EUROPEISMO

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Europeismo

Franco Papitto

L'e. sembrava prosperare all'inizio del 21° sec., ma gli entusiasmi suscitati dall'introduzione dell'euro, nonché dall'ampliamento della Unione Europea (UE) a Est e a Sud, hanno ceduto ben presto il passo allo smarrimento creato dal rifiuto della Costituzione europea nei due referendum svoltisi in Francia, il 29 maggio 2005, e nei Paesi Bassi, il 1° giugno dello stesso anno. Alla fine del 2001 a Laeken, in Belgio, i capi di Stato e di governo dei quindici Paesi della UE avevano convocato una Convenzione incaricata di elaborare un progetto di Costituzione europea. I 207 'costituenti', di cui 105 titolari e 102 supplenti, avevano iniziato i loro lavori nel febbraio successivo e li avevano conclusi nel luglio 2003. Dopo complesse trattative, che portarono ad alcune modifiche, il testo era stato approvato nel giugno del 2004 dai leader dei Paesi membri, che intanto erano diventati venticinque. In effetti, dal 1° maggio 2004 i 'Quindici', riuniti a Dublino, avevano formalmente accolto nella UE dieci nuovi Paesi: Cipro, Malta, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Slovenia. Per quanto riguarda la moneta comune dal 1° gennaio 2002 era entrato in circolazione l'euro. Ma la scarsa partecipazione alle elezioni del Parlamento europeo del giugno 2004 fece suonare il primo campanello d'allarme: andò alle urne il 45,7% dei cittadini della UE, e solo il 26,7 nei dieci Paesi che avevano aderito all'Unione da poco più di un mese. La mancata approvazione della Costituzione europea è arrivata l'anno seguente e l'e. è entrato in crisi. "Siamo nella nebbia e senza bussola", ha commentato in un'intervista a un giornale italiano (la Repubblica, 11 giugno 2005) il presidente del Parlamento europeo, J. Borrell. "I due no espressi nei referendum popolari dai cittadini francesi e olandesi - ha detto Borrell in quella occasione - sono il prodotto di un malessere diffuso […]. L'Europa non rassicura più. Il "sogno europeo", fatto di pace e benessere, non mobilita più perché è già una realtà. Le nuove domande sociali riguardano la sicurezza e la prosperità. I cittadini non vedono l'Europa come una risposta valida ai loro problemi - insicurezza, disoccupazione, precarietà sul lavoro - ma come una sorta di cavallo di Troia della mondializzazione che fa loro paura".

Per molti analisti l'avvio della crisi dell'e. è da collocarsi ancor prima della caduta del muro di Berlino, ossia in coincidenza con il crollo dei regimi comunisti, eventi che segnarono la fine della spaccatura dell'Europa. Ma le risposte che quegli eventi suscitarono furono incerte, contraddittorie e timorose. La motivazione dei 'padri fondatori', che all'indomani del secondo conflitto mondiale volevano bandire la guerra dal vecchio continente, era stata confortata anche dalla necessità statunitense, nonché di tutto quello che si chiamava allora il 'mondo libero', di organizzare e consolidare il 'bastione europeo' di fronte al Patto di Varsavia.

Con il crollo del muro di Berlino erano mutati tutti i dati geopolitici e, per affrontare la nuova situazione, occorrevano risposte rapide e sicure che non ci furono. Quando nel 1989 il premier sovietico M.S. Gorbačëv lanciò l'idea di costruire una'casa comune' europea, il presidente francese F. Mitterrand rispose proponendo la creazione di una grande confederazione politica di tutti gli europei. La CEE avrebbe mantenuto le sue strutture e avrebbe aderito all'ipotizzata confederazione insieme ai Paesi dell'Est. J. Delors, all'epoca presidente della Commissione europea, teorizzò in vari articoli di stampa e interventi pubblici una "Europa a cerchi concentrici", cioè una cornice comune all'interno della quale ci sarebbero stati legami e livelli di cooperazione diversi. R. Ruggiero - un diplomatico che sarebbe poi diventato ministro degli Affari esteri in Italia nonché segretario generale dell'Organizzazione mondiale del commercio - suggerì di negoziare 'in blocco' con quel che restava del precedente COMECON e non singolarmente con ognuno dei suoi Paesi membri. Delors riformulò in un secondo tempo la sua 'teoria dei cerchi concentrici' limitandoli a due: la UE ampliata ai PECO (Paesi dell'Europa Centrale e Orientale) avrebbe avuto nel suo seno una 'avanguardia' di Paesi che avrebbero costituito una 'Federazione di Stati-nazione'. E persino sull'unificazione della Germania vi furono varie esitazioni, presto spazzate via dalla determinazione del cancelliere della Germania federale, H. Kohl, che ebbe in quell'occasione il sostegno senza remore di Delors. Preoccupava tutti l'idea che l'adesione di Paesi con economie disastrate dal dirigismo comunista avrebbe indebolito la UE e che il passaggio da dodici (e poi quindici, dal 1° genn. 1995, con l'adesione di Austria, Finlandia e Svezia) a venticinque Paesi membri avrebbe appesantito il processo di maturazione delle decisioni, con la conseguente paralisi nei troppi settori in cui veniva richiesta l'unanimità. Diverse erano le riflessioni e le aspirazioni nei Paesi dell'Est. Nel dicembre del 2000 il presidente polacco A. Kwašniewski dichiarò pubblicamente: "Per noi queste diverse costruzioni europee con al centro un nucleo duro sono molto pericolose perché si tratterebbe di un ritorno verso il passato, verso una nuova divisione (dell'Europa) con conseguenze molto negative".

