EXEKIAS

Enciclopedia dell' Arte Antica (1960)

EXEKIAS (᾿Εξηκίας)

E. Paribeni

Ceramografo attico operante entro il terzo venticinquennio del VI sec. a. C. E. firma in generale come vasaio; ma due volte usa la formula ΕΧSΕΚΙΑS ΕΓΡΑΦSΕ ΚΑΠΟΙΕΣΕΜΕ: è quindi da supporre che egli, non diversamente da tanti artisti di primo piano, abbia svolto una doppia attività di pittore e di capo officina.

Alcuni dei vasi in cui appare la sua firma come vasaio sono stati assegnati alla sua cerchia e in particolare a quel "Gruppo E" che rappresenta "il terreno in cui l'arte di E. si è formata, la tradizione che egli assorbe e trascende" (J. D. Beazley, Development, 63). Uno dei fatti più singolari intorno ad E. è infatti l'estrema saldezza dei legami del gruppo a lui associato: e nello stesso tempo, l'elevato livello della produzione che anche indirettamente fa capo al maestro, sia di quella del Gruppo E che in parte sembra precederlo, sia quella che comprende le opere di scuola.

Le opere sicuramente dovute ad E., se si vengono ad escludere vasi di insigne qualità quale il cratere di Farsalo, che è una replica appena variata di quello dell'Agorà, sarebbero estremamente limitate di numero. Nell'elenco di J. D. Beazley esse comprendono diciotto anfore, un cratere a calice, la nota coppa di Monaco e una serie di pìnakes di soggetto funerario. Si può dire tuttavia che E. si è impegnato unicamente nelle forme più solenni e impegnative con tutta la responsabilità di un caposcuola. È infatti questo il lato più eccezionale della personalità di E., l'estrema serietà con cui egli affronta ogni tema e la quieta sicurezza con cui egli propone le sue invenzioni. In questo senso il distacco tra lui e anche le massime personalità di pittori a figure nere è netto e invalicabile. Tutte le opere sicure di E. sono di un livello così alto per elevatezza artistica e scrupolosità di esecuzione quale anche artisti della classe di Lydos o del Pittore di Amasis raggiungono solo nei momenti migliori.

Gli inevitabili paralleli e le facili opposizioni che vien fatto di avanzare tra E. e gli altri massimi pittori a figure nere sono in realtà abbastanza utili a chiarirne la personalità. Il contrasto tra la schiva, esigente severità di E. e il gioioso, abbandonato decorativismo del Pittore di Amasis è dei più eloquenti e drammatici. Ed è forse anche legittimo dedurne una più profonda opposizione tra l'austerità senza compromessi del genio attico e il lieve colorismo e la forma fluida e sfuggevole del mondo ionico, da cui si è supposto il Pittore di Amasis sia emerso. Altrettanto chiari e precisi, seppure questa volta contenuti in un mondo interamente attico, i confini che separano l'opera di Lydos da quella di Exechias. Per tutti e due questi artisti è stato possibile impiegare il termine di "classico" non in senso storico, ma unicamente nel senso di sovrano equilibrio, di armoniosa sottomissione degli elementi meno importanti a quelli centrali, di ritenutezza e di limpida pace intellettuale. Tuttavia la classicità di Lydos si risolve generalmente in una interezza meramente fisica, esteriore. Mentre in E. classicità è soprattutto accettazione di un ordine morale e del senso tragico della vita. J. D. Beazley ha visto con estrema acutezza questa segreta amarezza che può vedersi nell'opera di E., nel suo bisogno di essenzialità e di concentrazione, quando rileva certe affinità tra l'artista e il suo eroe preferito Aiace, il forte e fedele amico, saldo combattente nelle battaglie più amare, che il mondo ha condannato al supremo isolamento del suicidio (anfora di Boulogne).

E. tratta unicamente soggetti alti e di carattere epico: battaglie o preparazioni alla lotta, concilî di divinità e duelli sul corpo di eroi caduti. E questo altissimo clima di teso eroismo egli sa evocare con un linguaggio schivo e contenuto creando figure di incisività scultorea con una estrema economia di particolari. La figurazione, che quasi sempre ha un elemento di quieta drammaticità, viene riassunta in immagini chiare e intense, di una concentrazione assoluta. Assenti sono le figure di inquadramento, di impiego larghissimo nelle opere del Pittore di Amasis e così utili per scopi compositivi: persino Dioniso appare isolato dal suo thìasos, assorto in un grave dialogo con Oinopion (British Museum B 210). Ancora più vivida e favolosa è l'evocazione di Dioniso navigante nel grande spazio indeterminato e libero del tondo interno della coppa di Monaco. E la novità degli schemi figurativi si associa all'invenzione di nuove forme quali il cratere a calice e la coppa a occhioni con la loro matura e complessa sintassi decorativa.

Accanto al mondo divino ed eroico evocato nelle pitture di vasi, non meno intenso e straziante è il poema della morte e del dolore umano espresso nei pìnakes funerarî di Berlino. La concezione della morte, a noi tanto più familiare nei semplici atti di congedo delle stele funerarie, è qui solennemente evocata in larghe scene di un complesso e drammatico cerimoniale: il lamento funebre, la processione, la valedictio, il lutto nel mondo femminile. Che i contemporanei riconoscessero la grandezza del linguaggio scabro e concentrato di E. è indicato dal fatto che anche il leggero ed esuberante Pittore di Amasis, nella sua produzione più matura, abbia adottato nelle anfore a due figure il tono serrato e l'esposizione tersa del maestro.

In tanta disciplinata austerità l'unica riconosciuta debolezza di E. è per i cavalli: a queste creature egli infatti riserva una tenerezza e un affetto che raramente dimostra agli esseri umani o divini. Uniche sono le figurazioni di cavalli liberi pascolanti nell'anfora di Filadelfia: ma ovunque, aggiogati o montati, centrati o relegati in un angolo, i cavalli rappresentano chiaramente il più scoperto oggetto d'amore del grande pittore attico.

Bibl.: E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung, Monaco 1923, p. 263 ss.; J. C. Hoppin, Black-fig., p. 95 ss.; J. D. Beazley, Black-fig., 1928, pp. 17, 29; id., Annual British School Athens, XXXII, 1931, p. 1 ss.; W. Technau, Exechias, Monaco 1936; B. Neutsch, Ganymed, p. 29; id., in Marburger Jahrbuch, XV, 1949, p. 43 ss.; J. D. Beazley, Development, p. 63 ss.; id., Black-fig., 1956, p. 143 ss.