettrica, infine, è stata già ampiamente adottata: con i sistemi ad arco si ottiene un'intensità luminosa assai forte, ma il relativo costo d'impianto e quello di esercizio sono tali da farne limitare l'uso.

Invece da qualche tempo si vanno applicando ai fari delle lampade a incandescenza, sino a 8000 candele e più, con ottimi risultati.

Portata ottica e portata geografica dei fari. - La portata ottica (o luminosa) di un faro dipende dall'intensità della luce, dalla sensibilità visiva e dallo stato di trasparenza dell'atmosfera. In seguito ad accordi internazionali, si sono determinate le portate dei fuochi marittimi mediante osservazioni dirette eseguite dai fanalisti per ciascun tipo di fuoco e registrate insieme coi più importanti elementi meteorologici. Da queste osservazioni risulta, per ciascun faro, quante volte su cento esso è visibile da quelli vicini, e quindi si tracciano, per punti, curve caratteristiche, che dànno la frequenza di visibilità alle varie distanze. I varî stati si limitano però a pubblicare, nei rispettivi elenchi dei fari e fanali, le distanze alle quali ciascun fuoco è stato visto 50 e 90 volte su 100. La prima delle dette distanze si ritiene corrispondente alla media trasparenza atmosferica, la seconda allo stato nebbioso dell'atmosfera.

La portata geografica dei fari è la distanza alla quale, per la curvatura della terra, viene limitata la visione d'un faro per un osservatore che abbia l'occhio al livello del mare; essa, astrazion fatta dalla rifrazione atmosferica, è rappresentata da

essendo H l'altezza del faro espressa in metri e P la portata in miglia marine (m. 1852). Questa formula, tenuto conto della rifrazione atmosferica, si trasforma in P = 2,04 √H, ottenuta introducendo nel calcolo un coefficiente costante marino di rifrazione, il cui valore medio per l'Italia, è di 0,11. Per un osservatore avente l'occhio a metri h sul livello del mare, la portata geografica del faro da lui osservato è:

Fuochi permanenti. - I fari e segnalamenti luminosi permanenti, atti a funzionare automaticamente per lunghi periodi di tempo, sono i soli che possano essere adoperati su piccoli scogli isolati in mezzo al mare, su gettate inaccessibili col cattivo tempo, e in località molto appartate. I vecchi fuochi permanenti erano con funzionamento a petrolio. Oggi si fanno tutti con funzionamento a gas (gas d'olio, ovvero acetilene a produzione diretta dal carburo, ovvero acetilene disciolto). In essi tutti i varî apparecchi funzionano automaticamente: dal riduttore di pressione, che regola la pressione del gas al necessario per il buon funzionamento del lampeggiatore; al lampeggiatore stesso, che dà le caratteristiche d'intermittenza alla luce; al congegno economizzatore, avente lo scopo di spegnere il fanale al sorgere del sole e di riaccenderlo al tramonto. Notevolissimo progresso nei fuochi permanenti si ebbe con l'applicazione dell'incandescenza ad acetilene in essi, deteriorandosi la reticella di servizio, ne subentra istantaneamente e automaticamente una di riserva, e l'acetilene e l'aria sono automaticamente mescolati nelle volute proporzioni.

Con l'incandescenza a gas si sono realizzati altresì fuochi permanenti a lampi, nei quali il movimento rotatorio all'ottica è dato dalla pressione del gas. Si hanno ottimi fuochi permanenti di direzione e per allineamenti ad acetilene disciolto; e lanterne speciali funzionanti contemporaneamente sia da fuoco d'orizzonte sia da fuoco di direzione. L'accensione automatica alla sera e lo spegnimento al mattino dei fuochi permanenti si ottiene mediante speciali congegni, che possono essere dei seguenti tipi: 1. congegni d'orologeria economizzatori, accenditori, estintori automatici, con durata di carica fino a 4 mesi; 2. valvole solari, apparecchi completamente automatici, funzionanti per l'azione della luce diurna (fig. 17).

Il servizio dei fari in Italia. - In Italia, dal 1910, epoca del riordinamento del servizio dell'illuminazione e del segnalamento delle coste, molti progressi sono stati effettuati in questo importantissimo ramo della ingegneria marittima. La R. Marina ha compiuto in vent'anni un lavoro cospicuo, sistemando nel miglior modo il personale, attuando un gran numero di impianti di fari e segnali marittimi sulle coste del Regno e delle colonie, e trasformando, in base ai più moderni criterî, ai suggerimenti dei congressi internazionali e secondo un razionale piano organico delle caratteristiche dei fuochi marittimi, molti apparecchi antiquati. Il servizio dei fari e del segnalamento marittimo è disciplinato in Italia da appositi regolamenti. Esso è suddiviso, alla periferia, in sette Zone fari e in un Ufficio tecnico dei fari, che dipendono direttamente dal Ministero della marina, direzione generale del personale e dei servizî militari, divisione fari. Ognuna delle sette zone è provvista di officinetta con un certo numero di operai, e di una nave. Numerose istruzioni regolano tutto il servizio tecnico.