Soprattutto l'azione di Kohl influenzò lo sviluppo della cooperazione europea; il cancelliere tedesco era convinto infatti che l'unificazione del suo Paese si sarebbe potuta realizzare senza scosse solamente "sotto un tetto europeo", come ebbe a dire in più di un'occasione. Kohl ebbe un alleato importante in Delors e poi anche in Mitterrand, quando il presidente francese si rese conto che la riunificazione non poteva essere ritardata. Dall'intuizione di Kohl, e dalla ritrovata sintonia con Mitterrand, nacque nella primavera del 1990 la proposta franco-tedesca al Consiglio europeo di Dublino di convocare una Conferenza intergovernativa che preparasse l'unione politica dell'Europa. Bisognava rafforzare la CEE per permetterle di accogliere i Paesi dell'Est che stavano per uscire dalla glaciazione comunista. Era un'intuizione che però avrebbe stentato molto a tradursi in pratica; a Roma, a metà dicembre del 1990, ci fu l'apertura formale di due Conferenze intergovernative, per preparare una l'unione economica e monetaria, l'altra l'unione politica. La prima fu all'origine della creazione della moneta unica, mentre l'unione politica agli inizi del 21° sec. è ancora un miraggio, allontanatosi dopo la mancata approvazione della Costituzione europea. In ogni caso le riflessioni e le trattative avviate nel 1990 migliorarono la capacità della UE di assumere anche un ruolo politico internazionale, come dimostrò più tardi la sua presenza in Bosnia e alla frontiera fra la Striscia di Gaza e l'Egitto.

I capi di Stato e di governo si riunirono a Roma il 14 dicembre 1990 per decidere i contenuti delle trattative che si sarebbero svolte nelle due Conferenze intergovernative e per esaminare il tema delle future relazioni con i Paesi dell'Europa centrale e orientale. Quella che allora si chiamava la Comunità europea, per la prima volta elaborò una politica che riguardava avvenimenti e situazioni al di fuori delle sue frontiere: fu deciso in quell'occasione l'appoggio politico e finanziario ai processi di liberalizzazione che stavano scuotendo dalle fondamenta il 'blocco' sovietico. In un loro documento congiunto il cancelliere Kohl e il presidente Mitterrand proposero agli altri capi di Stato e di governo riuniti a Roma che la futura UE avesse una "vocazione federale" e che si cominciasse a riflettere sui tempi e le modalità della creazione di una "difesa comune". Altro tema di fondo da affrontarsi nella Conferenza intergovernativa era l'estensione dei settori nei quali le decisioni sarebbero state prese a maggioranza e non all'unanimità. La trattativa diplomatica si concluse a Maastricht, nei Paesi Bassi, il 9 e 10 dicembre 1991; il successo fu pieno per la parte monetaria - con l'adozione di un calendario e di modalità precise per la creazione della moneta unica - ma restò molto al di sotto delle ambizioni iniziali per quel che riguardava l'unione politica europea.

