FAENZA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi FAENZA dell'anno: 1960 - 1994

FAENZA (v. vol.III, p. 567)

V. Righini

I rinvenimenti archeologici degli ultimi vent'anni hanno fornito una mole cospicua di nuovi dati.

Per le facies più antiche sono documentate industrie litiche del Paleolitico Inferiore, strutture insediative attribuibili al Neolitico Inferiore, con industria litica di tradizione mesolitica, e numerosi insediamenti dell'Età del Bronzo, con excursus cronologico dal Bronzo Antico al Bronzo Finale, addensati in particolare nel territorio a oriente della città, in aree pressoché marginali alla Via Emilia e nel territorio a SO del centro attuale. Di particolare rilievo il colle di Persolino - che domina lo sbocco in pianura del fiume Lamone - con materiali indicativi di fasi di insediamento che si articolano forse già dal Paleolitico, con sicurezza dal Neolitico, attraverso l'Età del Bronzo e l'Età del Ferro fino all'epoca romana. Per la fase protostorica il rinvenimento più significativo è costituito dall'insediamento identificato nel 1968 nell'area dell'ex Piazza d'Armi (periferia occidentale della città attuale), in cui sono stati scavati alcuni fondi di capanne e una fornace, e che è stato datato entro la prima metà del VI sec. a.C.

L'impianto urbanistico della città romana è noto dal rinvenimento di lunghi tratti di basolati stradali; si sono identificati con sicurezza tre assi viari con orientamento O-E, il secondo dei quali costituisce il tratto urbano della Via Aemilia con funzione di decumanus maximus, e almeno cinque assi viari con orientamento N-S, di cui quattro perpendicolari ai precedenti - uno dei quali da identificare probabilmente come cardo maximus - e uno obliquo. Una vasta area di pavimentazione è stata rinvenuta (1970) nelle immediate adiacenze delle attuali Piazza del Popolo e Piazza Martiri della Libertà, e sembra riferibile al foro della città. Non è noto alcun elemento di strutture murarie pertinenti con sicurezza a edifici pubblici dei quali si conservano elementi architettonici, venuti in luce avulsi dal contesto originario, ora conservati nel museo.

La cospicua documentazione riferibile all'edilizia privata è costituita, pressoché esclusivamente, da pavimenti di mosaico, di cocciopesto, di mattoncini esagonali e di opus spicatum. Le pavimentazioni musive note, considerando sia quelle conservate sia quelle perdute di cui si ha però notizia, assommano a oltre una cinquantina. Le cronologie sono comprese fra l'età augustea e il V sec. d.C., con un caso forse databile in età teodoriciana.

Fra i pavimenti più significativi è un opus scutulatum (scavi 1984), databile in età augustea; il fregio è scarsamente documentato nella regione cispadana e riveste dunque un particolare interesse. È databile probabilmente fra la fine del II e l'inizio del III sec. d.C. un grande mosaico policromo (scavi 1963), con la decorazione del campo costituita da medaglioni circolari alternati a ottagoni con quattro lati ricurvi e contenenti motivi decorativi vari e con èmblema in cui è raffigurato un leopardo che insegue un cervo.

Riferibili a età tardoantica sono diversi complessi di mosaici. Le datazioni proposte oscillano fra la seconda metà del IV-inizio del V sec. d.C. ed entro il V sec. d.C.; i mosaici, tutti policromi, presentano decorazioni complesse, a squame contenenti un bocciolo stilizzato, a quadrati contenenti motivi geometrici, a cerchi ed ellissi attorno a un quadrato. Di particolare interesse è un complesso musivo tardoantico rinvenuto in Via Dogana (scavi 1971-72), costituito da cinque mosaici di cui quattro con decorazione geometrica (A, B, C, H) e uno figurato (E), nonché da pavimenti di tipo più comune. Nel mosaico figurato il campo è suddiviso, mediante cornici a treccia, in formelle quadrate con figure umane: quelle maschili sono prevalentemente in abito militare, in qualche caso in abito civile, mentre le femminili appaiono riccamente abbigliate; in una formella compare una figura femminile nuda seduta sul dorso di un delfino. Le formelle circondano un grande èmblema con scena interpretata (Gentili, 1980) come raffigurazione di un'apoteosi imperiale, riconoscendo nella figura in trono l'immagine di Onorio, imperatore d'Occidente, affiancato da due guardie imperiali, da Stilicone, comandante in capo dell'esercito nonché suocero dell'imperatore, e da Serena, nipote e figlia adottiva di Teodosio e moglie di Stilicone, oppure Maria, la figlia di Stilicone divenuta imperatrice in quanto sposa di Onorio. In rapporto a tale interpretazione della raffigurazione dell’èmblema, nelle formelle quadrate circostanti si riconoscono dame, dignitari e capi militari della corte imperiale e nella figura femminile su delfino una raffigurazione simbolica dell'ambiente marino. Sulla base delle caratteristiche tecnico-stilistiche dei mosaici e in particolare dell'interpretazione storica della scena di apoteosi imperiale, la datazione proposta è all'inizio del V sec. d.C. Meno plausibile è l'interpretazione in chiave mitologica (Achille e Priamo per la restituzione del corpo di Ettore e personaggi del ciclo troiano) formulata di recente. Il trasferimento della capitale dell'Impero d'Occidente da Milano a Ravenna, nel 402 d.C., e la conseguente presenza della corte imperiale devono aver dato nuovo impulso non solo alla città di Ravénna ma anche all'immediato entroterra, di cui F. faceva parte in una rilevante posizione viaria, essendo ubicata all'incrocio fra la Via Aemilia, la strada di collegamento con Ravenna e la Via Faventina che, risalendo lungo la valle del Lamone, assicurava il più breve collegamento transappenninico verso Florentia. Nel complesso in questione si può plausibilmente riconoscere un palatium, probabile residenza di un dignitario della corte imperiale o di un capo militare.