Un grande faro moderno italiano. - Quanto è stato detto sin qui trova la sua esemplificazione nei cenni che seguono, relativi al Faro della vittoria a Trieste (iniziato il 15 gennaio 1923, inaugurato il 24 maggio 1927) (v. tav. CXXXI e figg. 18, 20). Il faro è costituito dalle seguenti parti: a) Piedistallo: formato dal preesistente torrione rotondo, irrobustito da una camicia in cemento armato rivestita in pietra di Gabria. Sull'asse di simmetria principale il piedistallo si allarga con due risvolti a formare l'avancorpo del faro. La parte inferiore, che costituisce il primo zoccolo, presenta un grosso bugnato, con sovrastanti sei gradini. A esso fa seguito una parte centrale, con varie feritoie laterali. Completa il piedistallo un solettone in cemento armato chc sostiene tutta la parte superiore del faro, ripartendone il relativo peso sulle fondazioni. b) Zoccolo a campana: sul solettone ripartitore, uno zoccolo a campana in calcestruzzo, con rivestimento esterno in pietra bianca di Orsera, presenta nell'interno cinque nicchie e un ambiente circolare, del raggio di m. 3,20, nel quale si sviluppa una scala a chiocciola; nella parte centrale vi è un tubo in cemento armato, la cui cavità è occupata dall'ascensore. In corrispondenza dell'asse principale di simmetria s'innestano il portale e anteriormente, sopra l'avancorpo, il piedistallo che sorregge la statua. Alla sommità lo zoccolo è coronato da un ballatoio in aggetto su mensole, a livello del quale si eleva il fusto della torre. c) Fusto della torre: è composto da due tubi in cemento armato concentrici, cioè: il tubo interno per l'ascensore e l'esterno rivestito in pietra di Orsera - collegati rigidamente per mezzo della scala a chiocciola ottenuta di getto insieme ai due tubi. Lungo il fusto è distribuita una serie di finestrini disposti su una spirale ipotetica per l'illuminazione della scala a chiocciola. d) Capitello e terrazza superiore: il capitello è in blocchi di pietra di Orsera collegati fra loro con maschiatura sul tipo dei fari inglesi più esposti alla furia del vento, reso rigido nelle sue parti mediante anelli in ferro e con un'anima in cemento armato nella parte formante balaustra. e) Base della lanterna e piastra di appoggio dell'apparato illuminante: la base della lanterna è costituita da un anello di calcestruzzo di cemento sbozzato in modo da rassomigliare a un conglomerato naturale. È alta m. 3,80 e sormontata da una piastra di cemento armato che sostiene l'apparecchio illuminante e che poggia sul tubo interno della colonna. Nella muratura della base sono incastrate le gambe del treppiede in ferro a sostegno della statua alata, treppiede completamente indipendente dalla lanterna. f) Parti statuarie: la statua alata, in rame sbalzato, è sorretta da un tubo centrale d'acciaio: rappresenta una donna alata che regge in alto con la sinistra la face simbolica mentre con la destra sostiene una corona d'alloro. L'avancorpo del faro porta una statua di marinaio, in pietra di Orsera, addossata alla colonna del faro stesso. g) Apparecchio illuminante: la lanterna a cristalli curvi, con ossatura di bronzo e cupola a squame, è la maggiore che esista in Italia: diametro esterno m. 5,314; della muretta metallica m. 5,250. L'altezza del piano focale sul livello medio del mare è di m. 115, alla quale corrisponde la portata geografica di circa 26,5 miglia per un osservatore avente l'occhio a m. 5 sul livello del mare. Nel centro della lanterna è sistemato, su una colonna di ghisa provvista d'impannatura a dente quadro che permette lo spostamento dell'ottica in senso verticale, l'apparato lenticolare diottrico-catadiottrico (fig. 20) di 3° ordine grande modello (distanza focale 500 mm.), alto complessivamente m. 1,70 e, dalla base al piano focale, m. 0,72. Tale apparato lenticolare è composto da tre gruppi, ognuno formato di due pannelli ad assi decentrati, ogni pannello sottendente orizzontalmente al fuoco 60°. L'apparecchio, girevole, è atto a dare la caratteristica a gruppi di due lampi. La superficie utile di ciascun pannello in proiezione verticale è di 7500 cmq. La sorgente luminosa è costituita da una lampada elettrica a incandescenza di 80 volt, 30 ampère, della potenza di 4950 candele internazionali orizzontali, con uno splendore medio di 850 candele per cmq.; con essa si ottiene, per ciascun pannello, un fascio di luce dell'intensità luminosa, in direzione dell'orizzonte, di candele internazionali 1.250.000, che corrisponde a una portata ottica di 35 miglia marittime con atmosfera di media trasparenza (50% dell'anno), ossia circa 18 miglia con tempo nebbioso. L'apparecchio ottico è sostenuto da un galleggiante immerso in una vasca di mercurio, ed è messo in rotazione da un apparecchio d'orologeria che riceve l'impulso da un peso motore il quale viene rimontato automaticamente da apposito motorino elettrico. Quando il peso discendente giunge a una determinata altezza, mette in azione un contatto elettrico che fa funzionare il motorino di ricarica. Giunto il peso alla sommità, un altro contatto ferma il motorino; l'orologeria continua a funzionare durante la salita del peso motore. L'apparecchio ottico compie un giro intero intorno al suo asse verticale in 45 secondi, per modo che la caratteristica del faro risulta la seguente, a gruppi di due lampi ogni 15 secondi:

In una rotazione completa dell'ottica il periodo si ripete tre volte. Nel caso, assai improbabile, che non si potesse usufruire della sorgente luminosa elettrica, la medesima verrebbe sostituita da una lampada a incandescenza a vapore di petrolio, con reticella da 55 mm., della potenza luminosa di 1115 candele internazionali, con uno splendore intrinseco di 22,2 candele internazionali per cmq., atta a dare a ciascun pannello l'intensità luminosa orizzontale di 111.550 candele internazionali, e portata luminosa di 31,5 miglia per tempo medio. Entro l'ottica, su un unico portalampade elettro-magnetico, vi sono due lampade, una a fuoco e l'altra nel piano focale, spostata di 180°. La corrente, prima di attraversare la lampada, passa attraverso un dispositivo speciale che, in caso di rottura del filamento della lampada di servizio, sposta la lampada avariata e la sostituisce con l'altra buona. Nell'eventualità d'interruzione prolungata della corrente di città, tale che non bastassero gli accumulatori, si mette in funzione un gruppo elettrogeno, motore a benzina-dinamo, il quale è atto a caricare indipendentemente gli accumulatori stessi.

Per quanto riguarda i fuochi e i fanali in genere, v. segnalamento marittimo.

Bibl.: Sui fari antichi H. Thiersch, Der Pharos, Lipsia 1909; id., Griechische Leuchtfeuer, in Jahrb. Arch. Inst., 1915, p. 213 segg.; P. Perdrizet, Sostrate de Cnide, architecte du Phare, in Rev. d. études anciennes, I (1899), pp. 261-272; G. Lumbroso, L'Egitto dei Greci e dei Romani, 2ª ed., Roma 1895, p. 117 seg.; M. Van Berchem, in Comptes rendus de l'Académie des inscriptions, 1898, p. 339 seg.; id., Matériaux pour un Corpus inscriptionum arabicarum, in Mémoires de la Mission archéologique française du Caire, XIX; Fr. Hommel, Astrologische Vorlagen des alexandrinischen Pharos, in Comptes rendus du Congrès international d'archéologie classique, Cairo 1909, pp. 138-141; U. Monneret de Villard, Il Faro di Alessandria, in Bull. de la Société arch. d'Alexandrie, n. s., V (1921), p. 13 segg. - Sui fari moderni: A. Fresnel, Mémoire sur un nouveau système déclairage des phares, Parigi 1822; id., Øuvres complètes, Parigi 1870; D. Stevenson, Lighthouses, Edimburgo 1864; L. Reynaud, Mémoires sur l'éclairage et le balisage des côtes de France, Parigi 1864; id., Les phares, Parigi 1881; Elliot, European Lighthouse Systems, Washington 1876; E. Allard, Mémoire sur les phares électriques, Parigi 1881; id., Les phares, Parigi 1889; T. Stevenson, Lighthouse construction and illumination, Londra 1881; D. P. Heap, Ancient and modern lighthouses, Boston 1889; L. A. Veitmeyer, Leuthfeuer u. Leuchtapparate, Berlino 1900; C. Ribière, Phares et signaux maritimes, Parigi 1908; J. S. Wryde, British lighthouses, their history and romance, Londra 1913; F. A. Talbot, Lightships and lighthouses, Londra 1913; P. Leonardi Cattolica e A. Luria, Fari e segnali marittimi, voll. 2, Torino 1916 (con bibl.).

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