L'opposizione della Gran Bretagna, ma anche di Danimarca e Grecia, portò alla cancellazione della 'vocazione federale' della neonata UE. Quanto alla politica estera e alla difesa, il compromesso raggiunto rivelò una scarsa chiarezza. Si legge nel documento che fu approvato a Maastricht dalla Conferenza intergovernativa: "La politica estera e di sicurezza comune include l'insieme delle questioni relative alla sicurezza dell'Unione europea, ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune, che potrebbe condurre, al momento opportuno, a una "difesa comune"". La Conferenza di Maastricht stabilì che le decisioni "di politica generale" sarebbero state prese all'unanimità e quelle esecutive a maggioranza. La UE, rispetto alle tre preesistenti 'Comunità' (Comunità economica europea, CEE; Comunità europea del carbone e dell'acciaio, CECA; Comunità europea dell'energia atomica, EURATOM) che essa assorbiva, vedeva inoltre rafforzate alcune sue competenze economiche e si istituiva una "cooperazione in materia di polizia e di giustizia". Il Parlamento europeo ebbe poi maggiori poteri; dopo le ratifiche nei quindici Paesi membri, il trattato che istituiva la UE, il Trattato sull'Unione Europea (TUE), entrò in vigore il 1° novembre 1993. Secondo una 'dichiarazione solenne' sottoscritta per l'occasione dai capi di Stato e di governo, la neonata Unione avrebbe portato "maggiore prosperità economica", "maggiori ambizioni esterne", "maggiore efficacia" delle istituzioni, "maggiore democrazia, sotto tutte le forme e a tutti i livelli". Si prevedeva anche, nelle Conclusioni adottate a Maastricht, la convocazione di una nuova Conferenza intergovernativa nel 1996 per migliorare e integrare il Trattato.

Il 1994 vide il cambio della guardia alla testa della Commissione europea: Delors, che l'aveva presieduta per dieci anni, venne sostituito dal lussemburghese J. Santer. Quell'organismo essenziale nel funzionamento della cooperazione comunitaria non avrebbe ritrovato un ruolo da protagonista negli anni successivi. Il 1994 fu anche l'anno del rilancio del dibattito europeo su iniziativa della CDU (Christlich-Demokratische Union)-CSU (Christlich-Soziale Union) tedesca che pubblicò un importante documento nel corso dell'estate. Il testo muoveva dalla necessità per la Germania di integrare nella UE i Paesi dell'Europa centrale al fine di stabilizzare la loro situazione interna. Si prevedeva la necessità di accogliere alla fine del secolo, in una UE rafforzata, l'Ungheria, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e la Slovenia. Bisognava rafforzare la UE, sosteneva il documento, perché essa altrimenti non avrebbe retto l'impatto dell'adesione dei Paesi danneggiati dall'esperienza comunista e questa adesione doveva essere realizzata per rispondere alla "esigenza di stabilità della Germania".

Per i sostenitori del cancelliere Kohl occorreva creare una unione 'a geometria variabile' che non obbligasse tutti a condividere in eguale misura le stesse politiche. Questo avrebbe permesso di aprire le porte subito ai Paesi a Est della Germania senza imporre loro un periodo di attesa per adattare le proprie strutture economiche e politiche. Avrebbe anche consentito ai Paesi che lo avessero voluto di accelerare il loro processo di integrazione. Secondo il documento CDU-CSU, cinque Paesi avrebbero dovuto far parte del nucleo centrale di questa costruzione: Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi. Anche Italia e Spagna ne sarebbero entrate a far parte, quando fossero state in grado economicamente di aderire, nonché la Gran Bretagna, nel caso avesse intrapreso questa scelta. I Paesi del nucleo centrale avrebbero dovuto adottare una moneta e una politica estera comune. Il Parlamento europeo avrebbe dovuto avere poteri legislativi e la Commissione avrebbe dovuto assumere i connotati di un 'governo'. Per la Francia reagì il primo ministro, E. Balladur, per il quale le relazioni intereuropee dovevano essere organizzate in vari 'cerchi'. L'Unione avrebbe rappresentato il cerchio più esterno e successivamente si sarebbero costruiti cerchi più interni, per cooperazioni più specifiche e anche più impegnative, come per la moneta e per la difesa. Il premier britannico J. Major si oppose sostenendo che non era necessario un nucleo centrale, ma un solo 'contesto' all'interno del quale ogni Paese avrebbe deciso a quale delle politiche comuni partecipare. L'Italia bocciò l'Europa di Major, ma anche quella disegnata dai tedeschi che la escludeva, almeno in una prima fase, dal nucleo centrale.