Un mosaico policromo (1980) presenta il campo decorato con un motivo geometrico di cerchi intersecantisi, nel centro dei quali sono dei quadrati contenenti varí motivi decorativi. Il centro è occupato da un grande èmblema, suddiviso orizzontalmente in due riquadri: in quello superiore appaiono due pavoni affrontati ai lati di un kàntharos; in quello inferiore è rappresentata una scena di caccia in cui due cani inseguono un capriolo e una lepre, sospingendoli verso una rete. Per questo mosaico è stata proposta una datazione in età teodoriciana basata esclusivamente su confronti relativi alla decorazione geometrica del campo.

Nel 1961 venne riportato alla luce un mosaico paleocristiano con iscrizioni, databile nell'ambito del V sec. d.C., che si inquadra in una tipologia ben documentata nell'ambito alto-adriatico ad Aquileia e a Grado, dove sono note oltre centotrenta epigrafi musive.

Particolarmente esigui sono i materiali epigrafici lapidei, fra i quali non si annovera alcuna iscrizione pubblica, e che sono rappresentati quindi solo da poche iscrizioni funerarie. Poco numerosi sono anche i dati relativi a necropoli, di cui è noto un solo caso nella zona suburbana meridionale all'inizio della Via Faventina per Brisighella-Firenze, oltre a elementi sparsi, riferibili a monumenti funerari isolati o a piccole necropoli prediali, rinvenuti lungo la Via Aemilia sia a occidente che a oriente della città, e nel tratto iniziale della valle del Lamone.

La scarsità di elementi architettonici e di materiale epigrafico lapideo nonché la quasi totale assenza di strutture murarie sono in linea di massima da ricollegare al generale fenomeno del reimpiego verificatosi in larga misura in età tardoantica e altomedievale, come attestano l'ordine di Teodorico al consolare Anastasio (523-526) di trasferire da F. a Ravenna materiale edilizio di recupero (Cassiod., Var., V, 8) e un'iscrizione di età teodoriciana (Museo Arcivescovile di Ravenna) circa una statua abbattuta da un terremoto nella Curia di F.: è quindi possibile che i due grandi terremoti del 466, o 467, e del 492 abbiano danneggiato, oltre Ravenna, anche F. stessa.

La produzione fittile si concentra in due aree, che sono da considerare come marginali e suburbane rispetto alla città romana e che vengono identificate rispettivamente come area produttiva occidentale e area produttiva sud-orientale. La prima si articola lungo l'asse Via Cavour-Corso Baccarini e nelle immediate adiacenze, dove sono state rinvenute tre fornaci. La seconda si estende lungo un tratto di Corso Matteotti nelle adiacenze della chiesa di S. Agostino ed è caratterizzata dalla presenza di altre tre fornaci; a queste si aggiungono altre due attestazioni, in territorio extraurbano rispetto alla città romana. Le fornaci sono tutte di piccole dimensioni e pertanto riferibili a produzione ceramica, tranne una a pianta rettangolare e di dimensioni maggiori, che potrebbe essere stata utilizzata anche per la cottura di altri prodotti fittili.

Il territorio extraurbano è caratterizzato anzitutto dalla centuriazione, da tempo nota e studiata, in buono stato di conservazione, particolarmente a Ν della Via Aemilia, e dalla localizzazione di numerosi insediamenti rurali, alcuni dei quali potrebbero configurarsi come villae, almeno in base ai materiali rinvenuti in superficie.

Le notizie relative alle produzioni agricole del territorio faventino, fornite dalle fonti letterarie, si riferiscono in modo particolare alla produzione di vino; i fìtti vigneti attorno a Faventia sono citati da Appiano (Bell, civ., I, 91), mentre Varrone rifacendosi a Catone (Agr., I, 2, 7), e Columella (III, 3, 2-3) citano la produzione di vino nel territorio faventino (quindici cullei per iugero, pari a 312 hl per ettaro) come un fenomeno eccezionale, del tutto fuori dalla norma della media di produzione.

È in programma l'allestimento di un Museo Archeologico.

Bibl.: Per i rinvenimenti pre-protostorici: V. Righini Cantelli (ed.), Un Museo archeologico per Faenza. Repertorio e progetto, Bologna 1980, passim; AA.VV., Le più antiche tracce dell'uomo nel territorio Forlivese e Faentino, Forlì 1983; AA. W., Il Neolitico di Fornace Cappuccini a Faenza e la ceramica impressa in Romagna, in Atti della XXVI Riunione Scientifica dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze 1987, pp. 553-564.

In generale per i periodi romano e tardoantico: V. Righini, Lineamenti di storia economica della Gallia Cisalpina. La produttività fittile in età repubblicana (Collection Latomus, 110), Bruxelles 1970; G. A. Mansuelli, Urbanistica e architettura della Cisalpina romana fino al III sec. n.e., (Collection Latomus, 111), Bruxelles 1971, passim; A. Berselli (ed.), Storia dell'Emilia Romagna, I, Imola 1975, passim; AA.VV., Studi sulla città antica. L'Emilia Romagna, Roma 1983, passim.

Studi particolari: G. C. Susini, Pavimento musivo con iscrizione di un edificio paleocristiano faentino, in NSc, 1961, pp. 21-23; AA.VV., Studi Faentini in memoria di mons. Giuseppe Rossini, Faenza 1966 (in part. P. Monti, Archeologia faentina. I reperti, pp. 67-124; M. Bollini, Per la storia urbana di Faenza. I mosaici romani, pp. 125-163; V. Righini, Le lucerne ellenistiche e romane di Faenza e del territorio faentino, pp. 165-190); V. Righini Cantelli (ed.), Un Museo archeologico per Faenza..., cit., passim; G. V. Gentili, Mosaici augustei e tardoromani scoperti negli ultimi anni a Faenza, ibid., pp. 419-501; S. De Maria, L'architettura romana in Emilia Romagna fra III e I sec. a.C., in AA.VV., Studi sulla città antica..., cit., pp. 335-381; M. Pensa, La decorazione architettonica fittile in Emilia Romagna: aspetti e problemi, ibid., pp. 383-397; V. Righini, Elementi per la storia di Faventia fra il IV e il VI sec. d.C., in Torricelliana, XXXVI, 1985, pp. 93-114; M. G. Maioli, L'edilizia privata tardoantica in Romagna: appunti sulla pavimentazione musiva, in CorsiRavenna, XXIV, 1987, pp. 209-251.

Materiale epigrafico: V. Righini Cantelli (ed.), Un Museo archeologico per Faenza..., cit., passim.

Materiale fittile e fornaci: V. Righini, Importazione aretina e produzione nord-italica nella terra sigillata di Faenza, in AttiMemBologna, n.s., XX, 1969, pp. 267-312; ead., Uno scarico di ceramica a vernice nera a Faenza, in Atti del Convegno Internazionale sui problemi della ceramica romana di Ravenna, della Valle Padana e dell'Alto Adriatico, Bologna 1972, pp. 241-244; ead., Ceramica «tipo Aco» e «tipo Sarius» marcata a Faenza, in Faenza, LXV, 1979, pp. 213-240, tavv. LXXIV-LXXVIII; ead., Le testimonianze della produzione fittile a Faventia e nel territorio faventino in età romana, ibid., LXVI, 1980, pp. 39-46, tavv. IV-VI; M. C. Gualandi Genito, Cultura materiale dell'Emilia Romagna: un'indagine interpretativa sulla presenza di fornaci e officine ceramiche di età romana, in AA.VV., Studi sulla città antica..., cit., pp. 399-463; L. Mazzeo Saracino, Problemi della terra sigillata italica nella regione Vili, ibid., pp. 465-495; V. Righini, Una nuova fornace romana a Faenza, in Torricelliana, XXXV, 1984, pp. 59-73; L. Mazzeo Saracino, Terra sigillata nord-italica, in EAA. Atlante delle forme ceramiche, II, Roma 1985, pp. 175-230, tavv. LV-LXXVII; V. Righini, Le marche del gruppo di L. Tettius Samia a Faenza, in ReiCretRomFautActa, XXIX-XXX, in corso di stampa.

Per il territorio extraurbano e la produzione agricola: P. Monti, Le ville romane del Faentino, in La villa romana. Giornata di studi, Russi 1970, Faenza 1971, pp. 75-102; V. Righini, La produzione vitivinicola romana nella Cispadana orientale, in StRomagnoli, XXV, 1974, pp. 185-203.