Le riflessioni in vista della revisione del Trattato di Maastricht, prevista per il 1996, iniziarono dal Consiglio europeo di Corfù che nel giugno del 1994 creò uno speciale gruppo presieduto dallo spagnolo C. Westendorp. Una successiva Conferenza intergovernativa si riunì per la prima volta a Torino il 29 marzo 1996 sotto la presidenza del ministro degli Affari esteri italiano, S. Agnelli. Nel giugno successivo, il Consiglio europeo di Firenze precisò i grandi temi del negoziato: efficienza delle istituzioni, estensione delle competenze comunitarie, rafforzamento della politica estera comune. Un anno dopo, nel giugno 1997 i risultati del negoziato furono raccolti in un trattato, poi firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997. Ma era già iniziata la fase di declino dell'e., poiché altri problemi premevano e si imponevano all'attenzione dei governi mentre la lunga fase di riforme istituzionali aveva saturato l'opinione pubblica.

Il trattato di Amsterdam apportò qualche miglioramento, ma non al punto di garantire il funzionamento delle istituzioni della futura Unione ampliata che avrebbe contato venticinque membri dal 1° maggio 2004. Tra l'altro, il testo adottato ad Amsterdam introdusse il principio detto della cooperazione rafforzata, cioè la possibilità per alcuni Paesi di promuovere una maggiore integrazione senza attendere la disponibilità di tutti. Ma il principio fu vincolato a tante e tali condizioni da renderlo di fatto inoperante. Si trattava, comunque, di un elemento di flessibilità importante in una Unione resa oltremodo rigida dalla necessità di procedere all'unanimità, almeno nelle grandi decisioni. Ad Amsterdam fu prevista anche la creazione di uno "spazio di libertà, sicurezza e giustizia", da costruire nell'arco di cinque anni. Progressi, in effetti, sarebbero stati realizzati nella "comunitarizzazione" di attività quali il controllo delle frontiere esterne della UE, l'asilo, l'immigrazione, la cooperazione giudiziaria in campo civile. Non venne accettata la proposta francese di nominare un 'Monsieur PESC' (Politique Etrangère et de Sécurité Commune), cioè una personalità europea in grado di stimolare, guidare e rappresentare la politica estera e di difesa comune. Un faticoso compromesso attribuì al segretario generale del Consiglio dei ministri le funzioni di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza. Soprattutto, si rinviarono alcune decisioni sul funzionamento delle istituzioni comuni - Commissione e Consiglio dei ministri - che erano essenziali in vista dell'imminente adesione di altri Paesi.

Una nuova Conferenza intergovernativa cominciò a discutere a Bruxelles, il 14 febbraio 2000, di riforme istituzionali. Delors propose in quell'occasione un'avanguardia europea, un nucleo centrale di Paesi che doveva porsi l'obiettivo di trasformarsi in una entità politica competente anche in tema di sicurezza e di difesa. J. Fischer, ministro degli Esteri del governo tedesco presieduto da G. Schroeder, riprese l'idea di Delors collocandola nella tradizionale impostazione federale sostenuta dalla Germania. Per Fischer occorreva una "rifondazione costituzionale" per rimettere ordine nella 'Casa europea' cresciuta disordinatamente, di compromesso in compromesso, e incapace di accogliere nel suo seno nuovi Paesi membri. J. Chirac, il presidente francese, in un discorso davanti al Bundestag di Berlino parlò di un "gruppo pioniere", che sarebbe dovuto nascere dalle "cooperazioni rafforzate", già previste dal Trattato di Maastricht. Qualche tempo dopo lo stesso Chirac evocò la Costituzione europea in un discorso tenuto a Strasburgo; l'allora presidente della Repubblica Italiana C.A. Ciampi si pronunciò in varie occasioni a favore di un testo costituzionale europeo.

Riuniti a Nizza l'8 dicembre 2000, i capi di Stato e di governo dell'Unione trovarono abbastanza rapidamente un accordo sull'aumento dei poteri del presidente della Commissione europea e sulla semplificazione delle procedure per l'avvio delle cooperazioni rafforzate previste dal Trattato di Amsterdam; ma sul resto, le discussioni si fecero difficili e tanto complesse da prolungarsi fino all'alba dell'11 dicembre. Fu modificato a Nizza il numero di "voti ponderati" a disposizione di ogni Paese nelle decisioni del Consiglio dei ministri e fu introdotta la "doppia maggioranza": per approvare un provvedimento, alla maggioranza dei voti ponderati espressa in Consiglio doveva corrispondere una maggioranza di popolazione (almeno il 62 %). Fu resa più snella la composizione della Commissione europea diminuendo il numero dei suoi componenti. Il voto a maggioranza qualificata, invece che all'unanimità, fu esteso a una trentina di settori, ma non fra i più importanti.

Consapevoli dell'insufficienza delle riforme, i capi di Stato e di governo allegarono al Trattato di Nizza una dichiarazione che annunciava un nuovo negoziato che avrebbe dovuto essere preceduto, precisava il testo, "da un largo dibattito che avrebbe dovuto associare tutte le parti interessate". Perciò il Consiglio europeo di Laeken, presso Bruxelles, decise nel dicembre 2001 di convocare una Convenzione, alla quale si chiedeva di affrontare sessantanove temi di interesse costituzionale: dalla semplificazione delle istituzioni al funzionamento degli organi comunitari, alla ripartizione delle competenze fra gli Stati membri e l'Unione. A presiederla fu nominato l'ex presidente della Repubblica francese, V. Giscard d'Estaing, che fu affiancato da due vice presidenti: gli ex premier G. Amato (Italia) e J.-L. Dehaene (Belgio). I 'convenzionali' si riunirono per la prima volta alla fine del febbraio 2002: erano rappresentanti dei governi e dei parlamenti nazionali, della Commissione e del Parlamento europeo. Il Comitato delle regioni, il Comitato economico e sociale, e i sindacati inviarono loro osservatori. Parteciparono ai lavori anche rappresentanti dei Paesi candidati all'adesione all'Unione: i dieci che avrebbero aderito dal maggio 2004 e anche i tre destinati a restare ancora in 'lista d'attesa' (Romania, Bulgaria, Turchia). Il 20 giugno 2003 Giscard d'Estaing avrebbe presentato i risultati del lavoro della Convenzione al Consiglio europeo di Salonicco. Il 4 ottobre 2003 a Roma, i capi di Stato e di governo avviarono una nuova Conferenza intergovernativa che avrebbe dovuto negoziare sulla base, definita buona, del progetto elaborato dalla Convenzione. La presidenza di turno italiana non riuscì a concludere le trattative in dicembre, nel Consiglio europeo di Bruxelles. La mano passò alla presidenza irlandese che chiuse i lavori con successo il 18 giugno 2004, sempre nella capitale belga. Il progetto della Convenzione fu sostanzialmente rispettato e il testo fu poi firmato a Roma, in Campidoglio, il 29 ottobre 2004.

Tale Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa è diviso in quattro parti. La prima contiene le disposizioni che definiscono l'Unione, le sue istituzioni, le competenze e le procedure decisionali. La seconda riprende il testo della Carta dei diritti fondamentali che era stata approvata a Nizza nel dicembre del 2000. La terza parte descrive le politiche dell'Unione. La quarta contiene disposizioni sulla ratifica, l'entrata in vigore, la procedura di revisione. Il Parlamento europeo vede il suo ruolo potenziato e razionalizzato. Il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato e di governo, elegge un suo presidente per trenta mesi, rinnovabili una volta. Si precisa la regola della doppia maggioranza in Consiglio dei ministri: una decisione è adottata quando è votata dal 55% degli Stati membri che rappresenti almeno il 65% della popolazione totale. Viene nominato un ministro europeo degli Affari esteri e si precisano le competenze della UE e degli Stati membri. Si riducono i casi nei quali occorre votare all'unanimità; nasce l'Agenzia europea degli armamenti e viene semplificato il meccanismo delle 'cooperazioni rafforzate'.

L'entrata in vigore del Trattato costituzionale, una volta ratificato da tutti gli Stati membri, è prevista per il 1° novembre 2006. Esso non dispone nulla nel caso di mancata ratifica da parte di un Paese e si limita a dire che, se ci sono difficoltà in qualche Stato membro, "il Consiglio europeo affronterà la questione". Ma la mancata approvazione dei referendum indetti in Francia e nei Paesi Bassi ha congelato ogni questione. Da più parti si è affermato che la Costituzione europea 'deve essere salvata' ma nessuno è stato in grado di indicare le procedure di questo 'salvataggio'. L'e. sembra aver perso, almeno temporaneamente, le sue capacità di mobilitazione.

bibliografia

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J. Delors, J.-L. Arnaud, Mémoires, Paris 2004.

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S. Romano, Europa, storia di un'idea: dall'impero all'unione, Milano 2004.

B. Olivi, R. Santaniello, Storia dell'integrazione europea: dalla guerra fredda alla Costituzione dell'Unione, Bologna 2005.

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